N. 83 SENTENZA 23 febbraio - 13 aprile 2016

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Ambiente - Misure  varie  per  l'accelerazione  degli  interventi  di
  mitigazione del rischio idrogeologico - Modalita' di individuazione
  degli interventi e destinazione delle risorse - Revoca  di  risorse
  assegnate e non utilizzate. 
- Decreto-legge  12  settembre  2014,  n.  133  (Misure  urgenti  per
  l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la
  digitalizzazione  del  Paese,   la   semplificazione   burocratica,
  l'emergenza del dissesto  idrogeologico  e  per  la  ripresa  delle
  attivita' produttive) - convertito, con modificazioni, dall'art. 1,
  comma 1, della legge 11 novembre 2014, n. 164 - art. 7, commi  2  e
  3. 
-   
(GU n.16 del 20-4-2016 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Marta CARTABIA; 
Giudici :Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI,  Aldo  CAROSI,  Mario  Rosario
  MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria
  de PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio  BARBERA,
  Giulio PROSPERETTI, 
  
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 7, commi  2
e 3, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti  per
l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere  pubbliche,  la
digitalizzazione   del   Paese,   la   semplificazione   burocratica,
l'emergenza  del  dissesto  idrogeologico  e  per  la  ripresa  delle
attivita' produttive), convertito, con  modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1, della legge 11 novembre 2014, n. 164, promosso dalla Regione
Veneto con ricorso  notificato  il  9  gennaio  2015,  depositato  in
cancelleria il 16 gennaio 2015 ed iscritto  al  n.  11  del  registro
ricorsi 2015. 
    Visto l'atto di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza pubblica  del  23  febbraio  2016  il  Giudice
relatore Daria de Pretis; 
    uditi l'avvocato Luigi Manzi per la Regione Veneto  e  l'avvocato
dello  Stato  Paolo  Grasso  per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso depositato il 16 gennaio 2015 e iscritto al n. 11
del registro ricorsi del 2015, la Regione Veneto ha impugnato diverse
disposizioni del decreto-legge 12  settembre  2014,  n.  133  (Misure
urgenti per l'apertura dei cantieri,  la  realizzazione  delle  opere
pubbliche,  la  digitalizzazione  del   Paese,   la   semplificazione
burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la  ripresa
delle attivita' produttive), convertito, con modificazioni, dall'art.
1, comma 1, della legge 11 novembre 2014, n. 164, fra le quali l'art.
7, commi 2 e 3, oggetto del secondo motivo di ricorso. 
    L'art. 7  (inserito  nel  Capo  III  del  decreto-legge,  «Misure
urgenti in materia ambientale  e  per  la  mitigazione  del  dissesto
idrogeologico») contiene, tra le altre, «norme di accelerazione degli
interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico». 
    Il comma 2 dell'art. 7 dispone quanto  segue:  «A  partire  dalla
programmazione 2015  le  risorse  destinate  al  finanziamento  degli
interventi in materia di mitigazione del rischio  idrogeologico  sono
utilizzate tramite accordo di programma  sottoscritto  dalla  Regione
interessata  e  dal  Ministero  dell'ambiente  e  della  tutela   del
territorio  e  del  mare,  che  definisce  altresi'   la   quota   di
cofinanziamento  regionale.  Gli  interventi  sono  individuati   con
decreto del Presidente del Consiglio dei  Ministri  su  proposta  del
Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del  mare.  Le
risorse sono prioritariamente destinate  agli  interventi  integrati,
finalizzati sia alla mitigazione del rischio sia  alla  tutela  e  al
recupero degli ecosistemi e della biodiversita', ovvero che integrino
gli obiettivi della direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 23 ottobre 2000, che istituisce un quadro per l'azione
comunitaria in materia di acque, e  della  direttiva  2007/60/CE  del
Parlamento europeo e del Consiglio, del  23  ottobre  2007,  relativa
alla  valutazione  e  alla  gestione  dei  rischi  di  alluvioni.  In
particolare, gli  interventi  sul  reticolo  idrografico  non  devono
alterare ulteriormente l'equilibrio sedimentario dei  corsi  d'acqua,
bensi' tendere ovunque  possibile  a  ripristinarlo,  sulla  base  di
adeguati bilanci del trasporto solido a scala  spaziale  e  temporale
adeguata.  A  questo  tipo  di  interventi  integrati,  in  grado  di
garantire contestualmente la riduzione del rischio idrogeologico e il
miglioramento dello stato ecologico dei corsi  d'acqua  e  la  tutela
degli  ecosistemi  e  della  biodiversita',  in  ciascun  accordo  di
programma deve essere destinata una percentuale  minima  del  20  per
cento delle risorse. Nei  suddetti  interventi  assume  priorita'  la
delocalizzazione  di  edifici  e  di  infrastrutture   potenzialmente
pericolosi per la pubblica incolumita'. L'attuazione degli interventi
e' assicurata dal Presidente della Regione in qualita' di Commissario
di Governo  contro  il  dissesto  idrogeologico  con  i  compiti,  le
modalita', la contabilita' speciale e i poteri di cui all'articolo 10
del  decreto-legge  24  giugno   2014,   n.   91,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116». 
    In relazione all'art. 7, comma 2, la Regione Veneto  solleva  due
questioni di costituzionalita'. Dopo aver premesso che le norme sopra
riferite   non   attengono   solo   alla   materia   della    «tutela
dell'ambiente», ma anche a quella del «governo  del  territorio»,  la
ricorrente contesta il secondo periodo del comma 2 per violazione del
principio di leale collaborazione, in quanto  non  contemplerebbe  il
coinvolgimento della Regione interessata  nell'adozione  del  decreto
del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  che   individua   gli
interventi di «mitigazione del rischio idrogeologico». 
    Inoltre, l'art. 7, comma 2, violerebbe l'art. 117,  terzo  comma,
della Costituzione in quanto le disposizioni  contenute  nel  quarto,
quinto e sesto periodo  dello  stesso  comma  2  sarebbero  «alquanto
dettagliate». 
    1.1.- L'art. 7, comma 3, dispone che «[i]l Ministro dell'ambiente
e della tutela del territorio e del mare,  avvalendosi  dell'Istituto
superiore per la protezione e la ricerca ambientale  (ISPRA),  previo
parere  favorevole  dell'Autorita'  di   distretto   territorialmente
competente, provvede  alla  revoca,  anche  parziale,  delle  risorse
assegnate alle Regioni e agli altri enti con i decreti del Presidente
del Consiglio dei Ministri adottati ai sensi dell'articolo  1,  comma
2,  del  decreto-legge  11  giugno  1998,  n.  180,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 3 agosto  1998,  n.  267,  con  i  decreti
ministeriali ex articolo 16 della  legge  31  luglio  2002,  n.  179,
nonche' con i decreti ministeriali adottati ai sensi dell'articolo 1,
comma 432, della legge 23 dicembre 2005, n. 266  e  dell'articolo  2,
commi 321, 331, 332, della legge 24 dicembre 2007,  n.  244,  con  il
decreto ministeriale adottato ai sensi dell'articolo  32,  comma  10,
del  decreto-legge  30  settembre  2003,  n.  269,  convertito,   con
modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326,  con  i  decreti
ministeriali adottati ai sensi dell'articolo 2  del  decreto-legge  3
ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla  legge  24
novembre  2006,  n.  286,  per  la  realizzazione  di  interventi  di
mitigazione del rischio idrogeologico per i quali alla  data  del  30
settembre 2014 non e' stato pubblicato il bando  di  gara  o  non  e'
stato disposto l'affidamento dei lavori, nonche' per  gli  interventi
che risultano difformi dalle  finalita'  suddette»  (primo  periodo).
Inoltre,  l'art.  7,  comma  3,  prevede  che   «[l]'ISPRA   assicura
l'espletamento  degli  accertamenti  ed  i   sopralluoghi   necessari
all'istruttoria entro il 30 novembre 2014» (secondo  periodo)  e  che
«[l]e risorse rivenienti dalle suddette revoche  confluiscono  in  un
apposito fondo, istituito presso il Ministero dell'ambiente  e  della
tutela del territorio e del mare, e sono riassegnate per la  medesima
finalita' di mitigazione del rischio idrogeologico secondo i  criteri
e le modalita' di finanziamento  degli  interventi  definiti  con  il
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma  11
dell'articolo 10 del decreto-legge 24  giugno  2014,  n.  91»  (terzo
periodo). 
    Con riferimento a tali previsioni, la ricorrente avanza, in primo
luogo,  «[a]naloghe  censure»,  rinviando  implicitamente  a   quelle
rivolte contro l'art. 7, comma 2. 
    Inoltre, la Regione Veneto lamenta la violazione degli artt. 3  e
97 Cost. L'art. 7, comma 3,  sarebbe  «manifestamente  irragionevole»
la' dove prevede, il 12  settembre  2014,  la  revoca  delle  risorse
assegnate per interventi per i quali «alla data del 30 settembre 2014
non e' stato pubblicato il bando di gara  o  non  e'  stato  disposto
l'affidamento  dei  lavori»,  revoca  da  disporre  senza  «[n]essuna
verifica concreta in contraddittorio con la Regione» e senza «nessuna
considerazione dell'apporto positivo  dato,  ex  art.  53  Cost.,  al
concorso  alle  spese  pubbliche».  Inoltre,   la   Regione   ritiene
irragionevole, in quanto troppo breve, il termine (di «poco  piu'  di
due mesi») dato all'ISPRA per gli accertamenti. 
    Ancora,  sarebbe  violato  l'art.   2   Cost.,   in   quanto   la
configurazione di un «potere sostanzialmente  illimitato  di  revoca»
delle risorse assegnate alle regioni per gli interventi idrogeologici
metterebbe in pericolo «i diritti  inviolabili  dei  cittadini  [...]
primo tra tutti il diritto alla vita e quello alla salute». 
    La Regione argomenta la propria  «piena  legittimazione  [...]  a
sollevare censure  di  violazione  degli  artt.  2,  3  e  97  Cost.»
rinviando «a tutto quanto precisato a margine del  primo  motivo»  di
ricorso. 
    La ricorrente  poi  osserva  che  «[a]lla  denunciata  violazione
dell'art. 117, comma 3, Cost. consegue de plano quella dell'art.  118
Cost.». 
    Infine, la Regione Veneto denuncia la  violazione  dell'art.  119
Cost., rinviando alle  considerazioni  svolte  nel  primo  motivo  di
ricorso, nel quale si denuncia la disparita' di  trattamento  tra  le
regioni del  Centro-nord  e  quelle  del  Mezzogiorno,  in  relazione
all'«esorbitante residuo fiscale» della Regione Veneto. Si espone  in
proposito che, nella Regione Veneto, per effetto della normativa  sul
finanziamento del  fondo  perequativo,  la  pubblica  amministrazione
disporrebbe, per l'erogazione  di  servizi  a  favore  dei  cittadini
residenti, meno di quanto ricavato dal prelievo fiscale  sul  proprio
territorio. Secondo la ricorrente verrebbe in tal modo violato l'art.
119 Cost., il quale, pur prevedendo meccanismi perequativi  (terzo  e
quinto comma), fisserebbe un principio di corrispondenza tra  assetto
delle finanze delle singole regioni e  gettito  di  tributi  erariali
riferibile al loro territorio. Con riferimento  particolare  all'art.
7, comma 3, la ricorrente aggiunge che  esso  violerebbe  l'art.  119
Cost. perche' contemplerebbe «un  potere  sostanzialmente  illimitato
[...] di revoca di risorse  [...]  senza  prevedere  alcuna  verifica
concreta in contraddittorio con la Regione interessata e senza tenere
conto dell'eventuale residuo fiscale della Regione in questione».  
    2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri si e' costituito con
memoria depositata il 17 febbraio 2015. In essa l'Avvocatura generale
dello  Stato  osserva   che   le   norme   impugnate   «attribuiscono
all'amministrazione centrale funzioni programmatorie valide per tutto
il  territorio  nazionale,  nel  rispetto  dell'articolo  118   della
Costituzione»,   e   che   «[t]utti   gli   interventi   [...]   sono
teleologicamente  collegati  all'esigenza  di  garantire   al   Paese
sviluppo,  crescita  ed  occupazione  a  fronte  della  straordinaria
situazione di  crisi  economica  e  finanziaria».  Le  norme  statali
dovrebbero  «essere  qualificate  come  principi  fondamentali  della
materia poiche' spetta soltanto al legislatore statale dettare  norme
di principio volte a contemperare l'indispensabile coinvolgimento dei
diversi livelli territoriali di  governo  con  le  [...]  ragionevoli
esigenze di semplificazione amministrativa e  di  certezza  circa  la
conclusione dei procedimenti». 
    Il 18 gennaio 2016 la Regione Veneto ha  depositato  una  memoria
integrativa, nella quale sviluppa le considerazioni  generali  svolte
nelle premesse del ricorso, attinenti allo squilibrio esistente  «tra
quantita' di risorse raccolte in un dato territorio e spesa  pubblica
ivi allocata». 
    Il 2 febbraio 2016 anche l'Avvocatura  generale  dello  Stato  ha
depositato una memoria integrativa. In essa si nega il contrasto  fra
l'art. 7, comma 2, e l'art. 117, terzo comma,  Cost.,  in  quanto  le
attivita' relative alla difesa del suolo rientrerebbero nella materia
«tutela dell'ambiente». Quanto al potere di revoca previsto dall'art.
7, comma 3, la difesa erariale osserva che la  norma  statale  ha  lo
scopo di «intervenire con la massima urgenza nelle situazioni a  piu'
elevato rischio idrogeologico»; che la revoca si riferisce a  risorse
statali  trasferite   alle   regioni   con   specifico   vincolo   di
destinazione; che le risorse in questione sono assegnate alle regioni
da molti anni e non sono state neppure  impegnate;  che,  dunque,  la
revoca sarebbe giustificata alla luce dei ritardi  accumulati  e  che
sarebbe singolare invocare ulteriori  verifiche  in  contraddittorio,
nell'attuale situazione di emergenza. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Regione  Veneto  ha  impugnato  diverse  disposizioni  del
decreto-legge  12  settembre  2014,  n.  133  (Misure   urgenti   per
l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere  pubbliche,  la
digitalizzazione   del   Paese,   la   semplificazione   burocratica,
l'emergenza  del  dissesto  idrogeologico  e  per  la  ripresa  delle
attivita' produttive), convertito, con  modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1, della legge 11 novembre 2014, n. 164, fra le quali l'art. 7,
commi 2 e 3. 
    Riservata a  separate  pronunce  la  decisione  dell'impugnazione
delle altre disposizioni contenute nel d.l. n. 133 del 2014,  vengono
in rilievo in questa sede le questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 7, commi 2 e 3, del citato decreto. 
    Con  riferimento  all'art.  7,  comma  2  (che   disciplina   gli
interventi di «mitigazione del rischio  idrogeologico»),  la  Regione
solleva due questioni  di  costituzionalita',  entrambe  fondate  sul
presupposto che gli interventi in questione inciderebbero,  non  solo
sulla materia della «tutela dell'ambiente», ma anche  su  quella  del
«governo del territorio»: da un lato,  il  secondo  periodo  di  tale
disposizione violerebbe il  principio  di  leale  collaborazione,  in
quanto non richiederebbe il coinvolgimento della Regione  interessata
con riferimento al decreto del Presidente del Consiglio dei  ministri
che   individua   gli   interventi   di   mitigazione   del   rischio
idrogeologico; dall'altro lato, le disposizioni contenute nel quarto,
quinto e sesto periodo dell'art.  7,  comma  2,  violerebbero  l'117,
terzo  comma,  della  Costituzione  in  quanto  sarebbero   «alquanto
dettagliate». 
    Con riferimento all'art. 7, comma 3 (che prevede  la  revoca,  da
parte del Ministro dell'ambiente, delle risorse assegnate in  passato
alle regioni e ad altri enti - per la realizzazione di interventi  di
mitigazione del rischio  idrogeologico  -  e  non  utilizzate),  sono
enucleabili   nel    ricorso    cinque    distinte    questioni    di
costituzionalita':  a)  la  prima  e'  argomentata  per   relationem,
avanzando «[a]naloghe censure», con implicito rinvio a quelle rivolte
contro l'art. 7, comma 2; b) con la seconda, la  Regione  lamenta  la
violazione degli artt. 3 e 97 Cost., in quanto  l'art.  7,  comma  3,
sarebbe  «manifestamente  irragionevole»  la'  dove  prevede,  il  12
settembre 2014, la revoca delle risorse assegnate per interventi  per
i quali «alla data del 30 settembre 2014 non e' stato  pubblicato  il
bando di gara o non e'  stato  disposto  l'affidamento  dei  lavori»,
revoca  da   disporre   senza   «[n]essuna   verifica   concreta   in
contraddittorio con  la  Regione»  e  senza  «nessuna  considerazione
dell'apporto positivo dato, ex art. 53 Cost., al concorso alle  spese
pubbliche»; inoltre, sarebbe irragionevole, in quanto  troppo  breve,
il termine (di «poco piu'  di  due  mesi»)  dato  all'ISPRA  per  gli
accertamenti; c) ancora, sarebbe violato l'art. 2 Cost., in quanto la
configurazione di un «potere sostanzialmente  illimitato  di  revoca»
delle risorse assegnate alle regioni per gli interventi idrogeologici
metterebbe in pericolo «i diritti  inviolabili  dei  cittadini  [...]
primo fra tutti il diritto alla vita e quello  alla  salute»;  d)  la
Regione osserva poi che «[a]lla denunciata violazione dell'art.  117,
comma 3, Cost. consegue de plano  quella  dell'art.  118  Cost.»;  e)
infine, la Regione Veneto denuncia la violazione dell'art. 119 Cost.,
rinviando alle considerazioni svolte nel primo motivo  di  ricorso  e
rilevando  che  l'art.  7,  comma  3,  sarebbe  illegittimo   perche'
contemplerebbe «un potere sostanzialmente illimitato [...] di  revoca
di  risorse  [...]  senza  prevedere  alcuna  verifica  concreta   in
contraddittorio con la  Regione  interessata  e  senza  tenere  conto
dell'eventuale residuo fiscale della Regione in questione». 
    2.- La prima questione  sollevata  con  riferimento  all'art.  7,
comma 2, e' infondata, in quanto alla disposizione censurata si  puo'
attribuire un  significato  idoneo  a  renderla  compatibile  con  il
principio di leale collaborazione. 
    2.1.- In primo luogo va osservato che l'art. 7, comma 2,  secondo
periodo, prevede un  atto  (di  individuazione  degli  interventi  di
mitigazione del rischio idrogeologico ammessi al  finanziamento)  che
effettivamente  chiama  in  causa  -  come  sostenuto  dalla  Regione
ricorrente - non solo la «tutela dell'ambiente», ma anche il «governo
del territorio». Questa Corte ha gia'  chiarito  che  la  difesa  del
suolo rientra nella materia della «tutela dell'ambiente» (sentenze n.
109 del 2011, n. 341 del 2010  e  n.  232  del  2009),  ma  ha  anche
ritenuto necessario, con riferimento specifico alle funzioni  statali
di programmazione e finanziamento degli interventi di prevenzione del
rischio idrogeologico, il coinvolgimento delle  regioni.  Per  questa
ragione ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 57, comma
1, lettera b)  (che  attribuisce  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri l'approvazione del programma  nazionale  di  intervento),  e
l'art.  58,  comma  3,  lettera a)  (che  attribuisce  al   Ministero
dell'ambiente  la  funzione  di  «programmazione,   finanziamento   e
controllo degli interventi in materia  di  difesa  del  suolo»),  del
decreto  legislativo  3  aprile  2006,  n.  152  (Norme  in   materia
ambientale), in  quanto  le  funzioni  in  questione  «sono  tali  da
produrre  effetti  significativi  sull'esercizio  delle  attribuzioni
regionali  in  materia  di  governo  del  territorio»,  per  cui  «il
principio di leale  collaborazione  impone  un  coinvolgimento  delle
Regioni» (sentenza n. 232 del 2009, richiamata su questo punto  dalla
sentenza n. 341 del 2010). 
    E' da sottolineare che la stessa legislazione  statale  riconosce
da tempo alle regioni un ruolo importante nella materia della  difesa
del suolo. Gia' prima della riforma del Titolo V della  Costituzione,
l'art. 88, comma 1, lettera b), e comma 2, del decreto legislativo 31
marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi
dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del  capo
I della legge 15 marzo 1997, n. 59), manteneva alla competenza  degli
organi statali la programmazione ed il finanziamento degli interventi
di difesa del suolo, previo parere della  Conferenza  unificata.  Nel
decreto legislativo n. 152 del 2006, l'art. 59, comma 1,  lettere  d)
ed  e),  prevede  la   necessita'   del   parere   della   Conferenza
Stato-regioni «sulla ripartizione degli stanziamenti  autorizzati  da
ciascun programma triennale tra i  soggetti  preposti  all'attuazione
delle opere e degli interventi individuati dai  piani  di  bacino»  e
«sui programmi di intervento di competenza  statale»,  e  l'art.  72,
comma  3,  statuisce  che  «[i]l  Comitato  dei   Ministri   di   cui
all'articolo 57, sentita la Conferenza Stato-regioni,  predispone  lo
schema di programma nazionale di intervento  per  il  triennio  e  la
ripartizione degli stanziamenti tra le Amministrazioni dello Stato  e
le regioni». 
    Sulla  base  del  quadro  cosi'   sintetizzato,   risultante   da
disposizioni legislative statali e da interventi additivi  di  questa
Corte, si puo' ritenere che l'art. 7, comma 2, secondo  periodo,  del
d.l. n. 133 del 2014 non estrometta completamente  le  regioni  dalla
decisione di  individuazione  degli  interventi  di  mitigazione  del
rischio  idrogeologico  destinati  al  finanziamento.   Il   criterio
sistematico di  interpretazione  e,  in  particolare,  il  dovere  di
interpretazione  conforme  a  Costituzione  conducono  a  leggere  la
disposizione in esame  alla  luce  della  disciplina  generale  della
materia e  del  principio  costituzionale  di  leale  collaborazione.
Questa   Corte   ha   gia'   dichiarato   infondate   questioni    di
costituzionalita' sollevate per violazione  del  principio  di  leale
collaborazione, ritenendo implicitamente  gia'  previsti  i  raccordi
invocati dalle regioni ricorrenti,  sia  pure  non  menzionati  dalle
norme impugnate: cio' e' avvenuto sia nella materia del finanziamento
degli interventi di prevenzione del rischio  idrogeologico  (sentenza
n. 232 del 2009, con riferimento all'approvazione della  ripartizione
degli stanziamenti di cui all'art. 72, comma 4, del d.lgs. n. 152 del
2006), sia in altre materie (sentenza n. 19 del 2015, riguardante  il
patto di  stabilita',  sentenza  n.  278  del  2010,  riguardante  le
centrali nucleari, sentenza n. 235 del 2010,  riguardante  l'utilizzo
del personale scolastico, sentenza n. 451 del  2006,  riguardante  il
Fondo per l'edilizia a canone speciale, sentenza  n.  227  del  2004,
riguardante il potere sostitutivo). 
    Precisato che il  coinvolgimento  delle  regioni  puo'  ritenersi
implicitamente  richiesto  anche  dalla  disposizione  impugnata  nel
presente giudizio, e' da  aggiungere  che  tale  coinvolgimento  puo'
assumere forme differenti, in coerenza con la natura del principio di
leale collaborazione, che e' «suscettibile di essere  organizzato  in
modi  diversi,  per  forme  e   intensita'   della   pur   necessaria
collaborazione» (sentenza n. 308 del 2003), e «per la sua elasticita'
consente di aver riguardo alle peculiarita' delle singole situazioni»
(sentenza n. 50 del 2005). 
    Cosi', ad esempio, il raccordo  con  le  regioni  puo'  tradursi,
oltre che nell'adozione del decreto  di  cui  all'art.  7,  comma  2,
secondo periodo, previo  parere  della  Conferenza  Stato-regioni  (o
unificata), nell'adozione dello stesso atto sulla  base  di  proposte
avanzate dalle regioni. 
    Questa seconda eventualita' si e' effettivamente verificata nella
fase di attuazione  della  disposizione  impugnata.  Il  decreto  del
Presidente del Consiglio dei ministri 15 settembre 2015 che  ha  dato
parziale attuazione all'art. 7, comma 2, del d.l. n. 133 del 2014, ha
individuato «gli interventi  di  riduzione  del  rischio  alluvionale
tempestivamente  cantierabili  in  quanto  dotati  di   progettazione
definitiva o esecutiva, con l'indicazione del  finanziamento  statale
richiesto,  che  fanno  parte  del  Piano  stralcio   per   le   aree
metropolitane e le  aree  urbane  con  alto  livello  di  popolazione
esposta al rischio» (art. 1), sulla base di proposte  avanzate  dalle
regioni. Cio' e' avvenuto in virtu' di quanto  previsto  dal  decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015, recante  in
allegato un documento intitolato «Individuazione dei criteri e  delle
modalita' per stabilire le priorita' di  attribuzione  delle  risorse
agli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico», il punto 2
del quale prevede che «[l]e richieste di finanziamento per interventi
di mitigazione del rischio  idrogeologico  dovranno  essere  inserite
nella piattaforma ReNDiS-web (Repertorio Nazionale  degli  interventi
per la Difesa Suolo) a cura delle Regioni e province Autonome  o  dei
soggetti dalle stesse accreditati». 
    Pertanto, la prima questione sollevata con  riferimento  all'art.
7, comma 2, e' infondata nei termini appena esposti. 
    3.- Anche la seconda questione  sollevata  con  riferimento  allo
stesso art. 7, comma 2, e' infondata. 
    Le disposizioni contenute nel  quarto,  quinto  e  sesto  periodo
dell'art. 7, comma 2, sono censurate per la loro natura  dettagliata,
incompatibile, secondo la ricorrente, con le competenze regionali  in
materia  di  «governo  del  territorio».  Si  tratta,  tuttavia,   di
previsioni che riguardano specificamente gli «interventi  integrati»,
con  riferimento  ai  quali  l'interesse   ambientale   assume   peso
prevalente rispetto alla  materia  «governo  del  territorio».  E  la
stessa previsione invocata nel ricorso per dimostrare l'afferenza  al
«governo del territorio» («Nei suddetti interventi  assume  priorita'
la delocalizzazione di edifici  e  di  infrastrutture  potenzialmente
pericolosi per la pubblica incolumita'»)  attiene,  in  realta',  non
solo a questa materia  concorrente,  ma  prioritariamente  a  quella,
riservata alla competenza esclusiva statale  dall'art.  117,  secondo
comma, lettera h), Cost.,  della  «sicurezza»  (sentenza  n.  21  del
2010).  Nel  complesso,  dunque,  gli  interessi  facenti  capo  alle
competenze esclusive statali possono ritenersi prevalenti  su  quelli
afferenti al «governo del territorio». 
    4.- Si puo' ora passare all'esame della prima questione sollevata
con riferimento all'art. 7, comma 3. 
    4.1.- Essa e' argomentata semplicemente con un rinvio,  "interno"
al  ricorso,  alle  doglianze  rivolte  contro  l'art.  7,  comma   2
(«Analoghe censure [...]»). La motivazione tramite  rinvio  "interno"
e' ammissibile (sentenze n. 68 del 2011 e n. 438 del  2008),  purche'
sia chiara la portata della questione. Nel caso di specie, benche' la
Regione  non  precisi  quali  parametri  siano  violati  dalle  norme
censurate,  risulta  con  sufficiente  chiarezza  che  essa   intende
contestare la violazione del principio di leale collaborazione ed  il
carattere dettagliato delle norme con riferimento alla  revoca  delle
risorse e agli accertamenti dell'ISPRA. Dunque, la censura - sia pure
assai concisa - raggiunge la soglia dell'ammissibilita'. 
    4.2.- Nel merito, la questione e' infondata. 
    Quanto alla violazione del  principio  di  leale  collaborazione,
questa Corte ha gia' chiarito che,  in  caso  di  revoca  di  risorse
assegnate alle regioni e da tempo inutilizzate, le esigenze di  leale
collaborazione possono essere considerate recessive (sentenza n.  105
del 2007: «Ne' la sfera di  competenze  costituzionalmente  garantita
delle Regioni, ne' il principio  di  leale  collaborazione  risultano
violati da una norma  che  prende  atto  dell'inattivita'  di  alcune
Regioni  nell'utilizzare  risorse  poste  a  loro  disposizione   nel
bilancio dello Stato»; nello stesso senso, sentenza n. 16 del  2010).
Nel caso in esame, peraltro, va  rilevato  che  l'art.  7,  comma  3,
prevede che la revoca  delle  risorse  sia  disposta  «previo  parere
favorevole dell'Autorita' di distretto  territorialmente  competente»
e, in base all'art. 63 del d.lgs. n. 152  del  2006  (sia  nel  testo
vigente al momento dell'entrata in vigore del d.l. n. 133  del  2014,
sia nel testo attualmente vigente, come sostituito dall'art. 51 della
legge 28 dicembre 2015, n.  221,  recante  «Disposizioni  in  materia
ambientale  per  promuovere  misure  di  green  economy  e   per   il
contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali»), la  conferenza
istituzionale permanente comprende  «i  Presidenti  delle  regioni  e
delle  province  autonome  il  cui  territorio  e'  interessato   dal
distretto   idrografico».   Dunque,   le   regioni   sono   coinvolte
nell'adozione dell'atto di revoca (sentenza n. 341 del 2010). 
    Quanto al carattere dettagliato delle disposizioni relative  alla
revoca delle  risorse  e  all'istruttoria  dell'ISPRA,  la  questione
risulta infondata perche' - anche a prescindere dalla  considerazione
che,  in  caso  di  concorrenza  di  competenze,   l'intervento   del
legislatore statale e' ammissibile (ex plurimis, sentenze  n.  1  del
2016, n. 140 del 2015, n. 231 del 2005) e che, nel caso di specie, la
competenza concorrente in materia di «governo del territorio» non  si
puo' certo considerare prevalente  su  quella  esclusiva  statale  in
materia di «tutela dell'ambiente»  -  l'art.  7,  comma  3,  primo  e
secondo periodo, si limita  a  prevedere  le  funzioni  statali  e  a
dettare le norme essenziali al loro svolgimento. Dunque, non  essendo
contestata dalla Regione la spettanza al livello  statale  accentrato
delle funzioni in  questione,  non  si  puo'  negare  allo  Stato  la
possibilita' di completare la scelta attributiva del  potere  con  la
cornice normativa indispensabile alla sua operativita'. 
    5.- La seconda e la terza  questione  sollevate  con  riferimento
all'art. 7, comma 3, fondate su una presunta violazione  degli  artt.
2, 3 e 97 Cost., sono  inammissibili  per  insufficiente  motivazione
sulla  ridondanza  delle  lamentate   violazioni   sulle   competenze
costituzionali della ricorrente. 
    Anche in questo caso, la Regione utilizza la tecnica  del  rinvio
"interno" per argomentare tale ridondanza: essa, infatti, afferma  la
propria «piena legittimazione [...] a sollevare censure di violazione
degli artt. 2, 3 e 97 Cost.», rinviando «a tutto quanto  precisato  a
margine del primo motivo» di ricorso. 
    Ora, nel primo motivo la  Regione  si  sofferma  sul  tema  della
ridondanza, affermando di essere «pienamente legittimata a denunciare
la violazione degli artt. 2, 3 e 97 Cost., perche',  pur  trattandosi
di precetti costituzionali che formalmente non attengono  al  riparto
delle competenze legislative tra Stato  e  Regione,  cionondimeno  la
loro violazione comporta, nel  caso  di  specie,  una  compromissione
delle  attribuzioni   regionali   costituzionalmente   garantite   o,
comunque, ridonda sul riparto di competenze legislative»,  e  citando
alcune sentenze di questa Corte. 
    Come e' agevole riscontrare, la Regione non indica le materie  di
propria competenza sulle  quali  si  rifletterebbe  negativamente  la
violazione dei parametri esterni al Titolo V  della  Parte  II  della
Costituzione. Neppure la citazione della sentenza  n.  236  del  2013
giova a motivare la ridondanza. Per dimostrare che la violazione  del
parametro  estraneo  alla  competenza  si  traduce  in  una   lesione
indiretta delle sue prerogative costituzionali, la  Regione  dovrebbe
allegare  che  la  norma  statale  incostituzionale  incide  su   una
determinata materia regionale (ex plurimis, sentenze n. 220  e  n.  8
del 2013, n. 221 e n. 80 e n. 22 del 2012), mentre essa si  limita  a
ricordare  una  precedente  pronuncia  di  accoglimento  in  un  caso
ritenuto simile. Si consideri inoltre che, se anche la Regione avesse
meglio  argomentato  la  ridondanza  nel  primo  motivo  di  ricorso,
difficilmente il rinvio a quella motivazione - contenuto nel  secondo
motivo - sarebbe stato idoneo a sostenere le  censure  di  violazione
degli artt. 2, 3 e 97 Cost.,  avanzate  nei  confronti  dell'art.  7,
comma 3,  del  d.l.  n.  133  del  2014,  data  la  diversita'  delle
rispettive fattispecie. 
    6.- La quarta questione sollevata  con  riferimento  all'art.  7,
comma 3, e' inammissibile per assoluta genericita' della motivazione. 
    La  ricorrente  lamenta,  senza  alcun'altra  precisazione,   che
«[a]lla denunciata violazione dell'art. 117, comma 3, Cost.  consegue
de plano quella dell'art. 118 Cost.». La  Regione  non  indica  quale
disposizione,  all'interno  dell'art.  118,  sarebbe   violata,   ne'
illustra in alcun modo le ragioni per le quali  l'art.  7,  comma  3,
violerebbe l'art. 118 Cost. Questa Corte ha piu' volte  chiarito  che
l'esigenza di una adeguata motivazione a fondamento  della  richiesta
declaratoria di illegittimita' costituzionale  «si  pone  in  termini
perfino  piu'  pregnanti  nei  giudizi  diretti  rispetto  a   quelli
incidentali», e che  il  ricorrente  deve  identificare  non  solo  i
termini delle questioni di legittimita' costituzionale ma  anche  «le
ragioni  dei  dubbi  di  legittimita'  costituzionale»  (ex   multis,
sentenze n. 3 del 2016 e n. 273 del 2015). 
    7.- La quinta questione sollevata  con  riferimento  all'art.  7,
comma 3, e' inammissibile. 
    Premesso che  il  profilo  della  censura  relativo  all'asserito
mancato contraddittorio con la Regione e' gia' stato  esaminato  (nel
punto  4.2.),  occorre  qui  soffermarsi  sulla   lamentata   mancata
considerazione del cosiddetto "residuo fiscale" della Regione Veneto,
al quale conseguirebbe la  violazione  dell'art.  119  Cost.  A  tale
proposito la ricorrente rinvia a quanto argomentato nel primo  motivo
di ricorso, nel quale viene censurato l'«esorbitante residuo  fiscale
della Regione Veneto», che si  traduce  nel  «'saldo'  fra  cio'  che
ciascuna Regione riceve  in  termini  di  spesa  pubblica  e  il  suo
contributo in termini di prelievo fiscale». 
    In primo luogo, la questione e' inammissibile per genericita', in
quanto la ricorrente non spiega affatto perche' l'art.  7,  comma  3,
avrebbe dovuto dare rilievo al "residuo fiscale", nell'ambito di  una
disciplina  avente  lo  scopo  di  accelerare   gli   interventi   di
mitigazione del rischio idrogeologico. Non e' chiaro, cioe',  perche'
lo Stato dovrebbe revocare le risorse  (assegnate  alle  regioni  per
realizzare interventi  di  difesa  del  suolo  e  inutilizzate)  solo
qualora la regione inerte non abbia un "residuo fiscale". 
    Oltre a cio', come questa Corte ha gia'  chiarito,  il  parametro
del  "residuo  fiscale"  non  puo'  essere  considerato  un  criterio
specificativo dei precetti contenuti nell'art. 119 Cost., sia perche'
sono  controverse   le   modalita'   appropriate   di   calcolo   del
differenziale tra risorse  fiscalmente  acquisite  e  loro  reimpiego
negli ambiti territoriali di  provenienza,  sia  perche'  «l'assoluto
equilibrio tra  prelievo  fiscale  ed  impiego  di  quest'ultimo  sul
territorio  di  provenienza  non  e'  un  principio  espresso   dalla
disposizione costituzionale invocata» (sentenza n. 69 del 2016). 
    Da quanto considerato deriva,  dunque,  l'inammissibilita'  della
questione per l'assoluta inconferenza del parametro richiamato  dalla
ricorrente. 
      
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riservata  a  separate  pronunce  la  decisione  delle  ulteriori
questioni di legittimita'  costituzionale  promosse  con  il  ricorso
indicato in epigrafe; 
    1) dichiara non fondata, nei sensi  di  cui  in  motivazione,  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7,  comma  2,  del
decreto-legge  12  settembre  2014,  n.  133  (Misure   urgenti   per
l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere  pubbliche,  la
digitalizzazione   del   Paese,   la   semplificazione   burocratica,
l'emergenza  del  dissesto  idrogeologico  e  per  la  ripresa  delle
attivita' produttive), convertito, con  modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1,  della  legge  11  novembre  2014,  n.  164,  sollevata,  in
riferimento al  principio  di  leale  collaborazione,  dalla  Regione
Veneto con il ricorso indicato in epigrafe; 
    2)  dichiara   non   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 7, comma  2,  del  d.l.  n.  133  del  2014,
sollevata,  in  riferimento  all'art.   117,   terzo   comma,   della
Costituzione,  dalla  Regione  Veneto  con  il  ricorso  indicato  in
epigrafe; 
    3)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 7, comma  3,  del  d.l.  n.  133  del  2014,
sollevate, in riferimento al  principio  di  leale  collaborazione  e
all'art. 117, terzo comma, Cost., dalla Regione Veneto con il ricorso
indicato in epigrafe; 
    4)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 7, comma  3,  del  d.l.  n.  133  del  2014,
sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 97, 118 e 119 Cost., dalla
Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe. 
 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 febbraio 2016. 
 
                                F.to: 
                     Marta CARTABIA, Presidente 
                     Daria de PRETIS, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 13 aprile 2016. 
 
                           Il Cancelliere 
                        F.to: Roberto MILANA