N. 233 SENTENZA 21 settembre - 3 novembre 2016

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Processo penale - Misure cautelari personali diverse  dalla  custodia
  in carcere - Perdita di  efficacia  per  inosservanza  dei  termini
  relativi  alla  fase  del  riesame  -  Non  reiterabilita',   salve
  eccezionali esigenze specificamente motivate. 
- Codice di procedura penale, art. 309, comma 10. 
-   
(GU n.45 del 9-11-2016 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Paolo GROSSI; 
Giudici :Alessandro CRISCUOLO, Giorgio LATTANZI, Aldo  CAROSI,  Mario
  Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,   Silvana
  SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON,  Franco  MODUGNO,  Augusto
  Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 309,  comma
10, del codice di procedura penale,  come  sostituito  dall'art.  11,
comma 5, della legge 16 aprile 2015, n. 47 (Modifiche  al  codice  di
procedura penale in materia di misure cautelari personali.  Modifiche
alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia  di  visita  a  persone
affette da handicap in situazione di gravita'), promosso dal  Giudice
per le indagini preliminari  del  Tribunale  ordinario  di  Nola  nel
procedimento penale a carico di F.M., con  ordinanza  del  28  maggio
2015, iscritta al n. 206 del registro  ordinanze  2015  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  42,  prima   serie
speciale, dell'anno 2015. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 21 settembre 2016 il  Giudice
relatore Giorgio Lattanzi. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.-  Il  Giudice  per  le  indagini  preliminari  del   Tribunale
ordinario di Nola, con ordinanza del 28 maggio 2015 (r.o. n. 206  del
2015), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 101, secondo comma,
e 104, primo comma, della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 309,  comma  10,  del  codice  di  procedura
penale, come sostituito dall'art. 11, comma 5, della legge 16  aprile
2015, n. 47 (Modifiche al codice di procedura penale  in  materia  di
misure cautelari personali. Modifiche alla legge 26 luglio  1975,  n.
354, in materia di visita a persone affette da handicap in situazione
di gravita'), «nella parte in cui prevede che l'ordinanza che dispone
una misura coercitiva - diversa dalla custodia in carcere - che abbia
perso efficacia non possa essere reiterata salve eccezionali esigenze
cautelari specificamente motivate». 
    Il giudice rimettente, premesso di avere emesso nei confronti  di
una persona indagata per i reati di cui agli artt. 612-bis,  primo  e
secondo comma, e 609-bis, primo e terzo comma, del codice  penale  la
misura coercitiva del «divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati
dalla persona offesa», misura successivamente dichiarata  inefficace,
con ordinanza del 22 maggio 2015, «a decorrere dalle ore 24,00 del 25
maggio 2015», dal Tribunale del riesame di Napoli, per «omesso avviso
dell'udienza all'indagato a seguito del mancato  perfezionamento  del
procedimento  di  notificazione  dell'avviso»,  riferisce  di  essere
investito di una richiesta di riemissione della misura cautelare  per
i reati sopraindicati. 
    Ricorda il giudice rimettente che secondo un  principio  che  era
consolidato,   in   tema   di   misure    cautelari,    l'inefficacia
dell'ordinanza  che  dispone   la   misura   cautelare,   determinata
dall'inosservanza dei termini stabiliti dall'art. 309 cod. proc. pen.
per  la  fase  del  riesame,  non  precludeva  la  reiterazione   del
provvedimento coercitivo. Invece la novella di cui alla legge  n.  47
del 2015, nel modificare l'art.  309,  comma  10,  cod.  proc.  pen.,
prevede che «[s]e la trasmissione degli atti non avviene nei  termini
di cui al comma 5 o se la decisione sulla richiesta di riesame  o  il
deposito dell'ordinanza del tribunale in cancelleria non intervengono
nei termini prescritti, l'ordinanza che dispone la misura  coercitiva
perde   efficacia   e,   salve   eccezionali    esigenze    cautelari
specificamente motivate, non puo' essere rinnovata». 
    Pertanto la disposizione citata imporrebbe,  secondo  il  giudice
rimettente, di valutare, ai  fini  della  reiterazione  della  misura
cautelare,  l'esistenza  di  eccezionali   esigenze   cautelari   che
giustifichino e rendano necessaria la rinnovazione del titolo. 
    La  categoria  delle  «eccezionali  esigenze  cautelari»  sarebbe
prevista dal codice di rito per legittimare l'adozione  della  misura
carceraria in  situazioni  del  tutto  particolari,  ricollegabili  a
condizioni    soggettive    dell'indagato,    «ritenute     ostacolo»
all'applicazione della misura della  custodia  in  carcere  nei  casi
previsti dall'art. 275, commi 4, 4-bis e 4-ter, cod. proc. pen. o nel
caso di persone tossicodipendenti ex art. 89  del  d.P.R.  9  ottobre
1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina  degli
stupefacenti   e   sostanze   psicotrope,   prevenzione,    cura    e
riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza). 
    In base alla norma novellata, invece,  le  «eccezionali  esigenze
cautelari» verrebbero  in  rilievo  non  gia'  quale  condizione  per
reiterare la sola misura cautelare della custodia in carcere,  bensi'
per  legittimare  la  rinnovazione  di  qualsiasi  misura   cautelare
coercitiva, creando in modo irragionevole «una  sostanziale  area  di
immunita' (cautelare) in favore di soggetti  (destinatari  di  misure
diverse da quella della custodia in carcere)  nei  cui  confronti  la
procedura del riesame non si sia potuta completare entro  il  termine
previsto». 
    Secondo il giudice a quo, la scelta  applicativa  di  una  misura
coercitiva meno afflittiva di quella carceraria  sarebbe  sintomatica
dell'assenza    di    esigenze    cautelari    eccezionali,    mentre
l'individuazione  di  esigenze   di   tipo   eccezionale   indurrebbe
l'interprete  a  scegliere,  nell'ambito  del  ventaglio  di   misure
cautelari di cui agli artt. 275 e seguenti cod. proc. pen.,  la  piu'
grave forma di limitazione della liberta' personale, ossia la  misura
della custodia in carcere. Pertanto la norma introdotta dalla  citata
novella  finirebbe  per  neutralizzare  o  comunque  per  restringere
eccessivamente la possibilita' di reiterare i  titoli  cautelari  nei
confronti di persone gia' destinatarie di  ordinanze  applicative  di
misure cautelari diverse dalla custodia  in  carcere,  poi  caducate,
sacrificando in  modo  irragionevole  le  esigenze  di  tutela  della
collettvita' in favore di quelle di garanzia individuale. 
    Le ragioni formali che determinano la caducazione  delle  misure,
dovute a  carenze  verificatesi  nel  procedimento  di  riesame,  non
avrebbero  alcuna  attinenza  con  le  esigenze   cautelari   e   non
consentirebbero di giustificare l'eventuale «rinnovazione del titolo»
con l'esistenza di esigenze cautelari di livello eccezionale. 
    Assoggettare ad un ulteriore piu' stringente parametro  selettivo
la possibilita' di reiterare il  medesimo  titolo,  a  fronte  di  un
compendio indiziario e cautelare che si presume immutato, sarebbe  il
frutto di una scelta irragionevole e non  rispettosa  dell'equilibrio
raggiunto nell'assetto  del  codice  di  rito  tra  la  tutela  della
collettivita', da un lato, e le esigenze di rispetto  della  liberta'
personale, dall'altro. 
    Inoltre, la disposizione impugnata finirebbe per  riservare  alla
caducazione della misura cautelare in sede di riesame un  trattamento
ingiustificatamente  differenziato   rispetto   a   quello   previsto
dall'art.  302  cod.  proc.  pen.  per   l'ipotesi   di   inefficacia
conseguente  all'omesso  interrogatorio  entro  il  termine  previsto
dall'art. 294 cod. proc. pen., laddove  l'unico  requisito  richiesto
dalla legge, ai fini della  reiterazione  della  misura,  sarebbe  il
previo interrogatorio, alla luce del  quale  valutare  la  permanenza
delle condizioni indicate negli artt. 273, 274 e 275 cod. proc. pen.,
non  occorrendo  in  tal  caso  la  motivata  presenza  di   esigenze
eccezionali. 
    Sia nella procedura relativa al mandato di arresto  europeo,  nel
caso di sopravvenuta  inefficacia  dell'ordinanza  restrittiva  della
liberta' personale a causa del mancato invio da parte  dell'autorita'
richiedente degli atti previsti dall'art. 13 della  legge  22  aprile
2005, n. 69 (Disposizioni per  conformare  il  diritto  interno  alla
decisione quadro 2002/584/GAI del  Consiglio,  del  13  giugno  2002,
relativa al mandato d'arresto europeo e alle  procedure  di  consegna
tra Stati membri), sia  nell'ipotesi  della  misura  disposta  da  un
giudice incompetente e rinnovata ad opera  di  quello  competente,  a
norma dell'art. 27 cod. proc. pen., la caducazione della  misura  non
comporterebbe alcun irrigidimento delle condizioni richieste  per  la
reiterazione del titolo, «a fronte di una situazione sottostante  che
evidentemente si presume  invariata  e  tale  da  non  richiedere  la
ricorrenza di presupposti cautelari di rango eccezionale». 
    Le  conseguenze  irragionevoli  della  modificazione  legislativa
sarebbero inoltre accentuate nei casi in cui il procedimento riguarda
due o piu' coindagati, laddove la perdita  di  efficacia  del  titolo
cautelare nei confronti di taluno di essi potrebbe  comportare  esiti
cautelari differenziati a parita'  di  presupposti  sottostanti,  con
conseguente violazione del principio di eguaglianza di cui all'art. 3
Cost. 
    L'art.  309,  comma  10,  cod.   proc.   pen.   ridimensionerebbe
l'esercizio del potere cautelare disattendendo i principi di cui agli
artt. 101, secondo comma, e  104,  primo  comma,  Cost.,  perche'  il
giudice sarebbe soggetto non solo alla legge,  «ma  anche,  come  nel
caso di specie, alla tempestivita' e regolarita' del sub-procedimento
di notificazione dell'avviso all'indagato,  di  fatto  consegnando  a
soggetti estranei alla giurisdizione il  potere  di  condizionare  il
fruttuoso esercizio del potere cautelare». 
    In tema di rilevanza, il giudice a quo osserva che  la  soluzione
della questione sarebbe decisiva perche' nel caso  in  esame  non  vi
sarebbero eccezionali  esigenze  cautelari,  tali  da  permettere  la
rinnovazione della misura. 
    D'altro   canto,   attraverso   l'interrogatorio   di    garanzia
dell'indagato, non sarebbero emersi elementi idonei  a  neutralizzare
il presupposto di  gravita'  indiziaria,  costituito  dalle  numerose
denunce-querele sporte dalla persona  offesa,  ne'  «ad  elidere»  il
pericolo concreto  e  attuale  di  ulteriori  condotte  della  stessa
specie, considerata la  «reiterazione  di  molestie  e  comportamenti
intimidatori per un rilevante arco temporale». 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, e ha chiesto che la questione sia dichiarata  inammissibile  o
infondata. 
    L'Avvocatura generale  ha  rilevato  che  la  questione  dovrebbe
essere dichiarata inammissibile,  essendo  l'ordinanza  assolutamente
carente «in punto di descrizione  della  fattispecie  concreta  e  di
conseguente motivazione sulla rilevanza». 
    La questione sarebbe comunque  infondata  perche'  non  e'  stata
preventivamente verificata la possibilita' di una lettura della norma
denunciata  diversa  da  quella  posta  a  fondamento  dei  dubbi  di
legittimita' costituzionale sollevati dal giudice a quo. 
    Inoltre  sarebbe  discutibile  l'assimilazione  alle  eccezionali
esigenze cautelari, menzionate nella norma denunciata, delle esigenze
cautelari di eccezionale rilevanza, che potrebbero essere soddisfatte
solo mediante l'emissione della misura della custodia in carcere. 
    Infine  sarebbe  possibile  concepire  l'esistenza  di   esigenze
cautelari eccezionali - come quelle  «suscitate,  ad  esempio,  dalla
fastidiosa   reiterazione   delle   condotte   persecutorie   -   che
[potrebbero] essere soddisfatte mediante  l'adozione  di  una  misura
coercitiva non detentiva idonea  a  contenere  l'impeto  persecutorio
dell'agente». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 28 maggio 2015 (r.o. n. 206 del  2015),  il
Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario  di  Nola
ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 101, secondo comma, e 104,
primo  comma,   della   Costituzione,   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 309,  comma  10,  del  codice  di  procedura
penale, come sostituito dall'art. 11, comma 5, della legge 16  aprile
2015, n. 47 (Modifiche al codice di procedura penale  in  materia  di
misure cautelari personali. Modifiche alla legge 26 luglio  1975,  n.
354, in materia di visita a persone affette da handicap in situazione
di gravita'), «nella parte in cui prevede che l'ordinanza che dispone
una misura coercitiva - diversa dalla custodia in carcere - che abbia
perso efficacia non possa essere reiterata salve eccezionali esigenze
cautelari specificamente motivate». 
    Ad avviso del giudice rimettente, la normativa impugnata viola il
principio  di  ragionevolezza  di  cui  all'art.  3  Cost.,   perche'
sacrifica «in modo del tutto illogico» le esigenze  di  tutela  della
collettivita'  in  favore  di  quelle  di  garanzia   individuale   e
contravviene al principio di uguaglianza sostanziale,  prevedendo  un
trattamento  ingiustificatamente  differenziato  rispetto  ad   altre
situazioni di caducazione  della  misura,  quale  ad  esempio  quella
prevista dall'art. 302 cod. proc. pen. per l'ipotesi  di  inefficacia
conseguente  all'omesso  interrogatorio  entro  il  termine  previsto
dall'art. 294 cod.  proc.  pen.  Inoltre  la  disposizione  censurata
sarebbe in contrasto con gli artt. 101, secondo comma, e  104,  primo
comma, Cost., in quanto «il Giudice sarebbe soggetto  non  solo  alla
legge, ma anche, come  nel  caso  di  specie,  alla  tempestivita'  e
regolarita'  del  sub-procedimento   di   notificazione   dell'avviso
all'indagato,  di  fatto  consegnando  a   soggetti   estranei   alla
giurisdizione il potere di condizionare il  fruttuoso  esercizio  del
potere cautelare». 
    2.-   L'Avvocatura   generale    dello    Stato    ha    eccepito
l'inammissibilita' della questione  di  legittimita'  costituzionale,
perche' sarebbe assolutamente carente «in punto di descrizione  della
fattispecie concreta e di conseguente motivazione sulla rilevanza». 
    Nel merito, secondo l'Avvocatura dello Stato,  la  questione  non
sarebbe fondata. 
    3.-  L'eccezione  di  inammissibilita'  e'  priva  di  fondamento
perche' l'ordinanza di rimessione ha chiarito in  termini  sintetici,
ma sufficienti, la situazione processuale e le ragioni che  impongono
l'applicazione della norma censurata. Il giudice  rimettente  infatti
ha indicato l'imputazione e descritto gli elementi posti a base della
misura cautelare del divieto di avvicinamento ai  luoghi  frequentati
dalla persona offesa,  richiamando  denunce  e  querele  dalle  quali
emergevano la gravita' indiziaria e le caratteristiche delle esigenze
cautelari, ancora perduranti, e ha precisato che nella specie non  vi
erano «concreti elementi» idonei  a  costituire  quelle  «eccezionali
esigenze   cautelari»   che   avrebbero   potuto   giustificare   «la
rinnovazione della misura». 
    4.- La questione dunque e' ammissibile ma non e' fondata. 
    Il giudice rimettente censura la norma impugnata perche',  «salve
eccezionali esigenze cautelari specificamente motivate», impedisce la
rinnovazione delle  misure  coercitive,  diverse  dalla  custodia  in
carcere, che abbiano perduto efficacia a norma dell'art.  309,  comma
10, cod. proc. pen. 
    Rispetto   a   queste   misure   infatti   il   requisito   della
"eccezionalita'" delle esigenze cautelari sarebbe  inconfigurabile  e
impedirebbe la reiterazione, dato che, secondo il giudice rimettente,
«la scelta applicativa di una misura coercitiva  meno  afflittiva  di
quella  carceraria,  in  omaggio  al  principio  di  gradualita',  e'
sintomatica  dell'assenza  di   esigenze   cautelari   "eccezionali",
dovendosi viceversa presumere che  l'individuazione  di  esigenze  di
tipo  "eccezionale"   condurrebbe   l'interprete   a   presciegliere,
nell'ambito del ventaglio di misure cautelari di cui agli artt. 275 e
ss. del codice di rito, la piu'  grave  forma  di  limitazione  della
liberta' personale, ossia la misura della custodia in carcere». 
    E' da aggiungere che comunque nel caso in questione, a parere del
giudice rimettente, «pur nella perdurante sussistenza  delle  ragioni
giustificatrici dell'intervento cautelare, la misura  non  [potrebbe]
essere reiterata non sussistendo esigenze cautelari "eccezionali"  ma
unicamente quelle previste in via generale  dall'art.  274  lett.  c)
c.p.p.», e resterebbe cosi'  sacrificata  in  modo  irragionevole  la
necessaria tutela della collettivita'. 
    La  tesi  del  giudice  rimettente,  secondo  cui  si  potrebbero
ravvisare delle esigenze  cautelari  eccezionali  solo  quando  viene
applicata la custodia in carcere, non e' condivisibile. 
    Come e' noto, la scelta della misura deve avvenire  considerando,
oltre al grado, la natura delle esigenze cautelari (art.  275,  comma
1, cod. proc. pen.), e la loro natura, quale che  ne  sia  il  grado,
puo' essere tale da rendere in ogni caso adeguata una misura  diversa
da quella carceraria. Inoltre la custodia  cautelare  in  carcere  di
regola puo' essere adottata solo quando la misura  riguarda  «delitti
per i quali e' prevista la pena della reclusione  non  inferiore  nel
massimo a cinque anni» (art. 274, comma  1,  lettera  c,  cod.  proc.
pen.) e «ogni altra misura risult[i] inadeguat[a]» (art.  275,  comma
3, cod. proc. pen.). 
    Percio', indipendentemente dal "grado" dell'esigenza cautelare  e
dall'intensita' del pericolo, e' possibile  che  venga  adottata  una
misura diversa da quella carceraria, sia perche' lo  impone  la  pena
comminata per il reato (inferiore nel massimo  a  cinque  anni),  sia
perche', pur  non  ostando  la  pena,  la  misura  prescelta  risulta
adeguata, cioe' idonea a contrastare il  pericolo.  Il  principio  di
adeguatezza impone infatti al  giudice  di  adottare  la  misura  che
comporta per chi  la  subisce  il  minor  sacrificio  necessario  per
fronteggiare i pericula libertatis, ed e' ipotizzabile l'esistenza di
un'eccezionale situazione di pericolo, che, se non fosse contrastata,
determinerebbe con elevata  probabilita'  l'evento  da  prevenire,  e
tuttavia  potrebbe   (e   dunque   dovrebbe)   essere   efficacemente
contrastata con misure diverse dalla custodia cautelare in carcere. 
    Si pensi ad esempio alle misure  dell'allontanamento  dalla  casa
familiare, del divieto di avvicinamento ai luoghi  frequentati  dalla
persona offesa (che e' stato applicato nel procedimento a quo) e  del
divieto o  dell'obbligo  di  dimora,  le  quali  possono  contrastare
efficacemente  il  pericolo,  anche  elevatissimo,  che   particolari
contatti  con  luoghi  o  persone,   se   non   impediti,   scatenino
comportamenti materialmente o moralmente lesivi. 
    In casi del genere dunque e' possibile che il  giudice  riscontri
quelle esigenze cautelari eccezionali  che  a  norma  dell'art.  309,
comma 10, cod. proc.  pen.  giustificano,  attraverso  una  specifica
motivazione, l'emissione di un nuovo provvedimento  cautelare;  negli
altri casi, invece, un nuovo provvedimento potra' essere emesso  solo
se sopravvengono ulteriori elementi indicativi di pericolosita'. 
    La norma impugnata, insomma, intende  impedire  che  «l'ordinanza
che  dispone  la  misura  coercitiva»  sia  «rinnovata»,  cioe'   che
l'ordinanza sia riemessa con la  stessa  motivazione,  nonostante  la
perdita di efficacia. 
    Il legislatore, come risulta dai lavori parlamentari, ha ritenuto
in modo incensurabile di contemperare l'esigenza  di  difesa  sociale
con quella di non frustrare le garanzie della persona  raggiunta  dal
provvedimento coercitivo, evitando che nei  casi  indicati  dall'art.
309,  comma  10,  cod.  proc.  pen.  si  possa   «semplicisticamente»
provvedere alla rinnovazione della misura caducata. 
    La  norma  ha  lo  scopo  di   contrastare   prassi   distorsive,
verificatesi in passato,  come  quella  dell'adozione  di  una  nuova
ordinanza cautelare prima ancora della scarcerazione dell'interessato
o quella della successione di "ordinanze-fotocopia", caducate  e  non
controllate. 
    L'innovato testo, come e' stato osservato in dottrina, ha «inteso
affrontare  in  maniera  unitaria  la  tematica  delle   impugnazioni
cautelari, in modo da rendere piu' certa la tempistica  del  giudizio
di riesame (anche in sede di rinvio) ed effettiva la previsione della
perdita  di  efficacia  conseguente  all'inosservanza   dei   termini
perentori fissati», facendo salve, nei limiti considerati congrui dal
legislatore, le esigenze di tutela. 
    In conclusione la censura di irragionevolezza mossa  dal  giudice
rimettente nei confronti dell'art. 309, comma 10, cod. proc. pen.  e'
priva di fondamento. 
    5.- Priva  di  fondamento  e'  anche  la  censura  relativa  alla
differenza tra il trattamento della perdita di efficacia della misura
cautelare previsto dalla norma impugnata e quello previsto  dall'art.
302 cod. proc. pen., nel caso di omissione dell'interrogatorio  entro
il termine stabilito dall'art. 294 cod.  proc.  pen.;  dall'art.  13,
comma 3,  della  legge  22  aprile  2005,  n.  69  (Disposizioni  per
conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI  del
Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto  europeo
e alle procedure di consegna tra Stati membri), nel caso in  cui  non
pervenga il mandato d'arresto europeo; dall'art. 27 cod. proc.  pen.,
nel caso di misura disposta dal giudice incompetente. 
    I casi disciplinati dagli articoli indicati in comparazione  sono
completamente diversi da quello regolato  dall'art.  309,  comma  10,
cod. proc. pen., che concerne la perdita di  efficacia  della  misura
coercitiva all'esito di un procedimento di riesame. In questo caso il
procedimento si e' concluso, anche se per  ragioni  formali,  con  un
esito favorevole  alla  persona  che  lo  ha  attivato,  e  la  norma
impugnata  e'  diretta  a  evitare  che  tale  esito  sia   frustrato
attraverso la reiterazione del provvedimento cautelare caducato e  la
necessita' per l'interessato di promuovere un nuovo  procedimento  di
riesame, identico al precedente. Se potesse avvenire  cio',  infatti,
la perdita di efficacia della misura coercitiva si risolverebbe in un
danno per l'interessato, che vedrebbe solo rinviato il momento  della
decisione sulla richiesta di riesame e il suo eventuale accoglimento. 
    Va inoltre  rilevato  che  anche  l'art.  302  cod.  proc.  pen.,
impropriamente messo in comparazione, non consente che la misura  sia
immediatamente  reiterata.  Essa  infatti  «puo'  essere   nuovamente
disposta», ma solo  «previo  interrogatorio,  allorche',  valutati  i
risultati di questo, sussistono le condizioni  indicate  negli  artt.
273, 274 e 275». 
    6.- E' stata pure censurata  la  disparita'  di  trattamento  tra
coindagati, quando soltanto per alcuni di essi  il  titolo  cautelare
abbia perduto efficacia, ma  la  censura  non  considera  che  e'  il
mancato rispetto delle cadenze temporali stabilite dall'art. 309 cod.
proc. pen. a differenziare una vicenda cautelare dall'altra,  sicche'
situazioni  cautelari  differenti  vengono  naturalmente  a  ricevere
trattamenti diversi. 
    7.- Infine non sussiste neppure la violazione  degli  artt.  101,
secondo comma, e 104, primo comma, Cost., denunciata perche', secondo
il giudice rimettente, «l'art. 309 comma  10  c.p.p.  [fa]  dipendere
significativamente la configurazione ed il  rinnovato  esercizio  del
potere cautelare da  circostanze,  del  tutto  casuali  e  fuori  dal
controllo diretto dell'Autorita' Giudiziaria». 
    La legge infatti ben  puo'  ricollegare  particolari  effetti  ad
accadimenti processuali sottratti al totale controllo  dell'autorita'
giudiziaria, senza che cio' possa menomare la posizione del  giudice,
che rimane soggetto «soltanto alla legge» (art. 101,  secondo  comma,
Cost.), o incidere sulla sua  indipendenza  e  autonomia  (art.  104,
primo comma, Cost.). 
    E' vero che l'inosservanza dei termini  stabiliti  dall'art.  309
cod. proc. pen. puo' anche non  dipendere  da  un  comportamento  del
giudice, ma la norma che ricollega a quell'inosservanza  gli  effetti
processuali censurati non menoma le sue prerogative  e  non  comporta
ingerenze estranee sulla sua attivita'. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 309, comma 10, del codice di procedura penale, «nella parte
in cui prevede che l'ordinanza che dispone una  misura  coercitiva  -
diversa dalla custodia in carcere - che  abbia  perso  efficacia  non
possa  essere  reiterata   salve   eccezionali   esigenze   cautelari
specificamente motivate», sollevata, in  riferimento  agli  artt.  3,
101, secondo comma, e  104,  primo  comma,  della  Costituzione,  dal
Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di  Nola,
con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 settembre 2016. 
 
                                F.to: 
                      Paolo GROSSI, Presidente 
                     Giorgio LATTANZI, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 3 novembre 2016. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA