N. 193 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 giugno 2016
Ordinanza del 30 giugno 2016 del Tribunale di Cagliari nel procedimento penale a carico di F. A.. Reati e pene - Concorso di circostanze aggravanti e attenuanti - Divieto di prevalenza della diminuente della seminfermita' di mente sull'aggravante della recidiva reiterata. - Codice penale, art. 69, comma quarto, come sostituito dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla L. 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione).(GU n.41 del 12-10-2016 )
TRIBUNALE DI CAGLIARI Sezione dei giudici per le indagini preliminari e dell'udienza preliminare Il Giudice dell'udienza preliminare, dottoressa Ermengarda Ferrarese, nel procedimento iscritto nei confronti di: A. F., nato a Cagliari il ...... detenuto per altro, gia' presente, difeso di fiducia dall'avvocato Cinzia Orgiana, imputato: del delitto di cui agli articoli 110, 628 comma 1 del codice penale perche', in concorso con persona allo stato non identificata, al fine di procurare a se' o ad altri un ingiusto profitto, si impossessava di euro 50,00 costringendo D. N., mediante minaccia, a consegnargli la predetta somma che deteneva nel portafoglio. Minaccia consistita nello strattonare la parte offesa afferrando il giubbotto e avvicinando il pugno chiuso sul suo viso. In Cagliari il 16 gennaio 2012. Con la recidiva reiterata specifica infraquinquennale ha pronunciato la seguente ordinanza per sollevare, d'ufficio, la questione di legittimita' costituzione dell'art. 69, quarto comma codice penale (come sostituito dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005 n. 251) perche' rilevante e non manifestamente infondata in relazione agli artt. 3, 27, terzo comma e 32 della Costituzione nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della diminuente della seminfermita' di mente prevista dall'art. 89 codice penale sulla recidiva di cui all'art. 99, quarto comma codice penale. Motivi della decisione Rilevanza Nell'udienza preliminare fissata in seguito alla richiesta di rinvio a giudizio, A. F., ha chiesto di essere giudicato con il rito abbreviato e, tramite il difensore, ha prodotto, in particolare, una perizia psichiatrica del 7 marzo 2011 ed una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti del 2 marzo 2012 dalle quali risultava che era seminfermo di mente. Ritenuto di non poter decidere allo stato degli atti, e' stata disposta una perizia psichiatrica. Il perito nominato nel giudizio abbreviato, premesso di occuparsi di F. dall'eta' adolescenziale per iniziale abuso di sostanze stupefacenti, ha ricostruito la storia clinica e le sue peregrinazioni presso tantissime comunita' terapeutiche compresa, addirittura, la REMS (nel novembre 2015). Attualmente F. ha un Disturbo Antisociale di Personalita'. Gli esami psicodiagnostici hanno sempre messo in evidenza una struttura molto fragile, insicura, con sentimenti di abbandono e inadeguatezza, assolutamente immatura nei riflessi sociali e affettivi. E' polarizzato su una visione egocentrica del mondo a discapito della reciprocita' e questo gli impedisce di conoscere il valore e i diritti degli altri. E' un'infermita' di mente tale da scemare grandemente le sue capacita' di intendere e di volere perche' determina una limitazione molto spiccata della capacita' di riflettere sul significato delle sue azioni. Il pensiero e' incentrato su una visione egoica ed egocentrica del mondo e se ha necessita' della droga prende cio' che gli serve commettendo sempre questo genere di rapine. Nella discussione il Pubblico Ministero ha chiesto la condanna di F. ad una pena di otto mesi di reclusione ed euro 800,00 di multa, erroneamente concludendo per la prevalenza della diminuente del vizio parziale di mente e dell'attenuante prevista dall'art. 62 n. 4 codice penale sulla recidiva; ha chiesto, inoltre, l'applicazione della misura di sicurezza della liberta' vigilata per la durata di un anno. Il difensore ha concluso per la condanna al minimo della pena, con tutte le attenuanti concedibili compresa quella del vizio parziale di mente; si e' opposto all'applicazione della misura di sicurezza. Deve essere sollevata d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale descritta in premessa. F. e' un pluripregiudicato reiterato, specifico ed infraquiquennale per decine di reati di furti e rapine commessi con modalita' simili a quella per la quale si procede. La recidiva, di conseguenza, non puo' essere esclusa, in conformita' all'insegnamento delle Sezioni Unite della Suprema Corte (Cass. S. U. sentenza n. 35738 del 27 maggio 2010) secondo il quale e' «compito del giudice, quando la contestazione concerna una delle ipotesi contemplate dai primi quattro commi dell'art. 99 codice penale e quindi anche nei casi di recidiva reiterata [...], quello di verificare in concreto se la reiterazione dell'illecito sia effettivo sintomo di riprovevolezza e pericolosita', tenendo conto, secondo quanto precisato dalla indicata giurisprudenza costituzionale e di legittimita', della natura dei reati, del tipo di devianza di cui sono il segno, della qualita' dei comportamenti, del margine di offensivita' delle condotte, della distanza temporale e del livello di omogeneita' esistente fra loro, dell'eventuale occasionalita' della ricaduta e di ogni altro possibile parametro individualizzante significativo della personalita' del reo e del grado di colpevolezza, al di la' del mero ed indifferenziato riscontro formale dell'esistenza di precedenti penali». Nel caso concreto sussistono tutti i descritti indici rivelatori di una relazione qualificata tra i precedenti ed il nuovo illecito commesso, significativo di una maggiore pericolosita' sociale. Sono, infatti, reati della stessa indole per la concreta omogeneita' delle condotte criminose espressive di una personalita' delinquenziale profondamente caratterizzata dal Disturbo di Personalita'. Si tratta, come dice la Relazione al progetto definitivo, di «uno stato patologico veramente serio», valutati i dati anamnestici, clinici e comportamentali, la natura, il decorso del disturbo psicopatologico, cronico e strutturato nel tempo. Tuttavia, quanto alla colpevolezza, F. delinque non perche' agisce liberamente in risposta ad impulsi criminali che potrebbe dominare ma perche' «malato». E' un soggetto affetto da un gravissimo Disturbo di Personalita' che incide sulla possibilita' di orientare le scelte e le azioni secondo le regole. F. ripete la condotta illecita un numero infinito di volte senza percepirne neanche il disvalore perche' concentrato esclusivamente sul soddisfacimento del suo bisogno egoico. Il Disturbo e' di tale intensita' da assumere rilievo causale determinante nella commissione degli illeciti: esiste ed e' provato il nesso eziologico con la specifica condotta criminosa (come richiesto dalle S.U. nella sentenza n. 9163 del 25 gennaio 2005). La diminuente della seminfermita' ha, per il legislatore, un peso specifico notevole tanto e' vero che, nell'art. 89 codice penale, la riduzione della pena e' introdotta dall'avversativa «ma» che ne sottolinea la pregnanza in relazione al trattamento sanzionatorio. In questo contesto, di conseguenza, potendo la diminuente essere ritenuta soltanto equivalente all'aggravante della recidiva reiterata, F. dovrebbe essere punito con la pena di tre anni di reclusione (prescindendo dalla diminuzione per il rito abbreviato che non assume rilievo). E' una pena evidentemente sproporzionata all'entita' del fatto: una rapina mediante strattonamento del giubbotto di un giovane studente universitario e sottrazione della somma di euro 50,00. F., quando la persona offesa lo riconobbe, ammise immediatamente l'addebito, chiese scusa e promise di adoperarsi per restituire i 50,00 euro. Non ci sono dubbi sulla responsabilita' penale per il reato di rapina ascritto. In questo caso in cui e' cosi' rilevante l'efficacia causale del vizio di mente sulla recidiva non e' possibile che il giudice sia vincolato al semplice bilanciamento mediante l'equivalenza perche' il risultato e' una pena illegale e profondamente contraria alla finalita' rieducativa imposta dall'art. 27, terzo comma della Costituzione. Non manifesta infondatezza La norma censurata e' in contrasto, anzitutto, con l'art. 3 della Costituzione perche' conduce ad applicare pene identiche a condotte di rilievo sostanziale enormemente diverso. Infatti, nel caso di recidivo reiterato seminfermo che commetta una rapina pluriaggravata, per effetto del bilanciamento della diminuente prevista dall'art. 89 codice penale, equivalente alla recidiva e alle altre aggravanti concorrenti, si dovrebbe infliggere ugualmente una pena di tre anni di reclusione a fronte di un fatto ben piu' grave per le sue articolazioni concrete. E' necessario, invece, «garantire il rispetto del principio di colpevolezza e, nello stesso tempo, delle esigenze preventive». La Corte Costituzionale, con la sentenza del 15 novembre 2012 n. 251, nel dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto comma codice penale nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza dell'attenuante prevista dall'art. 73, comma 5 decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990 n. 309 (attualmente trasformata in reato autonomo) ha sancito principi di rilievo fondamentale. In particolare ha affermato: «Il giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee consente al giudice di valutare il fatto in tutta la sua ampiezza circostanziale, sia eliminando dagli effetti sanzionatori tutte le circostanze (equivalenza), sia tenendo conto di quelle che aggravano la quantitas delicti, oppure soltanto di quelle che la diminuiscono (sentenza n. 38 del 1985). Deroghe al bilanciamento pero' sono possibili e rientrano nell'ambito delle scelte del legislatore, che sono sindacabili da questa Corte «soltanto ove trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell'arbitrio» (sentenza n. 68 del 2012), ma in ogni caso non possono giungere a determinare un'alterazione degli equilibri costituzionalmente imposti nella strutturazione della responsabilita' penale». Questi principi sono stati posti a fondamento di tutte le altre sentenze che hanno dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto comma codice penale: quelle n. 105 e 106 del 18 aprile 2014 rispettivamente in relazione all'attenuante di cui all'art. 648, secondo comma codice penale e di cui all'art. 609-bis, terzo comma codice penale, nonche' quella n. 74 del 7 aprile 2016 sull'attenuante della collaborazione prevista dall'art. 73, comma 7 decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990 n. 309. La finalita' rieducativa della pena, prevista dall'art. 27, terzo comma della Costituzione - secondo parametro - implica per la Corte un costante «principio di proporzione» tra qualita' e quantita' della sanzione, da una parte, e offesa, dall'altra" (sentenza n. 313 del 1990). «[...] La finalita' rieducativa della pena non e' limitata alla sola fase dell'esecuzione, ma costituisce «una delle qualita' essenziali e generali che caratterizzano la pena nel suo contenuto ontologico, e l'accompagnano da quando nasce, nell'astratta previsione normativa, fino a quando in concreto si estingue» (sentenza n. 313 del 1990; si vedano anche le sentenze n. 129 del 2008, n. 257 del 2006, n. 341 del 1994). E' da aggiungere che «tra le finalita' che la Costituzione assegna alla pena - da un lato, quella di prevenzione generale e difesa sociale, con i connessi caratteri di afflittivita' e retributivita', e, dall'altro, quelle di prevenzione speciale e di rieducazione, che tendenzialmente comportano una certa flessibilita' della pena in funzione dell'obiettivo di risocializzazione del reo - non puo' stabilirsi a priori una gerarchia statica ed assoluta che valga una volta per tutte ed in ogni condizione. Il legislatore puo' cioe' - nei limiti della ragionevolezza - far tendenzialmente prevalere, di volta in volta, l'una o l'altra finalita' della pena, ma a patto che nessuna di esse ne risulti obliterata. Per un verso, infatti, il perseguimento della finalita' rieducativa (...) non puo' condurre a superare l'afflittivita' insita nella pena detentiva determinata nella sentenza di condanna. Per altro verso, il privilegio di obiettivi di prevenzione generale e di difesa sociale non puo' spingersi fino al punto da autorizzare il pregiudizio della finalita' rieducativa espressamente consacrata dalla Costituzione nel contesto dell'istituto della pena» (cosi', in termini, Corte Costituzionale, sentenza n. 183 del 10 giugno 2011). Inoltre e' importante richiamare anche la sentenza n. 168 del 28 aprile 1994 n. 168 con la quale la Corte Costituzionale dichiaro' l'illegittimita' costituzionale, in via conseguenziale, tra l'altro, dell'art. 69, quarto comma codice penale, come modificato dall'art. 7 del decreto legge 11 aprile 1974 n. 99, convertito dalla legge 7 giugno 1974 n. 220, in quanto il giudizio di equivalenza o prevalenza era stato esteso anche alle circostanze inerenti alla persona del colpevole tra le quali e' compresa la diminuente della minore eta'. Infatti, secondo la Corte, dalla modifica, dettata da un «intento di adeguatezza della pena in concreto» era derivata una conseguenza «deteriore, [...] forse non voluta [...] ravvisabile nel caso [...] del minore, imputato di un reato punibile con l'ergastolo, a causa di circostanze aggravanti che comportano la pena dell'ergastolo e che possono essere ritenute prevalenti e quindi, tali ai sensi dell'art. 69 codice penale, come risultante dalle modifiche del 1974, da escludere l'incidenza della attenuante dell'art. 98 codice penale, che viceversa in precedenza sarebbe stata comunque applicabile, escludendo cosi' la possibilita' di irrogazione di detta pena nei confronti del minore». La questione e' stata ritenuta fondata in riferimento all'art. 31 in relazione all'art. 27, comma 3 Costituzione. «Se l'art. 27 comma 3, non espone di per se' a censura di incostituzionalita' la previsione della pena dell'ergastolo ed il relativo carattere della perpetuita' ai sensi degli articoli 17 e 22 codice penale, di esso deve darsi una lettura diversa allorche' lo si colleghi con l'art. 31 Cost. che impone una incisiva diversificazione, rispetto al sistema punitivo generale, del trattamento penalistico dei minori». Questa importantissima sentenza consente di ribadire che anche l'infermo di mente (non importa se totale o parziale dato il confine evanescente nella realta' al di la' della netta distinzione giuridica) deve avere dall'ordinamento una risposta alla commissione di un fatto reato che sia non solo funzionale alla rieducazione ma, soprattutto, improntata alla tutela della salute secondo quanto imposto dall'art. 32 della Costituzione. Non e' un caso che la Corte, nelle fondamentali sentenze n. 253 del 2 luglio 2003 e n. 367 del 29 novembre 2004, relative alla declaratoria di illegittimita' costituzionale degli articoli 222 e 206 codice penale, abbia efficacemente affermato che «la situazione dell'infermo di mente [...] e' per molti versi assimilabile a quella di una persona bisognosa di protezione come il minore e le esigenze di tutela della collettivita' non possono prevalere su quelle della salute». Il bene della salute e' tutelato dall'art. 32, primo comma, della Costituzione «non solo come interesse della collettivita' ma anche e soprattutto come diritto fondamentale dell'individuo, sicche' si configura come un diritto primario e assoluto» (sentenza n. 356 del 1991, n. 202 del 1991; n. 559 del 1987; n. 184 del 1986; n. 88 del 1979) che impone una piena ed esaustiva tutela (sentenze n. 307 e 455 del 1990). Il seminfermo di mente, benche' recidivo reiterato anzi recidivo reiterato proprio perche' affetto da una grave patologia psichiatrica che lo induce ad una coazione a ripetere deve essere sottoposto ad un trattamento sanzionatorio fondato, anzitutto, sull'esigenza di tutela dell'infermita'. Soltanto la prevalenza della diminuente prevista dall'art. 89 codice penale sulla recidiva reiterata consente di irrogare una pena adeguata alla concreta gravita' del fatto (modestissima entita' del danno patrimoniale e morale anche in termini di conseguenze per la vittima), alla personalita' e colpevolezza dell'autore. Il rilievo attribuito dalla Corte alla diminuente della minore eta' - e non e' un caso che l'art. 89 e l'art. 98 del codice penale siano formulati nello stesso modo - e' stato tenuto ben presente anche dal legislatore quando ha introdotto l'aggravante della finalita' di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale, introdotta con l'art. 1 del decreto legge 15 dicembre 1979 n. 625, convertito, con modificazioni, nella legge 6 febbraio 1980 n. 15, e quella del metodo mafioso con l'art. 7 del decreto legge 13 maggio 1991 n. 203, convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 1991 n. 203 in quanto il divieto di equivalenza o prevalenza delle circostanze attenuanti concorrenti non si estende a quella prevista dall'art. 98 codice penale (oltre che a quella dell'art. 114 codice penale). Di conseguenza, considerato che il minore di eta' ed il seminfermo di mente sono due soggetti equiparabili sotto il profilo dell'immaturita' intellettiva, affettiva e volitiva, anche in questo caso, la deroga all'ordinaria disciplina del bilanciamento, sebbene si riferisca ad una circostanza attenuante comune (art. 89 codice penale) implicante una diminuzione fino ad un terzo, e' irragionevole. Prevedere la semplice equivalenza della diminuente del vizio parziale di mente nel caso di recidiva reiterata e' un automatismo che viola esigenze essenziali di uguaglianza (art.3 della Cost.), della finalita' rieducativa della pena (art. 27, terzo comma Cost.) e di protezione dei diritti della persona, in particolare del diritto alla salute (art. 32 Cost.). Come osserva autorevolissima dottrina: «l'effettuale di un reato e' dato da una persona che fa qualche cosa sulla quale non puo' non riflettersi il suo modo di essere. Teniamo presente questo dato elementare, ma fondamentale in relazione a cio' che accade quando la capacita' di intendere o di volere faccia difetto».
Per Questi Motivi Visto l'art. 23, terzo comma, legge 11 marzo 1953 n. 87, solleva d'ufficio e dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto comma codice penale, come sostituito dall'art. 3 legge 5 dicembre 2005 n. 251, n relazione agli articoli 3, 27, terzo comma e 32 della Costituzione, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della diminuente della seminfermita' di mente prevista dall'art. 89 codice penale sulla recidiva di cui all'art. 99, quarto comma codice penale. Sospende il giudizio in corso. Ordina la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale. Dispone che l'ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle camere. Cagliari, 30 giugno 2016 Il Giudice: Ferrarese