N. 133 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 marzo 2016
Ordinanza del 17 marzo 2016 del Tribunale di Roma nei procedimenti civili riuniti promossi da Casciaro Mario contro Versaci Giovanna Carmela e Pelilli Renato Carlo. Locazione di immobili urbani ad uso abitativo - Canone locativo o indennita' di occupazione dovuti dai conduttori che, tra la data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 23 del 2011 e il 16 luglio 2015, hanno versato il c.d. canone sanzionatorio previsto dall'art. 3, comma 8, del medesimo decreto - Determinazione ope legis in misura pari al triplo della rendita catastale dell'immobile. - Legge 28 dicembre 2015, n. 208 ("Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2016)"), art. 1, comma 59, nella parte in cui sostituisce l'art. 13, comma 5, della legge 9 dicembre 1998, n. 431 (Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo).(GU n.28 del 13-7-2016 )
TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA Sezione Sesta Civile Il giudice, dott.ssa Alessandra Imposimato, sciogliendo la riserva assunta all'udienza del 17 marzo 2016, visti gli atti e i documenti allegati al fascicolo della causa iscritta al n. 2291/2013 r.g., avente ad oggetto «risoluzione del contratto di locazione per inadempimento - uso abitativo», e pendente tra Casciaro Mario (parte attrice) e Versaci Giovanna Carmela e Pelilli Renato Carlo (parti convenute), osserva: 1. Sussistono le condizioni per rimettere, alla Corte costituzionale, la questione di legittimita' dell'art. 1, comma 59 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato», legge di stabilita' 2016), per violazione degli articoli 3 e 136 della Costituzione, apparendo questa non manifestamente infondata, nonche' rilevante ai fini del decidere. Cio' per quanto di seguito esposto. 2. Con il ricorso introduttivo della lite (art. 447-bis codice di procedura civile) il sig. Casciaro Mario, evocando in giudizio i signori Versaci Giovanna Carmela e Pelilli Renato Carlo, chiedeva al tribunale di risolvere il contratto di locazione abitativa inerente all'immobile in Roma via Pasquale Baffi n. 26, meglio descritto in atti, a motivo dell'inadempimento di essi convenuti-conduttori. L'attore adduceva, in particolare, che: le parti avevano concluso, in data 28 ottobre 2005, un contratto di locazione abitativa, per il corrispettivo mensile di € 1.600,00; tale contratto era stato registrato, dalle parti convenute, solo in data 22 settembre 2011, presso l'Agenzia delle entrate - Ufficio Roma 1, ed i convenuti, a decorrere dal successivo mese di ottobre 2011, avevano principiato a versare la minor somma di € 480,00 mensili, a loro dire calcolata ex art. 3, comma 8, lettera c) del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23; l'autoriduzione del canone locativo, come motu proprio operata dai conduttori, doveva ritenersi (sotto diversi profili) illegittima, si' da configurare inadempimento grave ed idoneo a far luogo alla pronuncia di risoluzione. Per tali ragioni l'attore chiedeva, oltre alla pronuncia risolutoria ex art. 1453 del codice civile, la condanna dei convenuti al pagamento della differenza tra canone convenuto in contratto (€ 1.600,00 mensili) e le inferiori somme effettivamente pagate, dai conduttori, a titolo di corrispettivo contrattuale, dal mese di ottobre 2011 in avanti. Entrambi i convenuti, costituiti in giudizio, contestavano le ragioni delle pretese di controparte, ed argomentavano in merito alla legittimita' e correttezza (contrattuale) del proprio operato, assumendo di avere semplicemente adeguato la propria condotta alle disposizioni dell'art. 3 (cedolare secca sugli affitti), comma 8, lettera c) del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (recante «Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale»), a termini del quale, nel caso di registrazione del contratto di locazione, che non fosse tempestivamente eseguita agli effetti delle disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 131/1986 (Testo unico delle disposizioni in materia di imposta di registro, art. 17), «... il canone annuo di locazione» fosse autoritativamente «fissato in misura pari al triplo della rendita catastale, oltre l'adeguamento, dal secondo anno, in base al 75 per cento dell'aumento degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli impiegati ed operai». 3. Tali i fatti controversi, dopo la sopravvenuta liberazione dell'immobile di proprieta' dell'attore, da parte dei convenuti (avutasi in corso di causa), la difesa Casciaro ha coltivato (v. note conclusive) la domanda di condanna al pagamento della differenza tra canone indicato nel contratto di locazione abitativa tardivamente registrato (agli effetti del decreto del Presidente della Repubblica n. 131/1986), ed il canone effettivamente versato dai convenuti (conduttori), dal mese di ottobre 2011 sino al mese di luglio 2015 (rilascio dell'immobile), nonche' calcolato in misura (mensile) pari ad 1/12 del triplo della rendita catastale degli immobili costituenti oggetto del contratto locativo inter partes, in applicazione dell'art. 3, comma 8, lettera c) del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23. Dunque il tribunale e' chiamato a stabilire se i convenuti siano tenuti a versare, alla controparte locatrice, quanto dovuto per contratto (a suo tempo) non versato, avvalendosi delle disposizioni di cui all'art. 3, comma 8, lettera c) del decreto legislativo sul federalismo fiscale, come gia' (precariamente) prorogate, negli effetti, dall'art. 5, comma 1-ter del decreto-legge 24 marzo 2014, convertito con modificazioni in legge n. 80/2014. Ebbene, all'esito della declaratoria di incostituzionalita' dell'art. 5, comma 1-ter del decreto-legge 24 marzo 2014 (sentenza Corte costituzionale n. 169/2015, su cui oltre), e dell'entrata in vigore della norma contenuta nell'art. 1, comma 59, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilita' 2016), di cui si dira' appresso, dovrebbe nuovamente negarsi, all'attore, il diritto di pretendere la differenza tra il canone convenzionale (indicato nel contratto scritto e registrato) e il canone sanzionatorio (mensile, pari ad 1/12 del triplo della rendita catastale dell'immobile) calcolato in base alla norma da ultimo menzionata; giacche', peraltro, la conformita' di tale disposizione di legge alla Costituzione e' dubbia, che' parrebbero profilarsi - nuovamente - le questioni gia' esaminate e ritenute fondate, dalla Corte costituzionale, nella recente sentenza 16 luglio 2015, n. 169 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 22 luglio, n. 29), sopra nominata, sussistono le condizioni per sollevare, nel presente giudizio, questione incidentale di legittimita' costituzionale in riferimento alla norma da ultimo richiamata, e per rimettere alla Corte costituzionale la valutazione dell'eventuale violazione dei parametri costituzionali appresso indicati. 4. Sotto il profilo della non manifesta infondatezza delle questioni qui sollevate, merita ripercorrere brevemente la successione delle disposizioni di legge intervenute a regolare la fattispecie - dedotta in giudizio - del contratto di locazione abitativa che non sia portato a registrazione, presso l'Agenzia delle entrate, nel rispetto del termine di cui all'art. 17 del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, recante «testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro». 4.1 Si rammenta che: - l'art. 3 del decreto legislativo n. 23/2011, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 67 del 23 marzo 2011, introduttivo di un sistema, alternativo al regime ordinario vigente, di tassazione del reddito ritratto dalla locazione di immobili destinati ad uso abitativo (cosiddetta «cedolare secca sugli affitti»), al comma 8 cosi' testualmente prescriveva: «8. Ai contratti di locazione degli immobili ad uso abitativo, comunque stipulati, che, ricorrendone i presupposti, non sono registrati entro il termine stabilito dalla legge, si applica la seguente disciplina: a) la durata della locazione e' stabilita in quattro anni a decorrere dalla data della registrazione, volontaria o d'ufficio; b) al rinnovo si applica la disciplina di cui all'art. 2, comma 1, della citata legge n. 431 del 1998; c) a decorrere dalla registrazione il canone annuo di locazione e' fissato in misura pari al triplo della rendita catastale, oltre l'adeguamento, dal secondo anno, in base al 75 per cento dell'aumento degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli impiegati ed operai. Se il contratto prevede un canone inferiore, si applica comunque il canone stabilito dalle parti». Chiaro l'intento del legislatore di «colmare» il vuoto normativo lasciato dall'art. 1, comma 346 della legge n. 311/2004, tuttora vigente, a tenore del quale: «I contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unita' immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati». Nell'interpretazione ed applicazione data, dalla giurisprudenza di merito, della norma da ultimo riportata (art. 1, comma 346 della legge n. 311/2004) sta infatti, ad avviso di chi scrive, buona parte delle ragioni della nascita delle disposizioni sanzionatorie contenute nell'art. 3 del decreto legislativo n. 23/2011, che e' oggetto di esame. Cio' in quanto: l'art. 1, comma 346 della legge n. 311/2004, tutt'oggi operante, collega la nullita' del contratto esclusivamente alla sua omessa registrazione, tacendo con riguardo all'ipotesi in cui il contratto sia registrato oltre il termine (trenta giorni) prescritto dall'art. 17 decreto del Presidente della Repubblica n. 131/1986 (di approvazione del «Testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro»); d'altronde, a termini del menzionato testo unico delle disposizioni in materia di imposta di registro, l'obbligo di registrazione del contratto di locazione persiste anche dopo la scadenza del termine di trenta giorni, dalla sua stipulazione, stabilito nel medesimo corpo legislativo, tantoche', in caso di registrazione tardiva, la parte che abbia intempestivamente provveduto alla denunzia del contratto, al fisco, e' tenuta a versare, oltre all'imposta di registro precedentemente non versata, interessi e sanzioni pecuniarie; pertanto, in assenza di esplicita sanzione di nullita' per il caso di registrazione tardiva (oggi regolata dal novellato art. 13 della legge n. 431/1998, nella formulazione introdotta dall'art. 1, comma 59 della legge stabilita' 2016), i giudici di merito, e tra essi il tribunale di Roma, avevano argomentato (ubi lex tacuit, noluit) che il contratto comunque registrato (presto o tardi) fosse in ogni caso esente da nullita', e quindi valido, efficace e vincolante, e cio' anche in applicazione del principio generale contenuto nell'art. 10, comma terzo dello Statuto dei diritti del contribuente; il giudice civile aveva quindi relegato la registrazione tardiva del contratto nell'ambito di una «violazione di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario», di per se' inidonea a produrre la nullita' del contratto; ancora, il giudice civile, ricordando che la convalida del contratto affetto da nullita' (art. 1423 del codice civile), nei casi in cui e' ammessa dalla legge, ha tipicamente effetto retroattivo (si veda ad es. Cassazione n. 6773.2013), e cio' perche' altrimenti l'efficacia del negozio sarebbe imputabile non alla volonta' del disponente, ma esclusivamente al negozio di convalida, non aveva avuto difficolta' a qualificare la fattispecie disciplinata dall'art. 1, comma 346 legge n. 311/2004 in termini di «nullita' sanabile retroattivamente», ed aveva posto un'analogia, o meglio una similitudine con l'istituto della condizione sospensiva di efficacia del contratto; per queste ragioni la registrazione e' stata qualificata, dai tribunali, alternativamente in termini di fattispecie sanante, con effetto retroattivo, la nullita' del contratto, ed in termini di condicio iuris di efficacia del contratto che, laddove avverata, e' in grado di attribuire efficacia e vincolativita' all'accordo negoziale, con effetto retroattivo (art. 1360 del codice civile). Sennonche' l'interpretazione dell'art. 1, comma 346 citato, come invalsa nella giurisprudenza di merito, non veniva ritenuta soddisfacente per le ragioni dell'Erario, dacche' nella prassi dei tribunali veniva, in fin dei conti, negata l'operativita' di tale disposizione, in caso di tardiva registrazione del contratto; non comportando pertanto, tale fattispecie, alcun riflesso sotto il profilo del rapporto tra privati, la disposizione dell'art. 1, comma 346, legge n. 311/2004 non avrebbe costituito, in conclusione, un idoneo incentivo alla tempestiva denunzia, al fisco, del contratto di locazione (per se' produttivo di reddito). Plausibilmente per tali ragioni, veniva cosi' introdotta, all'art. 3, comma 8 del decreto legislativo n. 23/2011, una norma che, per la prima volta, regolava (e sanzionava) esplicitamente, anche sotto l'aspetto del rapporto negoziale tra le parti contraenti, la tardiva registrazione del contratto di locazione abitativa, e cio' faceva mediante l'etero-integrazione degli elementi principali del negozio, quali la misura e l'entita' del canone dovuto dal conduttore. L'intento di «completare» la prescrizione dell'art. 1, comma 346 legge n. 311/2004 (infatti esplicitamente richiamata nel testo dell'art. 3 citato al comma 9) veniva realizzato mediante una disposizione «premiale» che, a beneficio dei conduttori che avessero denunciato al fisco il contratto non tempestivamente registrato dal locatore, lo integrava d'autorita' (articoli 1339, 1419 del codice civile) con clausole particolarmente favorevoli all'inquilino, che gli avrebbero assicurato una considerevole stabilita' del rapporto locativo, a nummo uno. Le disposizioni - di effetto particolarmente deflagrante per la platea dei destinatari - di cui all'art. 3, comma 8 del decreto legislativo n. 23/2011, venivano completate dal comma 10 dello stesso art. 3, che cosi' testualmente recitava: «10. La disciplina di cui ai commi 8 e 9 non si applica ove la registrazione sia effettuata entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto». In breve il legislatore del decreto legislativo n. 23/2011 assegnava, erga omnes, un termine di «moratoria» (scaduto il 6 giugno 2011, e cioe' al sessantesimo giorno successivo all'entrata in vigore del decreto legislativo, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 23 marzo 2011, con la vacatio di quindici giorni di cui all'art. 73 della Costituzione) per portare alla luce i rapporti di locazione (abitativa) che fossero (in quel momento) in tutto o in parte «sommersi». Proprio dall'assegnazione di un termine cosiffatto, e dal tenore testuale dell'art. 3, comma 10 del decreto legislativo n. 23/2011, che non avrebbe avuto senso alcuno laddove le nuove disposizioni in tema di canone sanzionatorio e di durata legale dei contratti non tempestivamente registrati, fossero state applicabili solo agli accordi locativi stipulati successivamente alla loro entrata in vigore, la giurisprudenza (anche del tribunale) aveva desunto l'immediata applicabilita' delle disposizioni sanzionatorie di cui ai commi 8 e 9 dell'articolo, anche ai contratti in corso, che - validamente stipulati per iscritto - non fossero stati ancora oggetto di registrazione all'Agenzia delle entrate. 4.2 E' noto inoltre che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 50/2014, depositata in data 14 marzo 2014, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 19 marzo 2014, acclarava l'illegittimita' dei commi 8 e 9 dell'art. 3 decreto legislativo n. 23/2011, per «difetto di delega» (violazione dell'art. 76 della Costituzione), in particolare rilevando che tali disposizioni, intese alla lotta all'evasione fiscale, esorbitassero sia gli obbiettivi che i criteri della delega conferita, al governo, con la legge n. 42/2009. La Corte chiariva, in motivazione: «Il tema della lotta all'evasione fiscale, che costituisce un chiaro obiettivo dell'intervento normativo in discorso, non puo' essere configurato anche come criterio per l'esercizio della delega: il quale, per definizione, deve indicare lo specifico oggetto sul quale interviene il legislatore delegato, entro i previsti limiti. Ne' il riferimento alle «forme premiali» anzidette puo' ritenersi in alcun modo correlabile con il singolare meccanismo «sanzionatorio» oggetto di censura. Del resto - e come puntualmente messo in evidenza dai giudici a quibus - nella citata legge di delegazione si formula un preciso enunciato, formalmente e sostanzialmente evocabite quale principio e criterio direttivo generale, secondo il quale - nel richiamare (art. 2, comma 2, lettera c)), «razionalita' e coerenza dei singoli tributi e del sistema tributario nel suo complesso» (compresi, dunque, i profili di carattere sanzionatorio ed i «rimedi» tecnici tesi a portare ad emersione cespiti o redditi assoggettabili ad imposizione) - espressamente prescrive di procedere all'esercizio della delega nel «rispetto dei principi sanciti dallo statuto dei diritti del contribuente di cui alla legge 27 luglio 2000, n. 212». Statuto che, a sua volta, come ricordato, prevede, all'art. 10, comma 3, ultimo periodo, che «Le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullita' del contratto»: con l'ovvia conseguenza che, tanto piu', la mera inosservanza del termine per la registrazione di un contratto di locazione non puo' legittimare (come sarebbe nella specie) addirittura una novazione - per factum principis - quanto a canone e a durata. Ne' appare superfluo soggiungere che gli obblighi di informazione del contribuente, parimenti prescritti dal predetto statuto, risultano nella specie totalmente negletti, operando la denunciata «sostituzione» contrattuale in via automatica, solo a seguito della mancata tempestiva registrazione del contratto. All'indomani della sentenza ora riportata, e considerato il precetto dell'art. 136 della Costituzione («Quando la corte dichiara la illegittimita' costituzionale di una norma di legge o di un atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione»), il tribunale giammai avrebbe potuto dare applicazione delle disposizioni dell'art. 3, comma 8, lettera c)) del decreto legislativo n. 23/ 2011, essendo state queste giudicate contrarie a Costituzione, e come tali espunte dall'ordinamento, come se non ossero state mai introdotte (v. in tal senso Corte costituzionale n. 73/1963: «la norma contenuta nell'art. 136 della Costituzione, sulla quale poggia il contenuto pratico di tutto il sistema garanzie costituzionali, toglie immediatamente ogni efficacia (dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione) alla norma dichiarata illegittima; della quale, pertanto, non e' consentito al legislatore ordinario di prolungare la vita sino all'entrata in vigore della nuova legge»; Cassazione n. 10783.2014: «Orbene, come la giurisprudenza di legittimita' ha chiarito ... le pronunce di accoglimento del giudice delle leggi - dichiarative di illegittimita' costituzionale - eliminano la norma con effetto ex tunc, con la conseguenza che questa non e' piu' applicabile prescindendo dalla circostanza che la fattispecie sia sorta in epoca anteriore o successiva alla pubblicazione della pronuncia, perche' l'illegittimita' costituzionale ha per presupposto l'invalidita' originaria della legge - sia essa di natura sostanziale, procedimentale o processuale - per contrasto con il precetto costituzionale. Pertanto non e' possibile distinguere tra applicazione diretta, cioe' riferita ad atti formati successivamente alla norma dichiarata illegittima, e applicazione indiretta, cioe' riferita ad atti formati prima della pubblicazione della pronuncia d'incostituzionalita', perche' anche in tale ultimo caso il giudice non puo' ritenere legittima un'attivita' svoltasi in conformita' di una norma poi dichiarata incostituzionale. Infatti in materia vige il principio che gli effetti dell'incostituzionalita' non si estendono ai rapporti (e solo a quelli) ormai esauriti in modo definitivo, per avvenuta formazione del giudicato o per essersi verificato altro evento cui l'ordinamento collega il consolidamento del rapporto medesimo, ovvero per essersi verificate preclusioni processuali o decadenze e prescrizioni non direttamente investite, nei loro presupposti normativi, dalla pronuncia d'incostituzionalita' (tra le tante, Cassazione n. 9329/2010, n. 113/2004, n. 13839/2002)»; Consiglio di Stato n. 4583.2012: «le pronunce della Corte costituzionale ... determinano il venir meno in via retroattiva della norma censurata, poiche' operano la ricognizione di un vizio originario ed intrinseco della norma stessa, la cui eliminazione dall'ordinamento non e' assimilabile a quella disposta per effetto di abrogazione in virtu' di altra norma sopravvenuta»; Cassazione n. 10958.2010: «le sentenze di accoglimento di una questione di legittimita' costituzionale pronunciate dalla Corte costituzionale hanno effetto retroattivo, con l'unico limite delle situazioni consolidate per essersi il relativo rapporto definitivamente esaurito, potendosi, in proposito, legittimamente ritenere "esauriti" i soli rapporti rispetto ai quali si sia formato il giudicato, ovvero sia decorso il termine prescrizionale o decadenziale previsto dalla legge»; Cassazione n. 27264.2008: «le sentenze della Corte costituzionale con le quali sia stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale di una norma hanno effetto retroattivo ed incidono, pertanto, su tutte le situazioni giuridiche non esaurite. Ne consegue che le suddette sentenze producono i propri effetti su tutti i giudizi in corso e possono essere fatte valere per la prima volta anche in sede di legittimita'»). 4.3 Sennonche' il legislatore, con il decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47 (recante «misure urgenti per l'emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015»), come convertito, con modificazioni, in legge 23 maggio 2014, n. 80, introduceva nell'ordinamento la norma (art. 5, comma 1-ter) del seguente tenore: «1-ter. Sono fatti salvi, fino alla data del 31 dicembre 2015, gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base dei contratti di locazione registrati ai sensi dell'articolo 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23». Anche tale disposizione veniva dichiarata costituzionalmente illegittima - per violazione (palese) del giudicato costituzionale derivante dalla sentenza della Corte, n. 50/2014 - con sentenza 16 luglio 2015, n. 169 nella Gazzetta Ufficiale, 22 luglio, n. 29), di cui e' opportuno riportare alcuni passaggi: «La disposizione all'esame e' stata introdotta in sede di conversione, ad opera della legge n. 80 del 2014, del decreto-legge n. 47 del 2014, a seguito e in conseguenza della sentenza di questa Corte n. 50 del 2014, depositata il 14 marzo 2014, che aveva dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo n. 23 del 2011, in tema di rideterminazione ex lege di elementi di contratti di locazione non registrati nei termini. Essa e' stata inserita nell'ambito di un provvedimento diretto in primis, secondo le intenzioni dichiarate nel preambolo del provvedimento d'urgenza, «a fronteggiare la grave emergenza abitativa in atto e a adottare misure volte a rilanciare in modo efficace il mercato delle costruzioni» e nel contesto di un articolo (il 5) dedicato, secondo l'originaria rubrica, alla «Lotta all'occupazione abusiva di immobili». Con essa il legislatore ha, nella sostanza, prorogato l'efficacia e la validita' dei contratti di locazione registrati sulla base delle disposizioni dichiarate costituzionalmente illegittime. Come emerge dai lavori parlamentari e dalle dichiarazioni del relatore, la norma «salvaguarda fino al 31 dicembre 2015 gli effetti della legge contro gli affitti in nero che la Corte costituzionale ha cancellato. Si e' trovata una soluzione che non mette in discussione la sentenza, ma riconosce che coloro che ne hanno beneficiato oggi non possono subire le conseguenze di aver applicato la legge e garantisce loro un tempo congruo per non dover sopportare un aggravio ingiusto delle proprie condizioni di vita». Appare, dunque, palese che l'intento perseguito dal Parlamento era, per l'appunto, di preservare, per un certo tempo, gli effetti prodotti dalla normativa dichiarata costituzionalmente illegittima, facendo beneficiare di una singolare prorogatio la categoria degli inquilini. Appare, in altri termini, del tutto evidente che il legislatore si e' proposto non gia' di disciplinare medio tempore - o ex novo e a regime - la tematica degli affitti non registrati tempestivamente, magari attraverso un rimedio ai vizi additati da questa Corte; e neppure quello di «confermare» o di «riprodurre» pedissequamente il contenuto normativo di norme dichiarate costituzionalmente illegittime; ma semplicemente quello d'impedire, sia pure temporaneamente, che la declaratoria di illegittimita' costituzionale producesse le previste conseguenze, vale a dire la cessazione di efficacia delle disposizioni dichiarate illegittime dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione (art. 136 della Costituzione). Nella sua stessa formulazione letterale, del resto, la norma censurata, evidentemente priva di autonomia, si prefigge soltanto di ricostituire una base normativa per «effetti» e «rapporti» relativi a contratti che, in conseguenza della pronuncia di illegittimita' costituzionale, ne sarebbero rimasti privi: ne' il carattere temporaneo della disposizione sembra risolvere il problema e nemmeno attenuarne la portata. Al riguardo, va rammentato come, sin da epoca ormai risalente, la giurisprudenza costituzionale non abbia mancato di sottolineare il rigoroso significato della norma contenuta nell'art. 136 della Costituzione: su di essa - si e' detto - «poggia il contenuto pratico di tutto il sistema delle garanzie costituzionali, in quanto essa toglie immediatamente ogni efficacia alla norma illegittima», senza possibilita' di «compressioni od incrinature nella sua rigida applicazione» (sentenza n. 73 del 1963, che dichiaro' la illegittimita' di una legge, successiva alla pronuncia di illegittimita' costituzionale, con la quale il legislatore aveva dimostrato «alla evidenza» la volonta' di «non accettare la immediata cessazione dell'efficacia giuridica della norma illegittima, ma di prolungarne la vita sino all'entrata in vigore della nuova legge»; tra le altre pronunce risalenti, la sentenza n. 88 del 1966, ove si e' precisato che il precetto costituzionale, di cui si e' detto, sarebbe violato «non solo ove espressamente si disponesse che una norma dichiarata illegittima conservi la sua efficacia», ma anche ove una legge, per il modo con cui provvede a regolare le fattispecie verificatesi prima della sua entrata in vigore, perseguisse e raggiungesse, «anche se indirettamente, lo stesso risultato»). Principi, questi, ripresi e ribaditi in numerose altre successive decisioni (fra le altre, le sentenze n. 73 del 2013; n. 245 del 2012; n. 354 del 2010; n. 922 del 1988; 223 del 1983). Se appare, infatti, evidente che una pronuncia di illegittimita' costituzionale non possa, in linea di principio, determinare, a svantaggio del legislatore, effetti corrispondenti a quelli di un «esproprio» della potesta' legislativa sul punto - tenuto anche conto che una declaratoria di illegittimita' ha contenuto, oggetto e occasione circoscritti dal «tema» normativo devoluto e dal «contesto» in cui la pronuncia demolitoria e' chiamata ad iscriversi -, e' del pari evidente, tuttavia, che questa non possa risultare pronunciata «inutilmente», come accadrebbe quando una accertata violazione della Costituzione potesse, in una qualsiasi forma, inopinatamente riproporsi. E se, percio', certamente il legislatore resta titolare del potere di disciplinare, con un nuovo atto, la stessa materia, e' senz'altro da escludere che possa legittimamente farlo - come avvenuto nella specie - limitandosi a «salvare», e cioe' a «mantenere in vita», o a ripristinare gli effetti prodotti da disposizioni che, in ragione della dichiarazione di illegittimita' costituzionale, non sono piu' in grado di produrne. Il contrasto con l'art. 136 della Costituzione ha, in un simile frangente, portata addirittura letterale. In altri termini: nel mutato contesto di esperienza determinato da una pronuncia caducatoria, un conto sarebbe riproporre, per quanto discutibilmente, con un nuovo provvedimento, anche la stessa volonta' normativa censurata dalla Corte; un altro conto e' emanare un nuovo atto diretto esclusivamente a prolungare nel tempo, anche in via indiretta, l'efficacia di norme che «non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione» (art. 30, terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 - Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale). Ne' puo' reputarsi meritevole di pregio l'argomento speso dall'Avvocatura generale a proposito della circostanza che l'illegittimita' costituzionale sia stata dichiarata per difetto di delega, che costituirebbe appena un vizio formale. E', infatti, pacifico che una sentenza caducatoria produca i suoi previsti effetti quale che sia il parametro costituzionale in riferimento al quale il giudizio sia stato pronunciato, senza, percio', che sia possibile differenziarne o quasi graduarne l'efficacia». All'esito di tale pronunzia, ancora una volta, il tribunale non avrebbe potuto negare, all'attore, il diritto di esigere la differenza tra canone convenuto tra parti, nel contratto (sia pur tardivamente) registrato, ed il canone sanzionatorio calcolato in base alle disposizioni dell'art. 3, comma 8, del decreto legislativo n. 23/2011, gia' dichiarate incostituzionali dalla sentenza Corte costituzionale n. 50/2014, non essendo consentita alcuna applicazione, ne' diretta, ne' indiretta di tali disposizioni, a prescindere dal momento di insorgenza della fattispecie dedotta in lite, trattandosi - in ogni caso - di rapporto giuridico non esaurito alla data di pubblicazione della ridetta sentenza d'incostituzionalita'. 4.4 Ancora pendente la lite, il legislatore interveniva nuovamente nella materia in oggetto, con l'art. 1, comma 59 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilita' 2016). Tale disposizione, nel sostituire integralmente l'art. 13 della legge 9 dicembre 1998, n. 431 (cosiddetta legge locazioni abitative), ha previsto, al comma 5 del novellato art. 13: «Per i conduttori che, per gli effetti della disciplina di cui all'articolo 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, prorogati dall'articolo 5, comma 1-ter, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80, hanno versato, nel periodo intercorso dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 23 del 2011 al giorno 16 luglio 2015, il canone annuo di locazione nella misura stabilita dalla disposizione di cui al citato articolo 3, comma 8, del decreto legislativo n. 23 del 2011, l'importo del canone di locazione dovuto ovvero dell'indennita' di occupazione maturata, su base annua, e' pari al triplo della rendita catastale dell'immobile, nel periodo considerato»). 5. Tale l'excursus di leggi e di declaratorie di incostituzionalita', che si sono susseguite in relazione alla fattispecie dedotta in giudizio, attualmente esitate nella norma di legge, da ultimo nominata e trascritta, il tribunale dubita della sua conformita' a costituzione, suscitando questa gli stessi rilievi mossi al previgente art. 5, comma 1-ter del decreto-legge n. 47/2014, e potendosi quindi prefigurare la violazione dell'art. 136 della Costituzione, a termini del quale: «Quando la Corte dichiara le illegittimita' costituzionale di una norma di legge o di atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione». Ancora una volta, si puo' sospettare l'elusione del giudicato (sostanziale) di cui alla sentenza Corte costituzionale n. 50/2014, e cio' a lume sia dei numerosi arresti della Corte costituzionale, intervenuti sul tema, sia delle precise ed inequivoche indicazioni contenute nella sentenza del giudice delle leggi n. 169/2015, che ha ribadito l'intangibilita' del decisum di cui alla precedente pronuncia n. 50/2014. Infatti, pare piuttosto evidente che: la disposizione in esame fa esplicito e testuale richiamo alle norme sia dell'art. 3, commi 8 e 9 del decreto legislativo n. 23/2011, sia dell'art. 5, comma 1-ter decreto-legge n. 47/2014, rispettivamente dichiarate incostituzionali con le sentenze n. 50/2014, nonche' n. 169/2015, per individuare il suo ambito (temporale) di applicazione (retroattiva), facendolo coincidere con quello di precaria vigenza delle predette norme, benche' dichiarate illegittime e quindi da considerare come non mai introdotte nell'ordinamento; la medesima disposizione non si rivolge, indiscriminatamente, a tutti coloro che abbiano (o abbiano avuto) la qualita' di parte conduttore, in un contratto di locazione abitativa non tempestivamente registrato, ma circoscrive, ulteriormente, l'ambito soggettivo della platea dei destinatari, ai conduttori che abbiano, di fatto, gia' «beneficiato» degli effetti delle disposizioni gia' scrutinate non conformi a costituzione, cosi' prescrivendo testualmente: «Per i conduttori che, per gli effetti della disciplina di cui all'articolo 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, prorogati dall'articolo 5, comma 1-ter, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80, hanno versato, nel periodo intercorso dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 23 del 2011 al giorno 16 luglio 2015, il canone annuo di locazione nella misura stabilita dalla disposizione di cui al citato articolo 3, comma 8, del decreto legislativo n. 23 del 2011...»; tale disposizione reitera, quanto al suo contenuto precettino («... l'importo del canone di locazione dovuto ovvero dell'indennita' di occupazione maturata, su base annua, e' pari al triplo della rendita catastale dell'immobile, nel periodo considerato»), la norma di cui all'art. 3, comma 8, lettera c) del decreto legislativo n. 23/2011 («il canone annuo di locazione e' fissato in misura pari al triplo della rendita catastale ...»), e fa si', che - in breve - i conduttori che abbiano beneficiato «degli effetti» delle disposizioni incostituzionali, continueranno a beneficiarne sine die, creando una sorta di «zona franca» dagli effetti delle declaratorie di incostituzionalita' sopra nominate, per il resto cogenti e vincolanti per il resto della platea dei destinatari. A parere del tribunale, la questione qui rilevata merita il vaglio del giudice delle leggi: infatti, come gia' detto, la disposizione in esame fa rinvio, anche testuale, a norme scrutinate incostituzionali, riproducendone il precetto dispositivo, si' da risultarne (in conclusione) preservati gli effetti, come gia' prodotti nel periodo di loro precaria vigenza, e da risultare vanificate le statuizioni recate dalle sentenze della Corte costituzionale, sopra menzionate (n. 50/2014 e n. 169/2015). In materia di violazione, o comunque di elusione del giudicato costituzionale (art. 136 della Costituzione) la Corte costituzionale ha avuto in piu' occasioni modo di affermare (cosi' ad esempio Corte costituzionale n. 326.2010) che «perche' vi sia violazione del giudicato costituzionale e' necessario che una norma sopravvenuta ripristini o preservi l'efficacia di una norma gia' dichiarata incostituzionale»; o ancora (cosi' la sentenza Corte costituzionale n. 73/2013) che: «il giudicato costituzionale e' violato... quando il legislatore emana una norma che costituisce una mera riproduzione di quella gia' ritenuta lesiva della Costituzione, ma anche laddove la nuova disciplina miri a perseguire e raggiungere, "anche se indirettamente", esiti corrispondenti» (v. anche Corte costituzionale, sentenza n. 262/2009: «per aversi tale lesione e' necessario che una norma ripristini o preservi l'efficacia di una norma gia' dichiarata incostituzionale»). Nella sentenza Corte costituzionale n. 49/1970, si legge in motivazione: «La declaratoria di illegittimita' costituzionale, determinando la cessazione di efficacia delle norme che ne sono oggetto, impedisce, invece, dopo la pubblicazione della sentenza, che le norme stesse siano comunque applicabili anche ad oggetti ai quali sarebbero state applicabili alla stregua dei comuni principi sulla successione delle leggi nel tempo. Altro e', infatti, il mutamento di disciplina attuato per motivi di opportunita' politica, liberamente valutata dal legislatore, altro l'accertamento, ad opera dell'organo a cio' competente, della illegittimita' costituzionale di una certa disciplina legislativa: in questa seconda ipotesi, a differenza che nella prima, e' perfettamente logico che sia vietato a tutti, a cominciare dagli organi giurisdizionali, di assumere le norme dichiarate incostituzionali a canoni di valutazione di qualsivoglia fatto o rapporto, pur se venuto in essere anteriormente alla pronuncia della Corte. L'obbligatorieta' delle decisioni della Corte, cui si richiama in particolare l'ordinanza del tribunale di Ferrara, si esplica a partire dal giorno successivo alla loro pubblicazione, come stabilito dall'art. 136 della Costituzione, nel senso - precisamente - che da quella data nessun giudice puo', fare applicazione delle norme dichiarate illegittime, nessun'altra autorita' puo' darvi esecuzione o assumerle comunque a base di propri atti, e nessun privato potrebbe avvalersene, perche' gli atti e i comportamenti che pretendessero trovare in quelle la propria regola sarebbero privi di fondamento legale. Si spiega cosi' come anche questioni di legittimita' costituzionale di norme abrogate da leggi ordinarie frattanto sopravvenute possano essere rilevanti, e come tali avere ingresso alla Corte, qualora si tratti di norme di cui si dovrebbe fare ancora applicazione in base ai principi di diritto intertemporale». Tali principi sono stati, da ultimo, ribaditi nella sentenza n. 169/2015, intervenuta nella materia in oggetto, e parrebbero potersi predicare anche per la fattispecie esaminata; ragion per cui va rimessa, alla Corte, la questione di legittimita' ora rilevata, per violazione dell'art. 136 della Costituzione. 6. Il tribunale dubita, altresi', della conformita' della norma in esame al principio di ragionevolezza (ed eguaglianza) posto dall'art. 3 della Costituzione. Infatti, occorre notare che la disposizione in oggetto e' inserita - quale comma 5 - nel nuovo testo dell'art. 13 della legge n. 431/1998 (legge sulle locazioni abitative), quale adottato, in sostituzione del previgente, merce' il medesimo art. 1, comma 59 della legge n. 208/2015 (legge di stabilita'). Secondo l'attuale art. 13 della legge n. 431/1998, come novellato dall'art. 1, comma 59 della legge di stabilita' 2016: «1. E' nulla ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato. E' fatto carico al locatore di provvedere alla registrazione nel termine perentorio di trenta giorni, dandone documentata comunicazione, nei successivi sessanta giorni, al conduttore ed all'amministratore del condominio, anche ai fini dell'ottemperanza agli obblighi di tenuta dell'anagrafe condominiale di cui all'articolo 1130, numero 6), del codice civile. 2. Nei casi di nullita' di cui al comma 1 il conduttore, con azione proponibile nel termine di sei mesi dalla riconsegna dell'immobile locato, puo' chiedere la restituzione delle somme corrisposte in misura superiore al canone risultante dal contratto scritto e registrato. 3. E' nulla ogni pattuizione volta a derogare ai limiti di durata del contratto stabiliti dalla presente legge. 4. Per i contratti di cui al comma 3 dell'art. 2 e' nulla ogni pattuizione volta ad attribuire al locatore un canone superiore a quello massimo definito dagli accordi conclusi in sede locale per immobili aventi le medesime caratteristiche e appartenenti alle medesime tipologie. Per i contratti stipulati in base al comma 1 dell'art. 2, e' nulla, ove in contrasto con le disposizioni della presente legge, qualsiasi pattuizione diretta ad attribuire al locatore un canone superiore a quello contrattualmente stabilito. 5. Per i conduttori che, per gli effetti della disciplina di cui all'art. 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, prorogati dall'art. 5, comma 1-ter, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80, hanno versato, nel periodo intercorso dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 23 del 2011 al giorno 16 luglio 2015, il canone annuo di locazione nella misura stabilita dalla disposizione di cui al citato art. 3, comma 8, del decreto legislativo n. 23 del 2011, l'importo del canone di locazione dovuto ovvero dell'indennita' di occupazione maturata, su base annua, e' pari al triplo della rendita catastale dell'immobile, nel periodo considerato. 6. Nei casi di nullita' di cui al comma 4 il conduttore, con azione proponibile nel termine di sei mesi dalla riconsegna dell'immobile locato, puo' richiedere la restituzione delle somme indebitamente versate. Nei medesimi casi il conduttore puo' altresi' richiedere, con azione proponibile dinanzi all'autorita' giudiziaria, che la locazione venga ricondotta a condizioni conformi a quanto previsto dal comma 1 dell'art. 2 ovvero dal comma 3 dell'art. 2. Tale azione e', altresi', consentita nei casi in cui il locatore non abbia provveduto alla prescritta registrazione del contratto nel termine di cui al comma 1 del presente articolo. Nel giudizio che accerta l'esistenza del contratto di locazione il giudice determina il canone dovuto, che non puo' eccedere quello del valore minimo definito ai sensi dell'art. 2 ovvero quello definito ai sensi dell'art. 5, commi 2 e 3, nel caso di conduttore che abiti stabilmente l'alloggio per i motivi ivi regolati. L'autorita' giudiziaria stabilisce la restituzione delle somme eventualmente eccedenti. 7. Le disposizioni di cui al comma 6 devono ritenersi applicabili a tutte le ipotesi ivi previste insorte sin dall'entrata in vigore della presente legge. 8. I riferimenti alla registrazione del contratto di cui alla presente legge non producono effitti se non vi e' obbligo di registrazione del contratto stesso». Dalla lettura dell'intero art. 13 legge Locazioni Abitative, nel testo attualmente in vigore, si ricava (v. comma 6) che, nel caso «... in cui il locatore non abbia provveduto alla prescritta registrazione del contratto nel termine di cui al comma 1 ...» dello stesso articolo (trenta giorni), il conduttore abbia facolta' di agire in giudizio per ottenere che «... la locazione venga ricondotta a condizioni conformi a quanto previsto dal comma 1 dell'articolo 2 ovvero dal comma 3 dell'articolo 2 ...», ed in particolare per veder determinare, dal giudice, «... il canone dovuto, che non puo' eccedere quello del valore minimo definito ai sensi dell'art. 2 ovvero quello definito ai sensi art. 5, commi 2 e 3, nel caso di conduttore che abiti stabilmente l'alloggio per i motivi ivi regolati. L'autorita' giudiziaria stabilisce la restituzione delle somme eventualmente eccedenti». Se, dunque, la registrazione tardiva del contratto di locazione abitativa, alla stregua dell'art. 13, nella formulazione vigente, produce il diritto (potestativo) del conduttore di vedere commisurare il corrispettivo, dovuto al locatore, al canone agevolato di cui agli articoli 2, comma 3 e 5 legge n. 431/1998, nel valore minimo quantificabile in base agli accordi (locali) conclusi tra organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative della proprieta' e degli inquilini, se, in altri termini, lo stesso legislatore ritiene congruo ed equo regolamentare, in tal modo, la fattispecie della registrazione tardiva del contratto di locazione abitativa, se - infine - lo stesso art. 13, con disposizione (transitoria) non perspicua, stabilisce sibillinamente essere applicabile «... a tutte le ipotesi ivi previste insorte sin dall'entrata in vigore della presente legge» (comma 7), si' da suscitare il dubbio della sua portata retroattiva, non si vede a quale criterio di ragionevolezza risponda a scelta di «confermare» e riprodurre, oltretutto nello stesso contesto normativo, il contenuto precettivo di pregresse disposizioni incostituzionali, che facevano appello al diverso parametro del triplo della rendita catastale, ed oltretutto esclusivamente per i conduttori che, nel periodo di precaria vigenza di quelle norme, avessero (fortuitamente) beneficiato degli effetti di queste ultime (versando «... il canone annuo di locazione nella misura stabilita dalla disposizione di cui al citato art. 3, comma 8, del decreto legislativo n. 23 del 2011»). Da qui, il sospetto che tale scelta abbia risposto all'unico scopo (la cui meritevolezza e' dubbia, alla stregua dell'art. 3 della Costituzione) di vanificare, per il passato, il principio d'intangibilita' del giudicato costituzionale, in reiterazione di opzioni legislative gia' scrutinate violative del giudicato d'incostituzionalita', e creando disparita' nella regolamentazione di situazioni che, in ossequio all'art. 136 della Costituzione, si presentavano identiche. 7. Conclusivamente, non potendosi prescindere, in sede di decisione della presente controversia, dall'applicazione dell'art. 1, comma 59, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, nella parte in cui dispone che «Per i conduttori che, per gli effetti della disciplina di cui all'articolo 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, prorogati dall'articolo 5, comma 1-ter, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80, hanno versato, nel periodo intercorso dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 23 del 2011 al giorno 16 luglio 2015, il canone annuo di locazione nella misura stabilita dalla disposizione di cui al citato articolo 3, comma 8, del decreto legislativo n. 23 del 2011, l'importo del canone di locazione dovuto ovvero dell'indennita' di occupazione maturata, su base annua, e' pari al triplo della rendita catastale dell'immobile, nel periodo considerato», ed apparendo (in sintesi) rilevante e non manifestamente infondata la questione sopra esposta, si provvede come in dispositivo.
P.Q.M. Visti gli articoli 134 e 137 della Costituzione, 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 59, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, nella parte in cui dispone che «Per i conduttori che, per gli effetti della disciplina di cui all'articolo 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, prorogati dall'articolo 5, comma 1-ter, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80, hanno versato, nel periodo intercorso dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 23 del 2011 al giorno 16 luglio 2015, il canone annuo di locazione nella misura stabilita dalla disposizione di cui al citato articolo 3, comma 8, del decreto legislativo n. 23 del 2011, l'importo del canone di locazione dovuto ovvero dell'indennita' di occupazione maturata, su base annua, e' pari al triplo della rendita catastale dell'immobile, nel periodo considerato», per violazione degli articoli 3 e 136 della Costituzione; Dispone che il presente provvedimento, a cura della cancelleria, sia notificato alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicato al Presidente del Senato ed al Presidente della Camera dei deputati e, all'esito, sia trasmesso alla Corte costituzionale insieme al fascicolo processuale, con la prova delle avvenute regolari predette notificazioni e comunicazioni; Dispone la sospensione del presente processo. Roma, 17 marzo 2016 Il Giudice: Imposimato