N. 122 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 gennaio 2016

Ordinanza del 18 gennaio 2016 della Commissione tributaria  regionale
di Firenze sul ricorso proposto da Prefabbricati Pistoiese srl  conro
Agenzia delle Entrate - Direzione provinciale di Pistoia. 
 
Imposte e tasse - Procedimento di accertamento tributario  -  Obbligo
  dell'Amministrazione  di  attivare  il   contraddittorio   con   il
  contribuente   -   Previsione   nelle   sole   ipotesi    in    cui
  l'Amministrazione abbia effettuato un accesso, un'ispezione  o  una
  verifica nei locali destinati all'esercizio dell'attivita'. 
- Legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in  materia  di  statuto
  dei diritti del contribuente), art. 10 [recte, art. 12], comma 7. 
(GU n.26 del 29-6-2016 )
 
            LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DI FIRENZE 
                              Sezione 1 
 
    Riunita con l'intervento dei signori: 
        Cicala Mario, Presidente e relatore; 
        Moliterni Francesco Paolo, giudice; 
        Pichi Paolo, giudice. 
    Ha  emesso  la  seguente  ordinanza  sull'appello  n.   1587/2015
depositato il 23 giugno 2015. 
    Avverso la sentenza n. 494/2014 Sez. 1 emessa  dalla  Commissione
Tributaria  Provinciale  di  Pistoia  contro  Ag.  Entrate  direzione
provinciale Pistoia. 
    Proposto dall'appellante:  Prefabbricati  Pistoiese  srl,  legale
rappresentante Sanviti Ilaria, via  Catena  di  Masiano  17  -  51100
Pistoia (PT). 
     Difeso da Pratesi Alessandro, via Corrado da Montemagno  59/3  -
51039 Quarrata (PT). 
    Atti impugnati: 
        avviso di accertamento n. T8R030101794/2013 IRES-ALTRO 2008; 
        avviso di accertamento n. T8R030101794/2013 IVA-ALTRO 2008; 
        avviso di accertamento n. T8R030101794/2013 IRAP 2008; 
        avviso di accertamento n. T8R070101868/2013 IRPEF-ALTRO 2008. 
 
                    1587 Svolgimento del processo 
 
    Ilaria  Sanviti   nella   qualita'   di   amministratrice   della
Prefabbricati Pistoiesi  srl  propone  appello  avverso  la  sentenza
494/01/2014 del 27 novembre 2014 con cui  la  Commissione  Tributaria
Provinciale di Pistoia accoglieva solo parzialmente  il  suo  ricorso
avverso avviso di accertamento relativo ai redditi per 2008. 
    L'Agenzia  si  e'  costituita  in  giudizio  proponendo   appello
incidentale. 
 
                       Motivi della decisione 
 
1. Impostazione della problematica. 
    Si osserva  preliminarmente  che  e'  irrilevante  l'affermazione
della Agenzia secondo cui «la societa' e' in concordato  preventivo»;
sia perche' non viene fornito alcun riscontro probatorio; sia perche'
il debitore in regime di  concordato  preventivo  conserva  la  piena
gestione dei suoi beni e dei suoi rapporti giuridici anche tributari;
con   l'obbligo   solo   di   orientarli   alla   funzionalita'   del
soddisfacimento dei creditori, obbiettivo  del  resto  esistente  nel
caso  di  specie,  posto  che  il   debito   tributario   inciderebbe
negativamente sugli altri creditori. 
    Passando al merito della causa, appare pregiudiziale la questione
sollevata con il  quarto  e  quinto  motivo  di  appello  (violazione
dell'art. 12, 7° comma dello Statuto del Contribuente,  e  violazione
del contraddittorio endoprocedimentale). 
    Si tratta di tesi gia' dedotta con il  ricorso  introduttivo  del
processo  e  respinta  dalla  sentenza  impugnata,  in  forza   della
considerazione  (ampiamente  condivisa  nella  giurisprudenza   della
Cassazione) secondo cui la norma citata  non  si  applicherebbe  alle
verifiche  «a  tavolino»,  ma  solo  alle  verifiche  conseguenti  ad
accessi, ispezioni e verifiche. E nel caso di  specie  l'accertamento
si  fondava  tra  l'altro  sulle  risultanze  di  26   contratti   di
compravendita stipulati dalla societa' ed in  cui  venivano  indicati
valori ritenuti non congrui dalla Amministrazione. 
    La decisione del punto coinvolge una questione assai controversa.
Cioe' la problematica relativa alla sussistenza o meno di un generale
obbligo per la Amministrazione di instaurare contraddittorio  con  il
contribuente prima di emettere un  atto  di  accertamento,  cioe'  di
formulare una pretesa tributaria non fondata sulle mere dichiarazioni
del contribuente, bensi' sulla affermazione di dati non  forniti  dal
contribuente stesso. Questione di grande rilievo ove si deduca che la
violazione del «diritto al  contraddittorio»  determina  la  nullita'
dell'atto impositivo. 
    Come  noto,  il  contraddittorio   amministrativo-tributario   e'
previsto in numerose norme specifiche che prevedono (esplicitamente o
implicitamente) la nullita' all'accertamento  emesso  in  difetto  di
tale contraddittorio. 
    Le disposizioni cui si  accenna  costituiscono  un  quadro  assai
eterogeneo  e  variegato,  in  cui  per  l'ampiezza  dell'ambito   di
applicazione spicca l'art. 12, comma 7, della legge 27  luglio  2000,
n. 212, qui richiamato dalla parte privata. Ed in base alla  sentenza
n. 18184 del 29 luglio 2013 delle Sezioni Unite, la norma deve essere
interpretata nel senso che l'inosservanza del  termine  dilatorio  di
sessanta  giorni  per  l'emanazione  dell'avviso  di  accertamento  -
termine decorrente dal rilascio al contribuente,  nei  cui  confronti
sia stato effettuato un accesso,  un'ispezione  o  una  verifica  nei
locali  destinati  all'esercizio  dell'attivita',  della  copia   del
processo verbale di chiusura delle operazioni - determina di per se',
salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, la  illegittimita'
dell'atto impositivo emesso ante tempus,  poiche'  detto  termine  e'
posto  a  garanzia  del   pieno   dispiegarsi   del   contraddittorio
procedimentale,  il:quale  costituisce   primaria   espressione   dei
principi, di derivazione costituzionale, di  collaborazione  e  buona
fede tra amministrazione e contribuente ed e' diretto al  migliore  e
piu' efficace esercizio della potesta' impositiva. 
    La norma - pur di ampia applicazione - prevede pero'  un  diritto
al contraddittorio a favore solo del contribuente «nei cui  confronti
sia stato effettuato un accesso,  un'ispezione  o  una  verifica  nei
locali destinati all'esercizio dell'attivita'». E cio' suscita,  come
ovvio, una problematica di razionalita'  se  le  ipotesi  in  cui  il
contraddittorio e' prescritto vengono poste  a  confronto  con  altre
simili in cui il contraddittorio  non  e'  imposto.  Con  conseguenti
dubbi di costituzionalita' del  sistema  (questione  sollevata  dalla
sezione quinta della Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 24739 del
5 novembre 2013). 
2. Il contraddittorio amministrativo. 
    Tutti  questi  dubbi  sarebbero  stati  superati  ove  si   fosse
affermata la sussistenza nel  nostro  ordinamento  di  un  «principio
generale del contraddittorio» applicabile anche al di fuori dei  casi
in cui  il  contraddittorio  (e  la  conseguente  nullita'  dell'atto
emanato in violazione) sono ricavabili dalle specifiche disposizioni.
In simile ipotesi, infatti sarebbe venuta  meno  ogni  disparita'  di
trattamento fra casi analoghi, essendo comunque e sempre obbligatorio
il contraddittorio amministrativo. 
    In questo senso sembrava si fossero  espresse  le  Sezioni  Unite
della Corte di Cassazione con le sentenze 19667 e 19668/2014  secondo
cui  «la  pretesa  tributaria  trova  legittimita'  nella  formazione
procedimentalizzata  di  una  «decisione  partecipata»  Mediante   la
promozione del contraddittorio (che sostanzia il principio  di  leale
collaborazione) tra  amministrazione  e  contribuente  (anche)  nella
«fase precontenziosa» o  «endoprocedimentale»,  al  cui  ordinato  ed
efficace  sviluppo  e'  funzionale  il   rispetto   dell'obbligo   di
comunicazione degli atti imponibili. Il diritto  al  contraddittorio,
ossia il diritto del destinatario del provvedimento ad essere sentito
prima dell'emanazione di questo, realizza l'inalienabile  diritto  di
difesa del cittadino,  presidiato  dall'art.  24  Cost.,  e  il  buon
andamento dell'amministrazione, presidiato dall'art. 97 Cost.» 
    A sua volta, la legge 23/2014, aveva previsto l'introduzione  del
principio  invitando  il  legislatore  delegato  a   «rafforzare   il
contraddittorio nella  fase  di  indagine  e  la  subordinazione  dei
successivi atti di accertamento e di liquidazione all'esaurimento del
contraddittorio procedimentale»  (art.  9  primo  comma  lettera  b).
Mentre l'Agenzia delle Entrate (Circolare n. 25/E del 6 agosto 2014 -
Dir.  Centrale  Accertamento  avente  ad   oggetto   Accertamento   -
Prevenzione  e  contrasto  dell'evasione  -  Anno  2014  -  Indirizzi
operativi), ha sottolineato»  la  centralita'  del  rapporto  con  il
contribuente che, nell'ambito dell'attivita' di controllo, si declina
attraverso  la  partecipazione  del  cittadino  al  procedimento   di
accertamento mediante il contraddittorio, sia nella fase  istruttoria
sia nell'ambito degli istituti definitori della pretesa tributaria». 
    Questo orientamento sembrava, infine, aver trovato  una  sanzione
nella sentenza 132/2015 della Corte costituzionale che ha  dichiarato
inammissibile la questione sollevata dalla sezione quinta della Corte
di Cassazione con la gia' citata ordinanza n. 24739  del  5  novembre
2013. La Cassazione aveva ipotizzato una violazione dell'art. 3 della
Costituzione in quanto l'art. 37-bis, comma 4, decreto del Presidente
della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600  (sull'abuso  di  diritto)
prevede(va) il contraddittorio amministrativo solo nelle  fattispecie
specificamente indicate dallo stesso art. 37-bis e non  in  tutte  le
altre ipotesi di abuso enucleate dalla giurisprudenza. A  sua  volta,
la  Corte  costituzionale  ha  ritenuto  la  non  sussistenza   della
disparita' di trattamento in quanto, «secondo la giurisprudenza delle
Sezioni Unite della Cassazione nel nostro diritto vige  il  principio
generale del contradditorio, che trova applicazione anche ove non sia
enunciato dalle specifiche disposizioni di legge. E quindi, non vi e'
disparita' di trattamento fra i casi  in  cui  il  contradittorio  e'
previsto da una puntuale  disposizione  di  legge  e  quelli  in  cui
difetta simile specifica previsione». 
3. La sentenza delle Sezioni Unite n. 24823 del 9 dicembre 2015. 
    In una valutazione del «diritto vivente» sul punto in discussione
si deve oggi riconoscere un ruolo determinante alla sentenza n. 24823
del 9 dicembre 2015, con cui le Sezioni Unite della Cassazione  hanno
esercitato  con   la   massima   autorevolezze   e   completezza   di
argomentazioni la loro funzione di nomofilachia. 
    La pronuncia in questione chiarisce ed afferma che  a  differenza
dal diritto dell'Unione europea, il  diritto  nazionale,  allo  stato
della legislazione, non pone in capo all'Amministrazione fiscale  che
si accinga ad  adottare  un  provvedimento  lesivo  dei  diritti  del
contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un  generalizzato
obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante,  in  caso
di violazione, l'invalidita' dell'atto. Ne consegue che, in  tema  di
tributi «non armonizzati» (quali  appunti  l'IRES  e  l'IRAP  qui  in
discussione),   l'obbligo   dell'Amministrazione   di   attivare   il
contraddittorio  endoprocedimentale,  pena  l'invalidita'  dell'atto,
sussiste esclusivamente in  relazione  alle  ipotesi,  per  le  quali
siffatto obbligo risulti specificamente  sancito.  Si  puo'  poi  per
completezza ricordare che secondo la sentenza 24823/15 anche in  tema
di tributi «armonizzati»  (quali  l'IVA),  avendo  luogo  la  diretta
applicazione del diritto dell'Unione, la violazione dell'obbligo  del
contraddittorio  endoprocedimentale  da  parte   dell'Amministrazione
comporta l'invalidita' dell'atto, solo quando il contribuente assolva
l'onere di enunciare in concreto le ragioni che  avrebbe  potuto  far
valere,  qualora  il  contraddittorio  fosse  stato   tempestivamente
attivato,  e  che  l'opposizione  di  dette  ragioni  (valutate   con
riferimento al momento del mancato contraddittorio),  si  riveli  non
puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione  al  canone
generale di correttezza e buona  fede  ed  al  principio  di  lealta'
processuale,  sviamento  dello  strumento  difensivo  rispetto   alla
finalita' di corretta tutela dell'interesse sostanziale, per le quali
e' stato predisposto. 
4. La questione di legittimita' costituzionale: diritto di  difesa  e
parita' delle parti. 
    Per valutare la situazione di diritto  sopra  delineata,  occorre
considerare  che  il  processo  tributario  si  caratterizza  per  la
sostanziale assenza di una fase istruttoria o di raccolta delle prove
da parte di un giudice terzo, o comunque in cotraddittorio. Ancorche'
l'art. 7 del decreto legislativo 546/1992 al suo primo  comma  reciti
«le commissioni tributarie, ai fini istruttori e nei limiti dei fatti
dedotti dalle parti, esercitano tutte  le  facolta'  di  accesso,  di
richiesta di dati,  di  informazioni  e  chiarimenti  conferite  agli
uffici tributari ed all'ente locale da ciascuna legge d'imposta».  Ed
al secondo comma soggiunga che  «le  commissioni  tributarie,  quando
occorre acquisire elementi conoscitivi di  particolare  complessita',
possono   richiedere   apposite   relazioni   ad    organi    tecnici
dell'amministrazione dello Stato o di altri enti pubblici compreso il
Corpo a della Guardia di finanza, ovvero disporre consulenza tecnica»
Ragioni dovute alla formazione strutturale delle Commissioni composte
da magistrati part time inducono i giudici a pervenire alla decisione
con celerita', senza indulgere ad indagini ulteriori e da essi stessi
gestite. 
    Di fatto, l'istruttoria fiscale e' affidata quasi  esclusivamente
alla Amministrazione che - ad esempio -  raccoglie  dichiarazioni  di
persone informate dei fatti. Dichiarazioni che possono  compromettere
l'esito del processo anche se, si suole ripetere che  non  sono  vere
testimonianze, ossia prove, ma solo indizi. 
    Il dispositivo che  conclude  il  processo  tributario  e'  assai
spesso determinato da indizi e quindi la distinzione  fra  indizio  e
prova sfuma, diviene quasi impercettibile;  in  un  processo  in  cui
l'esito sfavorevole al privato  puo'  essere  determinato  dal  «piu'
probabile che non» e non occorre  certo  il  superamento,  necessario
invece nel processo penale, di «ogni ragionevole dubbio». 
    Di  conseguenza,  gli  «indizi»  raccolti  dalla  Amministrazione
svolgono un ruolo decisivo e  producono  effetti  identici  a  quelli
propri di una istruttoria giudiziaria. 
    Posto che non e' possibile, e neppure forse  auspicabile,  che  i
giudici tributari si facciano ricercatori o anche solo percettori  di
prove, ed acquisiscano sistematicamente  indizi  in  contraddittorio,
determinando  una  dilatazione  dei  tempi   incompatibile   con   la
ragionevole  durata  del  contenzioso,  appare  necessario   che   il
contribuente abbia voce, sia  presente  anche  in  quella  fase,  pur
qualificabile come «amministrativa», in cui  si  forma  il  materiale
probatorio su cui poggera' un giudizio spesso  pronunciato  dopo  una
breve discussione orale. 
    Del resto, anche nella  ipotesi  invero  poco  frequente  che  il
giudice utilizzi a fondo i poteri riconosciutigli dal citato  art.  7
della  legge  processuale,  permane  comunque  la   circostanza   che
l'indagine giudiziaria si affianca  (e  non  sostituisce)  l'indagine
amministrativa, che gli esiti dell'accertamento amministrativo  hanno
un'efficacia probatoria identica a quella dell'accertamento  disposto
dal giudice. 
    Il contraddittorio amministrativo  appare  dunque  strumentale  a
garantire il diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost., ed  altresi'
che le parti processuali  si  collochino,  su  un  piano  se  non  di
compiuta parita' almeno «in condizioni di parita'» di  guisa  che  il
processo  risulti  «giusto»,  come   prescrive   l'art.   111   della
Costituzione; che si  ispira  all'art.  6  della  Carta  Europea  dei
Diritti dell'Uomo recepita dall'art. 9  della  Costituzione  Europea;
secondo  cui  «l'Unione  aderisce   alla   Convenzione   europea   di
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali»  (e
quindi il citato art. 6 e' posto sotto lo «scudo» degli articoli 11 e
117, 1° comma Cost.). E appare ovvio che non e' ne' giusto  ne'  equo
un processo in cui  le  parti  non  siano  poste  «in  condizione  di
parita'». 
5.  La  questione  di  legittimita'  costituzionale:  la  nozione  di
procedimento nell'art. 24 Cost. 
    Del  resto,  la  Corte  costituzionale  ha  in  passato,  con  un
importante complesso di sentenze, imposto alla recalcitrante Corte di
Cassazione di applicare le garanzie previste dagli  articoli  304-bis
ter e quater introdotti nel codice di procedura penale «Rocco» con la
legge 18 giugno 1955, n. 517,  anche  agli  atti  di  indagine  della
polizia giudiziaria in considerazione del fatto  che  essi  entravano
nel processo penale con valore analogo a quello degli atti istruttori
raccolti dal giudice. 
    E' una considerazione che - a  maggior  ragione  -  vale  per  il
processo tributario ove e' addirittura escluso che il  giudice  possa
procedere ad una attivita' di acquisizione diretta (o quanto meno con
la  partecipazione  delle  parti)  delle  dichiarazioni  di   persone
informate; e quindi il giudice conosce delle dichiarazioni di costoro
solo attraverso i verbali degli accertatori tributari. 
    Afferma infatti la giurisprudenza che «la disposizione  contenuta
nell'art. 7, 4° comma, decreto legislativo 31 dicembre 1992  n.  546,
secondo cui nel processo tributario non sono ammessi il giuramento  e
la prova testimoniale, limita i poteri del giudice tributario ma  non
pure i poteri degli organi di verifica,  e  pertanto  la  limitazione
vale solo per la diretta assunzione, da  parte  del  giudice  stesso,
della narrazione dei fatti della controversia compiuta da  un  terzo,
cioe'  per  quella  narrazione  che,   in   quanto   richiedente   la
formulazione di specifici capitoli e la prestazione di un  giuramento
da parte del terzo  assunto  quale  teste,  acquista  un  particolare
valore probatorio, mentre le dichiarazioni  dei  terzi,  raccolte  da
verificatori o  finanzieri  e  inserite,  anche  per  riassunto,  nel
processo verbale di constatazione, hanno natura di mere  informazioni
acquisite nell'ambito  di  indagini  amministrative  e  sono  percio'
pienamente utilizzabili quali elementi di convincimento» (Cass. civ.,
sez. trib., 16 luglio 2014, n. 16223;  Cass.  civ.,  sez.  trib.,  07
febbraio 2013, n. 2916. Cass. civ., sez. trib., 30 settembre 2011, n.
20032). La sancita  impossibilita'  che  le  persone  «informate  dei
fatti» siano udite nell'ambito della  procedura  contenziosa  con  le
garanzie del contraddittorio, rende  necessaria  una  garanzia  nella
fase amministrativa in cui le dichiarazioni di  queste  persone  sono
raccolte e documentate. Questa garanzia potrebbe essere limitata alla
applicazione del meccanismo di cui al 7°  comma  dell'art.  12  dello
Statuto del contribuente (deposito del verbale e termine di 60 giorni
accordato al contribuente per sue eventuali  istanze).  Ma  deve  pur
sussistere. 
    Il contribuente  verrebbe  cosi'  posto,  sempre  per  proseguire
nell'esempio  formulato,  nella  possibilita'   di   evidenziare   le
contraddizioni o dubbi sulle dichiarazioni del  teste  sollecitandone
una  nuova  audizione.  E  l'omessa  od   illogica   risposta   della
Amministrazione vizierebbe l'atto impositivo. Ne' appare  sufficiente
a  bilanciare   gli   inconvenienti   evidenziati   la   possibilita'
riconosciutagli dalla giurisprudenza maggioritaria di «introdurre  in
giudizio dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale, con il
valore probatorio proprio degli elementi indiziari, compete non  solo
all'Amministrazione  finanziaria,  che   tali   dichiarazioni   abbia
raccolto nel corso d'indagine amministrativa, ma,  altresi',  con  il
medesimo valore probatorio, al contribuente». E' infatti evidente che
queste dichiarazioni  raccolte  privatamente  non  costituiscono  una
forma di adeguato contraddittorio anche quando le dichiarazioni siano
raccolte  (ma  con  quale  autorita'  ed  autorevolezza?)  attraverso
l'esame dei medesimi soggetti ascoltati dal Pubblico Ufficio. 
    Si adatta cioe' alle questioni in esame quanto affermato - fra le
tante - nella sentenza della Corte costituzionale  149/1969,  secondo
cui «se al termine "procedimento", a cui,  nel  garantire  la  difesa
come  diritto   inviolabile,   fa   riferimento   l'art.   24   della
Costituzione, si desse un significato  restrittivo,  con  conseguente
esclusione di tutte le attivita' poste in  essere  al  di  fuori  del
normale  intervento  del   giudice,   il   principio   costituzionale
perderebbe gran parte della sua effettivita'». Cio' ovviamente con il
limite secondo cui «la nozione "procedimento" non puo'  dilatarsi  al
di la' dei confini necessari e sufficienti a  garantire  a  tutti  il
diritto di difesa. E poiche'  in  concreto  questo  non  puo'  essere
operante prima che un soggetto risulti  indiziato  del  reato,  e'  a
partire da questo momento che devono entrare in funzione i meccanismi
normativi idonei a garantire almeno  un  minimo  di  contraddittorio,
assistenza  e  difesa».  Per  rendere  calzante   la   citazione   e'
sufficiente sostituire al concetto di «indiziato di reato» quello  di
«soggetto nei cui confronti la Amministrazione prospetta la emissione
di un atto di accertamento». 
    Tutto cio' evidenzia la non manifesta infondatezza del dubbio  di
illegittimita' costituzionale che investe il 7°  comma  dell'art.  10
della legge 27 luglio 2000, n. 212, nella parte in cui  riconosce  al
contribuente il diritto a ricevere  copia  del  verbale  con  cui  si
concludano  le  operazioni  di  accertamento  (ad  esempio   compiute
mediante acquisizione di dati bancari, o accesso nei  locali  non  di
pertinenza del contribuente stesso) e di disporre di un termine di 60
giorni per eventuali controdeduzioni, alle sole  ipotesi  in  cui  la
Amministrazione abbia «effettuato  un  accesso,  un'ispezione  o  una
verifica nei  locali  destinati  all'esercizio  dell'attivita'»  del,
contribuente. 
    E tale quesito e' indubbiamente rilevante  in  quanto,  in  forza
della  sentenza  24823/15  il  principio  del  contraddittorio  trova
applicazione, e  solo  secondo  le  modalita'  indicate  dal  diritto
europeo esclusivamente alla parte dell'accertamento relativo all'IVA,
mentre  non   puo'   essere   utilmente   invocato   per   la   parte
dell'accertamento relativo alle  imposte  dirette  (IRAP,  IRES);  in
questo  senso  anche  la  sentenza  della  sezione  tributaria  della
Cassazione  n.  26117  del  30  dicembre  2015  secondo  cui  ove  un
accertamento tributario riguardi - come nel caso di specie - per  una
parte tributi «non armonizzati» (IRES e IRAP),  per  l'altra  tributi
«armonizzati»  (IVA);  e   il   contribuente   deduca   la   nullita'
dell'accertamento stesso in  quanto  non  gli  e'  stata  offerta  la
possibilita' di interloquire in sede  amministrativa,  il  motivo  e'
infondato con riferimento ai tributi  «non  armonizzati»  perche'  le
garanzie fissate dall'art.  12,  comma  7,  I.  n.  212/2000  trovano
applicazione   esclusivamente   in   relazione   agli    accertamenti
conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate  nei
locali ove si esercita l'attivita'  imprenditoriale  o  professionale
del contribuente (mentre per quanto riguarda i tributi  «armonizzati»
il motivo - in astratto fondato  -  era  pero'  nel  caso  di  specie
inammissibile, in quanto il ricorrente, non aveva dedotto  se  ed  in
quale precedente sede processuale avesse specificatamente indicato le
ragioni che avrebbe potuto  far  valere  qualora  il  contraddittorio
fosse stato tempestivamente attivato). 
6. Ulteriori profili di incostituzionalita'. 
    Il particolare regime delle operazioni di accertamento a  seguito
di accesso, ispezione o verifica nei locali  destinati  all'esercizio
dell'attivita'  del  contribuente  appare  infine   irragionevolmente
discriminatorio in relazione a quei contribuenti che non hanno subito
accesso o verifica nei locali. 
    Alcuni hanno diritto al contraddittorio altri no in relazione  al
fatto -in se' non pertinente - di aver subito una ispezione.  Ne'  e'
del  tutto  persuasiva  la  contro  obbiezione:  «ma  se  c'e'  stata
l'ispezione vi e', o puo' essere, l'acquisizione di dati e  documenti
non forniti dal contribuente stesso; mentre  se  i  dati  sono  stati
forniti dal contribuente in fondo c'e' una sorta  di  contraddittorio
preventivo». 
    L'osservazione non copre infatti la gamma intera delle  possibili
circostanze di fatto. Se viene redatto un accertamento a carico di un
soggetto in base a documenti di pertinenza di un altro  imprenditore,
reperiti in un  accesso  nella  azienda  di  quest'ultimo,  il  primo
contribuente nulla sa (rectius potrebbe sapere)  e  si  vede  piovere
addosso magari all'improvviso un accertamento esecutivo.  E  qualcosa
di simile accade ove un accertamento  venga  emanato  sulla  base  di
documenti  forniti  da  terzi  (cosi  come  accaduto  per  la  «lista
Falciani»);  o  di  dati  bancari  ricavati  da   un   conto   neppur
direttamente riconducibile al contribuente, ma di pertinenza di altro
soggetto (come il coniuge) che si ipotizzi a lui collegato. 
    Nel caso di specie, ad esempio, sono stati utilizzati  dal  Fisco
anche  dati  ricavati  dai  contratti  di   mutuo   stipulati   dagli
acquirenti, dati non necessariamente noti al venditore. 
    Con  una  diversita'  di  disciplina,  che  appare  sospetta   di
incostituzionalita'  alla  luce  dell'art.  3  della  Costituzione  e
dell'art.  53  Cost.  (in  quanto  la  capacita'  contributiva  viene
accertata con strumenti differenti  scelti  in  base  a  criteri  non
razionali). 
 
                              P. Q. M. 
 
    La Commissione, vista la legge 11 marzo 1953,  n.  87,  art.  23,
dichiara rilevante e non  manifestamente  infondata,  in  riferimento
agli articoli 3, 24, 53, 111, 117 Cost., la questione di legittimita'
costituzionale del 7° comma dell'art. 10 della legge 27 luglio  2000,
n. 212, nella parte in cui riconosce al  contribuente  il  diritto  a
ricevere copia del verbale con cui si  concludano  le  operazioni  di
accertamento e di disporre di un termine di 60 giorni  per  eventuali
controdeduzioni, nelle sole ipotesi in cui la  Amministrazione  abbia
«effettuato un  accesso,  un'ispezione  o  una  verifica  nei  locali
destinati all'esercizio dell'attivita'» del contribuente; 
    Ordina  la  immediata  trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale; 
    Ordina alla segreteria che la presente ordinanza  sia  notificata
alle parti e al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata al
presidente del Senato della Repubblica ed al presidente della  Camera
dei deputati. 
 
    Cosi' deciso in Firenze nella Camera  di  consiglio  della  prima
sezione, il 21 dicembre 2015. 
 
                  Il Presidente e relatore: Cicala