N. 121 SENTENZA 20 aprile - 30 maggio 2016

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Contenzioso  tributario  -  Appello   alla   commissione   tributaria
  regionale - Notificazione del ricorso effettuata senza  il  tramite
  dell'ufficiale giudiziario - Obbligo di deposito di copia dell'atto
  presso  la  segreteria  della   commissione   tributaria   che   ha
  pronunciato la sentenza impugnata. 
- Decreto legislativo 31 dicembre  1992,  n.  546  (Disposizioni  sul
  processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta
  nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), art. 53,  comma
  2,  secondo  periodo,  nel  testo  risultante  dopo  le   modifiche
  apportate dall'art. 3-bis, comma 7, del decreto-legge 30  settembre
  2005,  n.  203  (Misure  di  contrasto   all'evasione   fiscale   e
  disposizioni  urgenti  in  materia   tributaria   e   finanziaria),
  convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge  2
  dicembre 2005, n. 248. 
-   
(GU n.22 del 1-6-2016 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Paolo GROSSI; 
Giudici :Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Giorgio LATTANZI, Aldo
  CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo  CORAGGIO,
  Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,
  Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  53,  comma
2, secondo periodo, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n.  546
(Disposizioni sul processo tributario in attuazione della  delega  al
Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413),
nel testo risultante dopo le  modifiche  apportate  dall'art.  3-bis,
comma 7, del decreto-legge 30  settembre  2005,  n.  203  (Misure  di
contrasto all'evasione fiscale  e  disposizioni  urgenti  in  materia
tributaria e finanziaria), convertito, con  modificazioni,  dall'art.
1, comma 1, della legge 2  dicembre  2005,  n.  248,  promosso  dalla
Commissione tributaria regionale del Lazio, nel procedimento vertente
tra M.P. e l'Agenzia delle entrate, Direzione provinciale di  Roma  2
ed altra, con ordinanza del 13 maggio 2015, iscritta al  n.  172  del
registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell'anno 2015. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 20  aprile  2016  il  Giudice
relatore Giancarlo Coraggio. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- La Commissione tributaria regionale del Lazio, con  ordinanza
iscritta  al  n.  172  del  registro  ordinanze  2015,  ha  sollevato
questione di legittimita' costituzionale, per violazione degli  artt.
3, 24 e 111, secondo comma, della Costituzione, dell'art.  53,  comma
2, secondo periodo, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n.  546
(Disposizioni sul processo tributario in attuazione della  delega  al
Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n.  413)
- nel testo risultante dopo le modifiche apportate  dall'art.  3-bis,
comma 7, del decreto-legge 30  settembre  2005,  n.  203  (Misure  di
contrasto all'evasione fiscale  e  disposizioni  urgenti  in  materia
tributaria e finanziaria), convertito, con  modificazioni,  dall'art.
1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248 -, il quale  prevede,
nell'ipotesi in cui la notifica non  avvenga  a  mezzo  di  ufficiale
giudiziario,  l'inammissibilita'  dell'appello  nel  caso  di  omesso
deposito di copia  dell'atto  di  impugnazione  presso  l'ufficio  di
segreteria  della  Commissione  tributaria  che  ha  pronunciato   la
sentenza impugnata. 
    1.1.-  Il  giudice  rimettente  espone  che  la  contribuente  ha
proposto appello avverso la  sentenza  della  Commissione  tributaria
provinciale di Roma che aveva rigettato il ricorso  avanzato  avverso
la cartella di pagamento per omesso o  carente  versamento  IRAP  per
l'anno di imposta 2005, chiedendo, altresi', il riconoscimento di  un
credito IRAP relativamente ad una somma erroneamente versata  per  il
periodo di  imposta  2005.  L'appellante  rappresentava  di  svolgere
attivita' di amministratore di condominio, non assoggettabile ad IRAP
per l'assenza del requisito della autonoma organizzazione e  instava,
quindi, per l'annullamento della cartella di pagamento  impugnata  ed
il  riconoscimento  del  credito  IRAP.  L'Agenzia   delle   entrate,
costituitasi in giudizio, nelle proprie controdeduzioni, tra l'altro,
chiedeva di verificare  l'avvenuto  deposito  di  copia  dell'appello
presso la segreteria della Commissione tributaria  provinciale  (come
richiesto dall'art. 53,  comma  2,  del  d.lgs.  n.  546  del  1992);
inoltre, rappresentava che la parte  non  poteva  stare  in  giudizio
personalmente, in quanto il valore  della  controversia  superava  la
soglia di euro 2.582,28 e rilevava che la richiesta di riconoscimento
del credito IRAP era inammissibile, non avendo, la parte,  presentato
una  specifica  istanza  di  rimborso;  nel  merito,   sosteneva   la
sussistenza  del  requisito  della  autonoma  organizzazione   e   la
legittimita' dell'assoggettamento ad IRAP. 
    1.2.- La Commissione tributaria regionale  solleva  d'ufficio  la
questione  di  legittimita'  costituzionale  avente  ad  oggetto   la
predetta disposizione, per contrasto con  gli  artt.  3,  24  e  111,
secondo comma, Cost. 
    1.2.1.- In punto di rilevanza, il giudice rimettente premette che
l'appello e' tempestivo ma l'esame del  merito  dell'appello  sarebbe
precluso dalla causa di inammissibilita' per omesso deposito,  presso
la segreteria della Commissione tributaria provinciale  di  Roma,  di
copia dell'atto di impugnazione. Osserva, poi, che nella  fattispecie
in esame trova applicazione l'art. 53, comma 2, del d.lgs. n. 546 del
1992 nel testo precedente  rispetto  alle  modifiche  introdotte  con
l'art.  36  del  decreto  legislativo  21  novembre  2014,   n.   175
(Semplificazione fiscale e dichiarazione dei  redditi  precompilata),
il quale - disponendo la soppressione del secondo periodo del  citato
comma 2 - ha reso non piu' necessario, ai fini della ritualita' della
proposizione  dell'appello  dinanzi   alla   Commissione   tributaria
regionale, il deposito di copia dell'atto di impugnazione  presso  la
segreteria  della  Commissione  tributaria  provinciale.   La   nuova
disposizione, infatti, si applica agli appelli notificati dopo il  13
dicembre 2014, data di entrata in vigore del decreto, mentre, per gli
appelli proposti, come quello  di  specie,  prima  della  entrata  in
vigore della nuova normativa, trova applicazione la disposizione  che
prevede l'inammissibilita' nel  caso  di  omesso  deposito  di  copia
dell'appello  presso  la  segreteria  della  Commissione   tributaria
provinciale. 
    1.2.2.- Quanto alla non manifesta infondatezza  della  questione,
la Commissione tributaria regionale ripercorre le  svariate  pronunce
di questa Corte aventi ad oggetto la  disposizione  censurata  (tutte
nel senso della sua legittimita'  costituzionale),  concludendo  che,
alla luce di alcune recenti decisioni della Corte di  cassazione,  si
impone la valutazione di non manifesta infondatezza  della  questione
di costituzionalita' in esame sotto profili diversi rispetto a quelli
gia' esaminati precedentemente. 
    Il rimettente espone che la Corte di legittimita' ha interpretato
in modo restrittivo l'art. 53, comma 2, secondo periodo,  del  d.lgs.
n. 546 del 1992, escludendo che la causa di inammissibilita' in  esso
prevista operi nei casi in cui la notifica sia  effettuata  da  parte
del messo notificatore o da parte del difensore a mezzo del  servizio
postale, trovando applicazione, in tali ipotesi,  la  regola  di  cui
all'art. 123 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura
civile, che obbliga l'ufficiale  giudiziario  (e,  quindi,  anche  il
messo notificatore e il difensore) a dare  immediato  avviso  scritto
dell'avvenuta notificazione dell'appello alla segreteria del  giudice
che ha reso la sentenza impugnata. 
    Alla luce di tale diritto vivente, la causa  di  inammissibilita'
prevista dalla censurata disposizione opera, quindi,  unicamente  nel
caso di ricorso proposto personalmente dal contribuente. 
    Pur conoscendo la ratio della disposizione -  come  delineata  da
questa Corte nelle pronunce aventi ad oggetto la  norma  impugnata  -
legata all'esigenza di evitare l'erronea attestazione  del  passaggio
in giudicato della sentenza di primo grado, il giudice rimettente  si
interroga sulla compatibilita' con gli artt. 3,  24  e  111,  secondo
comma, Cost. della previsione di  inammissibilita'  dell'appello  nel
caso di omesso deposito cosi' delimitata nel suo  ambito  applicativo
(e cioe' solo quando la notifica non  sia  effettuata  dall'ufficiale
giudiziario, dal messo notificatore o dal difensore). 
    A   parere   della   Commissione   tributaria   regionale,   tale
disposizione renderebbe eccessivamente difficoltoso  l'esercizio  del
diritto di difesa del contribuente, mediante l'attribuzione alla sola
parte privata  dell'onere,  per  l'ammissibilita'  dell'appello,  del
deposito del ricorso sia presso la Commissione  tributaria  regionale
che presso la Commissione tributaria provinciale, senza che cio'  sia
giustificato dalla  ratio  che  il  legislatore  intende  perseguire.
Infatti, ad una  eventuale  erronea  attestazione  del  passaggio  in
giudicato di una sentenza si puo' porre facilmente  rimedio  mediante
la  cancellazione  della  medesima  attestazione,   non   appena   la
segreteria della Commissione tributaria regionale invia la  richiesta
di trasmissione del fascicolo del processo, ai sensi del comma 3  del
medesimo art. 53. Del resto, tale ratio  rischierebbe,  comunque,  di
essere frustrata nel caso in cui il messo notificatore  omettesse  di
inviare alla segreteria del giudice a quo l'immediato avviso  scritto
della avvenuta notificazione dell'appello, senza, peraltro, incorrere
nella sanzione di inammissibilita'. 
    A parere della rimettente, la presunta violazione del diritto  di
difesa dovrebbe essere valutata - proprio alla  luce  del  differente
trattamento  riservato  (secondo  il  citato  diritto  vivente)  alla
notifica  effettuata  dal  messo  notificatore  -  congiuntamente  ai
principi costituzionali di uguaglianza e di parita' delle  parti  del
processo (contribuente e amministrazione finanziaria). 
    Osserva sul punto il giudice tributario che, nel momento  in  cui
la Corte di  cassazione  ha  equiparato  (ai  fini  dell'applicazione
dell'art. 53, comma 2, secondo periodo, del d.lgs. n. 546  del  1992)
la notifica del messo notificatore - che, pur essendo inserito in  un
ufficio pubblico, e' tuttavia organo di una delle parti del  processo
- a quella  dell'ufficiale  giudiziario,  la  residua  previsione  di
inammissibilita' dell'appello solo quando l'omissione sia  imputabile
alla parte privata comporterebbe  la  violazione  del  complesso  dei
parametri evocati, non essendo conforme a Costituzione una disciplina
processuale che tuteli il diritto di agire in giudizio ed il  diritto
di difesa in modo difforme con riferimento  alle  diverse  parti  del
processo. 
    2.- E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata  inammissibile  o  non
fondata. 
    2.1.- Ad  avviso  della  difesa  dello  Stato,  la  questione  di
costituzionalita' sarebbe inammissibile, in quanto l'asserita lesione
degli evocati parametri costituzionali deriverebbe non dal fatto  che
il diritto vivente esclude l'applicabilita' della decadenza  ex  art.
53, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 alle notifiche tramite  messi
speciali (in quanto tale esclusione e' gia' stata dichiarata conforme
a Costituzione dalla sentenza n. 17 del 2011) ma dalla  previsione  -
contenuta nell'art. 16, comma 4, del medesimo decreto  legislativo  -
che  consente  all'Amministrazione  di  avvalersi  di  propri   messi
notificatori. 
    2.2.- Quanto alla non fondatezza, con riferimento  alla  presunta
violazione dell'art. 111, secondo comma, Cost., viene  rimarcato  che
la  disparita'  di  trattamento  non  deriverebbe   da   una   regola
processuale che privilegia una parte ai danni dell'altra, ma  sarebbe
collegata alla natura pubblica di  una  delle  parti  e  ai  connessi
poteri autoritativi.  Del  resto,  la  violazione  del  principio  di
parita' delle parti del processo sarebbe  scongiurata  anche  perche'
sia alla parte pubblica che al privato e' consentito di avvalersi  di
un soggetto pubblico per la notifica.  Ne'  sembrerebbe  alterare  la
situazione di parita' il fatto in se'  che  l'Agenzia  delle  entrate
possa avvalersi di messi notificatori interni. 
    Sempre la natura pubblica di una  parte,  poi,  precluderebbe  un
raffronto tra le posizioni ai fini del rispetto  dell'art.  3  Cost.,
stante la sua non equiparabilita' con un soggetto privato. 
    Sulla  presunta  violazione  dell'art.  24  Cost.,   infine,   si
richiamano le precedenti  pronunce  con  le  quali  questa  Corte  ha
escluso qualsiasi contrasto dell'art. 53, comma 2, del d.lgs. n.  546
del 1992 con il diritto di difesa. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Commissione tributaria regionale del  Lazio  dubita  della
legittimita' costituzionale dell'art. 53, comma 2,  secondo  periodo,
del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n.  546  (Disposizioni  sul
processo tributario in attuazione della delega al  Governo  contenuta
nell'art. 30 della legge 30  dicembre  1991,  n.  413)  -  nel  testo
risultante dopo le modifiche apportate dall'art. 3-bis, comma 7,  del
decreto-legge  30  settembre  2005,  n.  203  (Misure  di   contrasto
all'evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia  tributaria  e
finanziaria), convertito, con modificazioni, dall'art.  1,  comma  1,
della legge 2 dicembre 2005, n. 248 -, il quale prevede, nell'ipotesi
in cui la notifica non avvenga  a  mezzo  di  ufficiale  giudiziario,
l'inammissibilita' dell'appello nel caso di omesso deposito di  copia
dell'atto di impugnazione  presso  la  segreteria  della  Commissione
tributaria provinciale. 
    1.1.- Tale disposizione violerebbe gli artt. 3, 24 e 111, secondo
comma, della Costituzione. 
    L'onere da essa imposto  renderebbe  eccessivamente  difficoltoso
l'esercizio del diritto di  difesa  da  parte  del  contribuente.  La
presunta violazione di tale diritto, a parere del giudice rimettente,
andrebbe accertata unitamente  alla  verifica  del  contrasto  con  i
principi costituzionali di  uguaglianza  e  di  parita'  delle  parti
(contribuente e amministrazione finanziaria), posto che  destinatario
di tale onere di deposito e' la sola parte privata. 
    La Commissione tributaria regionale del  Lazio  premette  che  la
Corte  di  cassazione  ha  equiparato  (ai   fini   dell'applicazione
dell'art. 53, comma 2, secondo periodo, del d.lgs. n. 546  del  1992)
alla   notifica   dell'ufficiale   giudiziario   quella   del   messo
notificatore, il quale, pur essendo inserito in un ufficio  pubblico,
e' tuttavia organo di una delle parti del processo. La previsione  di
inammissibilita' dell'appello solo quando l'omissione sia  imputabile
alla  parte  privata  -   e   non   anche   quando   sia   imputabile
all'amministrazione finanziaria - comporterebbe  la  violazione  «del
complesso delle norme costituzionali sopra menzionate (artt. 3, 24  e
111, secondo comma, Cost.), non essendo conforme a  Costituzione  una
disciplina processuale che tuteli il diritto di agire in giudizio  ed
il diritto di difesa in modo difforme con  riferimento  alle  diverse
parti del processo». 
    Inoltre - sottolinea il rimettente -  la  ratio  della  norma  in
esame  (come  delineata  da  questa  Corte  in  svariati   precedenti
specifici aventi ad oggetto  la  disposizione  medesima)  consistente
nell'evitare il rischio  di  un'eventuale  erronea  attestazione  del
passaggio in giudicato di una sentenza della  Commissione  tributaria
provinciale,  verrebbe  frustrata  senza  che  ne   consegua   alcuna
inammissibilita', nell'ipotesi in cui il messo notificatore (operando
ai sensi  dell'art.  16,  comma  4,  del  d.lgs.  n.  546  del  1992)
omettesse, per negligenza, l'avviso  scritto,  presso  la  segreteria
della  Commissione  tributaria  provinciale,  dell'appello   proposto
dall'Ufficio. 
    2.- In via preliminare va segnalato che  l'art.  36  del  decreto
legislativo 21 novembre  2014,  n.  175  (Semplificazione  fiscale  e
dichiarazione dei redditi precompilata) ha disposto  la  soppressione
del secondo periodo del comma 2 dell'art. 53 del d.lgs.  n.  546  del
1992, rendendo non piu' necessario, ai fini  della  ritualita'  della
proposizione  dell'appello  dinanzi   alla   Commissione   tributaria
regionale, il deposito di copia dell'atto di impugnazione  presso  la
segreteria della Commissione tributaria provinciale. 
    Come correttamente rilevato  dal  giudice  rimettente,  la  norma
sopravvenuta non trova applicazione nel giudizio a  quo.  E  cio'  in
quanto, secondo quanto precisato anche dalla  Agenzia  delle  entrate
con la circolare n.  31/E  del  30  dicembre  2014,  in  mancanza  di
specifica  disposizione  transitoria,  opera  il  principio  generale
secondo cui l'atto processuale e' soggetto alla disciplina vigente al
momento in cui viene compiuto,  sebbene  successiva  all'introduzione
del giudizio. Conseguentemente, la nuova disposizione si applica agli
appelli notificati dopo il 13  dicembre  2014,  data  di  entrata  in
vigore del decreto legislativo. Per gli appelli proposti, come quello
di specie, prima di tale termine deve quindi continuare ad applicarsi
la disposizione che prevede l'inammissibilita'  nel  caso  di  omesso
deposito di  copia  dell'appello  presso  la  Commissione  tributaria
provinciale. 
    3.- Sempre  in  via  preliminare,  va  esaminata  l'eccezione  di
inammissibilita' formulata dal Presidente del Consiglio dei ministri,
la quale non e' fondata. 
    Ad avviso della difesa dello Stato, la prospettata  questione  di
costituzionalita' sarebbe inammissibile in quanto l'asserita  lesione
degli evocati parametri costituzionali deriverebbe non dal fatto  che
il diritto vivente esclude l'applicabilita' del secondo  periodo  del
secondo comma dell'art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992 alle  notifiche
tramite messi speciali (in  quanto  tale  esclusione  e'  gia'  stata
dichiarata conforme a Costituzione dalla sentenza n. 17 del 2011)  ma
dalla previsione - contenuta nell'art.  16,  comma  4,  del  medesimo
decreto legislativo - che consente all'Amministrazione  di  avvalersi
di propri messi notificatori. 
    In realta', non e' di questa facolta' che si duole il rimettente,
ma piu' specificamente delle diverse conseguenze dovute al differente
soggetto che effettua la notifica e  della  equiparazione,  sotto  il
profilo  della  non  operativita'  della   norma   censurata,   della
disciplina dei messi notificatori agli ufficiali giudiziari. 
    4.- Nel merito, la questione in esame va valutata alla luce della
costante giurisprudenza di questa Corte in materia di disciplina  del
processo e di conformazione degli istituti processuali,  secondo  cui
in tale ambito il legislatore dispone  di  un'ampia  discrezionalita'
con il solo limite della manifesta irragionevolezza  o  arbitrarieta'
delle scelte compiute (ex plurimis, sentenze n. 44 del  2016,  n.  23
del 2015 e  n.  157  del  2014),  che  si  ravvisa,  con  riferimento
specifico all'art. 24 Cost., ogniqualvolta emerga un'ingiustificabile
compressione del diritto di agire (sentenze n. 44 del 2016 e  n.  335
del 2004). In particolare, questa Corte  ha  costantemente  sostenuto
che tale precetto costituzionale «"non impone che il cittadino  possa
conseguire la tutela giurisdizionale sempre nello stesso modo e con i
medesimi effetti [...] purche' non vengano imposti oneri tali  o  non
vengano  prescritte  modalita'  tali   da   rendere   impossibile   o
estremamente  difficile  l'esercizio  del  diritto  di  difesa  o  lo
svolgimento dell'attivita' processuale"» (da ultimo, sentenza  n.  44
del 2016, e, analogamente, sentenze n. 23 del 2015, n. 243 e  n.  157
del 2014). 
    4.1.- Pronunciandosi proprio sul  secondo  periodo  del  comma  2
dell'art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992 e' stato chiarito che l'onere
previsto dalla disciplina de qua non viola l'art. 24 Cost.  (sentenza
n. 17 del 2011; ordinanza n. 43 del 2010). 
    Tale  onere,  di  per  se'   non   eccessivamente   gravoso,   e'
giustificato  dalla  ratio  della  norma,  ravvisabile  -  per   come
delineata da questa Corte - nell'intento di «evitare  il  rischio  di
una erronea attestazione del passaggio in giudicato della sentenza di
primo grado» (sentenza n. 321 del 2009 e ordinanza n. 43  del  2010):
infatti qualora l'appellante abbia liberamente scelto  di  notificare
il ricorso in appello  non  avvalendosi  dell'ufficiale  giudiziario,
«l'unico   deterrente   per   indurre    l'appellante    a    fornire
tempestivamente  alla  segreteria  del  giudice  di  primo  grado  la
documentata  notizia  della  proposizione  dell'appello   stesso   e'
rappresentato dalla sanzione di inammissibilita' prevista dalla norma
denunciata» (sentenza n. 321 del 2009). 
    5.- Tanto premesso, occorre  verificare  la  presunta  disarmonia
costituzionale (con riferimento agli  artt.  3,  24  e  111,  secondo
comma, Cost.)  della  disposizione  censurata  sotto  la  particolare
prospettiva  offerta  dal  giudice   rimettente,   incentrata   sulla
ingiustificata diversita' della disciplina della notifica  effettuata
direttamente   dalla   parte    rispetto    a    quella    effettuata
dall'Amministrazione tramite  il  messo  notificatore  speciale:  pur
essendo, quest'ultimo, organo della  parte  processuale,  non  viene,
infatti, applicata  la  sanzione  dell'inammissibilita'  in  caso  di
inadempimento dell'obbligo di avviso al giudice di primo grado. 
    6.- La questione non e' fondata. 
    6.1.- Le ragioni che giustificano il differente trattamento  sono
ricostruibili sulla base  delle  argomentazioni  poste  a  fondamento
delle precedenti pronunce  di  questa  Corte  aventi  ad  oggetto  la
medesima disposizione anche se sotto un diverso profilo (sentenze  n.
17 del 2011 e n. 321 del 2009; ordinanze n. 141 del 2011 e n. 43  del
2010). 
    Veniva infatti contestata l'irragionevolezza della disparita'  di
trattamento  tra  la  notifica  effettuata  a  mezzo   di   ufficiale
giudiziario e quella effettuata direttamente dalla parte. 
    Al riguardo questa Corte ha  concluso  per  l'infondatezza  delle
questioni sollevate, in quanto la diversita' di disciplina e' legata,
oltre che alla  natura  pubblica  dell'ufficio  cui  e'  affidato  il
compimento dell'atto, allo specifico obbligo  imposto  dall'art.  123
delle disposizioni di  attuazione  del  codice  di  procedura  civile
all'ufficiale giudiziario - in forza dei suoi  doveri  di  ufficio  e
della responsabilita'  disciplinare,  civile  o  penale  in  caso  di
inadempimento  -  di  dare  avviso   scritto   dell'impugnazione   al
cancelliere del giudice che  ha  pronunciato  la  sentenza  impugnata
(sentenze n. 17 del 2011 e n. 321 del 2009). 
    6.2.- La motivazione puo' valere anche per il messo notificatore. 
    Per quest'ultimo il comma 4 dell'art. 16 del d.lgs. 546 del  1992
prevede che, come per l'ufficiale giudiziario,  vi  sia  l'osservanza
delle disposizioni di cui al comma 2 del  medesimo  articolo,  ovvero
l'effettuazione delle notificazioni secondo le norme  del  codice  di
procedura civile. In particolare, la Corte di cassazione ha precisato
che anche per il messo notificatore trova applicazione il citato art.
123 che prescrive di  dare  immediato  avviso  scritto  dell'avvenuta
notificazione dell'appello al cancelliere del giudice che ha reso  la
sentenza  impugnata  (Corte  di  cassazione,  sezione  sesta  civile,
ordinanza 24 ottobre 2014, n. 22639). 
    Pertanto anche il messo notificatore e' obbligato, in  forza  dei
suoi doveri di ufficio e della responsabilita' disciplinare, civile o
penale che sorgerebbe a suo  carico  in  caso  di  inadempimento,  ad
assolvere tale onere. 
    E' cosi'  garantito  che  non  venga  frustrata  la  ratio  della
disciplina, che e' appunto quella di  dare  tempestiva  notizia  alla
segreteria della Commissione tributaria provinciale per  evitare  una
possibile erronea attestazione del  passaggio  in  giudicato  di  una
sentenza (sentenza n. 17 del 2011). 
    6.3.- La sostanziale identificazione delle funzioni svolte, nella
specie, dall'ufficiale giudiziario e dal messo notificatore rende non
fondato il  profilo  della  censura  centrato  sull'appartenenza  del
secondo allo stesso apparato amministrativo finanziario. 
    Per la specifica attivita'  in  questione,  infatti,  quello  che
viene  in   rilievo   non   e'   l'aspetto   strutturale,   e   cioe'
l'incardinamento   nell'apparato   amministrativo,   bensi'    quello
funzionale, che fa del messo un sostituto dell'ufficiale giudiziario,
giustificando cosi' l'identita' di trattamento. 
    6.4.- Piu' in generale, e' la stessa comparazione in se' che  non
e' corretta, attesa la differente natura  delle  parti  del  processo
(amministrazione finanziaria e contribuente) e  la  diversita'  della
relativa disciplina, diversita' che investe  anche  ulteriori  e  non
marginali aspetti (ai sensi del comma 3 dell'art. 16  del  d.lgs.  n.
546 del 1992, ad esempio,  il  contribuente  puo'  avvalersi  di  una
notificazione diretta all'ufficio  del  Ministero  delle  finanze  ed
all'ente locale mediante consegna dell'atto all'impiegato addetto che
ne rilascia ricevuta sulla copia). 
    7.- Non va, peraltro,  dimenticato  -  come  ha  rilevato  ancora
questa Corte - che la decisione di non avvalersi della  notificazione
a mezzo di  ufficiale  giudiziario  e'  rimessa  alla  libera  scelta
dell'appellante  e  quindi,  qualora  quest'ultimo  decida   di   non
avvalersi dell'ufficiale giudiziario per notificare il  proprio  atto
di impugnazione, non puo' non essere consapevole di assumersi l'onere
del deposito (sentenza n. 17 del 2011). 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 53, comma 2, secondo periodo, del  decreto  legislativo  31
dicembre 1992,  n.  546  (Disposizioni  sul  processo  tributario  in
attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge
30 dicembre 1991, n. 413), nel testo  risultante  dopo  le  modifiche
apportate dall'art. 3-bis, comma 7, del  decreto-legge  30  settembre
2005, n. 203 (Misure di contrasto all'evasione fiscale e disposizioni
urgenti  in  materia  tributaria  e  finanziaria),  convertito,   con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005,  n.
248, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111, secondo comma,
della Costituzione, dalla Commissione tributaria regionale del Lazio,
con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 aprile 2016. 
 
                                F.to: 
                      Paolo GROSSI, Presidente 
                    Giancarlo CORAGGIO, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 30 maggio 2016. 
 
                           Il Cancelliere 
                        F.to: Roberto MILANA