N. 210 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 giugno 2016

Ordinanza del 16 giugno 2016 del  Tribunale  di  Genova  sul  reclamo
proposto  dal  Ministero   dell'interno   e   dal   Ministero   delle
infrastrutture contro B.D.. 
 
Circolazione stradale - Patente di guida - Condanna per  i  reati  di
  cui agli artt. 73 e 74 del Testo unico  in  materia  di  disciplina
  degli stupefacenti e sostanze psicotrope - Divieto di conseguimento
  o revoca anche in riferimento a reati commessi  prima  dell'entrata
  in vigore della legge n. 94 del 2009 - Revoca automatica  da  parte
  del Prefetto. 
- D.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo  codice  della  strada),  art.
  120, commi 1 e 2, come sostituito dall'art. 3, comma 52, lett.  a),
  della legge 15 luglio 2009,  n.  94  (Disposizioni  in  materia  di
  sicurezza pubblica). 
(GU n.43 del 26-10-2016 )
 
                       IL TRIBUNALE DI GENOVA 
                        Prima Sezione Civile 
 
    composto dai magistrati: 
        Dott. Luigi Costanzo, Presidente; 
        Dott. Lorenza Calcagno, Giudice; 
        Dott. Ada Lucca, Giudice relatore; 
    ha pronunciato la presente ordinanza  di  rimessione  alla  Corte
costituzionale  nel  procedimento  di  reclamo,  promosso  ai   sensi
dell'art.  669-terdecies  codice   procedura   civile   con   ricorso
depositato  dal  Ministero  dell'interno  e   dal   Ministero   delle
infrastrutture e dei trasporti; 
    Contro B. D. in relazione alla ordinanza cautelare pronunciata in
data 26 gennaio 2016 dal Tribunale di Genova. 
La vicenda processuale 
    Con ricorso per provvedimenti urgenti ai sensi dell'art. 700  del
codice procedura civile depositato in data 23 novembre  2015,  D.  B.
chiedeva  a  questo  Tribunale  di  consentirle  di   continuare   ad
utilizzare la patente di guida n. cat. B di cui era titolare,  ovvero
di adottare ogni diverso provvedimento ritenuto opportuno al fine  di
tutelare in via d'urgenza i suoi diritti, disapplicando l'illegittimo
provvedimento di revoca della patente di guida disposto dal  Prefetto
di Genova il 27 maggio 2015. Chiedeva che, se  fosse  stato  ritenuto
necessario, venisse sollevata alla Corte costituzionale questione  di
legittimita' dell'art. 120 del decreto legislativo 30 aprile 1992  n.
285, nel testo modificato dall'art.  3,  comma  52,  della  legge  15
luglio 2009 n. 94, in relazione agli articoli 3, 16 e 25, commi  1  e
2, e 117 comma 1 della Costituzione. 
    Riferiva la ricorrente che il provvedimento prefettizio di revoca
della patente di guida era  stato  assunto  il  27  maggio  2015  sul
presupposto  che  la  ricorrente  non  fosse  piu'  in  possesso  dei
requisiti morali previsti dall'art. 120 del codice della  strada:  la
stessa era  stata  condannata  con  sentenza  del  G.I.P.  presso  il
Tribunale di Genova del 16 giugno 2009 n. 753 per reati commessi  tra
il settembre e il novembre 2007 in  violazione  dell'art.  73.5,  del
decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.  309/90,  quando   la
ricorrente,  all'epoca  venticinquenne,  versava  in  condizioni   di
tossicodipendenza e di grave disagio familiare. In  epoca  successiva
ai fatti, ella aveva superato la tossicodipendenza  e  conduceva  una
vita del tutto regolare e si occupava delle tre figlie minorenni. 
    Cio' premesso allegava, relativamente al  presupposto  del  fumus
boni juris, che: 
        la modifica dell'art. 120 del codice della strada  introdotta
dall'art. 3, comma 52,  legge  n.  94/2009  inseriva  nell'elenco  di
soggetti che non possono conseguire la patente di guida (o  ai  quali
deve  essere  revocata,  se  ne  sono  gia'  in  possesso),  come   i
delinquenti abituali, professionali o per tendenza o altre  categorie
ivi previste, anche le persone condannate per i  reati  di  cui  agli
articoli 73  e  74  del  testo  unico  di  cui  al  Presidente  della
Repubblica n. 309/1990. Tale modifica non si sarebbe dovuta applicare
al caso di specie poiche', introducendo una sanzione accessoria per i
soggetti che commettono uno dei reati suindicati, essa  riguarderebbe
solo i fatti commessi successivamente alla sua entrata in  vigore.  I
reati commessi dalla ricorrente, invece, risalivano al novembre  2007
ed erano quindi precedenti  all'entrata  in  vigore  della  norma  in
questione. D'altra  parte,  l'applicazione  retroattiva  della  norma
sarebbe stata esclusa non solo dall'art. 7 della Convenzione  europea
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali,   ma   anche   dalla   giurisprudenza    della    Corte
costituzionale (sent. 196/2010); 
        anche nel caso in cui  si  ritenesse  possibile  disporre  la
revoca della patente di guida ai sensi dell'art. 120 del codice della
strada, come modificato dalla legge n. 94/2009, in relazione a  reati
commessi  prima  dell'entrata  in  vigore  di  tale  legge,   sarebbe
rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita'
costituzionale   della   suddetta   norma.   Quest'ultima,    laddove
consentisse    un'applicazione    retroattiva    della    disciplina,
risulterebbe illegittima per violazione dell'art. 25, comma 2  Cost.,
dell'art. 117 comma 1 Cost., dell'art. 3 Cost. e dell'art. 16 Cost. 
    Gli  argomenti  fin  qui  esposti  dimostravano  -   secondo   la
ricorrente - la sussistenza del fumus  boni  iuris  del  ricorso  per
ottenere una pronuncia cautelare che, disapplicando il  provvedimento
del Prefetto di Genova, le consentisse di utilizzare  la  patente  di
guida. 
    Quanto al periculurn in mora, la ricorrente rappresentava che  il
possesso  della  patente  di  guida  era  per  lei   essenziale   per
ottemperare ai suoi oneri genitoriali. 
    Infatti, dovendo provvedere da sola a mantenere  ed  accudire  le
sue tre figlie,  necessitava  della  patente  di  guida  per  poterle
accompagnare in auto a scuola, atteso che  le  bambine  frequentavano
istituti diversi ed i tempi dei mezzi pubblici non le consentivano di
adempiere a tali incombenti nei tempi imposti dagli orari scolastici.
Evidenziava anche problematiche di salute delle minori. 
    Costituendosi   nel   procedimento   cautelare,   il    Ministero
dell'interno ed il Ministero delle  infrastrutture  e  dei  trasporti
chiedevano la reiezione del ricorso in base al rilievo che la  revoca
della patente di guida ai sensi dell'art. 120 del codice della strada
non costituirebbe, in questo caso, una conseguenza  accessoria  della
violazione di una disposizione in tema di circolazione  stradale,  ma
deriverebbe dalla mera constatazione dell'insussistenza (originaria o
sopravvenuta) dei requisiti morali prescritti  per  il  conseguimento
del titolo di abilitazione alla guida. Pertanto, la condanna  avrebbe
solo un valore di fatto storico ostativo al rilascio (o mantenimento)
della  patente.  In  tal   senso,   la   natura   sanzionatoria   del
provvedimento di revoca della  patente  di  guida,  emesso  ai  sensi
dell'art.  120  del  codice  della  strada,   sarebbe   stata   ormai
definitivamente esclusa dalla giurisprudenza di  legittimita'  (Cass.
Sez. Un. 14 maggio 2014 n. 10406). Inoltre, a conferma  della  natura
non sanzionatoria della revoca, il  provvedimento  non  implicherebbe
alcun esercizio di discrezionalita'  amministrativa,  trattandosi  di
misura vincolata (Cons. Stato, 15 febbraio 2012, n. 786). 
    Pertanto, negata la natura sanzionatoria, verrebbero meno i dubbi
di incostituzionalita' per il presunto contrasto con  i  principi  di
irretroattivita' della legge penale.  La  Corte  costituzionale,  con
sentenza n. 118/1994, aveva inoltre precisato che,  in  casi  di  tal
genere, non puo' discorrersi di  retroattivita'  della  legge  quanto
piuttosto di operativita' immediata della legge (nello  stesso  senso
Tribunale Genova,  4  novembre  2015,  n.  3179/2015).  Inoltre,  con
sentenza n. 281 del 28 novembre 2013, la Corte  costituzionale  aveva
affermato la retroattivita' della disposizione recata  dall'art.  120
codice della strada  a  seguito  delle  modifiche  apportatevi  dalle
disposizioni della legge n.  94/2009,  che  hanno  introdotto,  quale
legittima causa di revoca della patente conseguita o  di  impedimento
al suo rilascio, l'intervenuta condanna in relazione ad uno dei reati
di cui agli articoli 73 e 74  del  testo  unico  sugli  stupefacenti;
stabilendo poi che tale applicazione retroattiva  della  disposizione
contrasta con la Costituzione solo quando  le  condanne  siano  state
pronunciate  ex  art.  444  del  codice   procedura   penale,   prima
dell'entrata  in  vigore  della  novella.   Quindi,   se   la   Corte
costituzionale   aveva   implicitamente   ritenuto   conforme    alla
Costituzione l'applicazione retroattiva dell'art.  120  codice  della
strada anche alle condanne pronunziate prima dell'entrata  in  vigore
della  legge  n.  94/2009,  a  maggior  ragione   tale   applicazione
retroattiva dovrebbe essere ritenuta legittima, in  presenza  -  come
nella  fattispecie  -   di   condanne   pronunziate   successivamente
all'entrata in vigore della suddetta disposizione  normativa,  seppur
relative a reati commessi antecedentemente. 
    L'ordinanza reclamata,  emessa  il  26  gennaio  2016,  adottando
un'interpretazione     costituzionalmente     orientata,     riteneva
inapplicabile la revoca della patente ai casi di reati commessi prima
dell'entrata in vigore della modifica apportata nel 2009 all'art. 120
del codice della strada e quindi accoglieva  il  ricorso,  disponendo
l'annullamento della revoca della patente. 
    L'Avvocatura   proponeva   reclamo,    lamentando    l'erroneita'
dell'interpretazione adottata dal primo giudice,  dovendosi  ritenere
la  revoca  non  quale  provvedimento  sanzionatorio,  ma   di   mera
constatazione della sopravvenuta insussistenza dei  requisiti  morali
prescritti; insisteva, pertanto, per l'insussistenza di  un  problema
di retroattivita' nel caso  di  specie  e  per  l'infondatezza  della
questione di legittimita' costituzionale. 
    Resisteva la reclamata, chiedendo  la  conferma  della  pronuncia
(previa occorrendo modifica/correzione del dispositivo), anche previa
eventuale proposizione di un giudizio di legittimita' costituzionale,
in relazione agli articoli 3, 16, 25 e 117 Cost. 
    Con ordinanza del 19 maggio 2016  questo  Collegio  rilevava  che
l'ordinanza reclamata aveva disposto l'annullamento del provvedimento
di revoca della patente, segnalando alle  parti  le  questioni  della
configurabilita' di tale misura in sede cautelare, della coerenza con
quanto richiesto dalla ricorrente e  delle  conseguenze  in  sede  di
reclamo.  All'udienza  del  31  maggio  2016  l'Avvocatura  sollevava
eccezione di ultra-petizione, mentre la parte reclamata chiedeva,  in
via subordinata, la  correzione  della  ordinanza  (come  risulta  da
verbale di udienza corretto all'udienza del 16 giugno 2016). 
Norma oggetto - Parametri costituzionali 
    Questo  Tribunale  ritiene  non   manifestamente   infondata   la
questione di costituzionalita' dell'art. 120, commi 1  e  2,  decreto
legislativo 30 aprile 1992, n. 285 nella parte in cui  ha  introdotto
la perdita dei requisiti morali e la conseguente revoca della patente
per i reati ivi previsti, anche in relazione a fatti  commessi  prima
dell'entrata in vigore della legge 15  luglio  2009,  n.  94.  Questa
norma potrebbe ritenersi incostituzionale ai sensi degli articoli  11
e 117  Cost.  in  quanto  parrebbe  confliggere  con  il  divieto  di
retroattivita' delle modifiche in peius  delle  norme  incriminatrici
dettato dall'art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,  che   prevede:
«Nessuno puo' essere condannato per una azione o una  omissione  che,
al momento in cui e' stata commessa, non costituiva reato secondo  il
diritto interno o internazionale. Parimenti, non puo' essere inflitta
una pena piu' grave di quella applicabile al momento in cui reato  e'
stato commesso». 
    L'art.  120  del  codice  della  strada  e'  disposizione  avente
integralmente valore e forza  di  legge  formale,  perche'  riscritta
integralmente dall'art. 3, comma  52,  lettera  a),  della  legge  15
luglio 2009, n. 94, per cui non si pongono in merito  allo  stesso  i
profili di  inammissibilita'  -  di  cui  alla  Corte  costituzionale
239/2003 - relativi all'art. 120 codice della  strada  previgente  in
quanto gia' oggetto di delegificazione. 
    L'art. 120 del codice della strada nella versione attuale  (anche
a seguito delle  modifiche  legislative  successive  al  2009)  cosi'
prevede: 
        «Requisiti  morali  per  ottenere  il  rilascio  dei   titoli
abilitativi di cui all'art. 116: 
          1  -  Non  possono  conseguire  la  patente  di   guida   i
delinquenti abituali, professionali o per tendenza e coloro che  sono
o sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali o alle misure
di prevenzione previste dalla legge 27 dicembre  1956,  n,  1423,  ad
eccezione di quella di cui all'art. 2, e dalla legge 31 maggio  1965,
n, 575, le persone condannate per i reati di cui agli articoli  73  e
74 del testo unico di cui al decreto del Presidente della  Repubblica
9 ottobre 1990, n. 309, fatti  salvi  gli  effetti  di  provvedimenti
riabilitativi, nonche' i soggetti destinatari dei divieti di cui agli
articoli 75, comma 1, lettera a), e 75-bis, comma 1, lettera  f,  del
medesimo testo unico di al decreto del Presidente della Repubblica n.
309 del 1990 per tutta la durata dei predetti divieti. Non possono di
nuovo conseguire la patente di guida le persone a cui  sia  applicata
per la seconda volta, con sentenza di condanna per il reato di cui al
terzo periodo del comma 2 dell'art. 222, la revoca della  patente  ai
sensi del quarto periodo del medesimo comma. 
          2 - Fermo restando quanto previsto dall'art. 75,  comma  1,
lettera a), del citato testo unico di cui al decreto  del  Presidente
della Repubblica  n.  309  del  1990,  se  le  condizioni  soggettive
indicate  al  primo  periodo  del  comma  1  del  presente   articolo
intervengono in data successiva al  rilascio,  il  prefetto  provvede
alla revoca della  patente  di  guido.  La  revoca  non  puo'  essere
disposta  se  sono  trascorsi  piu'  di  tre  anni  dalla   data   di
applicazione delle misure di prevenzione, o di quella  del  passaggio
in giudicato della sentenza di condanna per i reati indicati al primo
periodo del medesimo comma 1. 
          3 - La persona destinataria del provvedimento di revoca  di
cui al comma 2 non puo' conseguire una nuova patente di  guida  prima
che siano trascorsi almeno tre anni». 
    La questione di costituzionalita' si pone sotto due profili: 
        a) in primo luogo si pone limitatamente  ai  casi  in  cui  i
fatti di reato di  cui  agli  articoli  73  e  74,  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 indicati al  primo
comma siano stati commessi prima della entrata in vigore della  legge
15  luglio  2009,  n.  94.  Cio'  indipendentemente  dal  fatto   che
l'irrevocabilita' della condanna definitiva sia intervenuta  prima  o
dopo l'entrata in vigore della legge n. 94/2009. Il  momento  in  cui
interviene  la  condanna,   infatti,   e'   circostanza   del   tutto
indipendente da comportamenti dell'agente; 
        b) in secondo luogo, relativamente al profilo  di  violazione
degli articoli 3, 16, 25 e 111 Cost., per la previsione di una revoca
della patente disposta dal prefetto per i casi di condanna per  reati
previsti e puniti dagli articoli 73  e  74,  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 309/90, considerando  la  previsione  della  pena
accessoria del ritiro della patente prevista  dall'art.  85,  decreto
del Presidente della Repubblica n. 309/90. 
    Ritiene invece questo Collegio che non sia,  invece,  fondata  la
questione di costituzionalita' sollevata dalla reclamata in relazione
agli articoli 3 e 16 Cost., secondo un  diverso  profilo  evidenziato
dalla ricorrente: secondo la stessa, la limitazione della liberta' di
spostamento dovrebbe essere ricollegata strettamente alla  tutela  di
pregnanti interessi pubblici, mentre in questo caso per  questi  soli
reati,  tra  l'altro  assai  differenti  per   gravita'   tra   loro,
l'ordinamento  pone  una  valutazione  negativa  non  ricollegata  ad
elementi  oggettivi  e  che  inibisce  la  possibilita'  di  condurre
veicoli, senza che questa ultima possa agevolare in modo specifico  e
maggiore i reati legati al traffico di stupefacenti rispetto ad altri
reati. 
    L'art. 16 Cost. consente le limitazioni disposte dalla  legge  in
via generale per ragioni di sicurezza: ritiene  questo  Collegio  che
rientri nella discrezionalita' politica del legislatore disporre  per
alcune categorie di reati (che  possono  essere  questi  in  tema  di
stupefacenti qui in esame, come in tempi piu' recenti  quelli  legati
alla circolazione stradale con danno alla persona)  conseguenze  piu'
gravi rispetto ad altri, in relazione alla  valutazione  storicamente
contingente delle emergenze della sicurezza pubblica. In questo caso,
inoltre, la possibilita' che i  reati  collegati  alla  distribuzione
delle sostanze stupefacenti  possano  essere  agevolati  dall'uso  di
veicoli e' innegabile:  questo  rende  non  irragionevole,  e  quindi
insindacabile per il giudice, la decisione del legislatore. 
Rilevanza delle due questioni 
    Nel caso di specie la  ricorrente  e'  stata  condannata  con  la
sentenza del G.I.P. presso il Tribunale di Genova  depositata  il  16
settembre 2009 n. 753 (divenuta irrevocabile in data 4 dicembre 2013)
per alcuni fatti di reato previsti all'art. 73, comma 5, del  decreto
del Presidente della Repubblica n .309/1990, commessi nel periodo dal
settembre al novembre 2007. La norma che ha previsto che la  condanna
per uno dei  reati  di  cui  agli  articoli  73  e  74,  decreto  del
Presidente  della  Repubblica  n.  309/90  comporti  la  perdita  dei
requisiti morali necessari per ottenere o  mantenere  la  patente  di
guida e', pertanto, stata introdotta dopo la commissione del fatto  e
nelle more tra la condanna di primo grado e il passaggio in giudicato
della sentenza. 
    Alla ricorrente  e'  stata  revocata  la  patente  di  guida  con
provvedimento del Prefetto di Genova del 27 maggio 2015 notificato in
data 18 giugno 2015. 
    Questo Tribunale deve quindi valutare un caso in cui il fatto  di
reato e' stato commesso prima dell'entrata in vigore della  legge  n.
94  del  2009  e,  sotto  questo  primo   profilo,   decidere   della
legittimita' della revoca. 
    Anche la seconda questione di costituzionalita' e' rilevante  per
la decisione, poiche' investe la stessa previsione  che  il  Prefetto
disponga la revoca della patente, per le condanne  di  cui  al  testo
unico in materia di stupefacenti. 
    Ritiene questo Collegio, a differenza  dell'ordinanza  reclamata,
che    non    sia     possibile     attraverso     un'interpretazione
costituzionalmente orientata e compatibile con la Convenzione europea
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali  affermare  che  la  revoca  della  patente  non   debba
applicarsi quando i reati siano commessi precedentemente alla entrata
in vigore della legge n. 94 del 2009. 
    L'utilizzazione dei  precetti  costituzionali  nell'attivita'  di
ricerca della norma disciplinatrice della  fattispecie  concreta  non
puo'  giungere  (C.  Cost.  sentenza  n.  285  del  1990)  fino  alla
disapplicazione  diretta  della  disposizione  reputata  illegittima,
senza  l'attivazione   del   giudizio   di   costituzionalita':   una
interpretazione costituzionalmente  orientata  puo'  essere  adottata
solo ove la norma lasci uno interpretativo. 
    In questo caso, invece, nel contesto del codice della strada,  la
revoca consegue al  venir  meno  dei  presupposti  del  provvedimento
abilitativo e, in particolare,  dei  requisiti  morali  del  soggetto
abilitando/abilitato  alla  guida.   Cio'   si   evince   chiaramente
dall'inquadramento  della  stessa  previsione  legislativa,  inserita
nell'art. 120 del codice della strada (requisiti  morali):  per  cui,
dal momento della entrata in  vigore  della  legge,  per  ogni  nuovo
rilascio della patente e' prescritta alla P.A. la  verifica  che  non
sussistano quelle condanne ivi previste, che quindi  sono  un  evento
necessariamente pregresso. Cio' comporta che i fatti di  reato  siano
anche quelli precedenti all'entrata in vigore della norma; ugualmente
l'autorita' amministrativa dovra' provvedere alla  revoca  ogni  qual
volta risulti che vi sia stata una  condanna,  indipendentemente  dal
momento in cui essa sia intervenuta o intervenga. 
    Dalla lettura della norma appare evidente che l'unico presupposto
rilevante per la revoca sia l'intervento di una sentenza di  condanna
irrevocabile.  Nel  caso  di  specie,   la   condanna   e'   divenuta
irrevocabile nel 2013 e quindi  dopo  che  la  legge  e'  entrata  in
vigore. Pertanto,  se  si  segue  l'interpretazione  letterale  della
norma, quando si tratta di condanne divenute  irrevocabili  dopo  l'8
agosto  2009  (come  nel  caso  di  specie),   non   rileva   neppure
un'applicazione retroattiva, perche' il presupposto della revoca (che
e' la condanna e non il fatto di reato) interviene dopo l'entrata  in
vigore della legge. 
    Non e', pertanto, presente alcuna lacuna circa  la  condanna  per
fatti  precedenti  al  2009:  la  revoca  infatti   si   applica   se
sopraggiunge una condanna. E' espressamente previsto che la  condanna
non debba essere precedente di oltre tre anni alla revoca,  nulla  e'
invece previsto circa la datazione del fatto. 
    Anche l'esame del diritto vivente conduce a ritenere la questione
rilevante: la stessa  interpretazione  sostanzialmente  letterale  e'
stata seguita e argomentata dalle recenti sentenze del  Consiglio  di
Stato, Sez. III, sentenza 3 agosto 2015 n. 3791, del TAR Puglia  Sez.
II, 10 luglio 2015, n. 1058 e del TAR Lazio Sez.  III-ter,  n.  3817.
Anche questo Tribunale con  sentenza  del  21  ottobre  2015  (Grassi
contro Prefettura di Genova) ha seguito la medesima impostazione. 
    A  tali  conclusioni  interpretative  giungeva  anche  -  seppure
implicitamente  -  la  sentenza  281/2013  con  la  quale  la   Corte
costituzionale   ha   dichiarato   l'illegittimita'    costituzionale
dell'art. 120, comma 1 e 2 del codice della strada  «nella  parte  in
cui si applica anche con riferimento o sentenze pronunciate ai  sensi
dell'art. 444 del  codice  procedura  penale,  in  epoca  antecedente
all'entrata in vigore della legge n. 94 n. 2009». 
    Questa  sentenza  motiva  la  dichiarazione   di   illegittimita'
costituzionale in base alla tutela dell'affidamento dell'imputato  ed
espressamente in questi termini: 
      Con riguardo alle sentenze pronunciate ai sensi  dell'art.  444
codice procedura penale (equiparate «a una pronuncia di condanna» dal
successivo art. 445, comma 1-bis, secondo periodo), questa  Corte  ha
gia' avuto,  infatti,  occasione  di  precisare  che  «la  componente
negoziale propria dell'istituto  del  patteggiamento,  resa  evidente
anche  dalla  facolta'  concessa  al   giudice   di   verificare   la
volontarieta' della richiesta o del consenso (art. 446, comma 5,  del
codice di procedura penale), postula certezza e stabilita' del quadro
normativa che fa da  sfondo  alla  scelta  compiuta  dall'imputato  e
preclude che successive modificazioni legislative vengano od alterare
in pejus effetti salienti dell'accordo suggellato con la sentenza  di
patteggiamento» (sentenza n. 394 del 2002). 
    Il nuovo testo  dell'art  120,  commi  1  e  2,  come  sostituito
dall'art. 3, comma 52, lettera a), della legge n. 94  del  2009,  con
riguardo ai reati di cui agli  articoli  73  e  74  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle
leggi  in  materia  di  disciplina  degli  stupefacenti  e   sostanze
psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati  di
tossicodipendenza), ha innovato la disciplina  che  l'imputato  aveva
avuto  presente  nel  ponderare  l'opportunita'  di   addivenire   al
patteggiamento, ed ha retroattivamente attribuito al consenso  a  suo
tempo prestato l'ulteriore significato di una rinunzia  alla  patente
di guida. 
    E cio', appunto, ne  comporta  il  denunciato  contrasto  con  il
diritto di difesa, sia per l'inadempimento, che ne consegue, rispetto
al negozio (processuale) ex art. 444 del codice procedura penale, sia
per il vulnus all'affidamento  qualificato  dell'imputato  circa  gli
effetti delle proprie scelte. 
    E'  sotteso  al  ragionamento  della  Corte   che,   secondo   la
interpretazione costituzionalmente orientata che  e'  preliminare  ad
ogni giudizio  di  costituzionalita'  della  norma,  la  disposizione
dell'art. 120 del codice della strada si debba interpretare nel senso
che la revoca si  applichi  anche  alle  sentenze  intervenute  prima
dell'agosto del 2009 e quindi -  ovviamente  -  ai  fatti  pregressi.
Altrimenti, la Corte si sarebbe limitata a ritenere che la  norma  si
dovesse    diversamente     interpretare,     ossia     nei     senso
dell'inapplicabilita'  alle  sentenze  di  patteggiamento  precedenti
all'entrata in vigore della novella  (in  quanto  ovviamente  a  loro
volta relative a fatti pregressi rispetto al  2009),  respingendo  di
conseguenza la questione sollevata. 
    Tale  sentenza,   pertanto,   segue   un'interpretazione   -   da
considerarsi di diritto vivente  -  nel  senso  della  applicabilita'
della revoca anche alle condanne per fatti di  reato  commessi  prima
dell'entrata in vigore del cd. «pacchetto sicurezza». 
    Cio' rende la questione rilevante per la decisione sul merito del
provvedimento cautelare. 
    Si puo' aggiungere una considerazione in relazione ad un  aspetto
marginale: questo  Tribunale  ha  evidenziato  anche  una  certa  non
corrispondenza tra il chiesto e il  pronunciato  non  rilevata  dalle
parti  (la  pronuncia  di  annullamento  anziche'  il  provvedimento,
richiesto dalla  ricorrente,  di  consentirle  la  guida).  La  parte
reclamata all'udienza del 31 maggio 2016 ha  sollevato  eccezione  di
ultra-petizione, mentre la reclamante ha precisato  che,  trattandosi
di giudizio in tema di diritti soggettivi nel quale i poteri  del  GO
sono limitati dalla L.A.C.  n.  2248/1865  alla  disapplicazione  del
provvedimento,  solo  impropriamente   il   giudice   avrebbe   fatto
riferimento ad un  annullamento  e  non  alla  disapplicazione  e  ha
chiesto che fosse corretta dal Collegio l'ordinanza  nella  parte  in
cui parla  di  annullamento,  anziche'  di  disapplicazione  e  fosse
disposto in conformita' a quanto richiesto in ricorso. Ritiene questo
Collegio che la eccezione di difformita' tra  chiesto  e  pronunciato
non escluda la rilevanza della  questione  di  costituzionalita':  il
giudice del reclamo e' «investito  del  complessivo  contenuto  della
domanda cautelare ed e' titolare dei  medesimi  poteri  conferiti  al
primo giudice; per cui il  giudizio  che  s'instaura  a  seguito  del
reclamo  e  destinato  a  svolgersi  sull'intero  "thema  decidendum"
oggetto del procedimento cautelare  (..)  con  integrale  devoluzione
della controversia al giudice collegiale» (..) senza che  il  secondo
giudice sia limitato, nella  propria  cognizione  e  dotazione  degli
strumenti decisori, dai motivi dedotti dalle parti reclamanti (cosi',
Corte costituzionale, sentenza n. 65 del 17 marzo 1998). 
    In virtu' della sopra richiamata natura devolutiva e  sostitutiva
del  reclamo  appare  comunque  indispensabile   per   la   decisione
affrontare il merito, poiche' questo giudice del reclamo non dovrebbe
comunque arrestarsi al profilo del tipo di pronuncia  effettuata  dal
giudice di prime cure, ma -  se  anche  rilevasse  una  parziale  non
corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato  -  dovrebbe  decidere
nel merito la questione applicando la  normativa  dell'art.  120  del
codice  della  strada,  se  del  caso  anche  modificando  la  misura
cautelare emessa. 
Non manifesta infondatezza della  prima  questione  (articoli  11-117
Cost. e 7 CEDU). 
    Se la perdita del requisiti morali e  la  conseguente  revoca  si
dovesse considerare una vera  e  propria  sanzione  penale  ai  sensi
dell'art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali, si configurerebbe in  questo
caso la previsione retroattiva di  una  pena  piu'  grave  di  quella
applicabile al momento in cui  il  reato  di  cui  all'art.  73,  del
decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90 e' stato commesso. 
    Nel nostro ordinamento - limitandosi al diritto  «interno»  -  il
carattere penale di una sanzione dipende dal tipo  di  qualificazione
ad esso riconnessa. Di  conseguenza,  in  quest'ottica,  si  dovrebbe
escludere il carattere  penale  della  sanzione  della  revoca  della
patente: si tratterebbe della perdita di un  requisito  di  carattere
morale, ritenuto necessario per ottenere l'abilitazione alla guida  e
per conservarla; nell'ambito di una scelta politica ed insindacabile,
se ragionevole. E' quindi evidente che, esaminando  la  questione  ai
sensi dell'art. 25 Cost.  e  dei  principi  in  esso  consacrati,  la
questione sarebbe infondata perche' la perdita dei requisiti morali e
la  conseguente  revoca  della  patente  non   e'   qualificata   dal
legislatore come sanzione penale. 
    Tuttavia, nell'ottica invece imposta dalla  ratifica  dell'Italia
alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e
delle liberta' fondamentali, muta la definizione  di  illecito  e  di
sanzione penale: come gia' evidenziato dalla ordinanza qui reclamata,
l'interpretazione  della   Corte   di   Strasburgo   privilegia   dei
riferimenti di tipo sostanziale. 
    Al fine di verificare se una legge abbia ad  oggetto  «accuse  in
materia penale» (ai sensi dell'art. 6 della Convenzione  europea  per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali)
o infligga o modifichi sanzioni «penali» (ai sensi dell'art. 7  della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali) rilevano tre diversi criteri: 
        1) il primo e' quello della qualificazione data  dal  sistema
giuridico interno all'illecito. Tale indicazione ha  solo  un  valore
relativo,  potendosi  riqualificare  come  penale  un'accusa   quando
ricorrano gli altri indici; 
        2) la natura sostanziale dell'illecito, ossia se si tratti di
un binomio illecito/sanzione posto a tutela del funzionamento di  una
determinata  formazione  sociale  o  per   la   cura   di   interessi
particolari, o se sia invece preposto alla tutela erga omnes di  beni
giuridici della  collettivita',  anche  alla  luce  del  denominatore
comune delle rispettive legislazioni dei diversi Stati contraenti; 
        3) infine il grado di  severita'  della  pena  tenendo  conto
della sua natura, durata o modalita' di esecuzione. 
    Nel caso che ci occupa, si deve rilevare che il primo criterio e'
in parte gia' previsto  dall'ordinamento  interno:  i  fatti  cui  si
ricollega la revoca della patente sono qualificati dalla legge penale
speciale come i delitti previsti e puniti dall'art. 73 e 74,  decreto
del Presidente della Repubblica n. 309/90. Non avviene cosi'  per  la
«sanzione», poiche' come sopra indicato essa non e' configurata  come
sanzione dall'ordinamento, ma come perdita di  un  requisito  morale;
essa non e' neppure  qualificata  in  senso  penalistico.  In  merito
rilevano le argomentazioni della gia' citata sentenza Cass. Sez.  Un.
14 maggio 2014 n. 10406, con considerazioni che restano -  in  quella
sede - svolte sul piano strutturale e di diritto processuale civile. 
    Quanto al secondo criterio, si deve - pertanto - verificare se la
revoca sia una vera e propria sanzione in senso  sostanziale  (e  non
strutturale/formale) oppure no. In  proposito,  dalla  giurisprudenza
EDU sono ritenute applicabili le previsioni  e  le  garanzie  di  cui
all'art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali in merito  ad  ogni  sanzione
posta con funzione preventiva o  sanzionatoria,  che  non  assolva  a
finalita' meramente risarcitorie. 
    Si deve notare che, se anche si ritenesse che la  previsione  dei
requisiti di tipo morale per il rilascio della patente corrisponda ad
una finalita' di cura concreta dell'interesse pubblico,  si  dovrebbe
tenere anche conto dei fatto che -  nella  materia  penale  ai  sensi
dell'art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali  -   e'   possibile   una
coesistenza tra tale finalita' e quella sanzionatoria penalistica. In
questo senso si puo' fare riferimento  alla  sentenza  Welch  v.  The
United Kingdom, n. 17440/90, 9 febbraio 1995:  «Indeed  the  aims  of
prevention and reparation are consistent with a punitive purpose  and
may  be  seen  as  constituent  elements  of  the  very   notion   of
punishment». Peraltro e' usuale  anche  nel  diritto  penale  che  la
funzione sanzionatoria e preventiva generate si accompagni  a  quella
preventiva posta a tutela di specifici beni  giuridici  di  interesse
pubblico (si pensi alla tutela della fede pubblica, dell'ambiente..). 
    Anche in casi piu' recenti la Corte ha ritenuto che non vi  fosse
incompatibilita' (sentenza  27  settembre  2011,  caso  n.  43509/08,
Menarini c. Italia) tra la preordinazione alla tutela di un interesse
pubblico dei provvedimenti sanzionatori amministrativi (nel caso,  le
sanzioni pecuniarie comminate  dall'Autorita'  AGCM  a  tutela  della
concorrenza nel mercato) e una funzione penalistico-punitiva.  Cosi',
nella sentenza Menarini: 
        «40. Per quanto riguarda la  natura  dell'infrazione,  sembra
che le disposizioni delle quali e'  stata  contestata  la  violazione
alla  societa'  ricorrente  fossero  volte  a  tutelare   la   libera
concorrenza del mercato.  La  Corte  ricorda  che  l'AGCM,  autorita'
amministrativo indipendente, ha il compito ai vigilare sugli  accordi
restrittivi della concorrenza e gli  abusi  di  posizione  dominante.
Pertanto  essa  incide  sugli  interessi  generali   della   societa'
normalmente tutelati dal diritta penale (Stenuit  c.  Francia,  sopra
citata, § 62). Inoltre va rilevato che la  sanzione  inflitta  mirava
per lo piu' a punire al fine  di  evitare  il  ripetersi  degli  atti
incriminati. Si puo' dunque concludere che la sanzione  inflitta  era
basata su norme  aventi  uno  scopo  sia  preventivo  che  repressivo
(mutatis mutandis, Jussila, sopra citata, § 38)». 
    Sembra,  inoltre,  a  questo  Collegio  che   non   sussista   un
collegamento  logico  tra  i  reati  in  materia   di   traffico   di
stupefacenti e la sicurezza stradale, poiche' non e' previsto  che  i
reati siano stati commessi con l'uso di veicoli o che  alcun  veicolo
sia  stato  condotto  in  stato  di  alterazione  psicofisica:   pare
piuttosto che lo scopo del legislatore sia stato quello di sanzionare
ulteriormente chi abbia commesso i delitti in materia di stupefacenti
(individuati  esclusivamente  in  relazione  ai  due  soli   articoli
richiamati). La mancanza di ogni finalita' riparativa/risarcitoria e'
evidente anche nel fatto che, a differenza della previgente normativa
che era  invece  collegata  alla  pena  comminata  e  alla  possibile
agevolazione di ulteriori reati,  non  si  richiede  neppure  che  la
commissione di ulteriori reati possa essere  agevolata  dal  possesso
della patente. Anche la collocazione storica della norma, all'interno
del «pacchetto sicurezza» di cui alla legge n. 94/2009, evidenzia  la
finalita' sanzionatoria, dichiarata dai lavori preparatori e inserita
in  un  contesto  di  inasprimento  generale  delle  sanzioni  e   un
rafforzamento dell'apparato sanzionatorio penale per la tutela  della
sicurezza pubblica. 
    Rilevano  in  questo  senso,  con  le   dovute   differenze,   le
considerazioni gia' svolte dalla Corte costituzionale n. 354/1998  in
merito  alla  revoca  della   patente   per   le   dichiarazioni   di
pericolosita'  sociale:  «La  norma  impugnata  prevede  una   misura
amministrativa  accessoria,  rimuovibile  soltanto  per  effetto   di
provvedimenti riabilitativi, conseguente alla circostanza  di  essere
stati sottoposti a misura di sicurezza personale. Il  che  presuppone
(articoli 202 e 203 del codice penale) la commissione di un reato  (o
il compimento di un fatto non previsto  come  reato,  ma  considerato
dalla legge, ai fini che qui interessano, equivalente) e un  giudizio
di  pericolosita'  sociale,  cioe'  di  probabilita'  rispetto   alla
commissione di nuovi illeciti penali. La misura  della  revoca  della
patente si puo' spiegare, allora,  in  una  luce  o  sanzionatoria  o
preventiva, in ogni caso in una logica, in senso lato, penalistica». 
    Nell'esame della disposizione di  cui  all'art.  120  del  codice
della strada, che e' ora dettata esclusivamente per i  reati  di  cui
agli articoli 73 e 74, decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.
309/90,  la  prevalente  funzione  pare  -  quindi  -  sanzionatoria:
attraverso la minaccia di una sanzione piuttosto severa e prolungata,
che coinvolge diversi ambiti sociali della vita dell'agente, si vuole
evitare la commissione dei reati «presupposti» della revoca, che sono
esclusivamente quelli in materia di stupefacenti.  Inoltre,  concorre
con la prima una funzione generale, di evitare che il soggetto  (gia'
condannato) possa utilizzare la disponibilita' dell'abilitazione alla
guida per condurre veicoli nello svolgimento di altri reati legati al
traffico degli stupefacenti. Anche questa appare del tutto tipica del
diritto penale, essendo finalizzata  ad  evitare  la  commissione  di
nuovi reati. 
    Altrettanto tipica del diritto penale e'  la  previsione  che  la
riabilitazione comporti il riacquisto dei requisiti. 
    La funzione sanzionatoria parrebbe pertanto sussistente  e  cosi'
anche il secondo requisito. 
    Quanto  alla  afflittivita',  la  Convenzione  europea   per   la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
richiede  che  la  sanzione  sia  dotata  di   carattere   di   seria
afflittivita'. Tale  qualita'  e'  stata  ricondotta  dalla  Corte  a
sanzioni di tipo sia pecuniario, sia inabilitativo. Ad esempio, nella
sentenza Matyec v. Poland del 30 maggio 2006 (caso  n.  38184/03)  si
trattava dell'interdizione per dieci anni dalle cariche  politiche  e
da alcune professioni pubbliche, ricollegata al fatto di  avere  reso
false dichiarazioni in  merito  ad  una  passata  collaborazione  col
regime comunista. 
    Sono  piuttosto  rilevanti  le  conseguenze   negative   per   il
destinatario della revoca della patente: nel caso concreto, esse sono
state anche specificamente accertate  dall'istruttoria  svolta  ne  t
provvedimento  cautelare.  Nello  stesso  si  e'  accertato  che   la
ricorrente deve accompagnare  presso  istituti  dislocati  in  luoghi
diversi le tre figlie minori, una delle quali con problemi di  salute
che comportano un periodico monitoraggio ospedaliero pediatrico,  non
puo' fruire (se non attraverso percorsi  molto  tortuosi)  dei  mezzi
pubblici perche' abita sulle poco servite alture cittadine, ne'  puo'
contare su altri stabili apporti per la vita familiare. Non solo,  ma
la perdita dell'abilitazione alla guida, nella vita  moderna,  incide
nel reinserimento sociale delle persona gia' condannata, al punto che
anche  la  disciplina  delle  sanzioni  sostitutive   alte   sanzioni
detentive brevi se ne occupa (prevedendo la sospensione della patente
di guida sia per il caso di semidetenzione - art. 55, della legge  n.
689/1981 -  sia  per  il  caso  di  liberta'  controllata,  salva  la
possibilita' per il magistrato di  sorveglianza  di  disciplinare  la
sospensione in modo da non ostacolare il  lavoro  del  condannato  ai
sensi dell'art. 62). Inoltre in  sede  di  concessione  delle  misure
alternative alla detenzione sono possibili delle limitazioni  al  suo
esercizio, modulate dal provvedimento del magistrato di sorveglianza.
Piu' in generale, si deve concludere che la patente di  guida  incide
pesantemente sulla capacita' lavorativa di  una  persona,  sulla  sua
vita  di  relazione  e  perfino  sull'adempimento  dei  suoi   doveri
personali e familiari. 
    Altri caratteri di afflittivita' si possono  rilevare  nel  fatto
che la perdita dei requisiti morali avvenga automaticamente e che  la
revoca debba essere disposta  dalla  pubblica  amministrazione  senza
alcuna discrezionalita' e senza alcuna valutazione  della  situazione
personale del soggetto. La durata della «sanzione» ossia  il  periodo
in cui il soggetto non e' piu' abilitato alla guida e'  molto  lunga,
poiche' dura per oltre tre anni, essendo  previsto  che  «La  persona
destinataria del provvedimento di revoca di cui al comma 2 non  possa
conseguire una nuova patente  di  guida  prima  che  siano  trascorsi
almeno tre anni»: a questo termine  si  dovra'  aggiungere  il  tempo
(oltre che i costi economici) necessario per conseguirla  nuovamente,
non trattandosi di sospensione, ma di revoca. 
    A  fronte  della  previsione  della  revoca   a   seguito   della
commissione di fatti che il nostro ordinamento  gia'  qualifica  come
reati  (primo  criterio),  a  fronte  di  una  piu'   che   probabile
configurazione in termini di sanzione (secondo  criterio)  e  di  una
sicura afflittivita' (terzo  criterio)  della  misura  della  revoca,
appare non manifestamente infondata  la  questione.  Questo  in  modo
particolare in quanto la Corte  EDU,  ribadendo  recentemente  i  tre
criteri che ha chiamato «Engel criteria» (sentenza 14  gennaio  2014,
caso n. 32042/2011, Muslija v, Bosnia Herzegovina,§ 26)  ha  spiegato
che gli stessi possono essere utilizzati  sia  alternativamente,  sia
con un approccio cumulativo quando un'analisi separata di ciascuno di
essi non consenta di raggiungere una conclusione chiara: 
    «The  Court's  established  case-law  sets  out  three  criteria,
commonly known as the "Engel criteria" (see Engel and Others  v.  the
Netherlands, 8 June 1976, Series A  no.  22),  to  be  considered  in
determining whether or not there was a "criminal charge".  The  first
criterion is the legal classification of the offence  under  national
law, the second is the very nature of the offence, and the  third  is
the degree of severity of the penalty  that  the  per  son  concerned
risks incurring. The second and third criteria  are  alternative  and
not  necessarily  cumulative.  This,  however,  does  not  exclude  a
cumulative approach where separate analysis of  each  criterion  does
not make it possible to reach a clear conclusion as to the  existence
of a criminal charge». 
    Anche nella gia' citata sentenza Menarini la Corte  espressamente
prevedeva che: 
        "38. La Corte  ricorda  la  sua  giurisprudenza  consolidata,
secondo la quale e' necessario, per  determinare  se  esista  o  meno
un'«accusa penale», tenere conto di tre  criteri:  la  qualificazione
giuridica del provvedimento  contestato  nel  diritto  nazionale,  la
natura stessa di  quest'ultimo  e  la  natura  e  la  gravita'  della
«sanzione»  (Engel,  sopra  citata).  Questi  criteri  sono  peraltro
alternativi  e  non  cumulativi:  affinche'  l'art.  6  §   1   trovi
applicazione rispetto alle parole «accusa penale», e' sufficiente che
l'infrazione in  questione  sia  di  natura  «penale»  rispetta  alla
Convenzione o abbia esposto l'interessato ad una sanzione che, per la
sua natura e gravita', ricada generalmente  nella  «materia  penale».
Cio' non preclude l'adozione di un approccio cumulativo se  l'analisi
separata di ciascun criterio non  porta  ad  una  conclusione  chiara
sull'esistenza di un'«accusa penale» (Jussila c. Finlandia  [GC],  n.
73053/01, §§ 30 e 31, CEDU  2006-XIII,  e  Zaicevs  c.  Lettonia,  n.
65022/01, § 31, CEDU 2007-IX (estratti))". 
    A fronte della complessita'  della  questione  e  comunque  della
emersione chiara di almeno due dei tre "Engel criteria",  appare  non
manifestamente  infondata  a  questo  Tribunale   la   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 120 del codice della strada. 
    Questa norma,  da  ritenersi  penale  ai  sensi  dell'art.  7  la
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali, avrebbe introdotto una piu' grave sanzione per
reati commessi  prima  della  sua  entrata  in  vigore,  violando  la
Convenzione che esclude che possa  essere  applicata  una  pena  piu'
grave di quella che sarebbe stata applicata al tempo in cui il  reato
e stato consumato. In altre parole, la previsione della perdita di un
requisito morale non puo' diventare lo  strumento  nominalistico  per
irrogare retroattivamente una afflittiva  sanzione  non  prevista  al
momento della commissione del  fatto,  in  una  logica  da  ritenersi
sostanzialmente penalistica, ai  sensi  dell'art.  7  la  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali. 
    Questo Collegio ritiene che la questione che  qui  si  prospetta,
limitatamente quindi all'applicazione ai fatti di reato di  cui  agli
articoli 73 e 74, decreto del Presidente della Repubblica  n.  309/90
commessi  prima  dell'8  agosto  2009,   sia   -   pertanto   -   non
manifestamente infondata.  
Non manifesta infondatezza della seconda questione (articoli  3,  16,
25, 11 Cost.) 
    Rileva la reclamata un'irragionevole discrasia tra  la  norma  in
esame e l'art. 85 del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  9
ottobre 1990 n. 309, che dispone: «con la sentenza  di  condanna  per
uno dei fatti di cui agli articoli 73, 74, 79 e 82, il  giudice  puo'
disporre il divieto di espatrio e il ritiro della  patente  di  guida
per un periodo non superiore a tre anni». 
    Evidenzia la ricorrente che, qualora vi siano effettive  esigenze
di  limitazione  della  liberta'  di  circolazione  conseguenti  alla
commissione di uno dei reati  previsti  dal  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 309/90, il  giudice  penale  dispone  una  misura
interdittiva della  guida  dopo  aver  compiuto  una  valutazione  in
concreto sull'adeguatezza di tale misura. 
    Ritiene questo Collegio che sia irragionevole  la  previsione  di
una revoca della patente disposta in via amministrativa ed automatica
per tutti i casi di condanna per i reati di cui agli articoli 73 e 74
del testo unico  stupefacenti,  laddove  la  normativa  speciale  (in
relazione proprio a questi reati) prevede che sia il giudice penale a
decidere se applicare o meno la  pena  accessoria  del  ritiro  della
patente.  Quest'ultima  meno  grave   misura   e'   di   applicazione
facoltativa e non obbligatoria e richiede una  specifica  motivazione
da parte del giudice penale (Cass. Pen. sez. III,  n.  16285  del  18
dicembre 2008, secondo un orientamento costante). Lo stesso  in  sede
di condanna penale (e  di  applicazione  pena)  commina  la  sanzione
accessoria, valuta i reati commessi  sia  nella  loro  gravita',  sia
nelle caratteristiche e modalita' concrete, e applica il ritiro della
patente laddove ravvisi una particolare pericolosita'  sociale  o  un
nesso di strumentalita' (o quanto  meno  di  occasionalita')  tra  la
conduzione dei veicoli e i delitti commessi. Il giudice, inoltre,  ha
un notevole potere discrezionale nella commisurazione della sanzione,
entro il limite di tre anni di ritiro. 
    Appare irragionevole che nel caso in cui il giudice penale  abbia
deciso di non disporre la pena accessoria, escludendo una particolare
pericolosita' sociale o ritenendo che non vi sia strumentalita'  alla
guida o che comunque la abilitazione alla guida non  possa  agevolare
la commissione di nuovi reati, la revoca della patente  (di  per  se'
piu' grave del ritiro) intervenga comunque ed obbligatoriamente. 
    Anche per il caso in  cui  il  giudice  penale  abbia  deciso  di
applicare il ritiro sussiste un'evidente sovrapposizione  logica  con
la revoca disposta dal prefetto, poiche' mentre il giudice compie una
commisurazione al caso concreto  e  gradua  la  pena  accessoria  del
ritiro, la revoca interviene comunque nella  misura  fissa  (e  assai
lunga) di tre anni.  
    Nel caso concreto,  con  la  sentenza  di  condanna  in  sede  di
giudizio con rito abbreviato  del  2  settembre  2009  non  e'  stata
disposta a carico della sig.ra B. la pena accessoria del  ritiro  del
patente, gia' prevista all'epoca dall'art. 85 del testo unico 309/90:
evidentemente il G.I.P. presso  il  Tribunale  ha  ritenuto  che  non
sussistesse una particolare pericolosita'  sociale  della  sig.ra  B.
(alla quale contestualmente riconosceva le attenuanti di cui all'art.
73,  comma  5  e  le  attenuanti  generiche),  ne'  alcun  nesso   di
strumentalita'  tra  il  possesso  della  patente  di  guida   e   la
commissione  dei  reati  legati   allo   spaccio   di   stupefacenti.
Ciononostante,  la   revoca   del   prefetto   dovrebbe   intervenire
ugualmente, con effetti per tre anni. 
    Questi profili di irragionevolezza e di conseguente disparita' di
trattamento  rilevano,  oltre  che  per  l'incidenza  sulla  liberta'
personale e sulla liberta' di circolazione di cui all'art.  16  Cost.
(sotto  altro  profilo  e  con  diversi  esiti  preso  in  esame   in
precedenza), anche dal punto di vista della sottrazione del  soggetto
al giudice naturale e ad un giusto processo.  La  sede  corretta  per
l'irrogazione di tale afflittiva misura appare quella  gia'  prevista
dell'art. 85 del decreto del Presidente della  Repubblica  n.  309/90
sotto forma di pena accessoria del ritiro della patente, ossia quella
che il giudice penale puo' applicare al caso concreto a  seconda  del
giudizio   di   pericolosita'   sociale   e/o    di    strumentalita'
dell'abilitazione alla guida. Non  appare  rispettoso  del  principio
dell'inderogabilita' del giudice naturale e del diritto ad un  giusto
processo la previsione normativa che stabilisce  che  si  sovrapponga
alla decisione penale la previsione di un'applicazione automatica  di
una misura sostanzialmente analoga ed anzi assai piu' afflittiva,  da
parte di un'autorita' amministrativa, senza le  garanzie  processuali
penali. 
    Nel contrasto logico tra le due norme, sembra che, alla luce  dei
principi del giudice naturale e del giusto processo,  sia  la  revoca
prefettizia a  dover  soccombere  a  favore  della  previsione  della
valutazione in sede di art.  85  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica  n.  309/90,  che  risulta  invece  armonica  rispetto  ai
principi. 
    Anche da questo secondo punto di vista, quindi,  si  ritiene  non
manifestamente infondata la questione di costituzionalita'. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visti gli articoli  134  Cost.  23  e  seg.,  legge  n.  87/1953,
dichiara rilevante e non manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 120 del decreto legislativo  30
aprile 1992 n. 285, nel testo modificato dall'art. 3, comma 52, della
legge 15 luglio 2009 n. 94 e dalle successive modifiche: 
        a) nella parte in cui consente l'applicazione dei commi 1 e 2
a reati commessi prima della entrata in vigore della legge 15  luglio
2009 n. 94, con riferimento agli  articoli  11  e  117  Cost.  ed  in
relazione all'art. 7 della Convenzione europea  per  la  salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali; 
        b) nella parte  in  cui  prevede  la  revoca,  da  parte  del
Prefetto, della patente di guida in caso di condanna per i  reati  di
cui agli articoli 73 e 74, decreto del Presidente della Repubblica n.
309/90, con riferimento agli articoli 3, 16, 25 e 111 Cost. 
    Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. 
    Sospende il procedimento di reclamo sino all'esito  del  giudizio
incidentale di legittimita' costituzionale. 
    Manda  la  cancelleria  per  la  notificazione   della   presente
ordinanza al Presidente dei Consiglio dei ministri,  nonche'  per  la
comunicazione ai Presidenti della Camera dei deputati  e  del  Senato
della Repubblica. 
        Genova, 16 giugno 2016 
 
                       Il Presidente: Costanzo 
 
 
                                           Il giudice relatore: Lucca