N. 207 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 aprile 2016

Ordinanza del 7 aprile 2016 del Tribunale di Roma  -  Sezione  lavoro
nel procedimento civile promosso da Cossu Antonella  contro Ministero
dei beni e delle attivita' culturali e del turismo. 
 
Previdenza - Lavoratrici - Collocamento a  riposo  al  raggiungimento
  del 65° anno di eta', anziche' al raggiungimento  dell'eta'  di  66
  anni e tre mesi/sette mesi, come previsto per i lavoratori. 
- Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per  la
  crescita,  l'equita'  e  il  consolidamento  dei  conti  pubblici),
  convertito, con modificazioni, dalla legge  22  dicembre  2011,  n.
  214, art. 24, comma 3 (come interpretato dall'art. 2, comma 4,  del
  decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 "Disposizioni urgenti  per  il
  perseguimento di obiettivi  di  razionalizzazione  nelle  pubbliche
  amministrazioni", convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  30
  ottobre 2013, n. 125), in combinato disposto con  l'art.  2,  comma
  21, della  legge  8  agosto  1995,  n.  335  (Riforma  del  sistema
  pensionistico  obbligatorio  e  complementare),   come   modificato
  dall'art. 12, comma 12-sexies, del decreto-legge 31 maggio 2010, n.
  78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria  e  di
  competitivita' economica),  convertito,  con  modificazioni,  dalla
  legge 30 luglio 2010, n. 122. 
(GU n.42 del 19-10-2016 )
 
                        IL TRIBUNALE DI ROMA 
                       Sezione Seconda Lavoro 
 
    in persona del giudice, dott. Antonio Maria Luna all'udienza  del
7 aprile 2016, all'esito della camera di  consiglio  (ore  19,30)  ha
pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta  al  n.
15291 del Ruolo generale affari contenziosi dell'anno 2015,  vertente
tra Cossu Antonella,  elettivamente  domiciliata  in  Roma,  al  c.so
d'Italia, n. 102, presso lo studio dell'avv. G. Pasquale Mosca che la
rappresenta e difende in virtu' di  mandato  a  margine  del  ricorso
introduttivo ricorrente; 
    e Ministero dei beni e delle attivita' culturali e  del  turismo,
in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso, ai sensi
dell'art. 417-bis c.p.c., dal  dott.  Sergio  Di  Iorio,  funzionario
amministrativo della Direzione generale organizzazione, convenuto. 
    Con ricorso depositato in data 7 maggio  2015,  Antonella  Cossu,
nata il 28 gennaio 1950, ha esposto che  ha  prestato  servizio  alle
dipendenze del Ministero dei beni e delle attivita' culturali  e  del
turismo, inquadrata nella Terza Area,  posizione  economica  F4,  con
incarico di  funzionario  bibliotecario;  e  che  il  Ministero,  con
provvedimento del 17 dicembre 2014, comunicato il 13  febbraio  2015,
ha disposto il suo  collocamento  a  riposo  dal  1°  febbraio  2015,
nonostante ella avesse diffidato l'Amministrazione a  trattenerla  in
servizio fino al raggiungimento dell'eta' di sessantasei anni  e  tre
mesi. 
    La ricorrente ha sostenuto che, non avendo  maturato,  alla  data
del 31 dicembre 2011, alcuno dei requisiti per il  pensionamento  dei
dipendenti   pubblici,   secondo   quanto   previsto   dall'art.   24
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201,  ha  diritto  di  rimanere  in
servizio fino al compimento dell'eta' di sessantasei anni e tre mesi,
come previsto per tutti i dipendenti,  a  decorrere  dal  1°  gennaio
2012. 
    La ricorrente ha pertanto chiesto che sia  accertato  il  proprio
diritto ad essere trattenuta in servizio sino  al  raggiungimento  di
sessantasei anni e tre mesi  di  eta'  e  che,  conseguentemente,  il
Ministero dei beni e delle attivita'  culturali  e  del  turismo  sia
condannato a trattenerla in servizio e, per l'effetto, a reintegrarla
nell'incarico di funzionario bibliotecario presso l'Istituto centrale
per  il  catalogo  unico  delle  biblioteche  italiane   e   per   le
informazioni bibliografiche - ICCU. 
    Il Ministero dei beni e delle attivita' culturali e del  turismo,
costituitosi il 30 ottobre 2015, ha sostenuto che la  ricorrente  non
rientra tra i soggetti che a decorrere dal 1° gennaio 2012 maturano i
requisiti per il pensionamento, giacche' ella aveva gia'  maturato  i
requisiti per il pensionamento di anzianita'  entro  il  31  dicembre
2011, avendo, infatti, a tale data, 33 anni e 2 mesi di contribuzione
ed avendo allora gia' raggiunto il 61° anno di eta'. 
    1. - L'art. 1, comma 1, del decreto legislativo n.  503/1992,  ha
stabilito che  «Il  diritto  alla  pensione  di  vecchiaia  a  carico
dell'assicurazione  generale  obbligatoria  per   l'invalidita',   la
vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti e' subordinato al
compimento dell'eta' indicata, per ciascun periodo, nella  tabella  A
allegata». 
    L'originaria tabella  A  e'  stata  sostituita  dalla  tabella  A
allegata  alla  legge  n.  724/1994  in  base  alla  quale  le   eta'
pensionabili fissate a 60 anni per gli uomini ed a 55  per  le  donne
sono state via via incrementate fino ad essere fissate in 65 anni per
gli uomini e 60 per le donne a decorrere dal 1° gennaio 2000  in  poi
(salvo quanto si dira' oltre). 
    Il successivo  art.  2,  comma  1,  del  decreto  legislativo  n.
503/1992 ha poi stabilito i requisiti assicurativi e contributivi per
il  pensionamento  di  vecchiaia:  «Nel   regime   dell'assicurazione
generale obbligatoria per i lavoratori  dipendenti  ed  i  lavoratori
autonomi il diritto alla pensione di vecchiaia e' riconosciuto quando
siano trascorsi almeno venti anni  dall'inizio  dell'assicurazione  e
risultino versati o  accreditati  in  favore  dell'assicurato  almeno
venti anni di contribuzione,  fermi  restando  i  requisiti  previsti
dalla previgente normativa per le pensioni ai superstiti». 
    Tale regime e' stato esteso, dal medesimo decreto legislativo  n.
503/1992, anche alle altre forme  di  previdenza  diverse  da  quella
generale per i lavoratori subordinati  privati  e,  quindi,  anche  a
quella propria dei dipendenti pubblici. 
    Infatti l'art. 5, comma 1, del decreto legislativo  n.  503/1992,
ha stabilito che «Per le forme di previdenza sostitutive ed esclusive
dell'assicurazione generale obbligatoria  trova  applicazione  quanto
disposto dall'art. 1, fermi restando, se piu' elevati,  i  limiti  di
eta' per il pensionamento di  vecchiaia  vigenti  alla  data  del  31
dicembre 1992 e quelli per il collocamento  a  riposo  d'ufficio  per
raggiunti  limiti  di  eta'  previsto  dai  singoli  ordinamenti  nel
pubblico impiego». 
    Il successivo art. 6  ha  parimenti  richiamato  l'art.  1  dello
stesso decreto  legislativo  n.  503  anche  per  quanto  riguarda  i
requisiti di assicurazione e  di  contribuzione:  «Per  le  forme  di
previdenza sostitutive ed esclusive del regime generale obbligatorio,
si applicano i criteri di cui all'art. 2 del presente decreto,  fermi
restando  i  requisiti  assicurativi  e  contributivi  previsti   dai
rispettivi ordinamenti, se piu' elevati». 
    2. - L'art. 2, comma 21,  della  legge  n.  335/1995,  nel  testo
originario, prevedeva testualmente: «Con effetto dal 1° gennaio 1996,
le  lavoratrici  iscritte  alle  forme  esclusive  dell'assicurazione
generale obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia e i  superstiti
al compimento del sessantesimo anno di eta',  possono  conseguire  il
trattamento pensionistico secondo  le  regole  previste  dai  singoli
ordinamenti di appartenenza per il pensionamento di vecchiaia  ovvero
per il collocamento a riposo per raggiunti limiti di eta'». 
    Pertanto, non veniva modificato  l'istituto  del  collocamento  a
riposo  per  raggiunti  limiti  di  eta',   cioe'   a   seguito   del
raggiungimento del 65° anno di eta' per impiegati civili dello Stato,
a norma dell'art.  4  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
1092/1973, senza distinzione  tra  uomini  e  donne  (differenza  tra
uomini e donne vi era invece per gli operai). 
    Le impiegate, quindi, fermo restando il collocamento a riposo  al
raggiungimento del limite massimo dei  sessantacinque  anni,  avevano
facolta',  avendo  maturato  anche  il   requisito   assicurativo   e
contributivo di venti anni, di accedere, a  domanda,  al  trattamento
pensionistico di vecchiaia al compimento  del  sessantesimo  anno  di
eta'. 
    3. - A seguito di ricorso della Commissione europea, la Corte  di
giustizia dell'Unione europea ha ravvisato contrasto con il principio
fondamentale della parita' di trattamento di  cui  all'art.  141  del
Trattato della Comunita' europea - secondo cui ciascuno Stato  membro
assicura l'applicazione del principio della parita'  di  retribuzione
tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per  uno
stesso lavoro o per un lavoro di pari valore - nella diversa eta' per
il  pensionamento  di  vecchiaia  tra  uomini  e  donne  nel  settore
pubblico. 
    Si leggono  nella  sentenza  della  Corte  di  giustizia  del  13
novembre 2008 nella causa  C-46/07  -  al  termine  del  ragionamento
secondo cui il sistema pensionistico  dei  lavoratori  pubblici  deve
essere qualificato come sistema «professionale» e  dunque  sottoposto
al  principio  sulla  parita'  di   trattamento   retributivo   senza
discriminazioni di sesso - le seguenti affermazioni: 
        «55. Come risulta da una costante giurisprudenza, l'art.  141
CE vieta qualsiasi discriminazione in  materia  di  retribuzione  tra
lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso  femminile,  quale
che sia il meccanismo che genera questa ineguaglianza. Secondo questa
stessa giurisprudenza, la fissazione di  un  requisito  di  eta'  che
varia secondo il  sesso  per  la  concessione  di  una  pensione  che
costituisce  una  retribuzione  ai  sensi  dell'art.  141  CE  e'  in
contrasto con questa disposizione (v. sentenze  Barber,  cit.,  punto
32; 14 dicembre 1993, causa  C-110/91,  Moroni,  Racc.  pag.  I-6591,
punti 10 e 20; 28 settembre  1994,  causa  C-408/92,  Avdel  Systems,
Racc. pag. I-4435, punto 11, nonche' Niemi, cit., punto 53). 
        56. Come sostiene la commissione, senza  essere  contraddetta
al  riguardo  dalla  Repubblica  italiana,  il  regime  pensionistico
gestito dall'INPDAP prevede una condizione di eta' diversa a  seconda
del sesso per la concessione della pensione versata in forza di  tale
regime. 
        57. L'argomento della  Repubblica  italiana  secondo  cui  la
fissazione, ai fini del pensionamento,  di  una  condizione  di  eta'
diversa  a  seconda  del  sesso  e'  giustificata  dall'obiettivo  di
eliminare  discriminazioni  a  danno  delle  donne  non  puo'  essere
accolto. Anche se l'art. 141, n. 4, CE autorizza gli Stati  membri  a
mantenere o a  adottare  misure  che  prevedano  vantaggi  specifici,
diretti   a   evitare   o   compensare   svantaggi   nelle   carriere
professionali, al fine di assicurare una piena uguaglianza tra uomini
e donne nella vita professionale, non se ne puo' dedurre  che  questa
disposizione consente la fissazione di una tale  condizione  di  eta'
diversa a seconda  del  sesso.  Infatti,  i  provvedimenti  nazionali
contemplati da tale disposizione debbono, in ogni  caso,  contribuire
ad aiutare la donna a vivere la propria vita lavorativa su  un  piano
di   parita'   rispetto   all'uomo   [v.,   per    quanto    riguarda
l'interpretazione dell'art. 6,  n.  3,  dell'accordo  sulla  politica
sociale concluso tra gli Stati della Comunita' europea  ad  eccezione
del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord (GU 1992, C  191,
pag. 91), sentenza Griesmar, cit., punto 64]. 
        58. Ora, la fissazione, ai fini  del  pensionamento,  di  una
condizione d'eta'  diversa  a  seconda  del  sesso  non  e'  tale  da
compensare gli svantaggi  ai  quali  sono  esposte  le  carriere  dei
dipendenti pubblici di sesso femminile aiutando  queste  donne  nella
loro vita professionale  e  ponendo  rimedio  ai  problemi  che  esse
possono incontrare durante la loro carriera professionale. 
        59. Tenuto conto delle considerazioni che precedono,  occorre
constatare che, mantenendo in vigore una  normativa  in  forza  della
quale i dipendenti pubblici hanno diritto a ricevere la  pensione  di
vecchiaia a eta' diverse a seconda  che  siano  uomini  o  donne,  la
Repubblica italiana e' venuta meno agli obblighi di cui all'art.  141
CE». 
    4.  -  Per  ovviare  alla  rilevata  violazione  del  divieto  di
discriminazione  in  materia  di  retribuzione,  il  legislatore   e'
intervenuto modificando il citato art. 2, comma 21,  della  legge  n.
335/1995,  che,  pertanto,   per   effetto   dell'art.   22-ter   del
decreto-legge n. 78/2009, convertito in legge n. 102/2009, ha  creato
un meccanismo di progressivo adeguamento dell'eta' pensionabile delle
donne a quella degli uomini nel settore del pubblico impiego. 
    La formulazione dell'art. 2, comma 21, della legge  n.  335/1995,
in  dichiarata  attuazione  della  citata  sentenza  della  Corte  di
giustizia del 13 novembre 2008, e' risultata quindi la seguente: «Con
effetto dal 1° gennaio  1996,  le  lavoratrici  iscritte  alle  forme
esclusive dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidita',
la vecchiaia e i superstiti al compimento del  sessantesimo  anno  di
eta', possono conseguire  il  trattamento  pensionistico  secondo  le
regole previste  dai  singoli  ordinamenti  di  appartenenza  per  il
pensionamento di vecchiaia ovvero per il collocamento  a  riposo  per
raggiunti limiti di eta'. A decorrere dal 1°  gennaio  2010,  per  le
predette lavoratrici il requisito anagrafico di sessanta anni di  cui
al primo periodo del presente comma  e  il  requisito  anagrafico  di
sessanta anni di cui all'art. l, comma 6, lettera b), della legge  23
agosto 2004, n. 243, e successive modificazioni [norma in materia  di
pensioni di anzianita'], sono incrementati di un anno. Tali requisiti
anagrafici sono ulteriormente incrementati di un  anno,  a  decorrere
dal 1° gennaio 2012, nonche' di un ulteriore anno  per  ogni  biennio
successivo, fino al raggiungimento dell'eta' di sessantacinque  anni.
Restano ferme la disciplina vigente  in  materia  di  decorrenza  del
trattamento  pensionistico  e  le  disposizioni  vigenti  relative  a
specifici  ordinamenti  che  prevedono  requisiti   anagrafici   piu'
elevati, nonche' le  disposizioni  di  cui  all'art.  2  del  decreto
legislativo 30 aprile 1997, n. 165. Le lavoratrici di cui al presente
comma, che abbiano maturato entro il 31 dicembre 2009 i requisiti  di
eta' e di anzianita' contributiva previsti  dalla  normativa  vigente
prima della data di entrata in vigore della presente disposizione  ai
fini  del  diritto  all'accesso  al  trattamento   pensionistico   di
vecchiaia,  conseguono  il  diritto  alla  prestazione  pensionistica
secondo  la  predetta  normativa  e  possono  chiedere  all'ente   di
appartenenza la certificazione di tale diritto». 
    Avendo  la  Commissione  europea  sollecitato  un   piu'   celere
adeguamento del nostro ordinamento al detto principio, il legislatore
e'  intervenuto  nuovamente  prevedendo  la  parificazione  dell'eta'
pensionabile dal 1° gennaio 2012. 
    Pertanto,  per  effetto  delle  ulteriori   modifiche   apportate
dall'art.  12,  comma  12-sexies,  del  decreto-legge   n.   78/2010,
convertito in legge n. 122/2010, il  testo  dell'art.  2,  comma  21,
della legge n. 335/1995 e' quindi divenuto il seguente: 
        «Con effetto dal 1° gennaio  1996,  le  lavoratrici  iscritte
alle firme esclusive  dell'assicurazione  generale  obbligatoria  per
l'invalidita',  la  vecchiaia  e  i  superstiti  al  compimento   del
sessantesimo  anno  di  eta',  possono  conseguire   il   trattamento
pensionistico secondo le regole previste dai singoli  ordinamenti  di
appartenenza  per  il  pensionamento  di  vecchiaia  ovvero  per   il
collocamento a riposo per raggiunti limiti di eta'. A  decorrere  dal
l° gennaio 2010, per le predette lavoratrici il requisito  anagrafico
di sessanta anni di cui al primo periodo  del  presente  comma  e  il
requisito anagrafico di sessanta anni di cui  all'art.  1,  comma  6,
lettera b),  della  legge  23  agosto  2004,  n.  243,  e  successive
modificazioni,  sono  incrementati  di  un   anno.   Tali   requisiti
anagrafici sono ulteriormente incrementati di  quattro  anni  dal  1°
gennaio 2012 ai fini del raggiungimento dell'eta'  di  sessantacinque
anni. Restano ferme la disciplina vigente in  materia  di  decorrenza
del trattamento pensionistico e le disposizioni  vigenti  relative  a
specifici  ordinamenti  che  prevedono  requisiti   anagrafici   piu'
elevati, nonche' le  disposizioni  di  cui  all'art.  2  del  decreto
legislativo 30 aprile 1997, n. 165. Le lavoratrici di cui al presente
comma, che abbiano maturato entro il 31 dicembre 2009 i requisiti  di
eta' e di anzianita' contributiva previsti alla predetta data ai fini
del diritto all'accesso al  trattamento  pensionistico  di  vecchiaia
nonche' quelle che abbiano maturato  entro  il  31  dicembre  2011  i
requisiti  di  eta'  e  di  anzianita'  contributiva  previsti  dalla
normativa vigente alla predetta  data,  conseguono  il  diritto  alla
prestazione pensionistica secondo la  predetta  normativa  e  possono
chiedere all'ente di appartenenza la certificazione di tale diritto». 
    5. - Su tale situazione normativa  e'  venuta  ad  innestarsi  la
nuova  disciplina   sulle   pensioni   dettata   dall'art.   24   del
decreto-legge n. 201/2011, convertito in legge n.  214/2011,  essendo
previsto, per tutti  i  lavoratori,  un  generale  aumento  dell'eta'
pensionabile da 65 a 66 anni  a  decorrere  dal  1°  gennaio  2012  e
venendo eliminate la pensione di vecchiaia  anticipata  e  quella  di
anzianita' che sono state sostituite dalla «pensione anticipata». 
    Ai fini della presente controversia rilevano, in  particolare,  i
commi 3 e 14 del citato art. 24. 
    Il primo dispone testualmente: «3. Il lavoratore che maturi entro
il 31 dicembre 2011 i requisiti di eta' e di anzianita' contributiva,
previsti dalla normativa vigente, prima  della  data  di  entrata  in
vigore del presente decreto, ai fini del diritto all'accesso  e  alla
decorrenza  del  trattamento  pensionistico   di   vecchiaia   o   di
anzianita',  consegue  il  diritto  alla  prestazione   pensionistica
secondo tale normativa e puo' chiedere all'ente  di  appartenenza  la
certificazione di tale diritto. A decorrere dal l° gennaio 2012 e con
riferimento  ai  soggetti  che,  nei  regimi  misto  e  contributivo,
maturano i requisiti a partire dalla medesima data,  le  pensioni  di
vecchiaia, di vecchiaia anticipata e di anzianita'  sono  sostituite,
dalle seguenti prestazioni: 
        a) «pensione di vecchiaia», conseguita  esclusivamente  sulla
base dei requisiti di cui ai commi 6 e 7, salvo quanto  stabilito  ai
commi 14, 15-bis e 18; 
        b) «pensione  anticipata»,  conseguita  esclusivamente  sulla
base dei requisiti di cui ai commi 10 e 11, salvo quanto stabilito ai
commi 14, 15-bis, 17 e 18». 
    Il comma 14 conferma che «Le disposizioni in materia di requisiti
di accesso e di regime delle decorrenze vigenti prima della  data  di
entrata in vigore del presente decreto continuano  ad  applicarsi  ai
soggetti che maturano i requisiti entro il 31 dicembre 2011»  nonche'
ai soggetti di cui all'art. 1, comma 9 della legge 23 agosto 2004, n.
243, e successive modificazioni e integrazioni  (cioe'  soggetti  che
acquisiscono  il  diritto  alla  pensione  di  anzianita'   a   certe
condizioni), ed altresi'  a  determinate  categorie  che  maturino  i
requisiti detti anche dopo il 31 dicembre 2011, ma entro i limiti  di
specifiche risorse finanziarie. 
    Essendo sorti dubbi interpretativi circa le pensioni che  possono
essere liquidate in base ai requisiti vigenti  fino  al  31  dicembre
2011, da ultimo il legislatore ha emanato  norma  di  interpretazione
autentica. 
    L'art. 2, comma 4, del decreto-legge  31  agosto  2013,  n.  101,
convertito in legge n. 125/2013, ha stabilito che «L'art.  24,  comma
3,  primo  periodo,  del  decreto-legge  6  dicembre  2011,  n.  201,
convertito in legge 22 dicembre 2011, n. 214, si interpreta nel senso
che il conseguimento da  parte  di  un  lavoratore  dipendente  delle
pubbliche amministrazioni di un qualsiasi diritto a pensione entro il
31 dicembre 2011 comporta obbligatoriamente l'applicazione del regime
di accesso e delle  decorrenze  previgente  rispetto  all'entrata  in
vigore del predetto art. 24». 
    Pertanto, le disposizioni in materia di accesso alla pensione  di
vecchiaia vigenti fino al 31 dicembre 2011 sono ultrattive per  tutti
coloro che entro tale data hanno  maturato  requisiti  tali  per  cui
avrebbero dovuto o potuto essere collocati a riposo. 
    6. - Nella specie, la Cossu, alla  data  del  31  dicembre  2011,
aveva gia' compiuto il sessantunesimo anno di eta', essendo  nata  il
28 gennaio 1950,  ed  aveva  maturato  il  requisito  assicurativo  e
contributivo di venti anni avendo 33 anni, due mesi ed un  giorno  di
anzianita', come indicato da entrambe le parti. 
    Pertanto ella - in base alla  disposizione  di  cui  all'art.  2,
comma  21,  della  legge  n.  335/1995,  come  modificato  da  ultimo
dall'art.  12,  comma  12-sexies,  del  decreto-legge   n.   78/2010,
convertito in legge n. 122/2010, che stabilisce in 61 anni il  limite
per le dipendenti pubbliche per chiedere il trattamento  di  pensione
di vecchiaia, ed in base al combinato disposto degli articoli 2  e  5
del decreto legislativo n. 503/1992,  che  fissa  in  venti  anni  il
requisito di anzianita' assicurativa e  contributiva  minimo  per  la
detta pensione - aveva  gia'  maturato  il  diritto  di  chiedere  il
trattamento pensionistico di vecchiaia. 
    Avendo quindi gia' maturato i  detti  requisiti,  doveva  appunto
essere collocata a riposo d'ufficio al raggiungimento del 65° anno di
eta' in virtu'  di  quanto  previsto  dall'art.  4  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 1092/1973, non  trovando  applicazione
le disposizioni di cui all'art. 24,  commi  3  e  6  lettera  c)  del
decreto-legge n. 201/2011, disposizioni secondo cui  appunto  dal  1°
gennaio 2012 il diritto alla pensione di  vecchiaia  si  acquista  al
raggiungimento del 66° anno di eta'. 
    Il  comma  6  dell'art.  24   citato,   prevede,   infatti,   che
«Relativamente ai soggetti di cui al comma 5»,  cioe'  coloro  che  a
decorrere  dal  1°  gennaio  2012  maturano  i   requisiti   per   il
pensionamento secondo la nuova legge,  «al  fine  di  conseguire  una
convergenza verso un requisito  uniforme  per  il  conseguimento  del
diritto al trattamento pensionistico di vecchiaia tra uomini e  donne
e tra lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi, a decorrere dal 1°
gennaio 2012 i requisiti anagrafici per l'accesso  alla  pensione  di
vecchiaia sono ridefiniti nei termini di seguito indicati: 
        [...] 
        c)  per  i  lavoratori  dipendenti  e  per   le   lavoratrici
dipendenti di cui all'art. 22-ter,  comma  1,  del  decreto-legge  1°
luglio 2009, n. 78,  convertito  con  modificazioni,  dalla  legge  3
agosto 2009,  n.  102,  e  successive  modificazioni  e  integrazioni
[norma, si rammenta, dettata per adeguare l'ordinamento  italiano  al
divieto di  discriminazioni  nei  termini  indicati  dalla  Corte  di
giustizia con la sentenza del 13 novembre 2008], la cui  pensione  e'
liquidata a carico dell'assicurazione generale obbligatoria  e  delle
forme sostitutive ed esclusive della medesima il requisito anagrafico
di sessantacinque anni per l'accesso alla pensione di  vecchiaia  nel
sistema misto e il requisito anagrafico di sessantacinque anni di cui
all'art. 1, comma 6, lettera b), della legge 23 agosto 2004, n.  243,
e successive modificazioni, e' determinato in 66 anni». 
    Il limite di sessantasei anni e' poi aumentato a sessantasei anni
e tre mesi dal 1° gennaio 2013 ed a sessantasei anni e sette mesi dal
1°  gennaio  2016,  per   effetto,   rispettivamente,   dei   decreti
direttoriali 6  dicembre  2011  e  16  dicembre  2014  del  Ministero
dell'economia e delle finanze, emanati in virtu' dell'art. 12,  comma
12-bis, decreto-legge n. 78/2010 secondo cui «In attuazione dell'art.
22-ter, comma 2, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito,
con modificazioni, dalla legge 3 agosto  2009,  n.  102,  concernente
l'adeguamento dei requisiti di accesso al sistema pensionistico  agli
incrementi della  speranza  di  vita,  e  tenuto  anche  conto  delle
esigenze  di  coordinamento  degli  istituti  pensionistici  e  delle
relative  procedure  di  adeguamento  dei  parametri  connessi   agli
andamenti demografici, a decorrere dal 1° gennaio 2013 i requisiti di
eta' e  i  valori  di  somma  di  eta'  anagrafica  e  di  anzianita'
contributiva di cui alla Tabella B  allegata  alla  legge  23  agosto
2004, n. 243, e successive modificazioni, i requisiti  anagrafici  di
65 anni  e  di  60  anni  per  il  conseguimento  della  pensione  di
vecchiaia, il requisito anagrafico di cui all'art. 22-ter,  comma  1,
del  decreto-legge  1°  luglio   2009,   n.   78,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge  3  agosto  2009,  n.  102,  e  successive
modificazioni, il requisito anagrafico di 65 anni di cui all'art.  1,
comma 20, e all'art. 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335, e
successive modificazioni, e il requisito  contributivo  ai  fini  del
conseguimento    del    diritto    all'accesso    al    pensionamento
indipendentemente dall'eta' anagrafica  devono  essere  aggiornati  a
cadenza   triennale   con   decreto   direttoriale   del    Ministero
dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministero del lavoro
e delle politiche sociali, da emanare almeno dodici mesi prima  della
data di decorrenza di ogni aggiornamento. La mancata  emanazione  del
predetto decreto direttoriale comporta responsabilita'  erariale.  Il
predetto aggiornamento e' effettuato sulla base del  procedimento  di
cui al comma 12-ter». 
    7.  -  Il  sistema  normativo  sopra  indicato  appare  tale   da
giustificare dubbio di legittimita' costituzionale per contrasto  con
le disposizioni di cui agli articoli 3, 11, 37 e 117 Cost. 
    Invero, premesso che la disposizione contenuta nell'art. 2, comma
4, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, impone  di  interpretare
l'art. 24, comma 3 del decreto-legge necessariamente nel senso che  i
dipendenti delle pubbliche amministrazioni che abbiano  acquisito  un
qualsiasi diritto a pensione entro il 31 dicembre 2011, devono essere
collocati  a  riposo  entro  il  limite  di  eta'   stabilito   dalle
disposizioni previgenti, anche se lo raggiungano quando e'  ormai  in
vigore il limite generale di 66 anni,  si  e'  venuta  a  creare  una
situazione di disparita' di  trattamento  e  di  discriminazione  tra
uomini  e  donne  rispetto  alle  condizioni  di   lavoro   ed   alla
retribuzione. 
    Se, infatti, si ipotizza la posizione di un lavoratore che  abbia
la medesima eta' anagrafica della ricorrente e la medesima anzianita'
contributiva,  ebbene  questi,  non  avendo  maturato,  entro  il  31
dicembre 2011, alcun diritto a pensione, in quanto uomo, non  sarebbe
collocato a riposo d'ufficio al raggiungimento del 65° anno di  eta',
come la Cossu, bensi' solo al compimento dell'eta' di 66 anni  e  tre
mesi secondo la previsione  vigente  nel  febbraio  2015  (epoca  del
collocamento  a  riposo  della  ricorrente)  ovvero   al   compimento
dell'eta' di 66 anni e sette mesi a seguito dell'ulteriore incremento
di ulteriori quattro mesi in vigore dal 1° gennaio 2016. 
    La posizione della lavoratrice appare quindi deteriore rispetto a
quella di un lavoratore che si trovi  nelle  medesime  condizioni  di
eta' e di anzianita' assicurativa e contributiva. 
    Il lavoratore, infatti, potra' rimanere in servizio per un anno e
tre mesi/sette mesi in piu' rispetto alla lavoratrice, continuando  a
percepire la  retribuzione  anziche'  il  trattamento  pensionistico,
solitamente inferiore,  vedendo  incrementata  la  propria  posizione
contributiva ed aumentata l'anzianita' di  servizio  con  conseguente
miglioramento  del  trattamento  pensionistico  spettante,  oltre   a
percepire, al termine dell'attivita', un trattamento di fine rapporto
maggiore avendo  potuto  lavorare  piu'  a  lungo,  senza  trascurare
peraltro  i  possibili  sviluppi  di  carriera  nell'arco  di   tempo
intercorrente tra il compimento del sessantacinquesimo anno di'  eta'
ed il collocamento a riposo. 
    8. - La situazione penalizzante  per  la  lavoratrice  appare  in
contrasto in primo luogo con  il  principio  di  uguaglianza  sancito
dall'art. 3 della Costituzione, non apparendo ragioni  sufficienti  a
giustificare un trattamento per le donne deteriore rispetto a  quello
riservato agli uomini, giacche' non possono certo reputarsi idonei  a
giustificare tale disparita' i  possibili  vantaggi  per  la  finanza
pubblica connessi ad una riduzione del personale femminile  collocato
a riposo prima di quello maschile, con riconoscimento di  trattamento
pensionistico inferiore. 
    9. - In secondo luogo, si segnala il contrasto con  il  principio
di cui all'art. 37, comma 1, Cost., esplicazione di  quello  generale
dell'art. 3, poiche' - tenuto conto anche della interpretazione  data
dalla Corte di giustizia nella citata sentenza del 13 novembre 2008 -
il trattamento pensionistico spettante ai dipendenti dello  Stato  ha
carattere «professionale» e quindi e' sottoposto al  principio  sulla
parita' di trattamento retributivo senza  discriminazioni  di  sesso.
Invero, le donne che abbiano maturato i requisiti per poter fruire di
pensione raggiungendo il 61° anno di eta' entro il 31 dicembre  2011,
si trovano in posizione deteriore rispetto agli  uomini  che  abbiano
raggiunto la medesima eta'  entro  lo  stesso  termine,  non  potendo
continuare a lavorare per  almeno  altri  quindici  mesi  e  perdendo
quindi la relativa retribuzione con quanto ne consegue. 
    10.  -  Apparendo  poi  contrasto  con  disposizioni  primarie  e
derivate dall'Unione europea, si prospetta conflitto indiretto con le
disposizioni di cui agli articoli 11 e 117 Cost. 
    Innanzi  tutto,   il   trattamento   deteriore   spettante   alle
lavoratrici e' in contrasto con il principio  sancito  dall'art.  141
del Trattato sul funzionamento dell'Unione  europea,  ratificato  con
legge 2 agosto 2008, n. 130, secondo il cui  primo  comma,  «Ciascuno
Stato membro assicura l'applicazione del principio della  parita'  di
retribuzione tra lavoratori di  sesso  maschile  e  quelli  di  sesso
femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore». 
    Inoltre, collide con l'art. 21 della Carta  europea  dei  diritti
fondamentali, pubblicata in GUCE 2000/C 364/01 il 18  dicembre  2000,
secondo cui «E' vietata qualsiasi forma di  discriminazione  fondata,
in particolare,  sul  sesso,  la  razza,  il  colore  della  pelle  o
l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la  lingua,
la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche  o  di
qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il
patrimonio, la nascita, gli handicap, l'eta' o le tendenze sessuali». 
    L'art. 6 del Trattato sull'Unione europea,  come  modificato  dal
Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007,  ha  conferito  alla  detta
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea lo  stesso  valore
giuridico dei trattati. 
    Appare inoltre contrasto con la direttiva 5 luglio  2006,  n.  54
(attuata con decreto legislativo 25 gennaio  2010,  n.  5)  volta  ad
«assicurare l'attuazione del  principio  delle  pari  opportunita'  e
della parita' di  trattamento  fra  uomini  e  donne  in  materia  di
occupazione e impiego», posto che l'art. 2 di tale direttiva  ravvisa
«discriminazione diretta» allorquando sussista una «situazione  nella
quale una persona e' trattata meno favorevolmente in base al sesso di
quanto un'altra persona sia, sia stata  o  sarebbe  trattata  in  una
situazione analoga». Come detto, un impiegato che  si  fosse  trovato
nelle medesime condizioni di  eta'  e  di  posizione  assicurativa  e
contributiva della ricorrente non sarebbe stato collocato a riposo ed
avrebbe potuto continuare a lavorare almeno per altri quindici mesi. 
    Il    denunciato    contrasto    con    principi     fondamentali
dell'ordinamento europeo si traduce in contrasto con l'art. 11  Cost.
poiche'  la  normativa  italiana  appare  impedire   o   pregiudicare
l'osservanza del Trattato in uno dei suoi principi essenziali,  quale
quello di non discriminazione per ragioni di sesso. 
    In ultimo, il contrasto con la direttiva 5 luglio 2006, n. 54, si
traduce in contrasto con l'art. 117, comma 1  Cost.  secondo  cui  la
potesta' legislativa si  deve  esplicare  nel  rispetto  dei  vincoli
derivanti dall'ordinamento comunitario. 
    11. - In definitiva,  posto  che  la  questione  di  legittimita'
costituzionale e' certamente rilevante poiche' la domanda sulla quale
si deve giudicare trova ostacolo proprio della normativa  che  impone
il collocamento a riposo ad eta' inferiore a quella stabilita per gli
uomini, si rende necessario sottoporre al vaglio  del  Giudice  delle
Leggi la detta questione concernente il prospettato contrasto con  le
disposizioni costituzionali di cui agli articoli 3, 11, 37, comma  1,
e 117, comma 1, del combinato disposto degli articoli  24,  comma  3,
decreto-legge 6  dicembre  2011,  n.  201,  convertito  in  legge  22
dicembre 2011, n.  214,  come  interpretato  dall'art.  2,  comma  4,
decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito in legge 30  ottobre
2013, n. 125, e 2, comma 21, della legge 8 agosto 1995, n. 335,  come
modificato da ultimo dall'art. 12, comma 12-sexies, del decreto-legge
31 maggio 2010, n. 78, convertito in legge 30 luglio  2010,  n.  122,
nella misura in cui detto combinato disposto impone il collocamento a
riposo al raggiungimento del 65° anno di  eta'  delle  impiegate  che
abbiano maturato i requisiti per il conseguimento della pensione  con
il  raggiungimento  del  61°  anno  di  eta'  e  di  venti  anni   di
contribuzione alla data del 31 dicembre 2011, laddove gli  impiegati,
che si trovino nella medesima condizione lavorativa, sono collocati a
riposo al raggiungimento dell'eta' di 66 anni e tre mesi/sette mesi. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Tribunale, visti l'art. 134 Cost. e l'art. 23 della  legge  11
marzo 1953, n. 87, cosi' provvede: 
        1. - dichiara rilevante e non  manifestamente  infondata,  in
riferimento alle disposizioni costituzionali di cui agli articoli  3,
11, 37, comma 1,  e  117,  comma  1,  la  questione  di  legittimita'
costituzionale del combinato disposto degli  articoli  24,  comma  3,
decreto-legge 6  dicembre  2011,  n,  201,  convertito  in  legge  22
dicembre 2011, n.  214,  come  interpretato  dall'art.  2,  comma  4,
decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito in legge 30  ottobre
2013, n. 125, e 2, comma 21, della legge 8 agosto 1995, n  335,  come
modificato da ultimo dall'art. 12, comma 12-sexies, del decreto-legge
31 maggio 2010, n. 78, convertito in legge 30 luglio  2010,  n.  122,
nella misura in cui detto combinato disposto impone il collocamento a
riposo al raggiungimento del 65° anno di  eta'  delle  impiegate  che
abbiano maturato i requisiti per il conseguimento della pensione  con
il  raggiungimento  del  61°  anno  di  eta'  e  di  venti  anni   di
contribuzione alla data del 31 dicembre 2011, laddove gli  impiegati,
che si trovino nella medesima condizione lavorativa, sono collocati a
riposo al raggiungimento dell'eta' di 66 anni e tre mesi/sette mesi; 
        2. - dispone la sospensione del presente giudizio; 
        3. - ordina  che,  a  cura  della  cancelleria,  la  presente
ordinanza - che viene letta in udienza - sia notificata al Presidente
del Consiglio dei ministri; 
        4. - ordina, altresi', che l'ordinanza venga  comunicata  dal
cancelliere ai Presidenti delle due Camere del Parlamento; 
        5. - dispone l'immediata trasmissione degli atti, comprensivi
della documentazione attestante il perfezionamento  delle  prescritte
notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale. 
          Roma, 7 aprile 2016 
 
                          Il Giudice: Luna