N. 71 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 luglio 2014

Ordinanza del 7 luglio 2014 della Commissione tributaria  provinciale
di Roma sul ricorso proposto da Centro Storico Real Estate Srl contro
Agenzia delle entrate - Direzione provinciale I di Roma  e  Equitalia
Gerit S.p.a.. 
 
Riscossione delle  imposte  -  Remunerazione  del  servizio  -  Aggio
  percentuale pari al nove per cento delle  somme  iscritte  a  ruolo
  riscosse e dei relativi interessi di mora. 
- Decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112 (Riordino  del  servizio
  nazionale della riscossione, in attuazione  della  delega  prevista
  dalla legge 28 settembre 1998, n. 337),  art.  17,  comma  1,  come
  sostituito dall'art. 32, comma 1, lett. a),  del  decreto-legge  29
  novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno  a  famiglie,
  lavoro,  occupazione  e  impresa  e  per  ridisegnare  in  funzione
  anti-crisi  il  quadro  strategico  nazionale),   convertito,   con
  modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2. 
(GU n.15 del 13-4-2016 )
 
            LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI ROMA 
                             Sezione 65 
 
    Riunita con l'intervento dei signori: 
      Di Popolo Angelo - Presidente; 
      Sava Gianfranco - Relatore; 
      Mei Pierluigi - Giudice. 
    Ha  emesso  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso   n.   23740/10
depositato il 24 settembre 2010, avverso  cartella  di  pagamento  n.
09720100142634372 I.V.A. + IRPEG 2008; 
    Contro: Ag. Entrate Dir. Provin. Uff. Controlli Roma 1; 
    Proposto dal ricorrente: Centro Storico Real Estate  S.r.l.,  via
Lemonia n. 241 c/o Tranquilli - 00174 Roma (RM); 
    Altre parti coinvolte: Conc. Equitalia Gerit S.p.a.,  Lungotevere
Flaminio n. 18 - 00196 Roma (RM), difeso da: Avv. Donatella Carletti,
via Lucrezio Caro n. 62 - 00193 Roma (RM). 
Premessa 
    Con ricorso proposto nei confronti dell'Agenzia delle  Entrate  -
Direzione Provinciale I  di  Roma  e  nei  confronti  della  societa'
Equitalia Gerit S.p.a. in data 9 settembre  2010  e  depositato  alla
segreteria  di  questa  commissione  tributaria  provinciale  il   24
settembre 2010,  la  societa'  Centro  Storico  Real  Estate  S.r.l.,
rappresentata e difesa come in atti,  ha  impugnato  la  cartella  di
pagamento indicata in  epigrafe  con  la  quale  viene  richiesto  il
pagamento dell'importo di € 574.913,86 iscritto a  ruolo  per  l'anno
2006 a titolo  di  Iva,  Ires,  Irap,  sanzioni,  interessi,  nonche'
dell'importo di € 51.742,23 a titolo di  compensi  di  riscossione  e
diritti. L'iscrizione a ruolo consegue ad un avviso  di  accertamento
ritualmente impugnato e pendente, ed e' eseguita  pertanto  a  titolo
provvisorio. 
    Parte ricorrente contesta la cartella deducendo  diversi  profili
di illegittimita', richiedendo altresi'  di  sollevare  innanzi  alla
Corte costituzionale la questione di legittimita'  dell'art.  17  del
decreto  legislativo  n.  112/1999,   riguardante   i   compensi   di
riscossione, per violazione degli articoli 3,  24,  42  e  111  della
Costituzione, e di porre innanzi alla Corte di Giustizia la questione
della  compatibilita'  del  medesimo   articolo   con   l'ordinamento
comunitario per violazione del principio della proporzionalita'. 
    La Direzione Provinciale I di Roma dell'Agenzia delle  Entrate  e
la societa' Equitalia Gerit S.p.A. si sono costituite in giudizio con
note depositate, rispettivamente, in data 28 ottobre 2010 ed in  data
24 febbraio 2011. 
    Il ricorso e'  stato  discusso  nella  pubblica  udienza  del  28
gennaio 2014. Il Collegio riservava la  decisione  ex  art.  35,  del
decreto legislativo n. 546/92; detta  riserva  veniva  sciolta  nella
camera di consiglio del 25  marzo  2014  dove  veniva  dichiarata  la
sospensione del processo e la rimessione degli atti  alla  segreteria
della Corte costituzionale. 
    Ancor  prima   di   prendere   in   considerazione   la   dedotta
incostituzionalita' e l'eccepita incompatibilita'  con  l'ordinamento
comunitario  dell'art.  17,  del  decreto  legislativo  n.  112/1999,
relativo ai compensi addebitati in cartella dal concessionario per la
riscossione, deve il Collegio pregiudizialmente evidenziare che per i
primi due motivi, nella delibazione  consentita  senza  anticipazione
delle soluzioni, non puo' escludersi  che  si  verta  in  ipotesi  di
infondatezza (quanto  meno  parziale);  per  modo  che  la  sollevata
questione di legittimita' costituzionale  si  appalesa  evidentemente
rilevante ai fini della decisione sul terzo motivo. 
    In  particolare,  osserva  il  Collegio  che  parte   ricorrente,
invocando in parte qua la nullita' della impugnata cartella, contesta
i compensi di riscossione che la  societa'  Equitalia  ha  addebitato
nella misura  prevista  dall'art.  17,  del  decreto  legislativo  n.
112/1999 come modificato dall'art. 32, comma 1, del d.l. n. 185/2008. 
    Specificamente   ha   sul   punto   denunciato   l'illegittimita'
costituzionale di tale articolo per lesione degli articoli 3, 24,  42
e  111  della  Costituzione  nonche'  per  violazione  del  principio
generale  dell'ordinamento  comunitario,   direttamente   applicabile
nell'ordinamento interno, della proporzionalita', concludendo per  la
rimessione degli atti agli organi competenti. 
    Posto che  la  questione  di  compatibilita'  comunitaria  ha  la
precedenza  logica   e   giuridica   rispetto   alla   questione   di
costituzionalita' (cfr. sentenza n. 170 del 1984, Granital) che pure,
come detto, e' stata sollevata davanti  a  questo  giudice,  deve  il
Collegio innanzitutto pronunciarsi sulla prima questione, e  pertanto
respinge la domanda di parte ricorrente di rimessione alla  Corte  di
Giustizia. 
    Cio' per la assorbente considerazione che le motivazioni  addotte
a sostegno della tesi  secondo  cui  l'art.  17  del  citato  decreto
legislativo n. 112/1999 violerebbe  il  principio  comunitario  della
proporzionalita'  sono  del   tutto   generiche   e   sostanzialmente
tautologiche, e dunque prive di forza tale da  consentire  l'innesco,
ex art. 234 del Trattato CE, del richiesto rinvio pregiudiziale. 
    Quanto  alla  eccepita   incostituzionalita'   della   norma   in
discussione, non puo' tralasciarsi di dire che sui  compensi  per  le
attivita' di riscossione dovuti al concessionario ai sensi  dell'art.
17 del decreto legislativo n. 112/1999 sono stati sollevati, anche da
questa  Commissione   Tributaria   Provinciale,   alcuni   dubbi   di
costituzionalita'  e  che  le  ordinanze  di  rimessione  alla  Corte
costituzionale non hanno ancora avuto esito. E, tuttavia, il Collegio
sul  punto  ritiene  che  anche  nel  caso  di  specie  ricorrano   i
presupposti per la  sospensione  del  processo  e  che  dunque  debba
richiedersi alla Ecc.ma Corte l'esame di  legittimita'  della  norma,
richiamando invero, in quanto condiviso, anche cio' che e'  sostenuto
dai giudici precedenti rimettenti. 
    Ad avviso  della  societa'  ricorrente,  l'art.  17  del  decreto
legislativo n.  112/1999  laddove  pone  a  carico  del  contribuente
l'onere di corrispondere l'intero aggio della riscossione determinato
in misura proporzionale all'importo iscritto a  ruolo,  senza  tenere
conto del costo effettivamente sostenuto dal  concessionario  per  la
riscossione, determinerebbe: a)  una  violazione  dell'art.  3  della
Costituzione, perche' lo strumento  apprestato  dall'ordinamento  per
evitare  che  il   costo   della   riscossione   si   riversi   sulla
collettivita', appare del  tutto  irragionevole;  b)  una  violazione
degli  articoli  24  e  111   della   Costituzione   derivandone   un
aggravamento  della  situazione  debitoria   del   contribuente   con
inopinata difficolta' per l'attivazione della tutela giurisdizionale;
c) una violazione dell'art. 42 della  Costituzione  perche'  comporta
una ingiustificata lesione del patrimonio del contribuente, costretto
a sostenere l'onere economico derivante dalla concessione ad un terzo
soggetto del servizio della riscossione. 
    Per parte ricorrente, dunque, la cartella di  pagamento  dovrebbe
essere annullata in relazione ai compensi di riscossione: 
      a) per l'evidente sproporzione rispetto alla modesta  attivita'
effettuata dal concessionario. Se lo scopo dello strumento  in  esame
e' quello di assicurare che il costo sostenuto dal concessionario per
la riscossione del credito erariale  sia  sopportato  unicamente  dal
soggetto che lo ha provocato, evidente che il  medesimo  effetto  ben
potrebbe essere  raggiunto  adottando  misure  meno  gravose  per  il
contribuente; ad esempio, prevedendo un meccanismo  che  tenga  conto
del tipo di attivita' posta in essere dal concessionario, in modo  da
riversare sul contribuente soltanto il costo effettivamente sostenuto
per la riscossione del credito, senza  gravarlo  di  oneri  economici
aggiuntivi; 
      b) per l'onerosita' dell'accesso alla  tutela  giurisdizionale.
In caso di  esito  sfavorevole  del  giudizio  (e'  cio'  perche'  il
contribuente  e'  costretto  a  corrispondere   l'intero   aggio   di
riscossione anche qualora paghi gli importi richiesti con la cartella
di pagamento impugnata immediatamente dopo la sentenza, senza che  il
concessionario abbia posto in essere alcuna  ulteriore  attivita'  di
riscossione); 
      c) per gli effetti di riportare  in  capo  al  contribuente  un
onere proprio dell'erario, (l'aggio, rappresentando la  remunerazione
per l'attivita' svolta dal concessionario, attiene  al  rapporto  tra
l'ente impositore ed il concessionario del servizio e non puo' dunque
essere addossato ad un soggetto estraneo a tale rapporto). 
    Il Concessionario  per  converso,  in  sede  di  costituzione  in
giudizio non ha formulato alcuna controdeduzione sul punto. 
    Posto che la Commissione ritiene di sospendere la  decisione  sul
ricorso e rimettere gli atti alla Corte costituzionale  affinche'  si
pronunci sulle questioni che saranno appresso specificate, valgano  a
sostegno  le  seguenti  riflessioni,   desumibili   dal   progressivo
dibattito sulla materia. 
    Equitalia, societa' a totale  capitale  pubblico,  e'  incaricata
dell'esercizio dell'attivita' di riscossione dei tributi,  contributi
e sanzioni, con previsioni di corrispettivo costituito, secondo legge
dall'aggio e dagli altri meccanismi compensativi vigenti. 
    Tutto cio' che il cittadino paga a  Equitalia  viene  interamente
restituito agli enti creditori, ad eccezione dell'aggio e delle spese
di riscossione stabilite dal legislatore. 
    La percezione dell'aggio nella  misura  del  9%  viene  criticata
aspramente dagli operatori, in quanto nel sistema dei nuovi avvisi di
accertamento esecutivi  emessi  dall'Agenzia  delle  Entrate  dal  1°
ottobre 2011, il contribuente deve versare le somme entro il  termine
per il ricorso  e,  in  tal  caso  non  sono  previsti  gli  aggi  da
corrispondere (per contro attraverso le cartelle di pagamento, se  il
contribuente non adempie al pagamento delle  somme  dovute  entro  il
termine di presentazione del  ricorso,  l'aggio  deve  essere  pagato
interamente  nella  misura  del  9%   esclusivamente   in   capo   al
contribuente anche se fino a quel momento l'agente della  riscossione
non ha svolto nessuna funzione al servizio in quanto il  ruolo  e  la
cartella  di  pagamento   sono   state   assorbite   dall'avviso   di
accertamento esecutivo (tutto cio', anche se, attraverso il  d.l.  n.
201/2011, il legislatore e' intervenuto rivisitando  radicalmente  il
sistema della remunerazione dei costi necessari  per  la  riscossione
dei tributi, sostituendo integralmente il primo  comma  dell'art.  17
del  decreto  legislativo  13  aprile  1999   n.   112,   rinunciando
all'utilizzo del termine "aggio" e  preferendo  il  piu'  appropriato
termine "rimborso"). 
 
                               Diritto 
 
    La Commissione, conclusivamente prende atto  della  richiesta  di
remissione sollevata dalla ricorrente secondo cui l'art. 17, comma 1,
del decreto legislativo n. 112/1999, cosi' come modificato  dall'art.
32, comma 1,  del  decreto-legge  n.  185/2008  presenta  profili  di
incostituzionalita' essendo in contrasto con la Carta  Costituzionale
relativamente agli articoli 3, 24, 42 e 111  della  Costituzione;  ed
osserva:  l'eccezione  sollevata  dal  ricorrente  del  controllo  di
costituzionalita'  dell'art.  17,  decreto  legislativo  n.  112/1999
appare rilevante e pertinente ai fini della  decisione  da  parte  di
questa Commissione e non manifestamente infondata per  cui  non  puo'
essere respinta l'istanza di  remissione  alla  Corte  Costituzionale
della sollevata questione di legittimita' costituzionale per l'aperto
e radicale contrasto denunziato, in particolare, con il principio  di
eguaglianza di cui all'articolo 3  della  Costituzione,  nonche',  ad
avviso di questo giudice, con il principio di  buon  andamento  della
pubblica amministrazione  di  cui  all'art.  97  della  Costituzione.
Inoltre il contrasto del citato art. 17, 1° comma, con  il  principio
di eguaglianza ex art. 3 Cost. resta individuato dalla disparita'  di
trattamento riservato al cittadino che sia in grado di effettuare  il
pagamento e di  quello  del  quale  puo'  usufruire  il  contribuente
sprovvisto di mezzi sufficienti a riguardo, onerato di ingiustificati
e di irragionevoli e maggiori carichi finanziari. 
    L'opzione normativa cosi' contrasta con quanto previsto nell'art.
3 della Costituzione il quale afferma che "tutti  i  cittadini  hanno
pari dignita'  sociale  e  sono  eguali  davanti  alla  legge,  senza
distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di  opinioni
politiche, di  condizioni  personali  e  sociali.  E'  compito  della
Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e  sociale  che
limitando  di  fatto  la  liberta'  e  l'eguaglianza  dei  cittadini,
impediscono il pieno  sviluppo  della  persona  umana  e  l'effettiva
partecipazione di tutti  i  lavoratori  all'organizzazione  politica,
economica e sociale del Paese". 
    In punto  di  non  manifesta  infondatezza  della  questione,  il
Collegio rileva che codesta Ecc.ma Corte con la sentenza n.  480  del
30 dicembre 1993 ha gia' stabilito  che  la  misura  dell'aggio  deve
ritenersi ragionevole (e quindi costituzionalmente legittima) se essa
e' contenuta in un importo minimo e massimo che non superi  di  molto
la soglia di copertura del costo della procedura (nello stesso  senso
Consiglio di Stato 29 gennaio 2008 n. 272). 
    La Commissione ritiene  che  la  norma  debba  essere  nuovamente
valutata sotto un altro profilo. 
    Appare assolutamente ingiustificata la  fissazione  della  misura
dei  compensi  di  riscossione  a  carico  del   contribuente   nella
percentuale fissa del nove per cento delle somme riscosse nel caso in
cui il pagamento sia effettuato oltre sessanta giorni dalla  notifica
della cartella di pagamento, anziche'  in  misura  corrispondente  ai
costi del servizio di riscossione. 
    I dubbi in ordine alla  ragionevolezza  della  misura  dell'aggio
sono alimentati, oltre che dalla  considerazione  che  la  legge  non
fissa un importo  massimo  prestabilito  dello  stesso,  anche  dalla
constatazione che l'agente,  nell'ambito  della  nuova  procedura  di
riscossione delle somme risultanti dagli atti di cui  alla  lett.  a)
dell'art. 29, comma 1, del d.l.  n.  78  del  2010,  non  avra'  piu'
neppure l'onere di notificare la cartella di pagamento senza aggravio
di  relativi  costi.  Se  a  cio'  si   aggiunge,   che   a   seguito
dell'abrogazione a decorrere dal 26 febbraio  1999  dell'obbligo  del
non riscosso come riscosso (art. 2, comma 1, decreto  legislativo  22
febbraio 1999, n. 37), l'agente della riscossione  non  subisce  piu'
alcun danno patrimoniale da riparare per  effetto  dell'inadempimento
del contribuente e che il servizio di  riscossione  coattiva  non  e'
piu' gestito  da  concessionari  privati,  ma  da  un  ente  pubblico
economico, emergono con chiarezza i profili  di  dubbia  legittimita'
costituzionale dell'attuale disciplina sul punto. 
    Le  considerazioni  contenute  nella  giurisprudenza  di  codesta
Corte, sul costo del servizio  pubblico  di  riscossione  tanto  piu'
inducono questa Commissione a sollevare la questione di  legittimita'
costituzionale dell'art. 17,  del  decreto  legislativo  n.  112/1999
richiamato dal concessionario nelle sue controdeduzioni. 
    Nella sentenza n. 59/1987 codesta Ecc.ma  Corte  ritenne  che  la
scelta del legislatore "seppure discrezionale, non puo' sottrarsi  al
sindacato sotto il profilo del buona andamento secondo i canoni della
non arbitrarieta' e della ragionevolezza della disciplina rispetto al
fine indicato  nell'art.  97,  primo  comma  della  Costituzione,  di
tal'che in "sede di un  giudizio  sulla  legittimita'  costituzionale
delle  leggi,  la  violazione  del  principio   di   buon   andamento
dell'amministrazione  puo'  essere  invocata  allorche'   si   assuma
l'arbitrarieta' o  la  manifesta  irragionevolezza  della  disciplina
impugnata rispetto  al  fine  indicato  nell'art.  97,  primo  comma,
Costituzione (C. Cost. n. 10/1980):  per  modo  che  sempre  emergono
profili di irragionevole applicazione dell'aggio di riscossione anche
sugli interessi di mora, sol che  si  consideri  che  l'agente  della
riscossione, in relazione agli importi non pagati tempestivamente dal
contribuente, non ha anticipato alcuna somma all'erario.  In  sintesi
si ripete che: 
      la  Commissione  rileva  che  la   prospettata   questione   di
legittimita' costituzionale  dell'art.  17,  1°  comma,  del  decreto
legislativo n. 112/1999 e' rilevante e non  manifestamente  infondata
atteso che nel caso in esame il pagamento dell'aggio e' stabilito  in
misura fissa anziche' in misura corrispondente ai costi effettivi del
servizio di riscossione; 
      l'irrazionalita' normativa deriva dalla circostanza  che  detta
misura non assicura che la gestione del servizio sia  volta  soltanto
alla copertura dei costi; 
      il dubbio di incostituzionalita' si consolida poi laddove viene
configurato l'obbligo del  pagamento  pur  in  assenza  di  specifici
criteri di determinazione del costo di tale servizio; 
      l'obbligo dell'aggio  puo'  ritenersi  ragionevole  e  coerente
allorche' la misura corrisponda al costo  della  prestazione,  mentre
deve   ritenersi   ingiusto,   penalizzante   e    costituzionalmente
illegittimo per l'assenza di un tetto minimo e  massimo  alla  misura
dei compensi; 
      tale   sistema   fa   risaltare   l'incostituzionalita'   della
previsione di una qualche forma di riequilibrio per effetto del  d.l.
n. 201/2011; 
      la  disciplina  previgente  appare  quanto  mai   irragionevole
poiche' il compenso di riscossione costituisce  il  corrispettivo  di
una specifica  prestazione  di  servizi:  deve  ritenersi  del  tutto
arbitraria la determinazione della misura di tale compenso  a  carico
del contribuente nella percentuale fissa del  nove  per  cento  delle
somme iscritte a  ruolo,  non  essendo  quest'ultima  in  alcun  modo
ancorata ai costi di gestione sostenuti dall'agente della riscossione
(e cio' contrasta ad avviso di questo giudice tributario  con  l'art.
97 per la manifesta irrazionalita'). 
    La questione  di  legittimita'  costituzionale  involge,  dunque,
l'art. 17, 1 comma, del decreto legislativo n. 112/199 per  contrasto
con l'art. 3 per la  violazione  del  principio  di  eguaglianza  del
cittadino di fronte alla legge laddove il compenso viene correlato al
valore della lite e con l'art.  97  relativo  al  principio  di  buon
andamento della P.A., difettando di quei  criteri  di  trasparenza  e
correlazione con l'attivita' richiesta e congruita' con i costi  medi
di gestione del servizio (che rappresentano i corollari necessari del
principio di  buon  andamento  sancito  dall'art.  97,  primo  comma,
Costituzione), per manifesta illogicita'. 
    Mentre l'impossibilita' di accedere a  correttivi  interpretativi
"costituzionalmente orientati" tanto piu' rende necessario  l'approdo
della questione all'esame di costituzionalita'  riservata  a  codesta
ecc.ma Corte. Se infatti tra i poteri del giudice  tributario  vi  e'
quello, riconosciuto dall'art. 7, comma 5, del decreto legislativo n.
546/92 di disapplicare un regolamento o un atto generale rilevante ai
fini della decisione, cionondimeno, detto potere non puo'  estendersi
a  norme  di  rango  ordinario  per  cui  il  doveroso  tentativo  di
individuare  una  interpretazione  della   norma   costituzionalmente
corretta non offre altra soluzione se non quella di un intervento del
giudice  delle  leggi  per  l'impossibilita'   di   individuare   una
interpretazione   adeguatrice   che   possa   correggere   (in   sede
interpretativa ed applicativa) l'art. 17 del decreto  legislativo  n.
112/1999. 
    Cosi'  condividendo  i  dubbi  della  parte  ricorrente,   questo
Collegio  ritiene  pertanto  che   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 17, comma  1,  del  decreto  legislativo  13
aprile 1999, n. 112, come modificato dall'art. 32, comma 1, lett. a),
del decreto-legge 29 novembre 2008 n. 185, convertito dalla legge  28
gennaio 2009 n. 2, in vigore dal 29 novembre 2008, per contrasto  con
gli artt. 3 e 97  della  Costituzione,  sia  rilevante  nel  presente
giudizio (in quanto esso non puo' essere definito in assenza  di  una
risoluzione della questione di  legittimita'  costituzionale)  e  che
tale questione non  sia  manifestamente  infondata  alla  luce  delle
considerazioni suesposte. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visti gli artt. 134 Cost.,  1  legge  costituzionale  9  febbraio
1948, n. 1 e 23 legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 87: 
      Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la  questione
di legittimita' costituzionale, dell'art. 17 del decreto  legislativo
n. 112/1999 testo unico delle  disposizioni  concernenti  il  sistema
della remunerazione per la riscossione dei tributi per contrasto  con
gli artt. 3 e 97 della Costituzione; 
      Sospende il giudizio in corso sino  all'esito  della  decisione
sulla questione; 
      Dispone  l'immediata  trasmissione  degli   atti   alla   Corte
costituzionale,  alla  quale   rimette   l'anzidetta   questione   di
legittimita' costituzionale ritenuta la sua  rilevanza  ai  fini  del
decidere; 
      Manda alla segreteria per gli adempimenti di legge affinche' la
presente ordinanza sia notificata alle  parti  in  causa  nonche'  al
Presidente del Consiglio dei  Ministri  e  comunicata  ai  Presidenti
delle due Camere del Parlamento. 
    Cosi deciso nelle camere di consiglio del 28 gennaio 2014  e  del
25 marzo 2014. 
 
                      Il Presidente: Di Popolo 
 
 
                                  Il Giudice relatore estensore: Sava