N. 156 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 luglio 2016

Ordinanza  del  15  luglio  2015 del  Giudice   dell'esecuzione   del
Tribunale di Viterbo nel procedimento di esecuzione nei confronti  di
Saccaria Caffe'  Srl  contro  Mosella  Francesca, Mosella Calogero  e
Bartolino Rossano. 
 
Esecuzione forzata - Pignorabilita', nella misura di un quinto, degli
  emolumenti   da   lavoro    dipendente    -    Omessa    previsione
  dell'impignorabilita' della  quota  di  retribuzione  necessaria  a
  garantire al lavoratore ed alla sua famiglia  mezzi  adeguati  alle
  esigenze di vita - Omessa previsione, in subordine,  di  limiti  di
  pignorabilita' corrispondenti a quelli valevoli nelle procedure  di
  riscossione esattoriale. 
- Codice di procedura  civile,  art.  545,  comma  quarto;  "ovvero",
  decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in  materia
  di semplificazioni tributarie, di efficientamento  e  potenziamento
  delle procedure di accertamento),  convertito,  con  modificazioni,
  dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, art. 3, comma 5 [in particolare,
  lett. b), aggiuntiva dell'art. 72-ter al d.P.R. 29 settembre  1973,
  n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito)]. 
(GU n.36 del 7-9-2016 )
 
                        TRIBUNALE DI VITERBO 
                     Il Giudice dell'Esecuzione 
 
 
          Ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale 
       Ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 
 
    Nel procedimento R.E. n. 1161/2014 promosso  da  Saccaria  Caffe'
S.r.l. - creditore procedente, contro Mosella Francesca - debitrice. 
    Letti gli atti della procedura esecutiva di cui alla  epigrafe  -
sciogliendo la riserva presa alla udienza del 18 marzo 2015; 
    Rilevato  che  Saccaria  Caffe'  S.r.l.  ha  intimato  a  Mosella
Francesca, il pagamento di € 6.469,70, sulla base della sentenza  del
Giudice di pace di Senigallia n. 166/2013 del 15 ottobre  2013  oltre
le spese della procedura esecutiva; 
    Rilevato che terzi pignorati hanno  entrambi  reso  dichiarazione
parzialmente positiva in data 14 gennaio 2015: 
        il sig. Mosella Calogero ha dichiarato di essere titolare  di
un ristorante e di essere altresi' il genitore della debitrice, dalla
sua dichiarazione risulta che la sig.ra Mosella Francesca  lavora  «a
chiamata» presso il ristorante e percepisce circa 150/200,00 euro  al
mese, in base alle ore effettivamente lavorate; il  sig.  Mosella  ha
riferito che, a causa della crisi, il ristorante non puo' permettersi
dipendenti fissi e che resta aperto a seconda delle giornate. 
        il sig. Bartolino  Rossano  ha  dichiarato  di  essere  stato
titolare di un negozio in Viterbo Via Igino Garbini n. 81, locale che
ha chiuso a seguito della crisi economica, nel mese di ottobre  2014.
Dalla sua dichiarazione  risulta  che  la  sig.ra  Mosella  Francesca
svolgeva alcune ore al mese di lavoro, in sostituzione del  titolare,
come commessa nel negozio; a seguito del pignoramento ha lavorato nei
mesi di agosto e settembre 2014 con  una  retribuzione  di  130,00  -
150,00 euro ciascun mese. Dopo la chiusura del  negozio  non  vi  era
stata piu' alcuna prestazione lavorativa. 
        alla  udienza  dell'11  marzo  2015  il  creditore   chiedeva
l'assegnazione, nel limite di legge, di 1/5 dello stipendio percepito
dalla debitrice. 
    Nella fattispecie 1/5  dello  stipendio  di  €  130,00  +  150,00
mensili per due mesi, erogato dal Bartolino  Rossano,  aumenta  ad  €
56,00 complessivi; mentre 1/5 del successivo  stipendio  erogato  dal
sig. Mosella Calogero ammonta ad € 40 mensili a decorrere dal mese di
settembre 2014. 
    Rilevato che deve applicarsi il regime  di  pignorabilita'  degli
stipendi ed altri emolumenti riguardanti il rapporto di lavoro; 
    Rilevato che in base all'art.  545  c.p.c.  «Tali  somme  possono
essere pignorate nella misura di un quinto per i tributi dovuti  allo
Stato, alle province ed ai comuni, ed in eguale misura per ogni altro
credito» 
    Ritenuto che si debba tenere conto dell'ulteriore limite  imposto
dall'art. 2 comma 2 e  dall'art.  68  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 5 gennaio 1950 n. 180 per cui, in  caso  di  concorso  tra
cessioni volontarie  e  successivi  pignoramenti,  la  pignorabilita'
della quota residua e'  soggetta  al  solo  limite  della  meta'  ivi
stabilito, che non sempre e' idoneo a garantire un minimo vitale; 
    Ritenuto che da tali disposizioni si ricava che lo  stipendio  e'
pignorabile fino  ad  1/5,  tolto  un  quinto  dello  stipendio  alla
debitrice resterebbero € 160,00 al mese  per  i  mesi  successivi  al
settembre 2014 e euro 97,5 per il mese di agosto nonche' € 112,5  per
il mese di settembre 2014; 
    Rilevato  che  nel  decreto-legge  n.   16/2012   (cd.   «decreto
Semplificazioni») convertito in legge n. 44/2012 l'art. 3,  comma  5,
che ha aggiunto, nel  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
602/1973,  in  materia  di   pignoramento   presso   terzi   disposto
dall'agente della riscossione per i tributi  dovuti  allo  Stato  (in
tema di pignoramenti Equitalia)  l'art.  72-ter,  recante  il  titolo
«Limiti di pignorabilita'», secondo il  quale:  «Le  somme  dovute  a
titolo di stipendio, di salario o di  altre  indennita'  relative  al
rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute  a  causa  di
licenziamento,   possono   essere   pignorate    dall'agente    della
riscossione: a) in misura pari ad 1/10 per importi  fino  a  2.500,00
euro; b) In misura pari ad 1/7 per importi  da  2.500,00  a  5.000,00
euro». «Resta ferma la misura di cui all'art. 545, comma  4,  c.p.c.,
se le somme dovute a titolo di  stipendio,  di  salario  o  di  altre
indennita' relative al rapporto di  lavoro  o  di  impiego,  comprese
quelle dovute a causa di licenziamento, superano i' cinquemila euro». 
    Rilevato che,  la  somma  di  euro  160,00  che  resterebbe  alla
debitrice, dedotto un quinto del suo stipendio, appare  al  di  sotto
del  minimo  indispensabile  ad  un  essere  umano  che  lavora   per
sostentarsi, tenuto conto anche del fatto che  quello  stesso  essere
umano, per produrre quel reddito deve comunque sostenere delle  spese
(per mangiare, vestirsi, recarsi sul luogo di lavoro etc.),  per  cui
e' impensabile che, senza un  reddito  minimo,  il  lavoratore  possa
comunque prestare la sua opera; -  rilevato  che,  nella  ipotesi  di
pignoramento della pensione, la  Corte  costituzionale  con  la  nota
sentenza 4  dicembre  2002,  n.  506  in  merito  alla  questione  di
legittimita' costituzionale sollevata relativamente all'art. 128  del
regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 69 della  legge  30
aprile 1969, n. 153, afferma la pignorabilita' per ogni credito,  nei
modi e nei limiti stabiliti dall'art.  545  c.p.c.,  solo  di  quella
parte della pensione che non sia necessaria a garantire al pensionato
i «mezzi adeguati alle sue esigenze di vita»; 
    Rilevato  che  in  relazione  alle  pensioni  la  soglia   minima
pignorabile non  e'  stata  definita  dal  legislatore  ma  e'  stata
individuata  dalla  giurisprudenza  che  ha  ritenuto  trattarsi   di
questione di  merito  rimessa  alla  valutazione  del  Giudice  della
esecuzione (cfr. Cassazione n. 6548/11 confermata, da Cassazione  III
civ. 18755/2013 «le soluzioni che si rifanno alle  normative  la  cui
utilizzabilita' diretta era gia' stata esclusa dalla  sentenza  della
Corte costituzionale, ed in particolare  quella  che  si  rifa'  alla
pensione sociale, nonche' la soluzione che  applica  direttamente  il
trattamento minimo di cui alla legge n. 488 del 2001, art. 38,  commi
1 e 5 e della legge n. 289 del 2002, art.  39,  comma  8,  presentano
margini di opinabilita', poiche' i relativi presupposti paiono  tutti
orientati esclusivamente alle specifiche  finalita'  previdenziali  o
assistenziali dei singoli istituti e non sono  suscettibili,  se  non
altro in via immediata, di  adeguata  generalizzazione:  sicche'  non
solo il  trattamento  minimo  ma  neppure  l'importo  della  pensione
sociale corrispondono necessariamente al minimo indispensabile per la
sussistenza in vita in condizioni dignitose. Il principio di  diritto
che si intende confermare allora non puo' che essere  quello  di  cui
alla sentenza  appena  citata,  per  il  quale  l'indagine  circa  le
sussistenza  o  l'entita'  della  pane  di  pensione  necessaria  per
assicurare al pensionato mezzi adeguati alle sue esigenze di vita,  e
come  tale  legittimamente  assoggettabile  al  regime  di   assoluta
impignorabilita' - con le sole eccezioni, tassativamente indicate, di
erediti  qualificati  e'  rimessa,  in  difetto  di  interventi   del
legislatore  al  riguardo,  alla  valutazione  infetto  del   giudice
dell'esecuzione ed e incensurabile in  cassazione  se  logicamente  e
congruamente motivata.» 
    Rilevato che tale  limite,  costituente  garanzia  di  un  minimo
assolutamente impignorabile e' stato determinato dalla giurisprudenza
con riferimento prevalente ai parametri della pensione sociale o  del
trattamento minimo di cui alla legge n. 488 del 2001, art. 38,  commi
1 e 5 e della legge n. 289 del 2002, art. 39, comma 8. 
    Rilevato  che  gli  importi  di  tali  trattamenti  pensionistici
(utilizzati come parametri costanti dalla  giurisprudenza  di  merito
per individuare la soglia del trattamento  pensionistico  minimo  non
pignorabile) sono entrambi ben  superiori  allo  stipendio  percepito
dalla debitrice, per una prestazione  lavorativa  che,  comunque,  la
impegna quotidianamente e che tale stipendio appare ai  limiti  della
mera sussistenza; 
    Rilevato che il pensionato, essendo ritirato dai lavoro non  deve
farsi carico delle spese necessarie a produrre  il  proprio  reddito,
mentre il lavoratore si presuppone che debba recarsi con mezzi propri
sul luogo di lavoro, vestirsi in modo adeguato alla funzione  svolta,
utilizzare energie anche fisiche  che  richiedono  una  alimentazione
piu' ricca di chi  e'  a  riposo,  e  quindi  sostenere  delle  spese
indispensabili  alla  produzione  di  un  reddito,  oltre  a   quelle
necessarie   per   la   mera   sopravvivenza   (nutrirsi,   coprirsi,
riscaldarsi, assicurarsi un alloggio etc); 
    Ritenuto che anche per il lavoratore debba essere individuato  un
minimo vitale indispensabile e non pignorabile, che non possa  essere
distolto dalla funzione primaria del salario, che e'  quella  appunto
di consentire la sopravvivenza e l'utilizzo delle  proprie  capacita'
lavorative a chi abbia come sola risorsa il proprio lavoro; 
    Ritenuto che, se la retribuzione venisse ridotta al di  sotto  di
quel  minimo  vitale  indispensabile  alla  sopravvivenza,  oltre   a
determinarsi effetti negativi per tutto il tessuto sociale (ad es. il
lavoratore sarebbe spinto ad orientarsi verso il mercato  del  lavoro
irregolare, non potrebbe far fronte ai propri obblighi nei  confronti
della famiglia, sarebbe spinto  a  comportamenti  illegali  etc),  ne
risulterebbe violato il precetto costituzionale di  cui  all'art.  36
Cost. che prevede che la retribuzione  debba  essere  «in  ogni  caso
sufficiente ad assicurare a se' ed alla famiglia una esistenza libera
e dignitosa», oltre ai precetti di cui agli articoli 1, 2, 3, 4 Cost. 
    Rilevato che in detta sentenza 4 dicembre 2002, n. 506  la  Corte
ha  ritenuto  di  confermare  il  precedente  orientamento  espresso,
secondo cui  aveva  sempre  respinto  la  questione  di  legittimita'
costituzionale, in relazione all'art. 36 cost., dell'art. 545, quarto
comma,  cod.  proc.  civ.,   nella   parte   in   cui   non   prevede
l'impignorabilita'  della  quota  di   retribuzione   necessaria   al
mantenimento del debitore e della famiglia (sentenza n. 20 del  1968;
sentenza n. 38 del 1970; sentenza n. 102 del 1974;  sentenza  n.  209
del 1975; ordinanza n. 12  del  1977;  ordinanza  n.  260  del  1987;
ordinanza n. 491 del 1987; sentenza n. 434 del 1997); 
        che in tale sentenza si e' ritenuto che  l'art.  36  Cost.  -
indica  parametri  ai  quali   deve   conformarsi   l'entita'   della
retribuzione, ma nei rapporti lavoratore-datore di lavoro, senza  che
ne scaturisca, quindi, vincolo  alcuno  per  terzi  estranei  a  tale
rapporto,  oltre  quello  -  frutto  di  razionale   «contemperamento
dell'interesse del creditore con quello del debitore  che  percepisca
uno stipendio» (sentenze n. 20 del 1968 e 38 del 1970) -  del  limite
del  quinto   della   retribuzione   quale   possibile   oggetto   di
pignoramento. 
        che tale pronuncia nel riportarsi alle precedenti, si pone in
un contesto economico e sociale  nonche'  normative  ben  diverso  da
quello attuale,  sia  per  quanto  riguarda  le  modifiche  normative
introdotte sul regime delle pensioni e dei contratti di  lavoro,  sia
per i mutamenti della giurisprudenza che sempre piu'  e'  andata  nel
senso di riconoscere identita' di funzioni  allo  stipendio  ed  alla
pensione, sia per i dati  fattuali  relativi  alle  potenzialita'  di
lavorare e di produrre reddito a cui una persona puo' aspirare,  dato
che la nostra societa' sta attraversando una  crisi  economica  senza
precedenti, ritenuta da molti esperti  anche  peggiore  della  grande
crisi  del  1929,   situazione   che   determina   un   generalizzato
impoverimento dei lavoratori dovuto alla esiguita' degli stipendi, ai
mancati adeguamenti  alla  inflazione,  alla  perdita  di  potere  di
acquisto dei salari e degli stipendi in  generale,  alla  precarieta'
del lavoro, alle formule del part time, etc. 
        che tali mutati fattori economici fanno  si  che,  anche  nel
caso di specie, in mancanza di prova contraria, si debba ritenere che
l'unico reddito su cui  il  debitore  possa  far  conto  per  la  sua
sopravvivenza (a parte la solidarieta' familiare, quando esiste)  sia
quello modestissimo sottoposto a pignoramento. 
        che, nel tempo, la sostanziale identita'  di  funzione  della
pensione e della retribuzione o salario e' stata riconosciuta  sempre
piu' spesso dalla giurisprudenza,  anche  in  applicazione  di  norme
internazionali ed europee, per cui appare necessario un  ripensamento
del  complesso  contesto  normativa  nell'ambito  del  quale  si   e'
affermata la suddetta giurisprudenza, anche  alla  luce  della  nuova
normativa in tema di pignoramenti per crediti tributari  dello  Stato
(decreto-legge n. 16/2012 cd. «decreto Semplificazioni» convertito in
legge n. 44/2012 l'art. 3, comma 5, che ha aggiunto, nel decreto  del
Presidente della Repubblica n. 602/1973  l'art.  72-ter,  recante  il
titolo «Limiti di pignorabilita'»; 
        che nel contesto economico-sociale attuale, con i livelli  di
disoccupazione ormai raggiunti in Italia, con la crisi, economica che
si e' determinata negli ultimi anni,  le  retribuzioni  ed  i  salari
minimi (per lavori spesso precari o part time con orari ridottissimi)
come quello percepito dalla  debitrice  sono  gia'  ai  limiti  della
sussistenza e non appare piu' frutto di un razionale «contemperamento
dell'interesse del creditore con quello del debitore  che  percepisca
uno stipendio» consentire il pignoramento della retribuzione, seppure
nel  limite  di  un  quinto,  destinata   in   modo   essenziale   ed
imprescindibile a garantire la sopravvivenza fisica del lavoratore  e
la  sua  possibilita'  di  svolgere  le  sue  prestazioni  lavorative
sopportando i costi necessari a produrre la sua forza lavoro. 
        che in caso di  applicazione  alla  fattispecie  oggetto  del
presente giudizio del limite indicato dall'art.  72-ter  decreto  del
Presidente della Repubblica 602/1973, introdotto con decreto-legge n.
16/2012  (cd.  «decreto  Semplificazioni»)  convertito  in  legge  n.
44/2012 l'art. 3, comma 5,  essendo  la  somma  dovuta  a  titolo  di
stipendio inferiore  ad  Euro  2500,00  mensili,  la  stessa  sarebbe
pignorabile nel limite di un decima e non di un quinto; 
        che lo stesso legislatore che e'  intervenuto  nella  materia
dei pignoramenti per crediti tributari ha avuto presente ed ha tenuto
in considerazione  l'attuale  congiuntura  economica  ed  il  diverso
contesto normativo. 
 
                               Osserva 
 
    Che  sussistono  seri  dubbi  sulla  legittimita'  costituzionale
dell'art. 545 comma 4 cpc, nella parte in cui  con  riferimento  alle
«somme dovute dai privati a titolo di stipendio, di salario  o  altre
indennita' relative al rapporto  di  lavoro  o  di  impiego  comprese
quelle dovute a causa di licenziamento» indicate nel comma 2, prevede
che: «Tali somme possono essere pignorate nella misura di  un  quinto
per i tributi dovuti allo Stato, alle province ed ai  comuni,  ed  in
eguale misura per ogni altro credito» e un prevede invece  un  minimo
impignorabile necessario a garantire al  lavoratore  «mezzi  adeguati
alle sue esigenze  di  vita»,  ed  una  retribuzione  «in  ogni  caso
sufficiente ad assicurare a se' ed alla famiglia una esistenza libera
e dignitosa» con particolare riferimento alle esigenze di un  reddito
minimo che gli consenta di sostenere le spese  minime  necessarie  al
suo stesso sostentamento in vita ed in condizioni di vita adeguate  a
consentirgli la stessa produzione del reddito. 
    E, in subordine, che sussistono  seri  dubbi  sulla  legittimita'
costituzionale dell'art. 545 comma 4 cpc,  nella  parte  in  cui  con
riferimento alle «somme dovute dai privati a titolo di stipendio,  di
salario o altre indennita'  relative  al  rapporto  di  lavoro  o  di
impiego comprese quelle dovute a causa di licenziamento» indicate nel
II comma, prevede che: «Tali somme  possono  essere  pignorate  nella
misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province ed
ai comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito» e non  prevede
invece, conformemente a quanto previsto dal decreto-legge n.  16/2012
cd. «decreto Semplificazioni» convertito in legge n.  44/2012  l'art.
3, comma 5,  che  ha  aggiunto,  nel  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 602/1973 l'art. 72-ter, recante il  titolo  «Limiti  di
pignorabilita'», che le soglie di pignorabilita' siano le medesime di
quelle indicate dalla legge in materia di tributi e che  qui  debbano
essere graduate a  seconda  dell'ammontare  della  retribuzione  come
indicato dall'art. 72-ter decreto  del  Presidente  della  Repubblica
602/73 come recentemente modificato: a) in misura pari  ad  1/10  per
importi fino a 2.500,00 euro; b) in misura pari ad 1/7 per importi da
2.500,00 a 5.000,00 euro». «Resta ferma la  misura  di  cui  all'art.
545, comma 4, c.p.c., se le somme dovute a titolo  di  stipendio,  di
salario o di altre indennita' relative al rapporto  di  lavoro  o  di
impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, superano  i
cinquemila euro». 
    Ovvero la illegittimita'  costituzionale  dello  stesso  art.  3,
comma 5 del decreto-legge n. 16/2012  cd.  «decreto  Semplificazioni»
convertito in legge n. 44/2012, nella parte in cui non prevede che le
soglie di pignorabilita' siano per tutti i crediti (di regola - salvo
le eccezioni gia' previste  in  materia  di  crediti  alimentari)  le
medesime di quelle indicate dalla legge in materia di tributi: 
        dette disposizioni si pongono in contrasto con  gli  articoli
1, 2, 3 e 36, della Costituzione; 
        in  relazione  all'art.  1  della  Carta  Costituzionale  che
afferma che la Repubblica e' «fondata sul  lavoro»,  all'art.  2  che
riconosce e garantisce i diritti  inviolabili  dell'uomo  e  richiede
l'adempimento  dei  doveri  inderogabili  di  solidarieta'  politica,
economica  e  sociale,  all'art.  3  che  sancisce  il  principio  di
eguaglianza formale e sostanziale ed il principio di  ragionevolezza,
all'art. 4 che riconosce e garantisce  il  diritto  al  lavoro  e  il
dovere di ogni cittadino di svolgere una  attivita'  o  funzione  che
concorra al progresso materiale e spirituale della societa', all'art.
36 che prevede che la retribuzione 
        deve essere non solo commisurata alla  quantita'  e  qualita'
del  lavoro  prestato,  ma  anche  che  deve  essere  «in  ogni  caso
sufficente ad assicurare a se' ed alla famiglia una esistenza  libera
a dignitosa». 
    Al cittadino lavoratore deve essere garantito che frutto del  suo
lavoro, cioe' il suo stipendio o salario, sia  destinato  almeno  nei
limiti del minimo indispensabile, al soddisfacimento  delle  esigenze
primarie di sopravvivenza  sue  e  della  famiglia,  diversamente  ne
risulterebbe violata sia  la  dignita'  del  lavoro  come  fondamento
stesso della Repubblica, sia il diritto al lavoro (in quanto lavorare
puo' diventare economicamente non conveniente), sia il diritto a  che
la retribuzione percepita sia «in ogni caso sufficiente ad assicurare
a se' ed alla famiglia una esistenza libera a dignitosa». 
    Il principio di uguaglianza o di ragionevolezza (art. 3)  risulta
violato  in  relazione  ai  diverso  trattamento  che   riguarda   il
pensionato, il quale, non prestando piu' attivita' lavorativa  riceve
una tutela della propria pensione (che puo' essere vista  anche  come
una retribuzione differita) diversa e maggiore di quella  che  riceve
un lavoratore attivo, il quale ha ancora piu'  necessita'  di  vedere
tutelato un limite vitale di sopravvivenza  oltre  il  quale  il  suo
stipendio  non  puo'  essere  assoggettato   a   pignoramento.   Tale
differenza, avuto riguardo ai cambiamenti  intervenuti  nel  contesto
normativo, nella giurisprudenza, nel tessuto sociale, nella economia,
non appare piu' giustificata da alcun principio di ragionevolezza. 
    Il principio di uguaglianza risulta anche violato in relazione al
diverse trattamento che riceve il debitore a seconda del credito  per
cui si  procede.  Se  il  credito  e'  erariale,  paradossalmente  il
debitore risulta maggiormente tutelato, quando invece le  ragioni  di
interesse pubblico e di quadro normativo  di  riferimento  dovrebbero
giustificare al contrario un miglior trattamento dei crediti erariali
rispetto a quelli comuni. 
    Questo remittente non ignora le precedenti pronunce  della  Corte
costituzionale ma ritiene che i profili sollevati in  motivazione  in
relazione  alla  prima  questione:  riguardante  la  impignorabilita'
assoluta di un minimo vitale dello stipendio, rivestano carattere  di
novita'; e' nuova  la  questione  relativa  al  diverso  e  deterioro
trattamento dei crediti erariali (regolati dall'art.  72-ter  decreto
del Presidente della Repubblica  n.  602/1973)  rispetto  ai  crediti
comuni, inoltre il quadro  normativo  e  quello  socio  economico  di
riferimento, sono talmente cambiati da rivestire caratteri di novita'
e differenza rispetto alle questioni gia' sottoposte al vaglio  della
Corte. 
    La questione e' rilevante nel giudizio in  corso  ai  fini  della
decisione - adattabile anche  ex  officio  -  sulla  impignorabilita'
assoluta delle somme pignorate o sulla  quantificazione  dell'importo
che puo' essere assegnato al creditore (1/5 o 1/10). 
    Questo G.E. ha gia' rimesso a  Codesta  Corte  analoga  questione
(procedimento n. 572/14). 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visto l'art. 134 della  Costituzione,  nonche'  l'art.  23  della
legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Ordina la  sospensione  del  procedimento,  per  pregiudizialita'
costituzionale, con immediata trasmissione - a cura della cancelleria
- del fascicolo d'ufficio e dei  fascicoli  delle  parti  alla  Corte
costituzionale; 
    Ordina la notificazione del presente  provvedimento  -  sempre  a
cura della cancelleria - alla Presidenza del Consiglio  dei  ministri
ed alle parti in  causa,  nonche'  ai  Presidenti  della  Camera  dei
deputati e del Senato della Repubblica. 
 
        Viterbo, 14 luglio 2015 
 
                          Il G.O.T.:  Sisto