N. 79 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 dicembre 2015

Ordinanza  del  2  dicembre  2015  del  Giudice  dell'esecuzione  del
Tribunale di  Viterbo  nel  procedimento  civile  promosso  da  Banca
Mediolanum Spa contro Moretti Claudio e Onoranze funebri Campanari. 
 
Militari - Codice dell'ordinamento  militare  -  Perdita  del  grado,
  senza giudizio disciplinare, del militare condannato  con  sentenza
  definitiva non  condizionalmente  sospesa,  per  reato  militare  o
  delitto non colposo che comporti la pena accessoria della rimozione
  o della interdizione temporanea dai pubblici uffici. 
- Decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66  (Codice  dell'ordinamento
  militare), artt. 866, comma 1, 867, comma 3, e 923, comma 1. 
(GU n.16 del 20-4-2016 )
 
                        TRIBUNALE DI VITERBO 
                     Il Giudice dell'Esecuzione 
 
    Ordinanza  di  rimessione  alla  Corte  costituzionale  ai  sensi
dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, nel procedimento  R.E.
n. 1406/2014 tra Banca Mediolanum  S.p.A.  rappresentata  dagli  avv.
Fabio Marelli  e  Sergio  Fulco,  e  Pietro  Signorelli  (creditrice)
contro Moretti Claudio (debitore) e nei confronti di Onoranze Funebri
Campanari s.r.l. (terzo pignorato). 
    Letti gli atti della procedura esecutiva di cui alla  epigrafe  -
sciogliendo la riserva presa alla udienza del 15 luglio 2015; 
    Rilevato  che  il  credito  della  Banca  Mediolanum  S.p.A.  nei
confronti  di  Moretti  Claudio,  in  virtu'  di  decreto  ingiuntivo
24167/13 del Giudice di Pace di Milano  rg  29486/13  del  24  aprile
2013, ammonta in base al precetto notificato in data 12 marzo 2015 ad
€ 6.053,48; 
    Rilevato che il terzo ha  reso  dichiarazione  positiva  del  suo
obbligo di corrispondere al debitore mensilmente lo  stipendio  di  €
600,00 mensili nette comprensive di assegni familiari per € 136,54. 
    Alla  udienza  del  15  luglio   2015   il   creditore   chiedeva
l'assegnazione nel limite di legge  di  1/5  dello  stipendio  netto,
mentre il  debitore  con  nota  scritta,  chiedeva  al  tribunale  di
applicare  il  regime   di   impignorabilita'   del   minimo   vitale
(espressamente previsto solo per le pensioni); 
    Rilevato che deve applicarsi il regime  di  pignorabilita'  degli
stipendi ed altri emolumenti riguardanti il rapporto di lavoro; 
    Ritenuto che si debba tenere conto dell'ulteriore limite  imposto
dall'art. 2 comma 2 e  dall'art.  68  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 5 gennaio 1950 n. 180 per cui, in  caso  di  concorso  tra
cessioni volontarie  e  successivi  pignoramenti,  la  pignorabilita'
della quota residua e'  soggetta  al  solo  limite  della  meta'  ivi
stabilito, che non sempre e' idoneo a garantire un minimo vitale; 
    Ritenuto che si debba  tenere  conto  altresi'  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 30 maggio 1955 n. 797  art.  22  «Art.  6
R.D.L. 17 giugno 1937, n. 1048. Gli  assegni  familiari  non  possono
essere sequestrati, pignorati o ceduti se non per causa di alimenti a
favore di coloro per  i  quali  gli  assegni  sono  corrisposti»  che
prevede la impignorabilita'  degli  assegni  familiari,  pertanto  la
parte pignorabile dello stipendio e' di € 600 - 136,54 = 463,46. 
    Rilevato che in base all'art. 545 cpc «Tali somme possono  essere
pignorate nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo  Stato,
alle province ed ai comuni,  ed  in  eguale  misura  per  ogni  altro
credito» 
    Ritenuto che, da tali disposizioni, nel caso di specie, si ricava
che lo stipendio e' pignorabile fino ad 1/5, e che  un  quinto  della
parte pignorabile  dello  stipendio  ammonta  ad  €  92,69,  per  cui
resterebbero al debitore € 370,66 (€ 463,36 - 92,69 per  pignoramento
= 370,66 ) per la sua sopravvivenza (non  risultando  agli  atti  che
abbia altre fonti di sostentamento), oltre che per quella  della  sua
famiglia,  atteso  che  non  e'  pensabile  che  la  famiglia   possa
sostentarsi con € 136,54 di assegni familiari. 
    Rilevato  che  nel  decreto-legge  n.   16/2012   (cd.   «decreto
Semplificazioni») convertito in legge n. 44/2012 l'art. 3,  comma  5,
che ha aggiunto, nel  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
602/1973,  in  materia  di   pignoramento   presso   terzi   disposto
dall'agente della riscossione per i tributi  dovuti  allo  Stato  (in
tema di pignoramenti Equitalia)  l'art.  72-ter,  recante  il  titolo
«Limiti di pignorabilita'», secondo il  quale:  «Le  somme  dovute  a
titolo di stipendio, di salario o di  altre  indennita'  relative  al
rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute  a  causa  di
licenziamento,   possono   essere   pignorate    dall'agente    della
riscossione: a) in misura pari ad 1/10 per importi  fino  a  2.500,00
euro; b) in misura pari ad 1/7 per importi  da  2.500,00  a  5.000,00
euro». «Resta ferma la misura di cui all'art. 545,  comma  4,  codice
procedura civile, se le  somme  dovute  a  titolo  di  stipendio,  di
salario o di altre indennita' relative al rapporto  di  lavoro  o  di
impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, superano  i
cinquemila euro». 
    Rilevato che, la somma  di  370,66  che  resterebbe  al  debitore
dedotto  un  quinto  del  suo  stipendio  (al  netto  degli   assegni
familiari), appare al di sotto del minimo indispensabile ad un essere
umano che lavora per sostentarsi, tenuto conto anche  del  fatto  che
deve provvedere al mantenimento della famiglia (per la quale, come si
e' argomentato, non bastano certo gli assegni familiari). 
    Tenuto conto che il lavoratore, per produrre  quel  reddito  deve
comunque sostenere delle spese (per mangiare, vestirsi,  recarsi  sul
luogo di lavoro etc.), per cui e' impensabile che  senza  un  reddito
minimo il lavoratore possa comunque prestare la sua opera; 
    Rilevato che, nella ipotesi di pignoramento  della  pensione,  la
Corte costituzionale con la nota sentenza 4 dicembre 2002, n. 506  in
merito  alla  questione  di  legittimita'  costituzionale   sollevata
relativamente all'art. 128 del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n.
1827, art. 69  della  legge  30  aprile  1969,  n.  153,  afferma  la
pignorabilita' per ogni credito, nei  modi  e  nei  limiti  stabiliti
dall'art. 545 c.p.c., solo di quella parte della pensione che non sia
necessaria a garantire al  pensionato  i  «mezzi  adeguati  alle  sue
esigenze di vita», 
    Rilevato che,  in  relazione  alle  pensioni,  la  soglia  minima
impignorabile e' stata di recente determinata  dal  legislatore,  con
decreto-legge 83/2015 in vigore dal 27 giugno 2015 art.  13  comma  1
lettera 1) convertito con  legge  29  luglio  2014,  n.  106  che  ha
indicato  la  parte  assolutamente   impignorabile   della   pensione
nell'ammontare della «misura  massima  mensile  dell'assegno  sociale
aumentato della meta'», disponendo che solo la parte  eccedente  tale
ammontare sia soggetta a pignoramento nei limiti previsti dal  terzo,
quarto e quinto comma dell'art. 545 codice procedura civile; 
    Ritenuto  che  il  trattamento  previsto  per  l'assegno  sociale
attualmente risulta (s.e.) di € 448,52 euro per  13  mensilita',  per
cui  il  limite  di  impignorabilita'  e'   stato   individuato   dal
legislatore in 672,78 mensili ritenuto dallo stesso  legislatore,  un
importo minimo vitale. 
    Che la  nuova  normativa,  per  espressa  disposizione  di  legge
risulta applicabile alle procedure esecutive iniziate dopo  l'entrata
in vigore della stessa (art. 23  comma  6  decreto-legge  83/2015)  e
quindi dopo il 27 giugno 2015; 
    Che, prima della entrata in vigore della nuova  legge,  l'entita'
del  minimo  impignorabile  non  era  ancora   stata   definita   dal
legislatore ma era stata individuata dalla giurisprudenza  che  aveva
ritenuto trattarsi di questione di merito  rimessa  alla  valutazione
del Giudice della esecuzione (cfr. Cassazione n.  6548/11  confermata
da Cassazione III civ. 18755/2013). 
    Rilevato che tale  limite,  costituente  garanzia  di  un  minimo
assolutamente impignorabile e' stato determinato dalla giurisprudenza
con riferimento prevalente ai parametri della pensione sociale o  del
trattamento minimo di cui alla legge n. 488 del 2001, art. 38,  commi
1 e 5 e della legge n. 289 del 2002, art. 39, comma 8. 
    Rilevato che l'importo del minimo vitale definito dal legislatore
per i trattamenti pensionistici e' superiore allo stipendio percepito
dal debitore, per la sua prestazione  lavorativa  che,  comunque,  lo
impegna quotidianamente e che, tale stipendio, appare ai limiti della
mera sussistenza; 
    Rilevato che il pensionato, essendo ritirato dal lavoro non  deve
farsi carico delle spese necessarie a produrre  il  proprio  reddito,
mentre il lavoratore si presuppone che debba  recarsi  sul  luogo  di
lavoro, vestirsi in modo adeguato alla  funzione  svolta,  utilizzare
energie anche fisiche che richiedono una alimentazione piu' ricca  di
chi e' a riposo, e quindi sostenere delle spese  indispensabili  alla
produzione di un reddito, oltre  a  quelle  necessarie  per  la  mera
sopravvivenza  (nutrirsi,  coprirsi,  riscaldarsi,   assicurarsi   un
alloggio etc), 
    Ritenuto che anche per il lavoratore debba essere individuato  un
minimo vitale indispensabile e non pignorabile, che non possa  essere
distolto dalla funzione primaria del salario, che e'  quella  appunto
di consentire la sopravvivenza e l'utilizzo delle  proprie  capacita'
lavorative a chi abbia come sola risorsa il proprio lavoro; 
    Ritenuto che, se la retribuzione venisse ridotta al di  sotto  di
quel  minimo  vitale  indispensabile  alla  sopravvivenza,  oltre   a
determinarsi effetti negativi per tutto il tessuto sociale (ad es. il
lavoratore sarebbe spinto ad orientarsi verso il mercato  del  lavoro
irregolare, non potrebbe far fronte ai propri obblighi nei  confronti
della famiglia, sarebbe spinto  a  comportamenti  illegali  etc),  ne
risulterebbe violato il precetto costituzionale di  cui  all'art.  36
Cost. che prevede che la retribuzione  debba  essere  «in  ogni  caso
sufficiente ad assicurare a se' ed alla famiglia una esistenza libera
e dignitosa», oltre ai precetti di cui agli articoli 1, 2, 3, 4 Cost. 
    Rilevato che nella sentenza 4 dicembre 2002, n. 506 la  Corte  ha
ritenuto di confermare il precedente orientamento  espresso,  secondo
cui   aveva   sempre   respinto   la   questione   di    legittimita'
costituzionale, in relazione all'art. 36 Cost., dell'art. 545, quarto
comma,  cod.  proc.  civ.,   nella   parte   in   cui   non   prevede
l'impignorabilita'  della  quota  di   retribuzione   necessaria   al
mantenimento del debitore e della famiglia (sentenza n. 20 del  1968;
sentenza n. 38 del 1970; sentenza n. 102 del 1974;  sentenza  n.  209
del 1975; ordinanza n. 12  del  1977;  ordinanza  n.  260  del  1987;
ordinanza n. 491 del 1987; sentenza n. 434 del 1997), 
    Che in tale sentenza si e' ritenuto che l'art. 36 Cost. -  indica
parametri ai quali deve conformarsi l'entita' della retribuzione,  ma
nei rapporti lavoratore-datore di lavoro, senza  che  ne  scaturisca,
quindi, vincolo alcuno per terzi  estranei  a  tale  rapporto,  oltre
quello - frutto  di  razionale  «contemperamento  dell'interesse  del
creditore con quello  del  debitore  che  percepisca  uno  stipendio»
(sentenze n. 20 del 1968 e 38 del 1970) - del limite del quinto della
retribuzione quale possibile oggetto di pignoramento. 
    Che tale pronuncia nel riportarsi alle precedenti, si pone in  un
contesto economico e sociale nonche' normativo ben diverso da  quello
attuale, sia per quanto riguarda le  modifiche  normative  introdotte
sul regime delle pensioni e  dei  contratti  di  lavoro,  sia  per  i
mutamenti della giurisprudenza che sempre piu' e' andata nel senso di
riconoscere identita' di funzioni allo stipendio  ed  alla  pensione,
sia per i dati fattuali relativi alle potenzialita' di lavorare e  di
produrre reddito a cui una persona puo' aspirare, dato che la  nostra
societa' sta attraversando  una  crisi  economica  senza  precedenti,
ritenuta da molti esperti anche peggiore della grande crisi del 1929,
situazione  che  determina   un   generalizzato   impoverimento   dei
lavoratori  dovuto  alla  esiguita'  degli   stipendi,   ai   mancati
adeguamenti alla inflazione, alla perdita di potere di  acquisto  dei
salari e degli stipendi in generale, etc.. 
    Che tali mutati fattori economici fanno si' che, anche  nel  caso
di specie, in mancanza di prova  contraria,  si  debba  ritenere  che
l'unico reddito su cui  il  debitore  possa  far  conto  per  la  sua
sopravvivenza sia quello modestissimo sottoposto a pignoramento; 
    Che, nel  tempo,  la  sostanziale  identita'  di  funzione  della
pensione e della retribuzione o salario e' stata riconosciuta  sempre
piu' spesso dalla giurisprudenza,  anche  in  applicazione  di  norme
internazionali ed europee, per cui appare necessario un  ripensamento
del  complesso  contesto  normativo  nell'ambito  del  quale  si   e'
affermata la suddetta giurisprudenza, anche  alla  luce  della  nuova
normativa in tema di pignoramenti per crediti tributari  dello  Stato
(decreto-legge n. 16/2012 cd. «decreto Semplificazioni» convertito in
legge n. 44/2012 l'art. 3, comma 5, che ha aggiunto, nel decreto  del
Presidente della Repubblica n. 602/1973  l'art.  72-ter,  recante  il
titolo «Limiti di pignorabilita'»; 
    Che nel contesto economico-sociale  attuale,  con  i  livelli  di
disoccupazione ormai raggiunti in Italia, con la crisi economica  che
si e' determinata negli ultimi anni,  le  retribuzioni  ed  i  salari
minimi (per lavori spesso precari) come quello percepito dal debitore
sono gia' ai limiti della sussistenza; 
    Che non appare  piu'  frutto  di  un  razionale  «contemperamento
dell'interesse del creditore con quello del debitore  che  percepisca
uno stipendio» consentire il pignoramento della retribuzione, seppure
nel  limite  di  un  quinto,  destinata   in   modo   essenziale   ed
imprescindibile a garantire la sopravvivenza fisica del lavoratore  e
la  sua  possibilita'  di  svolgere  le  sue  prestazioni  lavorative
sopportando i costi necessari a produrre la sua forza lavoro. 
    Che,  in  caso  di  applicazione  alla  fattispecie  oggetto  del
presente giudizio del limite indicato dall'art.  72-ter  decreto  del
Presidente della Repubblica 602/1973, introdotto con decreto-legge n.
16/2012  (cd.  «decreto  Semplificazioni»)  convertito  in  legge  n.
44/2012 l'art. 3, comma 5,  essendo  la  somma  dovuta  a  titolo  di
stipendio  inferiore  ad  €  2.500,00  mensili,  la  stessa   sarebbe
pignorabile nel limite di un decimo e non di un quinto; 
    Che lo stesso legislatore che e' intervenuto  nella  materia  dei
pignoramenti per crediti tributari ha avuto presente ed ha tenuto  in
considerazione l'attuale congiuntura economica ed il diverso contesto
normativo. 
 
                               Osserva 
 
    Che  sussistono  seri  dubbi  sulla  legittimita'  costituzionale
dell'art. 545 IV comma cpc, nella parte in cui con  riferimento  alle
«somme dovute dai privati a titolo di stipendio, di salario  o  altre
indennita' relative al rapporto  di  lavoro  o  di  impiego  comprese
quelle dovute a  causa  di  licenziamento»  indicate  nel  II  comma,
prevede che: «Tali somme possono essere pignorate nella misura di  un
quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province ed  ai  comuni,
ed in eguale misura per ogni altro credito» e non prevede  invece  un
minimo impignorabile necessario  a  garantire  al  lavoratore  «mezzi
adeguati alle sue esigenze di vita», ed  una  retribuzione  «in  ogni
caso sufficiente ad assicurare a se' ed alla famiglia  una  esistenza
libera e dignitosa» con particolare riferimento alle esigenze  di  un
reddito minimo che gli consenta di  sostenere  le  sue  spese  minime
necessarie al suo stesso sostentamento in vita ed  in  condizioni  di
vita adeguate a consentirgli la stessa produzione del reddito. 
    E, in subordine che  sussistono  seri  dubbi  sulla  legittimita'
costituzionale dell'art. 545 IV comma cpc, nella  parte  in  cui  con
riferimento alle «somme dovute dai privati a titolo di stipendio,  di
salario o altre indennita'  relative  al  rapporto  di  lavoro  o  di
impiego comprese quelle dovute a causa di licenziamento» indicate nel
II comma, prevede che: «Tali somme  possono  essere  pignorate  nella
misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province ed
ai comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito» e non  prevede
invece, conformemente a quanto previsto dal decreto-legge n.  16/2012
cd. «decreto Semplificazioni» convertito in legge n.  44/2012  l'art.
3, comma 5,  che  ha  aggiunto,  nel  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 602/1973 l'art. 72-ter, recante il  titolo  «Limiti  di
pignorabilita'», che le soglie di pignorabilita' siano le medesime di
quelle indicate dalla legge  in  materia  di  tributi  e  che  quindi
debbano essere graduate a seconda dell'ammontare  della  retribuzione
come  indicato  dall'art.  72-ter  decreto   del   Presidente   della
Repubblica 602/73 come recentemente modificato: a) in misura pari  ad
1/10 per importi fino a 2.500,00 euro; b) in misura pari ad  1/7  per
importi da 2.500,00 a 5.000,00 euro». «Resta ferma la misura  di  cui
all'art. 545, comma 4, codice procedura civile, se le somme dovute  a
titolo di stipendio, di salario o di  altre  indennita'  relative  al
rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute  a  causa  di
licenziamento, superano i cinquemila euro». 
    Detta disposizione appare in contrasto con gli articoli 1, 2, 3 e
36, della Costituzione; 
    In relazione all'art. 1 della Carta  Costituzionale  che  afferma
che la Repubblica e' «fondata sul lavoro», all'art. 2 che riconosce e
garantisce i diritti inviolabili dell'uomo e  richiede  l'adempimento
dei  doveri  inderogabili  di  solidarieta'  politica,  economica   e
sociale, all'art. 3 che sancisce il principio di eguaglianza  formale
e sostanziale ed il  principio  di  ragionevolezza,  all'art.  4  che
riconosce le garantisce il diritto al lavoro  e  il  dovere  di  ogni
cittadino di svolgere  una  attivita'  o  funzione  che  concorra  al
progresso materiale e spirituale  della  societa',  all'art.  36  che
prevede che la retribuzione deve essere  non  solo  commisurata  alla
quantita' e qualita' del lavoro prestato, ma anche  che  deve  essere
"in ogni caso sufficiente ad assicurare a se' ed  alla  famiglia  una
esistenza libera a dignitosa». 
    Al cittadino lavoratore deve essere garantito che il  frutto  del
suo lavoro, cioe' il suo stipendio o salario,  sia  destinato  almeno
nei  limiti  del  minimo  indispensabile,  al  soddisfacimento  delle
esigenze primarie di sopravvivenza sue e della famiglia, diversamente
ne risulterebbe violata sia la dignita' del  lavoro  come  fondamento
stesso della Repubblica, sia il diritto al lavoro (in quanto lavorare
puo' diventare economicamente non conveniente), sia il diritto a  che
la retribuzione percepita sia «in ogni caso sufficiente ad assicurare
a se' ed alla famiglia una esistenza libera a dignitosa». 
    Il principio di uguaglianza e di ragionevolezza (art. 3)  risulta
violato  in  relazione  al  diverso  trattamento  che   riguarda   il
pensionato, il quale, non prestando piu' attivita' lavorativa  riceve
una tutela della propria pensione (che puo' essere vista  anche  come
una retribuzione differita) diversa e maggiore di quella  che  riceve
un lavoratore attivo, il quale ha ancora piu'  necessita'  di  vedere
tutelato un  limite  vitale  di  sopravvivenza  oltre  il  quale  suo
stipendio  non  puo'  essere  assoggettato   a   pignoramento.   Tale
differenza, avuto riguardo ai cambiamenti  intervenuti  nel  contesto
normativo, nella giurisprudenza, nel tessuto sociale, nella economia,
non appare piu' giustificata da alcun principio di ragionevolezza. 
    Il principio di uguaglianza risulta anche violato in relazione al
diverso trattamento che riceve il debitore a seconda del credito  per
cui si  procede.  Se  il  credito  e'  erariale,  paradossalmente  il
debitore risulta maggiormente tutelato, quando invece le  ragioni  di
interesse pubblico e di quadro normativo  di  riferimento  dovrebbero
giustificare,  al  contrario,  un  miglior  trattamento  dei  crediti
erariali rispetto a quelli comuni. 
    Questo remittente noia ignora le precedenti pronunce della  Corte
costituzionale ma ritiene che i profili sollevati in  motivazione  in
relazione  alla  prima  questione:  riguardante  la  impignorabilita'
assoluta di un minimo vitale dello stipendio, rivestano carattere  di
novita'; e' nuova  la  questione  relativa  al  diverso  e  deteriore
trattamento dei crediti erariali (regolati dall'art.  72-ter  decreto
del Presidente della Repubblica 602/1973) rispetto ai crediti comuni,
inoltre il quadro normativo e quello socio economico di  riferimento,
sono talmente cambiati da rivestire caratteri di novita' e differenza
rispetto alle questioni gia' sottoposte al vaglio della Corte. 
    La questione e' rilevante nel giudizio in  corso  ai  fini  della
decisione - adottabile anche  ex  officio  -  sulla  impignorabilita'
assoluta delle somme pignorate o sulla  quantificazione  dell'importo
che puo' essere assegnato alla creditrice (1/5 o 1/10). 
    Questo G.E. ha gia' rimesso a  Codesta  Corte  analoga  questione
relativa al procedimento n. 572/14. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visto l'art. 134 della  Costituzione,  nonche'  l'art.  23  della
legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Ordina la  sospensione  del  procedimento,  per  pregiudizialita'
costituzionale, con immediata trasmissione - a cura della Cancelleria
- del fascicolo d'ufficio e dei  fascicoli  delle  parti  alla  Corte
costituzionale; 
    Ordina la notificazione del presente  provvedimento  -  sempre  a
cura della Cancelleria - alla Presidenza del Consiglio  dei  ministri
ed alle parti in  causa,  nonche'  ai  Presidenti  della  Camera  dei
Deputati e del Senato della Repubblica. 
 
        Viterbo, 14 novembre 2015 
 
                     Il G.O.T.: Avv. Luisa Sisto