N. 125 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 maggio 2016
Ordinanza del 2 maggio 2016 del Magistrato di sorveglianza di Padova nel procedimento di sorveglianza nei confronti di H. E. . Ordinamento penitenziario - Rimedi risarcitori conseguenti alla violazione dell'art. 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali - Legittimazione dell'internato (nella specie, sottoposto alla misura di sicurezza detentiva della casa di lavoro) a proporre la relativa istanza - Mancata previsione - Mancata previsione, altresi', nel caso di accertata violazione dell'art. 3 della CEDU per un periodo non inferiore a 15 giorni, della riduzione della durata della misura di sicurezza detentiva e/o del ristoro pecuniario a titolo di rimedio risarcitorio. - Legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'), art. 35-ter, introdotto dall'art. 1 del decreto-legge 26 giugno 2014, n. 92 (Disposizioni urgenti in materia di rimedi risarcitori in favore dei detenuti e degli internati che hanno subito un trattamento in violazione dell'articolo 3 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, nonche' di modifiche al codice di procedura penale e alle disposizioni di attuazione, all'ordinamento del Corpo di polizia penitenziaria e all'ordinamento penitenziario, anche minorile), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 117.(GU n.26 del 29-6-2016 )
UFFICIO DI SORVEGLIANZA DI PADOVA IL MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA Visto il reclamo, avanzato da H. E., nato il ... a Genova, internato presso la Casa di reclusione di Padova, in quanto sottoposto alla misura di sicurezza della Casa Lavoro (fine misura 10 febbraio 2017); Sentite le conclusioni del Pubblico ministero e della difesa, all'esito della procedura prevista dall'art. 35-ter o.p., quale introdotto dall'art. 3 del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 146, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 10 e dall'art. 1 del decreto-legge 26 giugno 2014 n. 92, convertito in legge 11 agosto 2014, n. 117, ed a scioglimento della riserva assunta all'udienza del 3 marzo 2016, ha emesso la seguente ordinanza. Con reclamo pervenuto all'Ufficio in data 24 ottobre 2014 H. avanzava reclamo ai sensi dell'art. 35-ter o.p., quale detenuto in esecuzione del provvedimento di cumulo della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Udine del 26 febbraio 2014, (inizio pena: 25 febbraio 2014, fine pena: 11 dicembre 2014). Nelle more del procedimento, in data 12 dicembre 2014, riprendeva a decorrere la misura di sicurezza della casa lavoro applicata con ordinanza del Magistrato di sorveglianza di Udine del 29 settembre 2011, misura iniziata in data 8 dicembre 2011 (1) e sospesa dal 25 febbraio 2014 all'11 dicembre 2014 ai sensi dell'art. 212 del codice penale per espiazione del titolo detentivo citato. H. insiste comunque nell'istanza ai sensi dell'art. 35-ter o.p., quale internato, per la violazione dell'art. 3 Conv. Eur. Dir. Uomo, asserendo di aver subito, dal 13 gennaio 2007 una restrizione dello spazio disponibile al di sotto dei 3 mq avendo dovuto condividere la cella con altri internati e formula esclusiva richiesta di risarcimento del danno per la violazione dei diritti subiti durante i periodi espiati come internato e nei sotto elencati istituti di Pena e Case lavoro, cosi' essendo stata riformulata la domanda da parte della difesa: 1) dal 13 gennaio 2007 al 29 maggio 2007 presso la Colonia agricola di Isili (CA); 2) dal 29 maggio 2007 al 1° dicembre 2007, dal 9 dicembre 2009 al 26 aprile 2010 e dal 9 dicembre 2011 al 2 febbraio 2013 presso la Casa lavoro di Sulmona; 3) dal 19 dicembre 2007 al 23 dicembre 2008 e dal 31 dicembre 2008 al 5 agosto 2009 presso la Casa lavoro di Castelfranco Emilia; 4) dal 3 febbraio 2013 al 24 febbraio 2014 e dal 12 dicembre 2014 ad oggi presso la Casa lavoro di Padova. In via subordinata alla richiesta risarcitoria la difesa chiede che il Magistrato di sorveglianza sollevi questione di legittimita' costituzionale dell'art. 35-ter o.p. per violazione degli articoli 3, 24 e 25 e 117 della Costituzione, in relazione agli articoli 6 e 13 CEDU, stante l'ammissibilita' e la rilevanza della questione stessa. In via preliminare deve essere dichiarata l'inammissibilita' sopravvenuta del reclamo per i periodi di pena espiata e relativa al titolo detentivo in esecuzione al momento della proposizione della domanda, vale a dire il provvedimento di cumulo della Procura della Repubblica presso il Tribunale di' Udine del 26 febbraio 2014 nonche' l'inammissibilita' originaria del reclamo per i periodi di detenzione antecedenti al 24 febbraio 2014, in quanto non afferenti all'ultimo provvedimento di cumulo citato. Deve altresi' essere dichiarata l'inammissibilita' del reclamo in relazione ai periodi di internamento trascorsi precedentemente all'8 dicembre 2011, poiche' relativi a misure di sicurezza gia' cessate e derivanti da altri titoli. Deve pertanto procedersi all'esame dell'ammissibilita' della richiesta di risarcimento del danno esclusivamente per il periodo di internamento decorrente dal 9 dicembre 2011 al 24 febbraio 2014 e dal 12 dicembre 2014 ad oggi, posto che dall'istruttoria espletata e' stata raggiunta la prova della violazione dell'art. 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali per i periodi dal 2 febbraio 2013 al 7 marzo 2013 (pari a gg. 34 durante l'internamento presso la Casa di reclusione di Padova) e per 98 giorni durante l'internamento presso la Casa di reclusione di Sulmona, essendo H. stato allocato in celle con uno spazio disponibile pro capite, inferiore a 3 mq, al netto del bagno e dei mobili inamovibili per totali gg. 132. Di qui la rilevanza in fatto della questione. Invero l'art. 35-ter, o.p., sebbene rubricato «rimedi risarcitoti conseguenti alla violazione dell'art. 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali nei confronti dei soggetti detenuti ed internati», tuttavia al comma 1, nella sua formulazione letterale, esclude l'internato tra i soggetti legittimati alla proposizione dell'istanza, potendo quest'ultima essere presentata dal detenuto (e quindi dal soggetto sottoposto a pena detentiva non a misura di sicurezza detentiva), personalmente ovvero a mezzo di procuratore speciale. Si impone pertanto un ulteriore vaglio preliminare di ammissibilita' dell'istanza alla luce di un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 35-ter o.p., interpretazione in base alla quale poter estendere tale tutela giurisdizionale anche all'internato, trattandosi di una sorta di «svista del legislatore», come sostenuto in via principale dalla difesa. Ritiene la scrivente che l'esegesi del testo non possa condurre a tale conclusione. Se da un lato non e' contestabile che l'ordinamento penitenziario conceda pari dignita' alle due categorie del detenuto e dell'internato, sotto il profilo del diritto al trattamento, delle spese per il mantenimento, delle condizioni di vita, del diritto alla salute, dei locali di soggiorno e pernottamento, del diritto al lavoro ed all'istruzione (art. 1-14 o.p.), tuttavia appare evidente come lo stesso art. 35-ter o.p., abbia individuato quale unico soggetto legittimato il detenuto e cio' e' stato fatto in particolare sia al comma primo, nella parte in cui sono stati individuati i potenziali reclamanti innanzi alla magistratura di sorveglianza sia al comma terzo nella parte in cui sono stati specificati i legittimati ad esperire l'azione civile innanzi al tribunale distrettuale. In entrambi i casi deve trattarsi di soggetti che stanno espiando una pena detentiva o che l'hanno gia' espiata. Inoltre il comma terzo dell'art. 35-ter o.p. fissa un termine di decadenza di sei mesi per la proposizione dell'azione civile al Tribunale distrettuale, termine che decorre dalla cessazione dello stato di detenzione o della custodia cautelare in carcere. Tale interpretazione e' confermata altresi' dal fatto che, ove sia stata accertata la violazione dell'art. 3 CEDU, il ristoro e' rappresentato da una «riduzione della pena detentiva ancora da espiare» e, solo in via residuale, nel caso di pena incapiente, vale a dire inferiore ai giorni di riduzione di pena cui il soggetto ha diritto a titolo di ristoro - nella misura di 1/10 dei giorni in cui ha subito il pregiudizio - da una liquidazione di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno quantificata in € 8 per ogni giorno in cui il reclamante ha subito il pregiudizio. Trattasi di una norma di stretta interpretazione letterale che non consente un'applicazione analogica. La domanda principale pertanto deve essere dichiarata inammissibile. Ritiene questo giudice remittente non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale della norma di cui all'art. 35-ter o.p. nella parte in cui non prevede un rimedio compensativo effettivo nei confronti dell'internato nei casi in cui si sia accertata la violazione dell'art. 3 CEDU, per violazione degli artt. 3, 24, 25 e 117, comma 1 Cost. La questione appare rilevante posto che nel caso concreto il magistrato di sorveglianza, adito dall'internato ai sensi dell'art. 35-ter o.p., si trova nell'impossibilita' di concedere sia una riduzione di pena, trattandosi di misura di sicurezza - peraltro senza termine massimo di durata - sia un ristoro economico dovendo, si ripete, lo stesso, presupporre l'incapienza della pena da espiare. Invero l'internato, quale soggetto sottoposto alla misura di sicurezza detentiva della casa lavoro, fattispecie quest'ultima non soggetta ad un termine massimo di durata (con l'eccezione introdotta per le sole misure di sicurezza psichiatriche detentive ai sensi dell'art. 1, comma 1-quater, decreto-legge 31 marzo 2014, n. 51, convertito in legge n. 81/2014) (2) non otterrebbe alcun ristoro dalla riduzione della sua durata disposta ai sensi dell'art. 35-ter o.p. potendo il magistrato di sorveglianza procedere ad una proroga della misura di sicurezza nell'ambito dello speciale procedimento di riesame di pericolosita' sociale previsto dall'art. 208 c.p., norma attualmente in vigore e da ritenersi non abrogata implicitamente, procedura che rende in concreto ineffettiva anche la tutela risarcitoria. In primis appare evidente la violazione dell'art. 3 Cost. dal punto di vista soggettivo, stante l'evidente disparita' di trattamento tra detenuto ed internato, in relazione all'art. 35-ter o.p., sia dal punto di vista oggettivo. Sotto il primo profilo rileva l'impossibilita'. da parte dell'internato di azionare il rimedio giurisdizionale di cui all'art. 35-ter o.p., laddove invece tale facolta' e' espressamente riconosciuta al detenuto, potendo invece l'internato esperire tutti gli altri rimedi previsti dagli articoli 14-ter, 35-bis e 69, comma 6, o.p. Sotto il profilo oggettivo emerge un chiaro contrasto tra l'art 35-ter o.p. e l'art. 1, comma 2, decreto-legge 26 giugno 2014, convertito in legge 11 agosto 2014, n. 117. Tale ultima disposizione, di natura transitoria, ha regolato il regime della proponibilita' dei ricorsi ex art. 35-ter con quelli gia' pendenti alla Corte europea dei diritti dell'uomo per violazione dell'art. 3 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali presentati dai detenuti e dagli internati. Il comma 2 dell'art. 1 del decreto-legge 92/2014 ha precisato che i ricorrenti CEDU, siano essi detenuti o internati, possono proporre il reclamo ai sensi dell'art. 35-ter o.p. innanzi al giudice nazionale entro il termine di decadenza di sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto-legge 92/2014 citato purche' entro il predetto termine non sia intervenuta una pronuncia della Corte sulla ricevibilita' del ricorso stesso. La discrasia del sistema emerge quindi non solo dalla disparita' di trattamento tra detenuti ed internati, da un lato, ma anche all'interno degli stessi internati, ricorrenti Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e non, potendo solo i primi e non i secondi presentare reclamo ex art 35-ter o.p. alle condizioni prima precisate (rispetto del termine di decadenza e mancata pronuncia della Corte europea dei diritti dell'uomo sulla ricevibilita' del reclamo). Appare altresi' violato il principio costituzionale della necessaria tutela giurisdizionale dei diritti ed interessi legittimi previsto dall'art. 24 Cost. poiche' per gli internati non ricorrenti Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali non e' previsto uno specifico rimedio compensativo nel caso di violazione - attuale e non - dell'art. 3 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali subita in costanza di misura di sicurezza detentiva. Invero, come l'ergastolano, anche l'internato non gode di una pena residua da espiare, non potendosi in nessun modo in tal senso intendere la scadenza della misura di sicurezza, di per se' soggetta al buon esito del riesame periodico sull'attualita' della pericolosita' sociale. Di qui l'impossibilita' di liquidare una somma a titolo di risarcimento del danno, liquidazione che presuppone - come gia' detto - una pena detentiva da espiare inferiore a quella da ridurre, cioe' incapiente. Risulta altresi' violato il parametro di cui all'art. 25 Cost. nella misura in cui l'internato viene privato del giudice naturale precostituito per legge - il magistrato di sorveglianza - per la tutela dei propri diritti in costanza di misura di sicurezza detentiva. Infine risulta violato l'art. 117, comma 1 Cost., nella misura in cui la normativa nazionale cristallizzata nell'art. 35-ter o.p, viola i parametri sub-costituzionali (sent. Corte Cost n. 348/2007) (3) di cui agli articoli 3 (proibizione della tortura) (4) 6 (diritto ad un equo processo) (5) e 13 (diritto ad un ricorso effettivo) (6) CEDU. Con stretto riferimento ai principi convenzionali, assunti quali parametri interposti cui la norma appare in conflitto, occorre altresi' richiamare pronunce della Corte europea secondo cui l'esecuzione di una sentenza, da qualsiasi parte promani, deve essere considerata come facente parte integrante del processo ai sensi dell'art. 6 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (Immobiliare Saffi c. Italia, n. 22773/93; Hornsby c. Grecia del 19 marzo 1997). L'art. 6 della Convenzione e' posto a garanzia, oltreche' del corretto svolgimento del processo, anche dell'effettivita' della sua fase esecutiva. L'attuale assetto dell'art. 35-ter o.p., non menzionando l'internato tra i legittimati ad causam ne' prevedendo un rimedio risarcitorio diretto, appare lacunoso, e, data la rilevanza della questione, sussitono in definitiva ragioni di contrasto della norma contenuta nell'art. 35-ter o.p., con gli artt. 3, 24, 25 e 117, comma 1 Cost., in quanto tale, necessitante di un intervento additivo della Corte volto ad inserire l'internato tra i legittimati ad esperire il reclamo ex art. 35-ter o.p., e quale conseguenza, nel caso di fondatezza della domanda, la riduzione della durata della misura di sicurezza e/o il ristoro pecuniario a titolo di rimedio risarcitorio. Tale soluzione prospettata e' l'unica che consenta di ripristinare una condizione di legalita' nell'ambito dell'esecuzione della misura di sicurezza detentiva nel caso di accertato trattamento inumano e/o degradante. Trattasi invero di una decisione che sembra costituire un'attivita' che non eccede i limiti di intervento della Corte e che non implica scelte affidate alla discrezionalita' del legislatore, potendo la Corte riempire la lacuna normativa facendola derivare implicitamente dal sistema esistente (cfr. Corte costituzionale n. 113/12 del 18 aprile 2012). In definitiva questo modo, si ripete, verrebbero meno le discriminazioni fra detenuti ed internati nell'ambito della loro tutela riconosciuta dalle leggi nazionali e sovranazionali. (1) Misura iniziata in data 8 dicembre 2011, prorogata di mesi sei con ordinanza del Magistrato di sorveglianza dell'Aquila del 23 maggio 2013 e di ulteriori anni 1 e mesi 6 giusta ordinanza del Magistrato di sorveglianza di Padova del 24 ottobre 2013. (2) A norma del quale: «le misure di sicurezza detentive provvisorie o definitive, compreso il ricovero nelle residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza, non possono durare oltre il tempo stabilito per la pena detentiva prevista per il reato commesso, avuto riguardo alla previsione edittale massima». (3) Ai paragrafi 4.6. e seguenti della citata sentenza n. 348/2007 della Corte costituzionale, si legge: «Poiche' le norme giuridiche vivono nell'interpretazione che ne danno gli operatori del diritto, i giudici in primo luogo, la naturale conseguenza che deriva dall'art. 32, paragrafo 1, della Convenzione e' che tra gli obblighi internazionali assunti dall'Italia con la sottoscrizione e la ratifica della CEDU vi e' quello di adeguare la propria legislazione alle norme di tale trattato, nel significato attribuito dalla Corte specificamente istituita per dare ad esse interpretazione ed applicazione. Non si puo' parlare quindi di una competenza giurisdizionale che si sovrappone a quella degli organi giudiziari dello Stato italiano, ma di una funzione interpretativa eminente che gli Stati contraenti hanno riconosciuto alla Corte europea, contribuendo con cio' a precisare i loro obblighi internazionali nella specifica materia. 4.7. - Quanto detto sinora non significa che le norme della CEDU, quali interpretate dalla Corte di Strasburgo, acquistano la forza delle nonne costituzionali e sono percio' immuni dal controllo di legittimita' costituzionale di questa Corte. Proprio perche' si tratta di norme che integrano il parametro costituzionale, ma rimangono pur sempre ad un livello sub-costituzionale, e' necessario che esse siano conformi a Costituzione. La particolare natura delle stesse norme, diverse sia da quelle comunitarie sia da quelle concordatarie, fa si che lo scrutinio di costituzionalita' non possa limitarsi alla possibile lesione dei principi e dei diritti fondamentali (ex plurimis, sentenze n. 183 del 1973, n. 170 del 1984, n. 168 del 1991, n. 73 del 2001, n. 454 del 2006) o dei principi supremi (ex plurimis, sentenze n. 30 e n. 31 del 1971, n. 12 e n. 195 del 1972, n. 175. del 1973, n. 1 del 1977, n. 16 del 1978, n. 16 e n. 18 del 1982, n. 203 del 1989), ma debba estendersi ad ogni profilo di contrasto tra le «norme interposte» e quelle costituzionali. L'esigenza che le norme che integrano il parametro di costituzionalita' siano esse stesse conformi alla Costituzione e' assoluta e inderogabile, per evitare il paradosso che una nonna legislativa venga dichiarata incostituzionale in base ad un'altra nonna sub-costituzionale, a sua volta in contrasto con la Costituzione. In occasione di ogni questione nascente da pretese contrasti tra norme interposte e norme legislative interne, occorre verificare congiuntamente la conformita' a Costituzione di entrambe e precisamente la compatibilita' della norma interposta con la Costituzione e la legittimita' della norma censurata rispetto alla stessa norma interposta». (4) Articolo 3 Proibizione della tortura: «Nessuno puo' essere sottoposto a tortura ne' a pene o trattamenti inumani o degradanti». (5) Articolo 6 CEDU Diritto a un equo processo «l. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l'accesso alla sala d'udienza puo' essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell'interesse della morale, dell'ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una societa' democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicita' possa portare pregiudizio agli interessi della giustizia. 2. Ogni persona accusata di un reato e' presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata. 3. In particolare, ogni accusato ha diritto di: (a) essere informato, nel piu' breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell'accusa formulata a suo carico; (b) disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa; (c) difendersi personalmente o avere l'assistenza di un difensore di sua scelta e, se non ha i mezzi per retribuire un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d'ufficio, quando lo esigono gli interessi della giustizia; (d) esaminare o far esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l'esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico; (e) farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata in udienza». (6) Articolo 13 CEDU Diritto a un ricorso effettivo «Ogni persona i cui diritti e le cui liberta' riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un'istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell'esercizio delle loro funzioni ufficiali».
P. Q. M. Visti gli articoli 35-ter e 69 o.p.; Dichiara l'inammissibilita' sopravvenuta del reclamo per i periodi di pena espiata e relativa al provvedimento di cumulo della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Udine del 26 febbraio 2014 nonche' per i periodi di detenzione antecedenti al 24 febbraio 2014, in quanto non afferenti all'ultimo provvedimento di cumulo citato; Dichiara l'inammissibilita' del reclamo in relazione ai periodi di internamento trascorsi precedentemente all'8 dicembre 2011; Visti gli articoli 134 della Costituzione, 23 e ss. legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 35-ter, legge 26 luglio 1975, n. 354, come introdotto dall'art. 1 del decreto-legge 26 giugno 2014, n. 92, convertito in legge 11 agosto 2014, n. 117, nella parte in cui non prevede gli internati tra i soggetti legittimati a proporre la relativa istanza e nella parte in cui non prevede, nel caso di accertata violazione dell'art. 3 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali per un periodo non inferiore a 15 giorni, la riduzione della durata della misura di sicurezza detentiva e/o il ristoro pecuniario a titolo di rimedio risarcitorio, per violazione degli articoli 3, 24, 25, e 117, comma 1 Cost. (nella parte in cui recepisce gli articoli 3, 6 e 13 della Convenzione europea sui diritti dell'uomo del 4 novembre 1950, ratificata con legge 4 agosto 1955, n. 848); Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Sospende il procedimento in corso sino all'esito del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza di trasmissione degli atti sia notificata alle parti in causa ed al pubblico ministero nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Padova, 3 marzo 2016 Il Magistrato di sorveglianza: Silvia Franzoso