N. 240 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 luglio 2016

Ordinanza del 1° luglio 2016 della Commissione tributaria provinciale
di Chieti sul ricorso proposto da Cignarale  Claudio  contro  Agenzia
delle entrate Direzione provinciale di Chieti e Agente di riscossione
Chieti Equitalia centro Spa.. 
 
Contenzioso  tributario  -  Autotutela   tributaria   -   Potere   di
  annullamento  d'ufficio  o  di  revoca  anche  in   caso   di   non
  impugnabilita'  degli  atti  illegittimi  o  infondati  -   Mancato
  esercizio del potere dell'Amministrazione finanziaria  sull'istanza
  di autotutela del contribuente  -  Atti  impugnabili  nel  processo
  tributario - Mancata  previsione  dell'impugnabilita'  del  rifiuto
  tacito dell'Amministrazione finanziaria sull'istanza di autotutela. 
- Decreto-legge 30 settembre 1994, n. 564  (Disposizioni  urgenti  in
  materia fiscale), convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  30
  novembre 1994, n. 656, art. 2-quater, comma 1; decreto  legislativo
  31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo  tributario  in
  attuazione della delega al Governo  contenuta  nell'art.  30  della
  legge 30 dicembre 1991, n. 413), art. 19, comma 1. 
(GU n.48 del 30-11-2016 )
 
           LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI CHIETI 
                              Sezione 4 
 
    riunita con l'intervento dei signori: 
        Marsella Ciro, Presidente; 
        Gialloreto Giuseppe, Relatore; 
        Pastorelli Elisa, Giudice, 
    ha  emesso  la  seguente  ordinanza,  sul  ricorso  n.   572/2015
depositato il 1° luglio 2015; 
    avverso diniego autotut Irpef-add.reg. 2008; 
    avverso diniego autotut Irpef-add.reg. 2009; 
    avverso diniego autotut Irpef-add.com. 2008; 
    avverso diniego autotut Irpef-add.com. 2009; 
    avverso diniego autotut Irpef-altro 2008; 
    avverso diniego autotut Irpef-altro 2009; 
    avverso diniego autotut Irap 2008; 
    avverso diniego autotut Irap 2009. 
    Contro: Ag. entrate Direzione provinciale Chieti; 
    Proposto dal ricorrente: Cignarale Claudio, contrada  Cerreto  n.
121, 66010 Miglianico (CH), difeso da: avv. Di Loreto Roberto,  viale
IV Novembre n. 3, 66100 Chieti (CH). 
    Altre parti coinvolte: Agente  di  riscossione  Chieti  Equitalia
centro S.p.A. corso Marrucino n. 76, 66100 Chieti (CH). 
 
                             Conclusioni 
 
    Per  parte  ricorrente:  previo  riconoscimento  di  ragioni   di
rilevante interesse generale tali  da  giustificare  l'esercizio  del
potere di autotutela, dichiarare la illegittimita' del rifiuto e  del
diniego dell'Amministrazione resistente nell'esercizio del potere  di
autotutela in capo alla stessa, per i motivi spiegati  in  ricorso  o
per qualsiasi altro motivo che si riterra'  di  giustizia,  con  ogni
consequenziale provvedimento, anche in riferimento all'onere gravante
in capo all'Amministrazione di riesame e di pronuncia  sulla  istanza
del ricorrente ai  sensi  dell'art.  2-quater  del  decreto-legge  n.
564/1994, convertito con modificazioni dalla  legge  n.  656/1994,  e
dell'art. 3 del decreto ministeriale 11 febbraio 1997,  n  37;  spese
vinte; 
    Per l'Agenzia delle  entrate:  confermare  la  correttezza  e  la
legittimita' degli atti impugnati; rigettare il ricorso; spese  vinte
ed aumentate del 50% per la rifusione delle spese del procedimento di
mediazione; 
    Per l'Equitalia Centro S.p.a.: dichiarare inammissibile o  quanto
meno rigettare il ricorso; con vittoria di spese. 
 
                      Svolgimento del processo 
 
1. Oggetto del ricorso. 
    Cignarale Claudio - esercente l'attivita'  di  medico  psichiatra
dal  1989  (sia  come  lavoratore  dipendente  della  ASL  sia   come
professionista  autonomo)  -   ha   proposto   ricorso   avverso   il
silenzio-rifiuto  formatosi  sull'istanza  di  autotutela   da   egli
presentata in data 14 febbraio 2013, avente  ad  oggetto  il  riesame
degli  avvisi  di  accertamento  in  epigrafe   indicati   -   emessi
dall'Agenzia  delle  entrate  -  Direzione  provinciale  di   Chieti,
notificatigli il 31 luglio 2012 e non impugnati in sede giudiziale -,
con cui, in relazione agli anni di imposta 2008 e  2009,  sono  stati
rettificati in aumento i redditi professionali da  lui  dichiarati  e
gli stessi sono  stati  rideterminati  nelle  relative  misure  di  €
181.351,00 (rispetto a quello dichiarato  di  €  54.664,00)  e  di  €
166.366,00 (rispetto a quello dichiarato di €  66.865,00),  oltreche'
«avverso  tutti  gli   atti   presupposti   e   preordinati   nonche'
conseguenti, compresi quelli di iscrizione a ruolo  e  di  esecuzione
oltre che di riscossione». 
    Parte  attorea  ha  dedotto  che  l'istanza  di   autotutela   e'
giustificata dal  fatto  che  le  incongruenze  reddituali  accertate
dall'Amministrazione  finanziaria  erano  dovute   a   movimentazioni
finanziarie di natura  personale  e  familiare  (cospicui  versamenti
della madre sui suo conto corrente), non aventi - come tali -  alcuna
attinenza con l'attivita' professionale. 
    Parte ricorrente ha concluso nei sensi indicati in epigrafe. 
2. - Motivi del ricorso. 
    Il gravame e' stato affidato ai  seguenti  motivi  [nel  presente
atto, con l'indicazione  dei  sotto-paragrafi  (2.1.,  2.2.  e  2.3.)
appresso specificati, si intenderanno richiamati i relativi motivi di
seguito indicati] - con cui si contesta la legittimita'  del  diniego
di autotutela dell'Amministrazione finanziaria sull'istanza  proposta
dal ricorrente -: 
        2.1. -  seppur  l'istituto  dell'autotutela  -  concretantesi
nella  potesta'   della   pubblica   amministrazione   di   procedere
all'annullamento, alla  revoca  totale  o  parziale,  alla  rettifica
ovvero alla riforma di un provvedimento  illegittimo  precedentemente
adottato, disciplinata dall'art. 2-quater della legge n.  656/1994  -
di conversione  del  decreto-legge  n.  564/1994  -  e  dal  relativo
regolamento di esecuzione di cui al decreto ministeriale 11  febbraio
1997 n. 37 - non  ricomprenda  la  figura  del  silenzio-rifiuto,  la
giurisprudenza in tema ha statuito che le controversie relative  agli
atti di  esercizio  del  potere  di  autotutela  dell'Amministrazione
finanziaria sono devolute alla cognizione del Giudice  tributario,  e
quindi delle commissioni tributarie, le  quali  possono  pronunciarsi
solo  -  per  ragioni  di  rilevante  interesse  generale   -   sulla
legittimita' del rifiuto espresso o  del  silenzio-rifiuto  formatosi
sull'istanza volta a sollecitarlo, ma non  sulla  infondatezza  della
pretesa tributaria; 
        2.2. - nel caso di specie sussistono le ragioni di  rilevante
interesse   generale   che   possono    giustificare    il    ricorso
giurisdizionale contro il diniego di autotutela  dell'Amministrazione
finanziaria; il contribuente, infatti, di  fronte  all'esercizio  del
potere impositivo gode sia del diritto soggettivo ad  una  tassazione
adeguata  alla  sua  capacita'  contributiva,  sia  di  un  interesse
legittimo  al  corretto  esercizio  dei  poteri  dell'Amministrazione
finanziaria, nel  rispetto  del  principio  di  legalita';  pertanto,
poiche'  nella  vicenda  in  esame  sono   diventati   definitivi   i
provvedimenti impositivi, non potendo piu' adirsi  gli  organi  della
giustizia tributaria, il contribuente,  illegittimamente  danneggiato
dal  comportamento  dell'Amministrazione   finanziaria,   ha   potuto
tutelarsi soltanto ricorrendo all'istanza di autotutela. 
    Ne consegue che l'Amministrazione  finanziaria  e'  obbligata  ad
esercitare il potere di autotutela in caso di espressa richiesta  del
privato, in quanto quest'ultimo e' titolare dell'interesse  legittimo
al corretto esercizio dei poteri impositivi che risulterebbe  violato
in caso di un'imposizione fiscale iniqua e scorretta. 
    Avanzata la richiesta di autotutela da parte del privato  -  come
nel caso di specie - innanzi allo stesso ufficio che ha  adottato  il
provvedimento di  primo  grado,  l'Amministrazione  finanziaria  deve
riesaminare i  propri  atti  (sotto  il  profilo  della  legittimita'
formale), deve verificare le eventuali illegittimita' e, nel caso  in
cui venissero rilevati dei vizi, ha l'obbligo di provvedere alla loro
rimozione ed  eventualmente  alla  sostituzione  con  un  altro  atto
corretto ed adeguato alla capacita' contributiva del privato, ex art.
2 legge n. 241/1990. 
    Nel caso di  specie,  poiche'  l'Amministrazione  finanziaria  e'
rimasta inerte, nonostante il decorso del termine di  30  giorni  dal
ricevimento della domanda dell'interessato, si e' venuto a formare il
cosi' detto silenzio-rifiuto. 
    Sicche', il contribuente, essendo sempre titolare  dell'interesse
legittimo al corretto esercizio del potere della  p.a.,  ha  proposto
ricorso in sede giurisdizionale  nei  confronti  dell'Amministrazione
finanziaria affinche' venga accertato l'obbligo di  provvedere  della
stessa e, in caso di risposta positiva, la  medesima  amministrazione
venga condannata a riesaminare il provvedimento di primo grado  ed  a
pronunciarsi con  atto  di  conferma  o  di  annullamento  (totale  o
parziale). 
    Da ultimo,  per  quanto  riguarda  i  termini  d'impugnativa  del
silenzio, deve aderirsi all'orientamento giurisprudenziale secondo il
quale il privato puo' adire l'organo giurisdizionale  fino  a  quando
persista l'inadempimento della p.a., poiche' quest'ultima mantiene il
potere-dovere di pronunciarsi; 
        2.3. -  Il  potere  di  autotutela  dell'ente  impositore  si
prospetta quale  attivita'  vincolata  dalla  legge;  l'interesse  al
prelievo dei tributi in ragione dell'effettiva ricchezza prodotta dal
contribuente,  nel  rispetto  delle   regole   tecnico-procedimentali
imposte  dal  legislatore,  costituisce   il   vincolo   legale   per
l'esercizio  sia  dell'attivita'  impositiva  sia  dell'attivita'  di
riesame. Quindi, il potere di autotutela tributaria non e'  attivita'
discrezionale, poiche', una volta accertato il vizio di legittimita',
l'Amministrazione  finanziaria  e'  obbligata  al  ritiro   dell'atto
adottato. 
    Sicche' il contribuente e'  doppiamente  tutelato:  ha  un  ruolo
d'impulso e di collaborazione nel procedimento di riesame  e  gli  e'
consentito adire gli organi di giurisdizione  tributaria  avverso  il
silenzio dell'Amministrazione finanziaria che ometta di  pronunciarsi
con un provvedimento di riesame sulla domanda del contribuente. 
    Nel caso di specie il contribuente  ha  richiesto  legittimamente
l'esercizio del potere di autotutela  da  parte  dell'Amministrazione
finanziaria, sussistendo  un  interesse  generale  acche'  il  potere
impositivo della medesima  amministrazione  sia  esercitato  con  una
determinazione correlata alla capacita' contributiva dell'istante; il
che non e' accaduto  nella  vicenda  in  esame  tenuto  conto  che  i
prelevamenti   dei   professionisti   non   possono   generare,   ne'
direttamente ne'  indirettamente,  redditi  derivanti  dall'attivita'
professionale. 
    Parte ricorrente ha concluso come indicato in epigrafe. 
3. - Costituzione e difesa  della  parte  resistente:  Agenzia  delle
entrate. 
    L'Agenzia delle entrate, costituitasi in giudizio, ha  contestato
- con  argomentazioni  articolate  e  diffuse  -  la  fondatezza  del
gravame; in particolare, la resistente  ha  evidenziato  che  la  sua
costituzione in giudizio  non  puo'  essere  considerata  tardiva  in
quanto fa seguito  alla  anticipata  costituzione  del  contribuente,
avvenuta  in  pendenza  del  procedimento  di  mediazione  ai   sensi
dell'art. 17-bis, commi 2 e 9, del decreto legislativo  n.  546/1992;
la convenuta ha ribadito la regolarita' della notifica  degli  avvisi
di accertamento avvenuta in data 31 luglio 2012, che,  peraltro,  non
e' stata contestata dall'attore. 
    Nel merito, la  resistente  ha  eccepito  l'inammissibilita'  del
ricorso per mancanza di un atto impugnabile in quanto il  diniego  di
autotutela puo' essere oggetto di tutela giurisdizionale solo in caso
di provvedimento esplicito e limitatamente a profili d'illegittimita'
del rifiuto, non essendo  sindacabile  la  fondatezza  della  pretesa
tributaria ormai cristallizzata  in  inoppugnabili  atti  impositivi;
mentre, nel  caso  de  quo  il  reale  oggetto  dell'impugnativa  del
contribuente e' costituito dalla contestazione dei presupposti  della
medesima  pretesa   erariale;   d'altronde,   tale   conclusione   e'
necessitata   sia   della   natura    discrezionale    dell'esercizio
dell'autotutela sia del principio di certezza dei rapporti  giuridici
che non consente di rimettere in discussione  la  ragione  creditoria
fiscale divenuta definitiva  per  mancata  proposizione  del  gravame
giurisdizionale. 
    Parte resistente ha  pertanto  concluso  nei  sensi  indicati  in
epigrafe. 
4. - Costituzione e difesa della parte, resistente: Equitalia  centro
S.p.a. 
    L'Equitalia  centro  S.p.a.,   costituitasi   in   giudizio,   ha
contestato - con argomentazioni articolate e diffuse - la  fondatezza
del gravame, eccependo - in via pregiudiziale - del ricorso ai  sensi
dell'art. 21 del decreto legislativo n. 546/1992 in  quanto  proposto
il 19 giugno 2015 e, pertanto, in violazione del  termine  perentorio
di 60 giorni decorrenti dalla notifica delle intimazioni di pagamento
intervenuta in data  30  dicembre  2014;  in  aggiunta,  la  medesima
convenuta  ha  evidenziato  la  legittimita'   della   procedura   di
riscossione attivata sia  sotto  l'aspetto  formale,  in  quanto  gli
avvisi  di  accertamento  che  hanno  preceduto  le  intimazioni   di
pagamento sono stati  ritualmente  notificati,  sia  sotto  l'aspetto
sostanziale. 
    La  resistente  ha  pertanto  concluso  nei  sensi  indicati   in
epigrafe. 
5. - Fase processuale. 
    All'udienza odierna, la causa e' stata posta in deliberazione. 
 
                       Motivi della decisione 
 
    In limine, deve rilevarsi la potesta' giurisdizionale del Giudice
tributario in ordine alla controversia  in  esame  sulla  scorta  del
consolidato  orientamento  giurisprudenziale  della  Suprema   Corte,
secondo  cui:  «appartengono   alla   giurisdizione   tributaria   le
controversie nelle quali si impugni  il  rifiuto  espresso  o  tacito
dell'amministrazione a procedere ad autotutela, alla  luce  dell'art.
12, comma 2, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, in forza del quale
la giurisdizione tributaria e' divenuta, nell'ambito suo proprio, una
giurisdizione a carattere generale, competente  ogni  qual  volta  si
faccia questione di uno specifico rapporto tributario o  di  sanzioni
inflitte da uffici tributari, dal cui ambito  restano  cosi'  escluse
solo le controversie in cui non e' direttamente coinvolto un rapporto
tributario, ma viene impugnato un atto di carattere generale (art. 7,
comma 5, del decreto legislativo 31 dicembre  1992,  n.  546),  o  si
chiede il rimborso di una somma indebitamente  versata  a  titolo  di
tributo, della quale  l'amministrazione  riconosce  pacificamente  la
spettanza  al  contribuente.  La  novella  del  2001,   infatti,   ha
necessariamente comportato una modifica del disposto dell'art. 19 del
decreto legislativo  n.  546  del  1992,  perche'  l'aver  consentito
l'accesso al contenzioso tributario in ogni  controversia  avente  ad
oggetto tributi si traduce nella possibilita' per il contribuente  di
rivolgersi al giudice tributario quando l'amministrazione  manifesti,
anche attraverso il silenzio rigetto, la convinzione che il  rapporto
tributario debba essere  regolato  in  termini  che  il  contribuente
ritenga di contestare (nell'affermare il principio, la S.C. ha  avuto
cura di precisare, riguardo al caso di specie, che questione altra  o
diversa da quella di giurisdizione,  e  di  competenza,  appunto  del
giudice tributario, e' stabilire se il rifiuto di  autotutela  sia  o
meno impugnabile, cosi' come valutare se con l'istanza di  autotutela
il contribuente chieda l'annullamento dell'atto impositivo  per  vizi
originati di questo e per eventi sopravvenuti)»Cassazione SS.UU.,  n.
16766/2005:  v.,  nello  stesso   senso,   Cassazione,   SS.UU.,   n.
7388/2007.. 
    Puo' pertanto passarsi all'esame delle varie  questioni,  secondo
un ordinato criterio di priorita' logico-giuridica. 
    Va, anzitutto,  disattesa  l'eccezione  di  inammissibilita'  del
ricorso proposta dalla convenuta Equitalia  sull'assunto  dell'omessa
impugnativa delle intimazioni di pagamento. 
    Nel caso de quo non controversa  la  corretta  notificazione  ne'
degli avvisi di accertamento ne' dei successivi atti  della  sequenza
procedimentale. 
    In effetti, nella  fattispecie  processuale  in  esame  e'  stato
sostanzialmente  impugnato  il   silenzio-rifiuto   sull'istanza   di
autotutela [cfr. pag. 14 del libello:  «il  ricorrente  ...Omissis...
propone formale opposizione avverso il diniego  tacito  di  procedere
all'annullamento  ovvero  alla  rettifica  in  autotutela  da   parte
dell'ufficio procedente Agenzia delle entrate .... Omissis ...»  pag.
15: «Si contesta la legittimita' del  rifiuto  della  amministrazione
sulla istanza per l'esercizio del potere di  autotutela  coltivata  a
domanda del contribuente, odierno ricorrente, pur  nella  sussistenza
di ragioni di rilevante interesse generale che avrebbero giustificato
l'esercizio  di  tale  potere,  in  ragione  dei  seguenti   rilievi.
...Omissis...»]  ed  e'   soltanto   dibattuto   l'obbligo   o   meno
dell'Agenzia delle entrate di provvedere con determinazione  espressa
su tale istanza nonche', in caso affermativo, se  e'  ammissibile  la
tutela  giurisdizionale  avverso   l'ipotetico   diniego   esplicito;
l'ulteriore questione, nel caso di risposta positiva  a  quest'ultimo
quesito,  e'  quella  di   individuare   i   limiti   del   sindacato
giurisdizionale. 
    Non avrebbe potuto, il contribuente, rimettere in discussione  la
pretesa tributaria con l'impugnazione delle intimazioni di pagamento,
essendo divenuti definitivi i presupposti avvisi di accertamento. 
    L'unico ipotetico rimedio - che  all'odierno  ricorrente  avrebbe
potuto,  e  potrebbe,  portare  un  risultato  utile  -  era   quello
dell'attivazione del procedimento di autotutela. 
    E parte attorea si e' avvalsa, in concreto, di tale rimedio. 
    L'eccezione  di  cui  trattasi  si  appalesa,   pertanto,   anche
inconferente, oltreche' infondata. 
    Puo' pertanto passarsi allo scrutinio del meritum causae. 
    La giurisprudenza di legittimita'  ha  enunciato  -  in  tema  di
autotutela  concernente  atti  impositivi  definitivi   siccome   non
impugnati in sede giurisdizionale - il seguente principio di diritto:
«Il contribuente  che  richiede  all'Amministrazione  finanziaria  di
ritirare, in via di autotutela, un avviso  di  accertamento  divenuto
definitivo, non puo' limitarsi ad eccepire eventuali  vizi  dell'atto
medesimo, la cui  deduzione  e'  definitivamente  preclusa,  me  deve
prospettare  l'esistenza  di  un  interesse  di  rilevanza   generale
dell'amministrazione alla rimozione dell'atto. Ne consegue che contro
il diniego dell'amministrazione di procedere all'esercizio del potere
di autotutela puo' essere proposta impugnazione soltanto per allegare
eventuali profili di illegittimita' del rifiuto e non per  contestare
la fondatezza della pretesa tributaria (nell'enunciare il  principio,
a S.C. ha rigettato il ricorso, escludendo un obbligo di adozione del
provvedimento  in  autotutela,  a   fronte   di   censure   attinenti
esclusivamente alla legittimita' dell'atto impositivo ormai  divenuto
definitivo» (1) . 
    Cio' conformemente ed in continuita' con Cassazione,  SS.UU.,  n.
7388/2007: «In tema di  contenzioso  tributario,  e  con  riferimento
all'impugnazione degli atti di rifiuto dell'esercizio del  potere  di
autotutela da parte dell'Amministrazione  finanziaria,  il  sindacato
del   giudice   deve   riguardare,   ancor    prima    dell'esistenza
dell'obbligazione  tributaria,  il  corretto  esercizio  del   potere
discrezionale dell'Amministrazione, nei limiti e nei modi in cui esso
e' suscettibile  di  controllo  giurisdizionale,  che  non  puo'  mai
comportare  la  sostituzione  del  giudice   all'amministrazione   in
valutazioni discrezionali, ne' l'adozione dell'atto di autotutela  da
parte del giudice tributario, ma solo la verifica della  legittimita'
del rifiuto dell'autotutela, in relazione alle ragioni  di  rilevante
interesse generale che, ai sensi dell'art. 2-quater del decreto-legge
20 settembre 1994, n. 564, convertito con modificazioni  dalla  legge
30 novembre 1994, n. 656, e dell'art. 3 del  decreto  ministeriale 11
febbraio 1997, n. 37, ne giustificano  l'esercizio.  Ove  il  rifiuto
dell'annullamento d'ufficio contenga una  conferma  della  fondatezza
della pretesa tributaria, e tale fondatezza sia esclusa dal  giudice,
l'amministrazione e tenuta  ad  adeguarsi  alla  relativa  pronuncia,
potendo altrimenti esperirsi il rimedio del ricorso per ottemperanza,
il quale, peraltro, non attribuisce alle commissioni  tributarie  una
giurisdizione estesa al merito» (2) . 
    La letteratura  giuridica  ha  ampiamente  trattato  e  dibattuto
sull'impugnabilita' del diniego di autotutela - in  ipotesi  di  atto
impositivo definitivo per omessa impugnazione in sede giudiziale - e,
in caso affermativo, sui limiti del sindacato giurisdizionale (3) . 
    E' necessario, al riguardo,  tracciare  il  quadro  normativo  di
riferimento. 
    L'art.  2-quater,  comma  1,  del  decreto-legge   n.   564/1994,
convertito dalla legge n. 656/1994, prevede espressamente  che:  «Con
decreti  del  Ministero  delle  finanze  sono  indicati  gli   organi
dell'Amministrazione  finanziaria  competenti  per  l'esercizio   del
potere di annullamento d'ufficio o di revoca, anche  in  pendenza  di
giudizio o in caso di non impugnabilita', degli  atti  illegittimi  o
infondati. ...Omissis...» (4) . 
    Tale art. 2-quater e' stato oggetto di intervento del legislatore
con l'art. 11 del decreto legislativo n. 159/2015, con il quale  sono
stati aggiunti i commi 1-sexies, 1-septies e 1-octies (5) . 
    Dette modifiche sono entrate in vigore il 22 ottobre 2015 (6) . 
    La   medesima   norma   attribuisce,   pertanto,   agli    organi
dell'Amministrazione   finanziaria   «l'esercizio   del   potere   di
annullamento d'ufficio o di revoca, anche ...Omissis...  in  caso  di
non impugnabilita', degli atti illegittimi o infondati». 
    Con il decreto ministeriale 11 febbraio 1997,  n.  37,  e'  stato
emanato il  Regolamento  recante  norme  relative  all'esercizio  del
potere di  autotutela  da  parte  degli  organi  dell'Amministrazione
finanziaria (7) , che all'art.  2,  comma  1,  dispone  testualmente:
«L'amministrazione finanziaria puo' procedere, in tutto o  in  parte,
all'annullamento  o  alla  rinuncia  all'imposizione   in   caso   di
autoaccertamento, senza necessita' di  istanza  di  parte,  anche  in
pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilita', nei casi in cui
sussista  illegittimita'  dell'atto  e  dell'imposizione,  quali  tra
l'altro: a) errore  di  persona;  b)  evidente  errore  logico  o  di
calcolo;  c)  errore  sul   presupposto   dell'imposta;   d)   doppia
imposizione; e)  mancata  considerazione  di  pagamenti  di  imposta,
regolarmente eseguiti; f) mancanza di documentazione  successivamente
sanata,  non  oltre  i  termini  di  decadenza;  g)  sussistenza  dei
requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni o  regimi  agevolativi,
precedentemente  negati;  h)  errore  materiale   del   contribuente,
facilmente riconoscibile dal l'amministrazione». 
    Il  successivo  comma   2   stabilisce   che   non   si   procede
all'annullamento d'ufficio «per  motivi  sui  quali  sia  intervenuta
sentenza  passata   in   giudicato   favorevole   all'Amministrazione
finanziaria». 
    In sostanza, la medesima disposizione regolamentare, nel ribadire
l'esercitabilita'   dell'autotutela   anche   «in   caso    di    non
impugnabilita'»,  elenca  alcune  delle  ipotesi,  tipizzandole,   di
sussistenza della «illegittimita' dell'atto o dell'imposizione». 
    Come  accennatosi  innanzi,  si  e'  posta  la  questione   della
doverosita'   ovvero,   alternativamente,   della    discrezionalita'
dell'esercizio dell'autotutela nei casi  di  definitivita'  dell'atto
impositivo   e   quindi   sull'impugnabilita'   o   meno,   in   sede
giurisdizionale,   del   silenzio   rifiuto   nel   caso    in    cui
l'Amministrazione finanziaria non adotti  un  provvedimento  espresso
(8) . 
    La giurisprudenza di legittimita' (9) ha  ritenuto  insussistente
tale obbligo di pronuncia esplicita  dell'A.F,  ed  inoppugnabile  la
medesima  omissione  di  pronuncia,  non  potendosi  configurare   un
silenzio-rifiuto   tacito   o   implicito   ricorribile    in    sede
giurisdizionale. 
    Tale  lacuna  -  o  quanto   meno   limitazione   -   di   tutela
giurisdizionale si appalesa contrastante  con  i  principi  di  rango
costituzionale espressi dagli articoli 53, 23, 3, 24, 113 e 97  della
Carta fondamentale. 
1. - Rilevanza della questione  di  legittimita'  costituzionale  nel
presente. 
    Al riguardo, deve preliminarmente verificarsi la rilevanza  della
questione nel presente giudizio. 
    Tale questione e' indubbiamente dirimente. 
    In effetti, nel caso di specie (10) - come rilevato  nei  gravati
avvisi di accertamento (11) - il contribuente svolge  l'attivita'  di
medico psichiatra dal 1989 sia come lavoratore dipendente  della  ASL
sia come libero professionista. 
    I medesimi avvisi di accertamento sono scaturiti  da  presunzioni
legali  relative  ex  art.  32  del  decreto  del  Presidente   della
Repubblica n. 600/973 concernenti l'esito delle indagini  finanziarie
che hanno avuto ad oggetto esclusivamente (12) i  prelevamenti  ed  i
versamenti dai conti bancari (13)  ,  i  quali  -  secondo  l'assunto
erariale  -   dovrebbero   ritenersi   «riconducibili   all'attivita'
professionale   esercitata   dal   contribuente»   (14)   e    quindi
rivelerebbero «compensi non dichiarati» (15) . 
    Indubbiamente, il quantum presuntivamente accertato sulla  scorta
dei prelevamenti e' palesemente illegittimo e contra ius, per effetto
della sentenza n. 228/2014 della  Corte  costituzionale  con  cui  e'
stata dichiarata «l'illegittimita' costituzionale dell'art. 32, comma
1, numero 2), secondo  periodo,  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 29 settembre 1973, n.  602,  ...Omissis...,  limitatamente
alle parole «o compensi» (16) . 
    Cio' soprattutto considerandosi che il ricorrente  e'  un  medico
psichiatra dipendente ASL - il quale, pertanto,  svolge  un'attivita'
professionale autonoma limitata - e che  tale  figura  professionale,
secondo la comune esperienza, non deve servirsi di mezzi  strumentali
per l'esercizio della professione o quanto meno gli stessi  sarebbero
acquisibili con un trascurabile o modico costo. 
    Non e' pertanto neppure ipotizzabile  presumere  che  i  prelievi
bancari possano essere stati utilizzati per il sostenimento di  costi
da cui sarebbero potuti derivare compensi non dichiarati. 
    Un'ultima notazione e' opportuna in ordine alla  rilevanza  della
presente questione di legittimita' costituzionale. 
    Prescindendosi dalla sua incidenza  nella  presente  delibazione,
non sarebbe comunque efficacemente obiettabile che - sull'istanza  di
autotutela del contribuente - l'Amministrazione finanziaria  potrebbe
limitarsi  ad  adottare  un  provvedimento   meramente   confermativo
dell'atto impositivo, inibendo  in  tal  modo  la  tutelabilita'  del
diritto   del   medesimo   contribuente   e   quindi   privando    di
significativita' il dubbio di costituzionalita'. 
    In  effetti,  nel  caso  in  cui  «il  rifiuto  dell'annullamento
d'ufficio  contenga  una  conferma  della  fondatezza  della  pretesa
tributaria»,  «e  tale   fondatezza   sia   esclusa   dal   giudice»,
«l'Amministrazione e' tenuta ad adeguarsi  alla  relativa  pronuncia»
(17) . 
    Peraltro, nella fattispecie in esame l'oggetto  del  sospetto  di
costituzionalita',  e'  limitato  all'ammissibilita'   del   silenzio
rifiuto tacito o implicito - ovvero alla  doverosa,  da  parte  della
p.a., adozione di un atto espresso - ed alla  sua  impugnabilita'  in
sede giurisdizionale. 
2. - Non  manifesta  infondatezza  della  questione  di  legittimita'
costituzionale. 
2.1. - Normativa di riferimento concernente  l'autotutela  in  ambito
tributario. 
    Con  l'art.  68,  comma  1,  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 27 marzo 1992, n.  287,  e'  stato  introdotto  l'istituto
dell'autotutela in ambito tributario. 
    Tale disposizione e' stata espressamente abrogata  dall'art.  23,
comma 1, lett. mm), n. 7, del decreto del Presidente della Repubblica
26 marzo 2001, n. 107. 
    Medio tempore, il legislatore (18) - con l'art. 2-quater  (19)  ,
comma 1, del decreto-legge 30 settembre 1994, n. 564, convertito, con
modificazioni, dalla legge 30 novembre 1994, n. 656  -  ha  riservato
agli organi dell'Amministrazione finanziaria -  da  individuarsi  con
decreti dei Ministro delle  finanze  -  «l'esercizio  del  potere  di
annullamento d'ufficio o di revoca, anche in pendenza di  giudizio  o
in caso di non impugnabilita', degli atti  illegittimi  o  infondati»
(20) . 
    Tale quadro normativo e' stato attuato e si e'  definito  con  il
decreto  ministeriale  11  febbraio  1997,  n.  37,  concernente   il
Regolamento  recante  norme  relative  all'esercizio  del  potere  di
autotutela da parte  degli  organi  dell'Amministrazione  finanziaria
(21)   ,   che   all'art.   2,   comma   1,   dispone   testualmente:
«L'amministrazione finanziaria puo' procedere, in tutto o  in  parte,
all'annullamento  o  alla  rinuncia  all'imposizione   in   caso   di
autoaccertamento, senza necessita' di  istanza  di  parte,  anche  in
pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilita', nei casi in cui
sussista  illegittimita'  dell'atto  e  dell'imposizione,  quali  tra
l'altro: a) errore  di  persona;  b)  evidente  errore  logico  o  di
calcolo;  c)  errore  sul   presupposto   dell'imposta;   d)   doppia
imposizione; e)  mancata  considerazione  di  pagamenti  di  imposta,
regolarmente eseguiti; f) mancanza di documentazione  successivamente
sanata,  non  oltre  i  termini  di  decadenza;  g)  sussistenza  dei
requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni o  regimi  agevolativi,
precedentemente  negati;  h)  errore  materiale   del   contribuente,
facilmente riconoscibile dall'amministrazione». 
    Il  successivo  comma   2   stabilisce   che   non   si   procede
all'annullamento d'ufficio «per  motivi  sui  quali  sia  intervenuta
sentenza  passata   in   giudicato   favorevole   all'Amministrazione
finanziaria». 
    In sostanza, la medesima disposizione regolamentare, nel ribadire
l'esercitabilita'   dell'autotutela   anche   «in   caso    di    non
impugnabilita'»,  elenca  alcune  delle  ipotesi,  tipizzandole,   di
sussistenza della «illegittimita' dell'atto o dell'imposizione». 
2.2. - Il contrasto con gli articoli  53  e  23  della  Costituzione,
anche in relazione  all'art.  3  della  Costituzione  -  Lesione  del
principio  della  capacita'   contributiva   e   del   principio   di
ragionevolezza. 
    Si appalesa sussistente la violazione dei  principi  indicati  in
rubrica. 
    Come condivisibilmente osservato dalla dottrina,  puo'  ritenersi
«acclarata l'appartenenza della capacita' contributiva ad un  livello
assiologico primario, quale valore costituzionale che apprezzato come
un principio fondamentale dell'ordinamento costituzionale» (22) . 
    Ai  riguardo,  l'orientamento  della  Corte  costituzionale,   «a
partire dagli anni ottanta», e' contrassegnata dal preminente rilievo
della «funzione cruciale della capacita' contributiva quale regola di
riparto del carico tributario, presupposto fondamentale per  misurare
la correttezza  della  disciplina  impositiva»  (23)  ,  pur  essendo
caratterizzata dalla coesistenza tra interesse  fiscale  e  capacita'
contributiva e dalla consequenziale necessita' del bilanciamento  tra
tali due valori costituzionali. 
    Ed in tale operazione  di  bilanciamento  e'  stato  individuato,
quale criterio adeguato di giudizio, il principio  di  ragionevolezza
(24) . 
    In questa ottica  assume,  inoltre,  importanza  fondamentale  la
legge  n.  212/2000  (c.d.  «Statuto  del  contribuente»),   che   ha
introdotto   nell'ordinamento   giuridico   tributario   i   principi
sistematici  concernenti  la  buona  fede,  la   correttezza   e   la
cooperazione  cui   devono   essere   improntati   i   rapporti   tra
Amministrazione finanziaria e contribuenti (25) . 
    Poste tali  premesse,  e  indubbio  che  devono  condividersi  le
opinioni dottrinali secondo  cui  non  e'  concepibile  un  interesse
egoistico del Fisco a conservare atti impositivi, ancorche'  divenuti
definitivi palesemente illegittimi al  fine  di  trarne  un  profitto
sostanzialmente ingiustificato e del tutto svincolato dalla capacita'
contributiva del contribuente (26) . 
    Ne' puo' essere avallata la tesi secondo cui l'annullamento o  la
revoca  dell'atto  impositivo  illegittimo  divenuto   definito   non
sarebbero ammissibili; in effetti, come osservato dalla dottrina, una
siffatta  preclusione  non  e'  predicabile  tenuto  conto  che  tale
definitivita' non puo' impedire il riesame del medesimo  atto  ed  il
suo eventuale  ritiro,  «giacche'  l'inoppugnabilita'  non  determina
certo la sanatoria o la convalida dell'atto illegittimo» (27) . 
    D'altronde, anche l'Amministrazione finanziaria  si  e'  espressa
nel senso della doverosita'  ed  obbligatorieta'  dell'autotutela  in
presenza di atti impositivi palesemente illegittimi (28) . 
    Alla luce delle considerazioni  svoltesi,  l'assoggettamento  del
contribuente,  privo  di  mezzi  di  tutela,  ad  una   ingiusta   ed
illegittima imposizione - ancorche' conseguente  ad  atti  definitivi
siccome non  impugnati  -  si  traduce  in  un  evidente  vulnus  dei
suindicati principi costituzionali di cui agli articoli 53,  23  e  3
della Carta fondamentale (29) . 
2.3. - Il contrasto con gli articoli 24 e 113  della  Costituzione  -
Lesione del diritto di azione  in  giudizio  e  del  principio  della
tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi. 
    Si profila anche la violazione dei principi indicati in rubrica. 
    Tale violazione si correla, peraltro, a quella dei  principi  (di
cui agli articoli 53,  23  e  3  della  Costituzione)  enunciati  nel
paragrafo sub 2.2. che precede. 
    Come gia' evidenziatosi innanzi, la Suprema Corte  di  cassazione
ha ritenuto insussistente l'obbligo di pronuncia esplicita  dell'A.F.
sull'istanza   di   autotutela   proposta   dal   contribuente,    ed
inoppugnabile la  medesima  omissione  di  pronuncia,  non  potendosi
configurare un silenzio-rifiuto tacito  o  implicito  ricorribile  in
sede giurisdizionale. 
    E'   pertanto   assolutamente   palese   il   vuoto   di   tutela
giurisdizionale del contribuente sottoposto ad un'imposizione fiscale
ingiustificata e lesiva della capacita contributiva del medesimo. 
    Non possono pertanto non ritenersi vulnerati gli  articoli  24  e
113 della Costituzione. 
    In effetti, nei casi come quello in esame non viene assicurata la
garanzia costituzionale del diritto di agire in sede  giurisdizionale
a tutela dei diritti e degli interessi  legittimi  dei  contribuenti,
nonostante la succitata norma di cui all'art. 2-quater, comma 1,  del
decreto-legge  30   settembre   1994,   n.   564,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 30  novembre  1994,  n.  656,  attribuisca
sostanzialmente al contribuente una  posizione  giuridica  soggettiva
avente consistenza di diritto soggettivo o quanto meno  di  interesse
legittimo. 
3. - Il contrasto con l'art. 97  della  Costituzione  -  Lesione  dei
principi  di  imparzialita'  e  di  buon  andamento  della   pubblica
amministrazione. 
    Anche tali principi risultano violati. 
    In effetti,  l'interesse  pubblico  «alla  corretta  applicazione
della legge e della giusta imposta» costituisce un  corollario  anche
dei principi di imparzialita' e  di  buon  andamento  della  pubblica
amministrazione, che sostanziano «il vero fondamento  dei  poteri  di
autoannullamento dell'amministrazione  finanziaria,  specie  su  atti
divenuti definitivi per mancata impugnazione» (30) . 
    Al  riguardo,  si  e'  rilevato   che   l'azione   amministrativa
tributaria e' improntata ad applicare i principi di  imparzialita'  e
di buon andamento contenuti nell'art. 97 della Costituzione (31) . 
    Deve inoltre osservarsi che  tali  principi  hanno  indubbiamente
ispirato   il   legislatore   nell'emanazione   dello   Statuto   del
contribuente. 
    Cio' postosi, non appare conforme ai medesimi principi un  quadro
normativo che consenta all'Amministrazione  finanziaria  di  rimanere
inerte  sull'istanza  sollecitatoria  dell'esercizio  dell'autotutela
proposta da contribuente al fine  di  affrancarsi  da  un'imposizione
fiscale - benche' fondata su atti  divenuti  definitivi  siccome  non
impugnati - palesemente illegittima ed ingiusta, nonche'  lesiva  del
principio di capacita' contributiva. 
4. - Insussistenza  della  preclusione  eventualmente  derivante  dai
rapporti c.d. esauriti conseguenti alla definitivita' degli avvisi di
accertamento  in  relazione  alla  declaratoria   di   illegittimita'
costituzionale pronunciata con la suddetta sentenza n. 228/2014. 
    E' del tutto irrilevante che gli avvisi di accertamento impugnati
in questa sede siano divenuti definitivi prima della declaratoria  di
illegittimita' costituzionale indicata in rubrica ed alla quale si e'
fatto riferimento innanzi. 
    Cio'  in  quanto  e'  di  assoluta   evidenza   che   l'esercizio
dell'autotutela tributaria  concerne,  e  puo'  ovviamente  avere  ad
oggetto, anche un atto impositivo  inoppugnabile  -  per  non  essere
stato gravato in sede giurisdizionale - palesemente illegittimo. 
    Anzi, per contro, la dottrina ha rilevato che e'  da  tenersi  in
debita  considerazione,  ai  fini  dell'autotutela   tributaria,   la
«declaratoria  di   illegittimita'   costituzionale   di   norme   in
applicazione  delle  quali  siano  state  riscosse  somme  a   titolo
d'imposta» (32) . 
5.  -  Individuazione  ed  indicazione  delle  norme  sospettate   di
illegittimita' costituzionale. 
    Nel suindicato paragrafo sub  2.1.  si  e'  delineato  il  quadro
normativo di riferimento concernente l'autotutela tributaria. 
    Attualmente, la norma che regola tale istituto,  nell'ambito  del
diritto sostanziale ed in quello procedimentale amministrativo (33) ,
e' il pluricitato  art.  2-quater,  comma  1,  del  decreto-legge  30
settembre 1994, n. 564, convertito, con modificazioni, dalla legge 30
novembre 1994, n. 656. 
    In ambito processuale  tributario,  l'art.  19,  rubricato  «Atti
impugnabili e oggetto  del  giudizio»,  del  decreto  legislativo  n.
546/1992 individua gli atti impugnabili. 
    In proposito, con riferimento alle fattispecie di rifiuto tacito,
e' prevista l'impugnabilita'  di  quello  formatosi  sull'istanza  di
«restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie ed  interessi  o  altri
accessori non dovuti»: lett. g) del comma 1; la successiva  lett.  h)
contempla «il diniego o la revoca di agevolazioni  o  il  rigetto  di
domande di definizione agevolata di  rapporti  tributari»;  e  quella
seguente, lett. i), stabilisce l'oppugnabilita' di «ogni  altro  atto
per il quale la legge ne preveda  l'autonoma  impugnabilita'  davanti
alle commissioni tributarie». 
    Con norma di chiusura, il comma 3 dell'art.  19  citato  sancisce
che gli «atti diversi  da  quelli  indicati  non  sono  autonomamente
impugnabili». 
    Il  suddetto  art.  2-quater  non  prevede  l'impugnabilita'  del
silenzio tacito o implicito sull'istanza di autotutela. 
    E' ben vero che l'indirizzo giurisprudenziale di legittimita'  si
e' consolidato nel senso dell'impugnabilita' di ogni atto  tributario
che, pur non essendo espressamente ricompreso tra quelli indicati nel
suindicato art. 19 del decreto legislativo n. 546/1992, contenga  una
pretesa tributaria o una qualunque manifestazione della stessa (34) ,
ma e' indubitabile che nella fattispecie in esame non si tratta di un
provvedimento con cui viene azionata una pretesa tributaria e neppure
di una determinazione esplicita incidente su un rapporto d'imposta. 
    Deve    conseguentemente     dubitarsi     della     legittimita'
costituzionale: 
        dell'art. 2-quater, comma 1, del decreto-legge  30  settembre
1994, n. 564, convertito, con modificazioni, dalla legge 30  novembre
1994,  n.  656,  nella  parte  in  cui  non  prevede  ne'   l'obbligo
dell'Amministrazione  finanziaria  di   adottare   un   provvedimento
amministrativo  espresso  sull'istanza  di  autotutela  proposta  dal
contribuente ne' l'impugnabilita' - da parte di questi - del silenzio
tacito su tale istanza; 
        dell'art. 19, comma 1, del decreto  legislativo  31  dicembre
1992, n. 546, nella parte in cui  non  prevede  l'impugnabilita',  da
parte  del  contribuente,  del  rifiuto  tacito  dell'Amministrazione
finanziaria sull'istanza di autotutela proposta dal medesimo. 

(1) Cassazione n. 25524/2014; cfr., nello stesso senso, cassazione n.
    3442/2015: «In  tema  di  contenzioso  tributario,  il  sindacato
    giurisdizionale sull'impugnato diniego,  espresso  o  tacito,  di
    procedere  ad  un  annullamento  in  autotutela  puo'  riguardare
    soltanto  eventuali  profili  di   illegittimita'   del   rifiuto
    dell'amministrazione, in  relazione  alle  ragioni  di  rilevante
    interesse generale che giustificano l'esercizio di tale potere, e
    non  la  fondatezza  della  pretesa   tributaria,   atteso   che,
    altrimenti,  si  avrebbe  un'indebita  sostituzione  del  giudice
    nell'attivita'  amministrativa  o  un'inammissibile  controversia
    sulla legittimita' di un atto  impositivo  ormai  definitivo»,  e
    Cassazione  n.  11457/2010:   «Il   contribuente   che   richiede
    all'Amministrazione  finanziaria   di   ritirare,   in   via   di
    autotutela, un avviso di accertamento  divenuto  definitivo,  non
    puo' limitarsi a dedurre eventuali vizi  dell'atto  medesimo,  la
    cui deduzione deve ritenersi definitivamente  preclusa,  ma  deve
    prospettare l'esistenza di un  interesse  di  rilevanza  generale
    dell'amministrazione alla rimozione dell'atto.  Ne  consegue  che
    contro il diniego dell'amministrazione di procedere all'esercizio
    del  potere  di  autotutela  puo'  essere  proposta  impugnazione
    soltanto per dedurre  eventuali  profili  di  illegittimita'  del
    rifiuto  e  non  per  contestare  la  fondatezza  della   pretesa
    tributaria». 

(2) In proposito, Cassazione, SS.UU., n. 3698/2009 ha  richiamato  il
    precedente,  citato  nel  testo,  delle  SS.UU.  dell'anno  2007,
    osservando quanto segue: «Giova al riguardo ricordare che  queste
    Sezioni Unite, nella sentenza n. 7388/07,  nel  ribadire  che  la
    legge n. 448 del 2001, art.  12,  comma  2,  comporta  la  sicura
    attribuzione al Giudice tributario di tutte  le  controversie  in
    materia di tributi di qualunque genere e specie e dunque anche di
    quelle  relative  agli  atti  di  autotutela  tributaria,   hanno
    tuttavia chiarito che - altra e diversa questione  attinente  non
    alla giurisdizione ma alla  proponibilita'  della  domanda  -  e'
    quella, rimessa al Giudice tributario, circa la  riconducibilita'
    dell'atto   in   contestazione   nell'ambito   delle    categorie
    individuate dal decreto legislativo n. 546  del  1992,  art.  19.
    Nella  specie  il  Giudice  tributario  -  come   appare   palese
    soprattutto  dalla  sentenza  di   primo   grado,   espressamente
    richiamata sul punto dalla sentenza di appello - e'  giunto  alla
    conclusione che l'atto di rifiuto  di  autotutela  impugnato  dal
    contribuente non fosse riconducibile ad  alcuna  delle  categorie
    individuate  dall'art.  19  citato,  in  quanto  espressione   di
    attivita'  «confinata   nel   campo   amministrativo».   Siffatta
    decisione non appare censurabile nemmeno sotto il  profilo,  pure
    dedotto dal ricorrente, della violazione del decreto  legislativo
    n. 546 del 1992, art. 19, atteso che avverso l'atto con il  quale
    l'amministrazione manifesta il rifiuto di  ritirare,  in  via  di
    autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo (come e' nella
    fattispecie) non e' sicuramente esperibile  una  autonoma  tutela
    giurisdizionale, sia per la discrezionalita' propria,  in  questo
    caso, dell'attivita' di  autotutela,  sia  perche',  diversamente
    opinando,  si   darebbe   inammissibilmente   ingresso   ad   una
    controversia sulla  legittimita'  di  un  atto  impositivo  ormai
    definitivo». 

(3) Cfr., tra le varie  opinioni,  Grassi,  Autotutela  tributaria  e
    impugnabilita' del diniego opposto  dall'amministrazione,  in  Il
    Fisco, n. 29/2008, pagg. 5259 ss., il quale  ritiene  doverosa  e
    non   discrezionale   l'autotutela;   Gianniti,   La   disciplina
    dell'autotutela, Padova, 2010, pagg. 493 ss.; Picari,  Autotutela
    e  riesame   nell'accertamento   del   tributo,   Milano,   1999;
    Basilavecchia, Torna l'incertezza sul diniego di  autotutela,  in
    Corriere  Tributario,  n.  15/2009,  pagg.  1227  ss.;  Servidio,
    Autotutela - Impugnazione del diniego, in Bollettino  tributario,
    pagg. 1599 ss.; Vignoli-Ardolino, Alla  giurisdizione  tributaria
    le  controversie  sulla  mancata   autotutela:   ma   con   quali
    possibilita' di sindacato?, in Dialoghi di diritto tributario, n.
    7-8/2007, pagg. 949 ss.. 

(4) E al comma 2 e' contemplato che: «Nel potere di annullamento o di
    revoca di cui al comma 1 deve intendersi compreso anche il potere
    di disporre la sospensione degli  effetti  dell'atto  che  appaia
    illegittimo o infondato». 

(5) Il comma 1-octies stabilisce che:  «L'annullamento  o  la  revoca
    parziali non sono impugnabili autonomamente». 

(6) Essendo stato il medesimo decreto legislativo 24 settembre  2015,
    n. 159, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 7  ottobre  2015,
    n. 233, e tenendosi conto del periodo di vacatio legis. 

(7) Tale Regolamento e' stato emanato in applicazione del comma 1 del
    citato art. 2-quater del  decreto-legge  n.  564/1994  convertito
    dalla legge n. 656/1994. 

(8) Cfr. Tagarelli-Piantedosi, Limiti all'impugnabilita' del  diniego
    di autotutela e suoi effetti, in Il Fisco, n. 31/2012, pagg. 4983
    ss.; v., altresi', alcuni dei saggi dottrinali citati  alla  nota
    sub 4. 

(9) Cfr. Cassazione n. 1547/2002,  secondo  cui  l'assunzione  di  un
    provvedimento    sull'istanza    sollecitatoria    dell'esercizio
    dell'autotutela  «costituisce  una  facolta'  discrezionale   (C.
    Cassazione 2001/13208), il cui mancato esercizio non puo'  essere
    sindacato (C. Cassazione 2000/13412)»; v.,  anche  Cassazione  n.
    13208/2001 [nel caso  di  specie  il  ricorrente  per  Cassazione
    lamentava    il    comportamento    omissivo    della    pubblica
    amministrazione  sull'istanza  per  l'esercizio  dell'autotutela,
    invocando anche i «principi di legalita', autotutela, correttezza
    e  buona  fede»;  la  Suprema  Corte  ha  confutato  la   censura
    osservando che costituisce una mera facolta' - e nona un  obbligo
    -  dell'amministrazione  quella  «di  annullare  i  propri   atti
    riconosciuti illegittimi o infondati»]; anche Cassazione, SS.UU.,
    n. 7388/2007 cit. ha evidenziato, in  tema,  che:  «Dai  principi
    sopra enunciati consegue, inoltre, che  nel  giudizio  instaurato
    contro   il   mero,   ed   esplicito,   rifiuto   di    esercizio
    dell'autotutela puo'  esercitarsi  un  sindacato  -  nelle  forme
    ammesse sugli atti discrezionali -  soltanto  sulla  legittimita'
    del rifiuto, e non sulla  fondatezza  della  pretesa  tributaria,
    sindacato che costituirebbe un'indebita sostituzione del  giudice
    nell'attivita'   amministrativa.   Ove    l'atto    di    rifiuto
    dell'annullamento   d'ufficio   contenga   una   conferma   della
    fondatezza  della  pretesa  tributaria,  e  tale  fondatezza  sia
    esclusa  dal  giudice,   l'Amministrazione   finanziaria   dovra'
    adeguarsi a tale pronuncia. In difetto potra' essere esperito  il
    rimedio del ricorso  in  ottemperanza  di  cui  all'art.  70  del
    decreto legislativo n. 546 del 1992, con  l'avvertenza  che  tale
    norma, a differenza di  quanto  previsto  per  l'analogo  rimedio
    dinanzi al giudice amministrativo ex art. 27, n. 4, del t.u.  sul
    Consiglio  di  Stato  (r.d.  26  giugno  1924,  n.   1054),   non
    attribuisce alle commissioni tributarie una giurisdizione  estesa
    al merito. Il carattere discrezionale del ricorso  all'autotutela
    comporta,   altresi',   l'inapplicabilita'   dell'istituto    del
    silenzio-rifiuto, non esistendo, all'epoca  dell'atto  impugnato,
    alcuna previsione normativa specifica in materia». 

(10) Cfr. l'incipit della suindicata parte dedicata allo «Svolgimento
     del processo». 

(11) Cfr. pag. 3 di entrambi gli avvisi di accertamento. 

(12) Senza ulteriori elementi, neppure di mero riscontro oggettivo. 

(13) Per  l'anno  d'imposta   2008   (avviso   di   accertamento   n.
     TAZ010301165/2012) i versamenti ammontano ad €  57.140,00  ed  i
     prelevamenti sono dell'entita' di € 68.701,38, per un totale  di
     €  125.841,00,  che  ha  costituito  il  totale   dei   compensi
     presuntivamente attribuiti al contribuente; per l'anno d'imposta
     2009 (avviso  di  accertamento  n.  TAZ010301167)  i  versamenti
     ammontano ad € 55.292,43 ed i prelevamenti sono dell'entita'  di
     € 44.208,36, per un totale di  €  99.501,00,  che  ha  parimenti
     costituito il totale dei compensi presuntivamente attribuiti  al
     contribuente. 

(14) Cfr. pag. 5 di entrambi gli avvisi di accertamento. 

(15) Egualmente a pag. 5 degli stessi. 

(16) La Consulta ha osservato nella parte motiva: «Anche se le figure
     dell'imprenditore e del lavoratore autonomo sono per molti versi
     affini  nel  diritto  interno  come  nel  diritto   comunitario,
     esistono specificita' di quest'ultima categoria che  inducono  a
     ritenere arbitraria l'omogeneita' di trattamento prevista  dalla
     disposizione censurata, alla  cui  stregua  anche  per  essa  il
     prelevamento dal conto bancario corrisponderebbe ad un  costo  a
     sua  volta  produttivo  di  un  ricavo.  Secondo   tale   doppia
     correlazione, in assenza di giustificazione deve  ritenersi  che
     la somma prelevata sia stata utilizzata per l'acquisizione,  non
     contabilizzata o non fatturata, di fattori produttivi e che tali
     fattori abbiano prodotto beni o servizi  venduti  a  loro  volta
     senza  essere  contabilizzati   o   fatturati.   Il   fondamento
     economico-contabile di tale  meccanismo  e'  stato  ritenuto  da
     questa Corte (sentenza  n.  225  del  2005)  congruente  con  il
     fisiologico andamento dell'attivita' imprenditoriale,  il  quale
     e' caratterizzato dalla necessita' di continui  investimenti  in
     beni e servizi in vista di futuri ricavi. L'attivita' svolta dai
     lavoratori-autonomi,  al  contrario,  si  caratterizza  per   la
     preminenza dell'apporto del lavoro  proprio  e  la  marginalita'
     dell'apparato  organizzativo.  Tale  marginalita'   assume   poi
     differenti gradazioni a seconda della  tipologia  di  lavoratori
     autonomi, sino a divenire quasi assente nei casi in cui e'  piu'
     accentuata la natura intellettuale dell'attivita'  svolta,  come
     per  le  professioni  liberali.   Si   aggiunga   che   la   non
     ragionevolezza della presunzione e' avvalorata dal fatto che gli
     eventuali prelevamenti (che peraltro dovrebbero  essere  anomali
     rispetto al tenore di vita secondo  gli  indirizzi  dell'Agenzia
     delle  entrate)  vengono  ad  inserirsi   in   un   sistema   di
     contabilita' semplificata di cui generalmente  e  legittimamente
     si avvale la categoria;  assetto  contabile  da  cui  deriva  la
     fisiologica   promiscuita'   delle   entrate   e   delle   spese
     professionali e personali. ....Omissis... Pertanto, nel caso  di
     specie la presunzione e' lesiva del principio di  ragionevolezza
     nonche'  della  capacita'   contributiva,   essendo   arbitrario
     ipotizzare che  i  prelievi  ingiustificati  da  conti  contenti
     bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati  ad
     un   investimento   nell'ambito    della    propria    attivita'
     professionale e che questo a sua  volta  sia  produttivo  di  un
     reddito». 

(17) Cassazione, SS.UU., n. 7388/2007 cit. 

(18) Come suindicatosi. 

(19) Aggiunto dall'articolo unico  della  legge  di  conversione  che
     viene citata nel testo. 

(20) Tale art. 2-quater  e'  stato  oggetto  di  modifiche  da  parte
     dell'art. 27, comma 1, della legge 18 febbraio 1999 n.  28  [con
     cui  sono  stati  aggiunti  i  commi  1-bis  («Nel   potere   di
     annullamento o di revoca di  cui  al  comma  1  deve  intendersi
     compreso anche  il  potere  di  disporre  la  sospensione  degli
     effetti dell'atto che appaia illegittimo  o  infondato»),  1-ter
     («Le regioni,  le  province  e  i  comuni  indicato,  secondo  i
     rispettivi ordinamenti, gli organi  competenti  per  l'esercizio
     dei poteri ...Omissis...»), 1-quater («In caso di  pendenza  del
     giudizio, la sospensione degli effetti dell'atto  cessa  con  la
     pubblicazione della sentenza») e  1-quinqueis  («La  sospensione
     degli effetti dell'atto disposti anteriormente alla proposizione
     del ricorso giurisdizionale cessa con la notificazione, da parte
     dello  stesso  organo,  di  un  nuovo   atto,   modificativo   o
     confermativo di quello sospeso; il contribuente puo'  impugnare,
     insieme a quest'ultimo, anche l'atto modificato o  confermato»)]
     e recentemente dall'art. 11, comma  1,  lett.  a),  del  decreto
     legislativo 24 settembre  2015,  n.  159  [con  cui  sono  stati
     aggiunti i commi 1-sexies («Nei casi di  annullamento  o  revoca
     parziali dell'atto il contribuente puo' avvalersi degli istituti
     di  definizione   agevolata   ...Omissis...»),   1-septies   (Le
     disposizioni  del  comma  1-sexies  ...Omissis...»)  e  1-octies
     («L'annullamento o  la  revoca  parziali  non  sono  impugnabili
     autonomamente»)]. 

(21) Come  suindicatosi,  tale  Regolamento  e'  stato   emanato   in
     applicazione  del  comma  1  del  plucitato  art.  2-quater  del
     decreto-legge, n. 564/1994, convertito in legge n. 656/1994. 

(22) Bifulco-Celotto-Olivetti, Commentario alla Costituzione, Torino,
     2008, I, pag. 1061. 

(23) Bifulco-Celotto-Olivetti, op. cit., pag. 1064. 

(24) Cfr.  Corte  costituzionale  n.  41/1999  e  la   citata   Corte
     costituzionale n. 228/2014; v., anche, Bifulco-Celotto-Olivetti,
     op. ult. cit., pag. 1068. 

(25) In  proposito  -  come  osservato  efficacemente  da   Santilli,
     Autotutela tributaria, in Digesto, Disc.  Priv.  -  Sez.  Comm.,
     pag. 87 -: «Con la legge n. 212/2000 sullo Statuto  dei  diritti
     del contribuente dalla discrezionalita' teorica  si  e'  passati
     alla obbligatorieta' pratica. Infatti, questa  legge  afferma  i
     principi della correttezza e della buona  fede  gia'  per  altro
     sostenuti  dalla   giurisprudenza   che   tende   a   punire   i
     comportamenti di inerzia, dilatori, omissivi e  ad  incoraggiare
     l'azione  autocorrettiva.  Cosi'  finalmente   l'Amministrazione
     finanziaria si e' convinta  della  obbligatorieta'  del  proprio
     potere di intervento teso alla correzione  di  evidenti  errori,
     non ultimo per non incorrere nell'azione di  risarcimento  danni
     da parte del contribuente». 

(26) Cfr. Muscara', Autotutela - Diritto Tributario, in  Enc.  Giur.,
     Agg. 1996, pag. 4; Stevanato, Autotutela (dir. trib.),  in  Enc.
     Dir., pagg. 297, 298 e 301. 

(27) Cfr. Stevanato, op. cit., pag. 299. 

(28) V. la Relazione accompagnatoria del  Consiglio  superiore  delle
     finanze allo  schema  di  decreto  ministeriale  sull'autotutela
     dell'Amministrazione finanziaria [approvato il 10  maggio  1996]
     (in Tributi, 1996, pag. 759 ss.),  laddove,  nell'escludersi  la
     prefigurabilita' di  un  interesse  pubblico  all'indiscriminato
     conseguimento di maggiori introiti, si  rileva  che,  «se  cosi'
     dovesse opinarsi», «e' evidente che non vi sarebbe alcuno spazio
     per l'esercizio del potere  di  autotutela,  che  nella  maggior
     parte dei casi concerne o dovrebbe concernere la restituzione di
     imposte indebitamente percepite  o  pretese  nonostante  che  il
     contribuente non abbia fatto o non abbia potuto fare validamente
     ricorso al  giudice»;  tale  Relazione  individua,  inoltre,  il
     fondamento dell'autotutela dell'Amministrazione finanziaria  nel
     combinato disposto degli articoli 53 e 97 della Costituzione. 

(29) Osserva, in proposito, Muscara', op.  cit.,  che  «l'inevitabile
     effetto  di  un  provvedimento  sostanzialmente  illegittimo  e'
     costituito dal pagamento di un'imposta non dovuta»  e  che  cio'
     «di per se' non e' solo contrario  alle  leggi,  ma  anche  alla
     Costituzione (articoli 3, 23 e 53 Cost.)» (pag. 4);  v.,  anche,
     Santilli, op. cit., il quale afferma che l'autotutela tributaria
     e' naturalmente «posta a tutela del principio costituzionale  di
     capacita' contributiva» (pag. 88). 

(30) Cfr. Stevanato, op. ult. cit., pagg. 300 e 301. 

(31) Cfr. Santilli, op. ult. cit., pag. 86. 

(32) Cfr. Muscara', op. ult. cit., pag. 5. 

(33) Attuato e definito con  il  succitato  decreto  ministeriale  n.
     37/1997. 

(34) Cfr.,  da  ultimo,  Cassazione  n.  3315/2016:   «In   tema   di
     contenzioso tributario,  l'elencazione  degli  atti  impugnabili
     contenuta nell'art. 19 del decreto legislativo n. 546  del  1992
     ha natura tassativa, ma, in ragione dei principi  costituzionali
     di tutela del contribuente e di buon andamento della P.A.,  ogni
     atto  adottato  dall'ente  impositore  che  porti,  comunque,  a
     conoscenza del contribuente una  specifica  pretesa  tributaria,
     con esplicitazione delle concrete ragioni fattuali e giuridiche,
     e' impugnabile davanti al giudice tributario,  senza  necessita'
     che si manifesti in forma autoritativa, con la  conseguenza  che
     e'  immediatamente  impugnabile  dal   contribuente   anche   la
     comunicazione d'irregolarita', ex  art.  36-bis,  comma  3,  del
     decreto del Presidente della Repubblica n. 600  del  1973  (c.d.
     avviso bonario)». 
 
                               P.Q.M. 
 
    La Commissione tributaria provinciale di Chieti, Sezione  quarta,
non definitivamente pronunciando sul  ricorso  di  cui  in  epigrafe,
cosi' provvede: 
        visti gli articoli 1 della legge  costituzionale  9  febbraio
1948, n. 1, 23 e segg. della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'    costituzionale    dell'art.    2-quater    [rubricato
«Autotutela»], comma 1, del decreto-legge 30 settembre 1994, n.  564,
convertito, con modificazioni, dalla legge 30 novembre 1994, n.  656,
per contrasto con gli  articoli  53,  23,  3,  24,  113  e  97  della
Costituzione,  nella  parte  in  cui  non   prevede   ne'   l'obbligo
dell'Amministrazione  finanziaria  di   adottare   un   provvedimento
amministrativo  espresso  sull'istanza  di  autotutela  proposta  dal
contribuente ne' l'impugnabilita' - da parte di questi - del silenzio
tacito su tale istanza; 
    Dichiara, altresi', rilevante e non manifestamente  infondata  la
questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  19  [rubricato
«Atti impugnabili e oggetto  del  ricorso»],  comma  1,  del  decreto
legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, per contrasto con gli  articoli
24, 113, 53, 23 e 3  della  Costituzione,  nella  parte  in  cui  non
prevede l'impugnabilita', da  parte  del  contribuente,  del  rifiuto
tacito dell'Amministrazione finanziaria  sull'istanza  di  autotutela
proposta dal medesimo; 
    Dispone la sospensione  del  presente  giudizio  e  la  immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; 
    Ordina che la presente ordinanza sia  notificata,  a  cura  della
segreteria, alle parti in causa ed al Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera dei  deputati
e del Senato della Repubblica. 
        Cosi' deciso in Chieti,  nella  Camera  di  consiglio  del  5
aprile 2016. 
 
                       Il Presidente: Marsella 
 
 
                                     Il giudice-estensore: Gialloreto