N. 190 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 aprile 2016
Ordinanza del 19 aprile 2016 della Corte dei conti di Genova nel giudizio di responsabilita' a carico di V.S. e altri contro Procura regionale presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Liguria. Responsabilita' amministrativa e contabile - Esclusione dell'azione del pubblico ministero contabile per danni all'immagine conseguenti a reati diversi da quelli contro la pubblica amministrazione. - Decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonche' proroga di termini), art. 17, comma 30-ter, inserito dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, come modificato dall'art. 1, comma 1, lett. c), n. 1, del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103 (Disposizioni correttive del decreto-legge anticrisi n. 78 del 2009), convertito, con modificazioni, nella legge 3 ottobre 2009, n. 141.(GU n.40 del 5-10-2016 )
LA CORTE DEI CONTI (Sezione Giurisdizionale per la Regione Liguria) Composta dai Magistrati: dott. Luciano Coccoli: Presidente; dott. Tommaso Salamone: consigliere; dott. Pietro Maltese: consigliere relatore. Ha pronunciato la seguente ordinanza nel giudizio di responsabilita' iscritto al n. 19708 del registro di segreteria, promosso dalla Procura Regionale presso questa Sezione; Contro: V. S., non costituito; N. M., non costituito; B. L., non costituito; C. A., non costituito. Esaminati gli atti e i documenti di causa; Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 27 gennaio 2016 dal Consigliere Pietro Maltese; Udito il pubblico ministero in persona del vice Procuratore generale dott. Gabriele Vinciguerra; Ritenuto in fatto In occasione del vertice dei capi di Stato, denominato G8, tenutosi a Genova nel luglio del 2001, gli agenti C., B., N. e V., tutti appartenenti alla Polizia di Stato, in concorso tra loro e con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in violazione delle norme disciplinanti la facolta' di arresto da parte degli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, nonche' dei doveri del personale della Polizia, privavano della liberta' personale i cittadini spagnoli A. S. G. e L. A. L. G. intenzionalmente operando un arresto al di fuori dei presupposti di legge e abusando dei poteri inerenti le loro funzioni. Gli stessi agenti, inoltre, incolpavano i menzionati cittadini spagnoli, pur sapendoli innocenti, dei reati di resistenza aggravata e possesso ed utilizzo di armi, affermando falsamente nel verbale di arresto e nelle successive relazioni di servizio che A. S. G. veniva sorpreso mentre effettuava all'indirizzo dei reparti schierati della Polizia il lancio di un ordigno incendiario e che L. A. L. G. si scagliava contro le forze di Polizia, armato di un tubolare di ferro, effettuando anche resistenza per sottrarsi all'arresto. La Corte d'appello di Genova con sentenza del 13 luglio 2010, in totale riforma della sentenza di primo grado riteneva colpevoli del reato continuato di falsita' ideologica i convenuti, condannandoli alla pena di quattro anni di reclusione ciascuno, oltre all'interdizione dai pubblici uffici per anni cinque, al risarcimento dei danni in favore delle parti civili da liquidarsi in separato giudizio, al versamento di una provvisionale di € 15.000,00 per ciascuna parte civile, e al pagamento delle spese processuali. Gli altri reati di cui gli imputati erano accusati (calunnia ed abuso di ufficio) venivano dichiarati estinti per prescrizione. A seguito del rigetto del ricorso in Cassazione proposto dai convenuti, la sentenza di condanna e' passata in giudicato. Per i fatti in questione i convenuti sono stati chiamati dalla Procura contabile a rispondere del danno patrimoniale indiretto subito dal Ministero della giustizia, causalmente ricollegabile alla loro condotta illecita, per il pagamento di € 10.584,00 a titolo di spese di costituzione in giudizio delle parti civili ammesse al patrocinio a spese dello Stato nei processi di primo e secondo grado relativi ai fatti in questione, nonche' dell'ulteriore danno patrimoniale subito dal Ministero dell'interno per avere anticipato la somma di € 10.000,00 per le spese legali degli imputati, somma non restituita a seguito della condanna. La Procura contabile, atteso il notevole clamore suscitato dall'intera vicenda la cui notizia e' stata ampiamente riportata e diffusa sugli organi di stampa e sugli altri mezzi di informazione, ha inoltre chiesto il risarcimento del danno all'immagine della Polizia di Stato, gravemente lesa dal comportamento delittuoso dei condannati, danno quantificato in € 200.000,00. Essendo la relativa azione preclusa dall'ari. 17, comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009 n. 78, convertito con modificazioni nella legge 3 agosto 2009 n. 102, modificato dall'art. 1 comma 1 lettera c) n. 1 del decreto-legge 3 agosto 2009 n. 103 convertito dalla legge 3 ottobre 2009 n. 141, che per effetto del rinvio contenuto nella predetta norma all'art. 7 della legge 27 marzo 2001 n. 97, legittima la proposizione dell'azione risarcitoria per danni all'immagine dell'ente pubblico da parte della procura operante presso il giudice contabile soltanto se detto danno e' conseguente a un reato ascrivibile alla categoria dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, la Procura contabile ha proposto questione di legittimita' costituzionale della norma de qua, per contrasto della stessa con gli articoli 3 e 97 della Costituzione. Il contrasto con l'art. 3 Cost. viene denunciato per «l'intrinseca irragionevolezza» della disciplina regolatrice dell'azione risarcitoria per danno all'immagine, ritenuta non conforme a valori di giustizia ed equita' ed a criteri di coerenza logica, nonche' per violazione del principio di uguaglianza, anche a seguito delle nuove figure di danno all'immagine introdotte dal legislatore successivamente alla norma censurata, di cui all'art. 55-quinquies, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165 (aggiunto dall'ari. 69, comma 1, del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150), all'art. 1, comma 12, della legge 6 novembre 2012, n. 190 e all'art. 46, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33. Secondo la disciplina normativa in vigore, verrebbero, infatti, escluse dall'azione risarcitoria per danno all'immagine fatti di reato altrettanto gravi e anche piu' gravi di quelli che integrano gli estremi dei reati contro la P.A. e soprattutto certamente piu' gravi dei fatti non costituenti reato descritti dalle nuove figure di violazioni di doveri del pubblico dipendente, si e' innanzi fatto cenno, creando sperequazioni manifestamente irragionevoli tra fatti che producono i medesimi effetti dannosi e dando luogo anche a situazioni paradossali. A titolo esemplificativo, si evidenzia che risulta inspiegabilmente escluso il risarcimento del danno all'immagine della pubblica amministrazione nelle ipotesi di reati contro l'amministrazione della giustizia, non compresi capo I, libro II titolo II del codice penale, che sussiste danno all'immagine risarcibile per la violazione del segreto d'ufficio (326 c.p.) ma non per la rivelazione di segreto di Stato (261 c.p.) commessa da pubblico ufficiale, che sussiste danno all'immagine per l'indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato di cui all'art. 316-ter del c.p. ma non per la truffa aggravata per il conseguimento delle medesime erogazioni pubbliche di cui all'art. 640-bis del codice penale e cioe' per lo stesso fatto di reato commesso con artifici e raggiri, che e' ammesso il risarcimento dei danno all'immagine nel caso di abuso d'uffici di cui all'art. 323 codice penale ma non nei casi in cui detto reato viene assorbito in uno piu' grave ma non compreso nel capo I, libro II titolo II del codice penale, nonostante permanga la lesione del bene protetto dalla norma incriminatrice del reato assorbito (il buon andamento della P.A.), che risponde di danno all'immagine la guardia carceraria che in cambio di favori sessuali dispensa benefici in violazione dei propri doveri a soggetti sottoposti a custodia, mentre non ne risponde se commette violenza sessuale a danno degli stessi soggetti cui poi dispensa i medesimi benefici per evitare di essere denunciata. Le contraddizioni e le incongruenze che la norma censurata produce sono, secondo la procura, tali e tante da rendere non manifestamente infondato il dubbio sulla legittimita' costituzionale dell'art. 17, comma 30-ter del decreto-legge n. 78/2009 citato, nella parte in cui non consente l'azione di risarcimento del danno all'immagine conseguente a reati, commessi da pubblici dipendenti, diversi da quelli contro la pubblica amministrazione per contrasto con l'art. 3 Cost. sotto il profilo della intrinseca irragionevolezza della norma e della violazione dei principi di uguaglianza e di conformita' dell'ordinamento a valori di giustizia e di equita', senza che vi sia una apprezzabile contropartita, sul piano dell'effettivita', nell'incremento di tutela di altri interessi o valori costituzionali. Considerato in diritto 1. La questione di legittimita' costituzionale dell'art. 17 comma 30-ter del decreto-legge l° luglio 2009 n. 78, convertito con modificazioni nella legge 3 agosto 2009 n. 102, modificato dall'art. 1 comma 1 lettera c) n. 1 del decreto-legge 3 agosto 2009 n. 103 convertito dalla legge 3 ottobre 2009 n. 141, sollevata dalla Procura contabile appare rilevante e non manifestamente infondata. 1.1 La norma censurata dispone che «Le procure della Corte dei conti esercitano l'azione per il risarcimento del danno all'immagine nei soli casi e nei modi previsti dalli art. 7 della legge 27 marzo 2001 n. 97. A tale ultimo fine, il decorso del termine di prescrizione di cui al comma 2 dell'art. 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e' sospeso fino alla conclusione del procedimento penale. Qualunque atto istruttorio o processuale posto in essere in violazione delle disposizioni di cui al presente comma, salvo che sia stata gia' pronunciata sentenza anche non definitiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, e' nullo e la relativa nullita' puo' essere fatta valere in ogni momento, da chiunque vi abbia interesse, innanzi alla competente sezione giurisdizionale della Corte dei conti, che decide nel termine perentorio di trenta giorni dal deposito della richiesta.» A sua volta, richiamato art. 7 legge 27 marzo 2001 n. 97, intitolato «Responsabilita' per danno erariale», dispone che: «La sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti indicati nell'art. 3 per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale e' comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti affinche' promuova entro trenta giorni l'eventuale procedimento di responsabilita' per danno erariale nei confronti del condannato. Resta salvo quanto disposto dall'art. 129 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989 n. 271». 2. Secondo il diritto vivente, ricavabile dall'interpretazione della norma in questione ad opera della prevalente giurisprudenza della Corte di cassazione (sentenza n. 14605 del 2014) e della Corte dei conti (SS.RR sentenza n. 8/QM del 2015), il riferimento «ai casi e ai modi» previsti nell'art. 7 della citata legge n. 97 del 2001, comporta la possibilita' della procura contabile di esperire l'azione di risarcimento solo nel caso di danno all'immagine conseguente ad uno de reati di cui al capo I, titolo II, libro II de codice penale, vale a dire nelle ipotesi di delitti contro la pubblica amministrazione, tra i quali non e' compreso il reato di falsita' ideologica per il quale i convenuti sono stati condannati. La stessa Corte costituzionale, nel dichiarare inammissibili e/o infondate le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 17, comma 30-ter prospettate da varie Sezioni giurisdizionali della Corte dei conti, ha ritenuto (sentenza n. 355 del 2010 e ordinanze nn. 219, 220 e 221 del 2011) che «il legislatore ha ammesso la proposizione dell'azione risarcitoria per danni all'immagine dell'ente pubblico da parte della procura operante presso il giudice contabile soltanto in presenza di un fatto di reato ascrivibile alla categoria dei «delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione» e che «La norma deve essere univocamente interpretata, [...] nel senso che al di fuori delle ipotesi tassativamente previste di responsabilita' per danni all'immagine dell'ente pubblico di appartenenza, non e' configurabile siffatto tipo di tutela risarcito» (sentenza n. 355 del 2010). 3. Escluse, pertanto, interpretazioni dell'art. 17, comma 30-ter che possano far ritenere esperibile l'azione della Procura contabile anche nei casi di danni all'immagine dell'amministrazione conseguenti a reati diversi da quelli contemplati dalla norma stessa, la questione proposta e' da ritenersi rilevante nel presente giudizio, in quanto l'applicazione della disposizione censurata determinerebbe l'improponibilita' della domanda di risarcimento del danno all'immagine, precludendone l'esame. 4. remittente ritiene che la questione sollevata dalla Procura attrice, oltre che rilevante, sia anche non manifestamente infondata. Il Collegio non ignora che la Corte ha gia' scrutinato, sotto diversi profili, la questione di legittimita' relativa alla norma censurata. Ritiene, tuttavia, che alla luce dei principi che presiedono alla verifica della ragionevolezza degli interventi del legislatore, elaborati dalla stessa giurisprudenza costituzionale, il denunciato contrasto della norma censurata con gli articoli 3 e 97 della Costituzione non sia manifestamente infondato, con riferimento agli ulteriori profili, di seguito illustrati. 5. Come e' noto, la giurisprudenza costituzionale ha «desunto dall'art. 3 Cost. un canone di «razionalita'» della legge svincolato da una normativa di raffronto, rintracciato nell'esigenza di conformita' dell'ordinamento a valori di giustizia e di giustizia e di equita' [...] ed a criteri di coerenza logica, teleologica e storico-cronologica, che costituisce un presidio contro l'eventuale manifesta irrazionalita' o iniquita' delle conseguenze della stessa» (sent. n. 87/2012) Alla luce del suddetto canone di razionalita', utilizzato dalla Corte per l'esercizio del sindacato di legittimita', il Collegio remittente, ritiene, non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 17, comma 30-ter del decreto-legge 1° luglio 2009 n. 78, sollevata dalla Procura, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della «intrinseca irragionevolezza» della disciplina dalla stessa dettata, a seguito delle successive disposizioni all'art. 55-quinquies, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165 (aggiunto dall'art. 69, comma 1, del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150), all'art. 1, comma 12, della legge 6 novembre 2012, n. 190 e all'art. 46, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33. 5.1 La scelta, operata con la disposizione censurata, di non estendere l'azione risarcitoria anche in presenza di condotte non costituenti reato, ovvero costituenti un reato diverso da quelli contro la pubblica amministrazione ritenuta legittima dalla Corte con la sentenza n. 355 del 2010, e', infatti, smentita dallo stesso legislatore che in momenti all'entrata in vigore dell'art. 17 comma 30-ter del decreto-legge n. 78/2009, ha introdotto ulteriori fattispecie di danno all'immagine dell'amministrazione, come conseguenza di reati non compresi tra quelli disciplinati dal capo I titolo II libro II del codice penale e anche di fatti che non costituiscono reato, con conseguente irrazionalita' della disciplina dettata dal predetto art. 17, comma 30-ter. 5.2 La prima nuova fattispecie di danno all'immagine e' prevista dall'art. 55-quinquies, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165 (aggiunto dall'art. 69, comma 1, del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150), secondo cui risponde di danno all'immagine alla pubblica amministrazione il lavoratore dipendente che attesta falsamente la propria presenza in servizio, mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalita' fraudolente, ovvero giustifica l'assenza dal servizio mediante una certificazione falsa o falsamente attestante uno stato di malattia. Successivamente, con l'art. 1, comma 12, della legge 6 novembre 2012, n. 190 e' stato previsto che «In caso di commissione, all'interno dell'amministrazione, di un reato di corruzione accertato con sentenza passata in giudicato, il responsabile individuato ai sensi del comma 7 del presente articolo risponde ai sensi dell'art. 21 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, nonche' sul piano disciplinare, oltre che per il danno erariale e all'immagine della pubblica amministrazione, salvo che provi tutte le seguenti circostanze: a) di avere predisposto, prima della commissione del fatto, il piano di cui al comma 5 e di aver osservato le prescrizioni di cui ai commi 9 e 10 del presente articolo; b) di aver vigilato sul funzionamento e sull'osservanza del plano.» Infine, con l'art. 46, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 (Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicita', trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni) e' stata introdotta una ulteriore fattispecie di danno all'immagine risarcibile, prevedendosi che «L'inadempimento degli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente o la mancata predisposizione del Programma triennale per la trasparenza e l'integrita' costituiscono elemento di valutazione della responsabilita' dirigenziale, eventuale causa di responsabilita' per danno all'immagine dell'amministrazione e sono comunque valutati ai fini della corresponsione della retribuzione di risultato e del trattamento accessorio collegato alla performance individuale dei responsabili.» 5.3 La prima delle tre fattispecie evidenziate, gia' inserita nell'ordinamento al tempo in cui la Corte costituzionale si e' pronunciata sulla questione relativa all'art. 17, comma 30-ter, (sentenza n. 355 del 2010), e' stata ritenuta elemento insufficiente ad intaccare il criterio limitativo del risarcimento del danno all'immagine ai soli casi dei delitti contro la pubblica amministrazione, attesa la sua «specialita'» e «la ratio che ne ha giustificato l'introduzione nel sistema» (sentenza n. 355 del 2010). La successiva previsione legislativa delle altre due ipotesi di danno all'immagine risarcibile, relative a fatti che non costituiscono reato, non essendo piu' giustificabile con il criterio di specialita', ha, pero', incrinato la coerenza interna della scelta del legislatore tradotta nell'art. 17, comma 30-ter, rendendo irragionevole e, quindi, costituzionalmente illegittima, per violazione dell'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della intrinseca irrazionalita' della disciplina e della disparita' di trattamento risultante, l'esclusione dell'azione risarcitoria nelle ipotesi di danno all'immagine causato dalla commissione di reati diversi da quelli espressamente contemplati dal predetto art. 17, comma 30-ter. L'azione risarcitoria per il danno all'immagine dell'amministrazione risulta, infatti, prevista per fatti dannosi di minore gravita', (tenuto conto del tipo di sanzione prevista dal legislatore in caso di violazione) quali quelli relativi alle due ultime fattispecie citate, che non costituiscono neppure reato (art. 1, comma 12, della legge 6 novembre 2012, n. 190 e art. 46, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33), mentre risulta esclusa per danni all'immagine causati dai piu' gravi fatti di reato, produttivi della stessa tipologia di danno. Se a quanto esposto si aggiungono le diversita' di trattamento, ingiustificate sul piano giuridico, che la norma censurata determina, in premessa indicate a titolo esemplificativo, non puo' non dubitarsi della legittimita' costituzionale della disposizione censurata, per violazione del principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost. che impone parita' di trattamento di situazioni analoghe e per violazione del canone di ragionevolezza intrinseca, desunto dallo stesso art. 3, che esige conformita' dell'ordinamento a valori di giustizia e di equita' dallo stesso tutelati ed a criteri di coerenza logica, teleologica e storico-cronologica, e che costituisce un presidio contro l'eventuale manifesta irrazionalita' o iniquita' delle conseguenze della norma (sentenze n. 46 del 1993 e n. 81 del 1992), principio che risulta violato nel momento in cui la tutela dell'immagine dell'amministrazione non viene accordata o negata a seconda della sussistenza o meno del danno, ma sulla base del fatto generatore dello stesso, la cui individuazione risulta di fatto affidata all'arbitrium merum del legislatore. 6. 6. Il predetto art. 17, comma 30-ter, del decreto-legge n. 78/2009 appare, inoltre, contrastante con l'art. 3 Cost. per violazione dello stesso canone della «intrinseca ragionevolezza», sotto un ulteriore profilo, nonche' con l'art. 97 Cost. 6.1 Il Giudice delle leggi, pur riconoscendo l'esistenza di diritti «propri» degli enti pubblici e conseguentemente la possibilita' di forme peculiari di risarcimento del danno non patrimoniale nel caso in cui i suddetti diritti vengano violati, ha identificato il danno derivante dalla lesione del diritto all'immagine della p.a. nel pregiudizio recato alla rappresentazione che essa ha di se' in conformita' al modello delineato dall'art. 97 Cost., individuando, pertanto, sostanzialmente in questa norma costituzionale il fondamento della rilevanza di tale diritto (sentenza n. 355 del 2010). La Corte ha anche precisato che il riconoscimento dell'esistenza di diritti «propri» degli enti pubblici tra cui il diritto all'immagine «deve necessariamente tenere conto della peculiarita' del soggetto tutelato e della conseguente diversita' dell'oggetto di tutela, rappresentato dall'esigenza di assicurare prestigio, la credibilita' e il corretto funzionamento degli uffici della pubblica amministrazione (sentenza n. 172 del 2005), ritenendo in questa prospettiva, non manifestamente irragionevole «ipotizzare differenziazioni di tutele, che si possono attuare a livello legislativo, anche mediante forme di protezione dell'immagine dell'amministrazione pubblica a fronte di condotte del dipendenti, specificamente tipizzate, meno pregnanti rispetto a quelle assicurate alla persona fisica.» (sentenza n. 355 del 2010). Anche in ambiti connotati da un'ampia discrezionalita' legislativa, lo scrutinio di ragionevolezza impone pero' «di verificare che il bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti non sia stato realizzato con modalita' tali da determinare il sacrificio o la compressione di uno di essi in misura eccessiva e pertanto incompatibile con il dettato costituzionale. Tale giudizio deve svolgersi «attraverso ponderazioni relative alla proporzionalita' dei mezzi prescelti dal legislatore nella sua insindacabile discrezionalita' rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalita' che intende perseguire» (Corte costituzionale sentenza n. 1130 del 1988) ed ha lo scopo di «valutare se la norma oggetto di scrutinio, con la misura e le modalita' di applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto tra piu' misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi (sent. n. 1 del 2014). Detto sindacato «di giustizia» o di «intrinseca irragionevolezza» della legge prescinde, come e' noto, dal carattere ternario e dalla comparazione tra norme, per assumere la forma del controllo della adeguatezza della legge rispetto al caso regolato. Significativa e', al riguardo, la sentenza 185 del 2003, che ha giudicato «irragionevole» la compressione di un diritto (si trattava del diritto di proprieta') in nome di un valore costituzionalmente tutelato (la tutela dei beni culturali), in quanto la misura limitativa e' stata ritenuta eccessiva ed esuberante rispetto alla finalita' perseguita, che gia' poteva ritenersi soddisfatta da altre previsioni contenute nell'ordinamento. 6.2 Alla luce dei predetti canoni, il Collegio remittente, ritiene, non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 17, comma 30-ter del decreto-legge 1° luglio 2009 n. 78, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione sotto il profilo della «intrinseca irragionevolezza» della norma, e con l'art. 97, sotto il profilo della violazione del diritto all'immagine della pubblica amministrazione che nella citata disposizione trova ancoraggio di rilievo costituzionale per i seguenti motivi. 6.3 La ratio della disposizione censurata risulta esattamente individuata dalla Corte costituzionale nell'intento di «limitare ulteriormente l'area della gravita' della colpa del dipendente incorso in responsabilita', proprio all'evidente scopo di consentire un esercizio dell'attivita' di amministrazione della cosa pubblica, oltre che piu' efficace ed efficiente, piu' possibile scevro da appesantimenti, ritenuti dal legislatore eccessivamente onerosi, per chi e' chiamato, appunto, a porla in essere.» (Corte cost. sentenza n. 355 del 2010). La norma, infatti, intende «circoscrivere oggettivamente i casi in cui e' possibile, sul piano sostanziale e processuale, chiedere il risarcimento del danno in presenza della lesione dell'immagine dell'amministrazione imputabile a un dipendente di questa», «sulla base della considerazione secondo cui l'ampliamento dei casi di responsabilita' di tali soggetti, se non ragionevolmente limitata in senso oggettivo, e' suscettibile di determinare un rallentamento nell'efficacia e tempestivita' dell'azione amministrativa dei pubblici poteri, per effetto dello stato diffuso di preoccupazione che potrebbe ingenerare in coloro ai quali, in definitiva, e' demandato l'esercizio dell'attivita' amministrativa.» (Corte cast. sentenza n. 355 del 2010). 6.4 Essendo questi indubitabilmente gli obiettivi dell'intervento normativo oggetto della questione di legittimita', il profilo di censura che viene in rilievo con riferimento alla «ragionevolezza intrinseca» della disposizione, attiene alla idoneita', alla proporzionalita' ed alla necessita' del mezzo scelto per l'attuazione dell'intento legislativo, sproporzionato ed eccessivo rispetto allo scopo, ma anche non necessario e inidoneo al conseguimento degli obiettivi legittimamente perseguiti. 6.5 Se la finalita' perseguita e' quella di «consentire un esercizio dell'attivita' di amministrazione della cosa pubblica, oltre che piu' efficace ed efficiente, il piu' possibile scevro da appesantimenti» al fine di valutare la ragionevolezza dell'intervento, non puo' non tenersi conto del fatto che il legislatore, allo scopo di limitare la responsabilita' dei pubblici dipendenti, e gia' piu' volte intervenuto, con provvedimenti normativi riconosciuti legittimi dalla stessa Corte costituzionale (sentenza n. 371 del 1998; sentenza n. 453 del 1998), finalizzati a restringere la sfera di detta responsabilita', (legge 14 gennaio 1994 n. 20; decreto-legge 23 ottobre 1996 n. 543), limitando il risarcimento alle sole condotte dannose connotate da dolo o colpa grave e la trasmissibilita' del debito agli eredi solo nel caso di illecito arricchimento del dante causa e di conseguente illecito arricchimento degli eredi stessi, prevedendo l'insindacabilita' delle scelte discrezionali e l'obbligo di tenere conto dei vantaggi comunque conseguiti dall'amministrazione o dalla comunita' amministrata, fissando la regola generale della parziarieta' dell'obbligazione di risarcimento, limitando al quinquennio termine prescrizionale (art. 1 commi 1 - 4 della legge 14 gennaio 1994 n. 20) e sancendo l'obbligo di rimborsare in ogni caso al dipendente prosciolto nel processo per danno erariale le spese legali sostenute (art. 3, comma 2-bis del decreto-legge n. 543/1996, art. 18, comma 1 del decreto-legge n. 67/1997 e art. 10-bis, comma 10 del decreto-legge n. 203/2005). Risultando la finalita' perseguita dal legislatore gia' abbondantemente soddisfatta da strumenti piu' consoni e sicuramente piu' efficaci, quali quelli appena indicati, la scelta di restringere ulteriormente confini della responsabilita' per i danni causati alla pubblica amministrazione limitando il risarcimento dei danni all'immagine solo nelle ipotesi in cui gli stessi siano conseguenti ad uno dei reati contro la Pubblica Amministrazione, e restringendo, quindi, di converso, i confini della tutela del diritto dell'amministrazione all'onore e alla reputazione appare misura eccessiva ed esuberante rispetto allo scopo e, pertanto, secondo il parametro costituzionale dell'art. 3, intrinsecamente irrazionale. 6.6 La misura non appare, tra l'altro, neppure idonea al raggiungimento degli obiettivi che il legislatore si proponeva di raggiungere con la disciplina in esame. Pur tenendo conto che nella materia de qua il legislatore dispone di un ambito di discrezionalita' abbastanza ampio e', infatti, pur sempre necessario che i mezzi scelti per il raggiungimento dei fini proposti abbiano i requisiti della razionalita' e della idoneita' allo scopo requisiti parimenti oggetto di sindacato da parte del Giudice delle leggi. Eliminare l'obbligo del pubblico dipendente di risarcire il danno all'immagine dell'amministrazione causato, come nel caso di specie, da agenti appartenenti alla Polizia di Stato condannati con sentenza passata in giudicato per avere; nell'esercizio delle loro funzioni di ordine pubblico, arrestato illegalmente persone che sapevano innocenti, accusandoli falsamente in atti ufficiali da loro stessi redatti della commissione di gravi delitti, non sembra misura idonea ad agevolare il raggiungimento dell'obiettivo del buon andamento dell'amministrazione o strumento in qualche modo funzionale all'attuazione dei principi di legalita', di imparzialita', di economicita' e di trasparenza che costituiscono il modello fondante dell'azione amministrativa previsto dall'art. 97 Cost. Appare, anzi, ragionevole ritenere che l'obiettivo di una amministrazione efficiente ed imparziale avrebbe maggiori probabilita' di essere raggiunto ampliando, a scopo quanto meno dissuasivo, e non certamente restringendo, la sfera di responsabilita' del pubblico dipendente che approfitta delle funzioni svolte per delinquere (e, in tal senso, del resto, sembra muoversi lo stesso legislatore, come si evince dalle scelte successive all'emanazione della norma censurata, ampliative delle ipotesi di danno all'immagine della P.A). Ne consegue che l'eccessivo e sproporzionato sacrificio del diritto all'onore ed alla reputazione della pubblica amministrazione imposto dalla disposizione normativa censurata, non trovando giustificazione nella necessita' di un bilanciamento al fine di tutelare un altro diritto costituzionalmente protetto e potenzialmente con esso confliggente, e' da ritenere costituzionalmente illegittimo. Non e', pertanto, manifestamente infondato il dubbio che l'art 17, comma 30-ter del decreto-legge 1° luglio 2009 n. 78, convertito con modificazioni nella legge 3 agosto 2009 n. 102, e s.m. nella parte in cui prevede il trattamento differenziato dei danni all'immagine derivanti da reati diversi da quelli contro la pubblica amministrazione sia in contrasto con gli articoli 3 e 97 della Costituzione, per «intrinseca irragionevolezza» anche sotto gli anzidetti ulteriori profili. 7. Per le ragioni che precedono, in applicazione dell'art. 23 della legge costituzionale n. 87/1953 riservata ogni altra decisione all'esito del giudizio innanzi alla Corte costituzionale, la Sezione ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 17, comma 30-ter del decreto-legge 1° luglio 2009 n. 78, convertito con modificazioni nella legge 3 agosto 2009 n. 102, con riferimento agli articoli 3 e 97 Cost. e dispone la rimessione degli atti alla Corte costituzionale per la relativa decisione.
P. Q. M. Visti gli articoli 134 e segg. della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87, solleva in quanto rilevante per la decisione del ricorso e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 17, comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009 n. 78, convertito con modificazioni nella legge 3 agosto 2009 n. 102, modificato dall'art. 1 comma 1 lettera c) n. 1 del decreto-legge 3 agosto 2009 n. 103, convertito dalla legge 3 ottobre 2009 n. 141, per contrasto con gli articoli 3 e 97 Cost. nella parte in cui esclude l'esercizio dell'azione del pubblico ministero contabile per il risarcimento del danno all'immagine conseguente a reati commessi da pubblici dipendenti, diversi da quelli contro la pubblica amministrazione di cui al Capo I titolo II libro II del codice penale, conseguentemente disponendo la sospensione del presente giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Ordina che la presente ordinanza di rimessione sia notificata, a cura della segreteria della Sezione, a tutte le parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonche' comunicata al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati. Cosi' provveduto in Genova nella Camera di consiglio del 27 gennaio 2016. Il Presidente: Coccoli L'estensore: Maltese