N. 265 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 ottobre 2016

Ordinanza del 5 ottobre 2016 del Tribunale  di  Trieste  sui  ricorsi
proposti da Simeoni Federico e altri contro  Ministero  dell'interno,
Presidenza del Consiglio dei ministri . 
 
Elezioni - Disposizioni in  materia  di  elezione  della  Camera  dei
  deputati (c.d. Italicum) - Attribuzione del premio  di  maggioranza
  al secondo turno di ballottaggio tra le due liste  con  il  maggior
  numero di voti. 
- Legge 6 maggio 2015, n. 52 (Disposizioni  in  materia  di  elezione
  della Camera dei deputati), artt. 1, comma 1, lett. f), e 2,  comma
  25, [sostitutivo dell'] art. 83, in relazione al novellato comma  5
  [, del decreto del Presidente della Repubblica 30  marzo  1957,  n.
  361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per  la
  elezione della Camera dei deputati)]. 
Elezioni - Disposizioni in  materia  di  elezione  della  Camera  dei
  deputati (c.d. Italicum) - Opzione per un  collegio  del  candidato
  capolista eletto in piu' collegi plurinominali. 
- Decreto del Presidente della  Repubblica  30  marzo  1957,  n.  361
  (Approvazione del testo unico delle  leggi  recanti  norme  per  la
  elezione della Camera  dei  deputati),  art.  85,  come  modificato
  dall'art.  2,  comma  27,  della  legge  6  maggio  2015,   n.   52
  (Disposizioni in materia di elezione della Camera dei deputati). 
(GU n.50 del 14-12-2016 )
 
                  IL TRIBUNALE ORDINARIO DI TRIESTE 
 
    nella  persona  della  dott.ssa  Monica  Pacilio,  decidendo  sul
ricorso ex art. 702-bis codice di procedura civile proposto da: 
    Federico Simeoni con l'avv. Sbisa' Giuseppe; 
    Paolo Fontanelli con l'avv. Sbisa' Giuseppe; 
    Luigi Del Piccolo con l'avv. Sbisa' Giuseppe; 
    Giancarlo Castellarin con l'avv. Sbisa' Giuseppe; 
    Marco Greatti con l'avv. Sbisa' Giuseppe; 
    Luca Campanotto con l'avv. Sbisa' Giuseppe; 
    Contro: 
    Ministero  dell'interno  (C.F.  80025500325)  con  il  patrocinio
dell'Avvocatura dello Stato di Trieste; 
    Presidenza del Consiglio dei ministri (C.F. 80188230587)  con  il
patrocinio dell'Avvocatura dello Stato di Trieste; 
    letti gli atti, udite le parti, pronuncia la seguente ordinanza. 
    I  ricorrenti  hanno  attivato  il   procedimento   sommario   di
cognizione (art. 702-bis e ss. codice di procedura civile),  evocando
in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri  e  il  Ministro
dell'interno chiedendo che fosse accertato che  il  loro  diritto  di
«votare conformemente alla Costituzione»  e'  leso  da  alcune  norme
della legge elettorale n. 52 del 6 maggio 2015  (il  c.d.  Italicum),
cosi' come sostituite o modificate dal decreto del  Presidente  della
Repubblica n. 361 del 30 marzo 1957. 
    Hanno allegato di essere cittadini italiani friulanofoni iscritti
alle liste elettorali. 
    I ricorrenti hanno argomentato in  ordine  alla  sussistenza  del
loro attuale interesse ad agire tenuto conto del  disposto  dell'art.
1, comma I, lettera c) della legge n. 52 del 2015  che  dispone:  «la
Camera dei deputati e' eletta secondo le disposizioni della  presente
legge a decorrere dal 1° luglio 2016» evidenziando che  la  legge  e'
stata  promulgata  ed  e'  entrata  in  vigore  e,  inoltre,  con  la
promulgazione del decreto legislativo 7 agosto 2015, n. 122, la legge
ha avuto parziale attuazione,  con  la  suddivisione  dell'Italia  in
circoscrizioni e collegi. 
    In forza dell'art. 2, comma 36 della legge n.  52  del  2016,  le
disposizioni ritenute lesive del proprio diritto  di  voto  avrebbero
trovato applicazione in occasione delle  «prime  elezioni  successive
alla data di entrata in vigore della presente legge». 
    Dunque i ricorrenti evidenziano che le prossime elezioni  per  il
rinnovo del Parlamento saranno regolate da tali  disposizioni  e  che
sussiste  il  loro  interesse  attuale   a   vederne   accertata   la
contrarieta'  a  Costituzione,  prima  ancora  che  vengano   indette
elezioni dato che la semplice entrata in vigore del  testo  di  legge
contestato comportava di per se' la  lesione  del  diritto  di  voto.
Indicate  specificamente  le   norme   di   legge   e   i   parametri
costituzionali ritenuti violati hanno concluso in via preliminare per
l'accertamento della violazione del  loro  diritto  di  voto,  previa
rimessione delle questioni cosi' sollevate alla Corte costituzionale. 
    La  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri  e   il   Ministero
dell'interno si sono  costituiti  concludendo  per  l'infondatezza  e
l'inammissibilita' del ricorso, che deriverebbe dal fatto che con  il
ricorso si intende porre  in  discussione  le  scelte  politiche  del
legislatore. Hanno eccepito la carenza di interesse ad agire ex  art.
100 codice di procedura civile in quanto la  nuova  legge  elettorale
non era ancora entrata in vigore, essendo applicabile a decorrere dal
1° luglio 2016 e non potendosi, pertanto postulare che una  norma  di
legge non entrata in vigore possa ledere un diritto. 
 
                       Motivi della decisione 
 
    I.     Va     preliminarmente     affrontata     la     questione
dell'inammissibilita' e dell'interesse ad agire. Quanto  alla  prima,
deve evidenziarsi che l'ammissibilita' di un'azione  puo'  riguardare
l'esistenza  dei  presupposti  o  le  condizioni  di  un'azione.   La
possibilita' di sindacare le scelte legislative puo' assumere  invece
rilevanza per vagliare la fondatezza o meno della domanda e non anche
per la sua ammissibilita'. 
    Per quanto concerne l'interesse ad agire, poiche' la legge n.  52
del 2015 e' applicabile a partire a partire dal 1° luglio 2016  (come
disposto dall'art. 2,  comma  36),  non  puo'  porsi  in  discussione
l'interesse delle parti all'accertamento richiesto. Una volta  emesso
il decreto di convocazione dei comizi elettorali, non vi sarebbe piu'
uno spazio di  tutela  effettiva  per  l'elettore  che  non  potrebbe
ottenere pronunce giurisdizionali che incidano sulle elezioni,  anche
se svolte sulla base di norme poi dichiarate  incostituzionali  (tale
e' appunto la situazione che si e' verificata  nel  giudizio  che  ha
portato alla sentenza della Corte costituzionale n. 1/2014). 
    II. Va ora affrontata la questione della rilevanza nel giudizio a
quo delle questioni di costituzionalita'. 
    Sovviene in ausilio la Corte  costituzionale,  che  ha  osservato
come «la circostanza che la dedotta incostituzionalita' di una o piu'
norme legislative costituisca l'unico motivo di  ricorso  innanzi  al
giudice a quo non impedisce di considerare sussistente  il  requisito
della rilevanza, ogni volta sia individuabile nel giudizio principale
un separato  e  distinto  dalla  questione  (o  delle  questioni)  di
legittimita' costituzionale, sul  quale  il  giudice  rimettente  sia
chiamato  a  pronunciarsi»  «anche  allo  scopo  di  scongiurare   la
esclusione di ogni garanzia  e  di  ogni  controllo  su  taluni  atti
legislativi (sent. n. 59 del 1957, sent. n. 4 del 2000,  sent.  n.  1
del 2014). 
    Nel caso di specie tale  condizione  e'  soddisfatta  perche'  il
petitum oggetto del giudizio principale e' costituito dalla pronuncia
di accertamento del diritto azionato, in ipotesi  condizionata  dalla
decisione delle sollevate questioni di  legittimita'  costituzionale.
Deve pertanto escludersi, anche nel presente caso,  che  la  proposta
questione di costituzionalita' esaurisca in se'  ogni  aspetto  della
controversia di merito. 
    III. Il Parlamento ha approvato (in prima deliberazione al Senato
nella seduta del 13 ottobre 2015 e dalla Camera nella seduta  dell'11
gennaio 2016 e, in seconda deliberazione, dal Senato nella seduta del
20 gennaio 2016 e dalla Camera nella seduta del 12  aprile  2016)  un
testo di legge di riforma costituzionale, sottoposto a referendum, ex
art. 138  Costituzione.  La  riforma  costituzionale  attualmente  in
itinere prevede, per quanto di rilievo nel presente procedimento,  il
superamento del c.d. bicameralismo  perfetto  con  l'adozione  di  un
bicameralismo  «differenziato»  che  conferma   l'articolazione   del
Parlamento in due rami, la Camera dei deputati e il  Senato,  ma  che
nel nuovo assetto avranno composizione diversa  e  funzioni  in  gran
parte non coincidenti e, in particolare, non parteciperanno  piu'  in
modo paritario alla funzione legislativa. 
    Poiche' tali norme non sono entrate  in  vigore,  deve  ritenersi
persistente l'interesse ad agire delle parti. 
    IV. Si passera' ora alla verifica  della  manifesta  infondatezza
delle questioni sollevate. Su di esse vi e' stata gia' una  pronuncia
alla quale questo  giudice  ritiene  di  uniformarsi,  condividendone
pienamente le argomentazioni (ordinanza Tribunale Torino, Sez.  I,  5
luglio 2016). 
    La parte ricorrente denuncia l'illegittimita'  costituzionale  di
diverse disposizioni della legge elettorale n. 52 del 6  maggio  2015
in relazione a piu' articoli della Carta costituzionale. 
    Le censure sono articolate  in  quattordici  motivi  che  saranno
esaminati in modo separato (ad eccezione dei motivi 4 e  12,  nonche'
10 e 13, che saranno, invece, esaminati «a coppie»,  per  ragioni  di
chiarezza), incominciando da quelli che il Tribunale  ritiene  essere
manifestamente infondati (numeri 1, 2, 3, 4, 5, 7, 9, 10,  11,  12  e
13), per trattare infine i motivi 6 e 8, rispetto ai quali il  dubbio
di illegittimita' non appare manifestamente infondato. 
    Secondo  i  ricorrenti  la  legge  n.   52   del   2015   sarebbe
incostituzionale perche'  approvata  con  una  procedura  diversa  da
quella prevista per la legge elettorale  dalla  Carta  costituzionale
all'art. 72, comma 4, e precisamente  con  l'adozione  da  parte  del
Governo del sistema della c.d. «questione di  fiducia»  ex  art.  116
Regolamento parlamentare; la procedura di  approvazione  della  legge
con «riserva di assemblea» prevista dalla norma costituzionale citata
sarebbe  incompatibile  con  la  procedura  prevista  dall'art.   116
Regolamento parlamentare. 
    La questione e' manifestamente infondata. 
    Invero, l'art. 72 prevede al primo comma  che  «Ogni  disegno  di
legge,  presentato  a  una  Camera  e',  secondo  le  norme  del  suo
regolamento, esaminato da una commissione e poi dalla Camera  stessa,
che lo approva articolo per articolo  e  con  votazione  finale»;  al
terzo comma prevede che «Puo' altresi'  stabilire  in  quali  casi  e
forme l'esame e l'approvazione dei disegni di legge sono  deferiti  a
commissioni anche permanenti, composte in  modo  da  rispecchiare  la
proporzione dei gruppi parlamentari. Anche  in  tali  casi,  fino  al
momento della sua approvazione definitiva, il  disegno  di  legge  e'
rimesso alla Camera se il Governo o un decimo  dei  componenti  della
Camera o un quinto della Commissione richiedono che  sia  discusso  o
votato dalla  Camera  stessa  oppure  che  sia  sottoposto  alla  sua
approvazione finale con sole dichiarazioni di voto. 
    Il quarto comma prevede che «La procedura normale di esame  e  di
approvazione diretta da parte della Camera e' sempre adottata  per  i
disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale ...». 
    Ritengono i ricorrenti che per la legge  elettorale  non  possano
essere  adottate  procedure  diverse  da  quella  definita  «normale»
dall'art. 72 Costituzione che prevede l'esame diretto  del  testo  da
parte  della  Camera,  con  approvazione  articolo  per  articolo   e
votazione finale. 
    La procedura speciale prevista dall'art.  116  Regolamento  della
Camera, in quando si discosterebbe da tale  paradigma,  non  potrebbe
essere applicata per la formazione della legge elettorale, non avendo
il Governo, in questo caso, la corrispondente prerogativa. 
    E' noto che per gli articoli 1, 2 e 4 della legge n. 52 del  2015
il Governo ha effettivamente posto la  c.d.  «questione  di  fiducia»
cosi' adottando, alla Camera, la procedura prevista  dal  Regolamento
parlamentare all'art. 116, comma 4 che prevede, quanto alla procedura
per il «mantenimento di un articolo», che la  votazione  avvenga  sul
singolo  articolo  «dopo  che  tutti  gli  emendamenti   sono   stati
illustrati» e che, in caso di approvazione «gli emendamenti stessi si
intendono respinti». 
    Secondo  la  medesima  disposizione,  quando  venga   posta   «la
questione di fiducia» la votazione avviene per appello nominale,  con
facolta'  per  un  solo  deputato  per  ciascun  gruppo  di   rendere
dichiarazioni di voto. 
    L'art. 116 Regolamento della Camera non indica, al quarto  comma,
la legge elettorale tra le materie per le quali  viene  espressamente
esclusa la possibilita' di adottare la descritta  procedura  di  voto
(ossia per le quali il  Governo  non  puo'  porre  la  «questione  di
fiducia»). 
    L'art. 49 dello stesso Regolamento  prevede,  invece,  che  sulle
leggi elettorali (cosi' come su altri «argomenti») la votazione debba
avvenire a scrutinio segreto ma solo  se  ne  venga  fatta  esplicita
richiesta. 
    L'art. 24, comma 12 stesso Regolamento prevede inoltre che quando
un progetto di legge debba essere  votato  a  scrutinio  segreto  non
possa essere oggetto di contingentamento  dei  tempi  (salvo  diversa
unanime delibera della Conferenza dei capigruppo). 
    Le norme regolamentari citate devono essere lette  congiuntamente
e, dal loro combinato disposto, si ricava,  per  quanto  concerne  il
voto di approvazione alla Camera di  una  legge  elettorale,  che  il
Governo puo' porre la questione di fiducia, e quindi  ricorrere  alla
speciale procedura di voto indicata dall'art. 116 del Regolamento per
la quale, tuttavia, puo' essere richiesta (ma deve  appunto  esserlo)
la votazione a scrutinio segreto, invece che  per  appello  nominale,
con conseguente divieto, in tal caso, di contingentamento  dei  tempi
di discussione. 
    Questa procedura non si discosta, in termini  sostanziali,  dalla
c.d. procedura «normale» prevista dall'art. 72, primo e quarto  comma
della Costituzione. 
    Infatti la  procedura  c.d.  «normale»  di  cui  al  primo  comma
prescrive che la votazione  avvenga  «articolo  per  articolo  e  con
votazione finale» ed  essa  consiste  in  una  riserva  all'assemblea
dell'esame diretto e della approvazione del testo  di  legge  la  cui
ratio e' quella di assicurare che su certi argomenti vi sia  ampia  e
piena partecipazione alla formazione della legge anche da parte delle
minoranze. 
    Tale riserva di assemblea, nella sostanza, viene assicurata anche
dalla procedura di cui al citato art. 116,  comma 4  del  Regolamento
parlamentare in quanto esso  prevede  che  si  proceda,  come  e'  in
effetti avvenuto, all'esame del singolo articolo e degli emendamenti,
con votazione sul singolo articolo (con  decadenza  automatica  degli
emendamenti solo in caso di voto favorevole all'articolo). 
    La circostanza che un Governo ricorra alla questione  di  fiducia
per  certe  materie  e'  suscettibile  di  generare   responsabilita'
politica ma non necessariamente illegittimita' costituzionale. 
    Con il secondo motivo la parte ricorrente censura gli articoli 1,
comma 1, lettera f) nella parte in cui prevede che  «sono  attribuiti
comunque 340 seggi alla lista che ottiene, su base nazionale,  almeno
il 40% dei voti  validi»  e  2  comma  25  capoverso  «art.  83»  con
particolare riferimento ai commi: 1 numeri  5  e  6,  2,  3  e  4  in
relazione agli articoli 1 comma secondo e 61 Costituzione. 
    Le norme prevedono, molto  in  sintesi,  che  vengono  attribuiti
«comunque 340 seggi» (il c.d. premio di maggioranza) alla  lista  che
ottiene, su base nazionale, almeno il 40% dei voti validi.  Ne  viene
censurata  l'irrazionalita'  in  quanto  nulla  viene  disposto   per
regolare l'ipotesi in cui due liste raggiungano, nella stessa tornata
elettorale, «almeno il 40% dei voti validi» con conseguente  diritto,
per ciascuna di esse, di vedersi attribuire il premio di maggioranza,
cosa pero' non possibile, non potendosi attribuire un numero di seggi
superiore   a   quello   massimo   immodificabile   previsto    dalla
Costituzione. 
    La parte ricorrente sostiene che la questione non potrebbe essere
risolta  in  via  interpretativa,  in  quanto   qualsiasi   soluzione
produrrebbe conseguenze illegittime. 
    Sarebbe  assurdo  e  irrazionale  interpretare   la   norma   non
attribuendo a nessuna delle due liste la vittoria e, quindi il premio
di maggioranza; 
    Sarebbe arbitrario attribuire il premio di maggioranza alla lista
che risultasse vincente anche per  un  solo  voto  (in  quanto  nulla
prevede la legge); 
    Sarebbe arbitrario e non conforme alla legge indire il  turno  di
ballottaggio  in  presenza  di  due  liste  che  hanno  superato   lo
sbarramento del 40% (essendo invece il ballottaggio previsto solo  in
caso di mancato raggiungimento di questa soglia). 
    La questione, come posta, e' manifestamente infondata. 
    Si deve anzitutto osservare che la parte ricorrente muove  da  un
presupposto non condivisibile  e  non  conforme  ai  generali  canoni
interpretativi di una disposizione normativa. 
    Infatti viene censurato, per irrazionalita', l'art. 1,  comma  1,
lettera f) nella sola parte  in  cui  prevede:  «la  presente  legge,
mediante le necessarie  modificazioni  al  testo  unico  delle  leggi
recanti norme per l'elezione della Camera dei  deputati  e  le  altre
disposizioni in diretta correlazione con  le  medesime  modificazioni
stabilisce: ... sono attribuiti comunque 340  seggi  alla  lista  che
ottiene, su base nazionale almeno il 40% dei voti validi ...». 
    Deve tuttavia osservarsi che la norma prosegue, con  la  seguente
espressione «o, in mancanza, a quella che  prevale  in  un  turno  di
ballottaggio tra le due con il maggior numero di voti,  esclusa  ogni
forma di collegamento tra liste o di apparentamento tra i  due  turni
di votazione». 
    Dunque, l'art. 1, lettera f) legge n.  52  del  2015,  nella  sua
interezza, indica che la soglia di «almeno»  il  40%  e'  quella  che
consente l'attribuzione del premio di maggioranza, in presenza  della
quale e' escluso il ricorso al turno di ballottaggio. 
    La  medesima  disposizione  contiene  un  criterio  di   indubbio
carattere generale, che e' quello della prevalenza della lista che ha
ottenuto il maggior numero di voti. 
    Tale criterio e'  menzionato  espressamente  per  individuare  il
vincitore del premio di maggioranza al turno di ballottaggio ma  esso
e' certamente utilizzabile, proprio  per  la  sua  valenza  generale,
nell'ipotesi prevista dai ricorrenti, ossia del superamento da  parte
di due liste dello sbarramento del 40%. 
    In tal  caso  la  norma  non  potrebbe  che  essere  interpretata
ritenendo che debba essere considerata  vincitrice,  con  diritto  di
accedere al premio di maggioranza, quella tra le due liste che  abbia
ottenuto, rispetto all'altra, il maggior numero di voti. 
    Non si ravvisano ostacoli a questa interpretazione, pure presa in
considerazione dalla parte ricorrente,  che  immotivatamente  afferma
che si tratterebbe di ipotesi «non  prevista»  (quella,  teorica,  di
prevalenza di una lista sull'altra, anche per un solo voto). 
    La ratio della disposizione e' infatti quella  di  attribuire  il
premio di maggioranza a fini di stabilita' e di «governabilita'» alla
lista o gruppo di liste  collegate  che  abbia  ottenuto  piu'  voti.
Stabilita' e governabilita' sono parametri che possono  ricondurre  a
ragionevolezza la scelta legislativa, che appare idonea ad assicurare
la rappresentativita' dell'assemblea parlamentare. 
    E' allora corretto e conforme alla Costituzione  interpretare  la
disposizione, leggendola nella sua  totalita',  nel  senso  che  essa
prevede che in caso in cui due liste raggiungano la soglia del 40% al
primo turno, il premio di maggioranza debba  essere  attribuito  alla
lista che, cosi' come previsto per il turno di ballottaggio,  ottenga
un numero di voti superiore rispetto all'altra. 
    Si deve del resto osservare che la  verifica  del  raggiungimento
della  soglia  del  40%  viene  effettuata  sulla  base  della  cifra
elettorale nazionale raggiunta da ciascuna lista (v.  art.  2,  comma
25,  contenente  la  riformulazione  dell'art.  83  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 361 del 1957), dato che viene ottenuto
dalla «somma delle cifre elettorali circoscrizionali conseguite nelle
singole circoscrizioni dalle liste aventi il medesimo  contrassegno»,
ma e' ben possibile che si tratti di liste che, in termini  assoluti,
hanno ricevuto un differente  numero  di  voti  (espressi  e  validi,
evidentemente). 
    Con il terzo motivo si censurano gli articoli 1, comma 1, lettera
f), 2, comma 25 capoverso «art. 83» numeri  5  e  6,  commi  2  e  5;
capoverso «art. 83-bis» commi 1, numeri 1, 2 e 3 e 4 della  legge  n.
52 del 2015 in relazione agli articoli 1, 3, 48, 49, 51  e  67  della
Costituzione. 
    I ricorrenti prendono in considerazione la possibilita'  che,  in
presenza di una forte  dispersione  del  voto  verso  liste  che  non
raggiungano la soglia del 3%, si verifichi  il  caso  che  una  lista
ottenga 340 seggi al primo turno, ma che non raggiunga la percentuale
del 40%. 
    Affermano che, in questo caso,  non  si  potrebbe  attribuire  il
premio di maggioranza (per difetto del presupposto del raggiungimento
di una soglia di almeno il 40%) ne' si potrebbe applicare la norma di
«salvaguardia» prevista dall'art. 83, comma 1, n. 7) che consente  di
mantenere ferma l'attribuzione dei 340  seggi  conquistati  al  primo
turno  costringendo  tale  lista,  oggettivamente  maggioritaria,  al
ballottaggio. 
    Si  produrrebbe  allora  l'effetto   -   secondo   i   ricorrenti
irragionevole e  contraddittorio  rispetto  ai  fini  dichiarati  dal
legislatore - di costringere una lista che ha gia' la maggioranza dei
seggi a confrontarsi al ballottaggio con la seconda lista per  numero
di voti. 
    L'irragionevolezza  e  la   contraddittorieta'   denunciate   dai
ricorrenti, inoltre, sarebbero ancor piu' evidenti qualora, all'esito
del suddetto ballottaggio, risultasse vincente la lista che al  primo
turno aveva preso meno voti dell'altra. 
    Anche  questo  motivo  appare  manifestamente  infondato  essendo
basato su una interpretazione non conforme al dettato normativo. 
    L'art. 83, comma 1, numeri 3, 4, 5, 6 e 7 prevede  che  l'ufficio
centrale  nazionale,  dopo  avere  determinato  la  cifra  elettorale
nazionale di ciascuna lista, procede al  riparto  dei  seggi  tra  le
liste che abbiano conseguito sul piano nazionale  almeno  il  3%  dei
voti validi espressi  e  le  liste  rappresentative  delle  minoranze
linguistiche, ottenendo cosi' il  «quoziente  elettorale  nazionale».
Con la divisione della cifra elettorale nazionale  per  il  quoziente
ottenendo cosi' il numero di seggi da attribuire a ciascuna lista. 
    Effettuata tale operazione, verifica se  la  lista  con  maggiore
cifra elettorale abbia raggiunto il  40%  dei  voti  validi  espressi
(ipotesi prevista dal n. 5) e verifica se tale lista  abbia  ottenuto
almeno 340 seggi e, qualora una lista abbia ottenuto 340 seggi «resta
ferma l'attribuzione dei seggi» effettuata in base al n. 4. 
    La norma indica quindi che, nel caso in cui una  lista  al  primo
turno non abbia raggiunto il 40% dei voti, calcolato ai sensi del  n.
2  del  nuovo  testo  dell'art.  83  decreto  del  Presidente   della
Repubblica n. 361 del 1957 (che e' il comma 25 dell'art. 2  legge  n.
52 del 2015) ma abbia conseguito «almeno 340 seggi» (avendo cosi'  la
maggioranza) dei seggi alla Camera, tale attribuzione viene mantenuta
ferma (in base appunto al n. 7 dell'art. 83), il  che  significa  che
essa non viene messa  in  discussione  per  il  fatto  di  non  avere
raggiunto anche la soglia del 40% dei voti validi. 
    Questo significa, non apparendo altrimenti la disposizione citata
avere un significato, che in tale ipotesi la lista  o  coalizione  di
liste che abbia ottenuto tale risultato, non e' costretta  ad  andare
al ballottaggio. 
    In sostanza le norme in esame, lette nel loro  insieme,  indicano
che il premio di maggioranza debba essere attribuito alla  lista  che
raggiunga il 40% terzo dei voti validi espressi (ovvero, in  caso  di
parita', a quella che abbia ottenuto il 40% e il numero di voti  piu'
alto in termini assoluti) ma  che  non  abbia  anche  conseguito  340
seggi. 
    Se pero' una lista, pur al di  sotto  della  soglia  del  40%  ha
ottenuto comunque 340 seggi, non vi sara' necessita' di  costringerla
al ballottaggio in quanto il risultato che il legislatore  ha  inteso
conseguire con il premio di maggioranza, al primo o al secondo turno,
e' stato gia'  raggiunto  in  via  diretta  da  una  delle  liste  in
competizione. 
    Devono  ritenersi  allora  infondate  le  censure  proposte   dai
ricorrenti che muovono dal presupposto che si ritiene  errato  e  non
sostenibile con una adeguata interpretazione delle norme, secondo cui
il  mantenimento  della   attribuzione   dei   340   seggi   ottenuto
direttamente da una lista sarebbe  soggetto  all'ulteriore  requisito
del raggiungimento anche della soglia del 40% dovendosi, in tal  caso
andare necessariamente al ballottaggio per attribuire  il  premio  di
maggioranza. 
    L'interpretazione data dai ricorrenti, da ritenersi  estremamente
formalistica,  condurrebbe  ad  una  applicazione  irrazionale  delle
citate disposizioni, che finirebbe per disattendere il risultato  dei
voti  espressi  e  favorirebbe  l'applicazione   di   un   meccanismo
correttivo  in  vista  della   governabilita',   quale   e'   appunto
l'attribuzione del premio di maggioranza, in un caso in cui  di  tale
correttivo non vi e' necessita'. 
    Con   il   quarto   motivo   viene   censurata   l'illegittimita'
costituzionale degli articoli  1  e  2  legge  n.  52  del  2015  per
violazione dell'art. 138 della Costituzione. 
    Con  il  dodicesimo  motivo  viene   censurata   l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 2, comma 8, legge n. 52  del  2015  e  degli
articoli 14 e 14-bis decreto del Presidente della Repubblica  n.  361
del 1957 per violazione dell'art. 92 Costituzione. 
    I due motivi vengono accorpati. 
    Con il quarto motivo i ricorrenti espongono  le  ragioni  per  le
quali,  in  generale,  si  debba  ritenere  incompatibile  l'impianto
complessivo della legge elettorale in esame con la forma  di  governo
parlamentare vigente in Italia a  norma  di  Costituzione  dato  che,
secondo le norme elettorali il Presidente del Consiglio dei  ministri
verrebbe sostanzialmente individuato con  il  capo  della  coalizione
vincitrice delle elezioni e quindi, sostanzialmente eletto e non puo'
individuato dal Presidente della Repubblica. 
    Affermano infatti che con un premio di maggioranza attribuito  ad
una sola lista vincente, con indicazione sulla  scheda  del  Capo  di
quella  stessa  lista  e  seguito  di  un  ballottaggio,   le   dette
prerogative del Presidente della Repubblica risultano sostanzialmente
annichilite. Vi sarebbe nei fatti l'elezione diretta  del  Presidente
del  Consiglio  dei   ministri,   circostanza   che   necessariamente
produrrebbe un mutamento della forma di governo, da  parlamentare  ad
un premierato assoluto tendenzialmente presidenzialistico, ma senza i
contrappesi della forma di governo presidenziale classica (USA),  con
conseguente surrettizio mutamento della forma di  governo,  aggirando
la procedura prevista dall'art. 138 Costituzione. 
    Con il dodicesimo motivo si sottolinea  che  l'indicazione  della
persona da loro indicata come capo della forza politica, specialmente
in caso di ricorso al turno di ballottaggio comporta, in sostanza, un
mutamento della forma di governo da parlamentare a  presidenziale  in
quanto il programma elettorale di cui al  comma  1  dell'art.  14-bis
decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 non e'  altro
se non il programma del partito che quella  lista  (o  coalizione  di
liste) esprime. 
    Pertanto in caso di attribuzione del  premio  di  maggioranza  in
sede di ballottaggio (al quale non  possono  accedere  coalizioni  di
liste, ma solo le due liste risultate vincitrici al primo  turno)  la
pretesa di affermare, come fa il primo comma del nuovo  art.  14-bis,
che restano  ferme  le  prerogative  spettanti  al  Presidente  della
Repubblica previste dall'art. 92, secondo  comma  della  Costituzione
sarebbe  una   vuota   formalita',   essendo   stato,   in   realta',
completamente svuotata tale prerogativa, non potendo  far  altro,  il
Capo dello Stato, se non prendere atto del risultato del primo  turno
ovvero del ballottaggio. 
    La censura di illegittimita' costituzionale e innanzitutto  priva
di rilevanza in questo giudizio, ove - si rammenta - e' in  questione
il  diritto  di  elettorato  attivo,  cioe'  il  modo  in  cui  viene
esercitato il diritto di voto. La scelta del Presidente del Consiglio
dei  ministri  viene  in  considerazione  solo  dopo  che  il   corpo
elettorale si e' espresso. Ad ogni modo  la  questione  sembra  anche
manifestamente infondata poiche' il sistema elettorale, sebbene possa
produrre in fatto i risultati pratici indicati, non puo' escludere la
possibilita' che il Presidente della Repubblica nomini Presidente del
Consiglio dei ministri una persona diversa,  in  base  a  valutazioni
politiche che sono ancora a lui  riservate  e  che  solo  «di  fatto»
tengono conto - per ovvi motivi - del risultato elettorale,  poiche',
in definitiva, la persona designata dovra' ottenere la fiducia  delle
Camere. 
    Con il quinto motivo si censurano gli articoli 1, lettera  f),  2
commi 1 e 25 capoverso «art. 83» legge n. 52 del 2015 (ossia il nuovo
testo dell'art. 83 decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del
1957) in relazione agli articoli 1, 3, 48 comma II, 51, 56 comma I  e
122, 2 Costituzione. 
    In particolare i  ricorrenti  denunciano  la  non  conformita'  a
Costituzione di tali disposizioni nella parte  in  cui  prevedono  di
attribuire il  c.d.  premio  di  maggioranza  alla  lista  che  abbia
ottenuto, su base nazionale, almeno il  40%  dei  voti  validi  e  al
contempo stabiliscono una soglia di accesso minima del  3%  di  voti,
validi per accedere alla distribuzione dei seggi. 
    Secondo  i  ricorrenti  la  combinazione   di   tali   meccanismi
produrrebbe effetti irragionevolmente distorsivi dell'uguaglianza del
voto, in quanto si  finirebbe  con  l'attribuire  irrazionalmente  il
premio  di  maggioranza  e  verrebbero  lesi  anche  i  principi   di
rappresentanza  democratica  e  di  divieto  di  mandato  imperativo.
Sarebbe, infatti, sproporzionato attribuire il premio di maggioranza,
pari a oltre il 14% dei voti validi, a una lista che non ha  ottenuto
la maggioranza dei consensi senza neppure tenere conto del fatto  che
la lista premiata abbia conquistato seggi nella circoscrizione estero
fino al numero di 12. 
    Il motivo e' manifestamente infondato,  tenuto  conto  anche  dei
principi stabiliti dalla sentenza della Corte costituzionale n. 1 del
2014, richiamata dagli stessi ricorrenti. 
    Le norme in esame infatti stabiliscono, a  differenza  di  quelle
dichiarate illegittime dalla sentenza in questione, che il premio  di
maggioranza non sia  svincolato  dal  raggiungimento  di  una  soglia
minima di consenso elettorale. 
    Tale soglia, come osservato da parte della dottrina, non e' cosi'
bassa da essere ragionevole, rappresentando il 40% dei  consensi  che
la lista (o la coalizione di liste) al primo turno  deve  conquistare
con il raggiungimento della cifra nazionale piu' alta che si  calcola
sulla base dei voti validi espressi. 
    La dottrina che si e' specificamente occupata di  verificare,  in
concreto, se le norme della legge n. 52 del 2015 che attribuiscono il
premio di maggioranza alla lista che abbia ottenuto il 40%  dei  voti
validi espressi, presenti i medesimi sintomi  di  irrazionalita'  che
avevano caratterizzato le disposizioni previgenti ha escluso  che  si
possa ipotizzare una eccessiva distorsione tra il voto espresso e  la
sua rappresentazione in termini di seggi attribuiti,  in  virtu'  del
premio  di  maggioranza,  ad  una  lista  che  non  ha  ottenuto   la
maggioranza dei voti validi espressi dagli elettori. 
    Si deve  infatti  muovere  dall'insegnamento  della  sentenza  n.
1/2014  a  mente  della  quale:  «...  l'Assemblea  Costituente  "pur
manifestando, con l'approvazione di un ordine del giorno,  il  favore
per il sistema proporzionale nell'elezione dei  membri  della  Camera
dei  deputati,  non  intese  irrigidire  questa  materia  sul   piano
normativo,  costituzionalizzando  una  scelta  proporzionalistica   o
disponendo  formalmente  in  ordine   ai   sistemi   elettorali,   la
configurazione dei quali resta affidata  alla  legge  ordinaria»  ...
pertanto la determinazione delle formule  e  dei  sistemi  elettorali
costituisce un ambito nel quale si esprime con un massimo di evidenza
la  politicita'   della   scelta   legislativa   ...   il   principio
costituzionale di eguaglianza del  voto  ...  esige  che  l'esercizio
dell'elettorato attivo avvenga in condizione di  parita',  in  quanto
"ciascun voto contribuisce potenzialmente e con pari  efficacia  alla
formazione degli organi elettivi  ...  ma  "non  si  estende  ...  al
risultato concreto della manifestazione di volonta' dell'elettore ...
che dipende esclusivamente dal sistema che il legislatore  ordinario,
non avendo la Costituzione disposto al riguardo, ha adottato  per  le
elezioni politiche  e  amministrative,  in  relazione  alle  mutevoli
esigenze che si ricollegano alle consultazioni elettorali. Non  c'e',
in altri termini, un modello  di  sistema  elettorale  imposto  dalla
Carta   costituzionale   in   quanto   quest'ultima    lascia    alla
discrezionalita' del legislatore la scelta del  sistema  che  ritenga
piu' idoneo ed efficace in considerazione del  contesto  storico.  Il
sistema elettorale, tuttavia, pur costituendo espressione  dell'ampia
discrezionalita' legislativa non  e'  esente  da  controllo,  essendo
sempre censurabile in sede di giudizio  di  costituzionalita'  quando
risulti manifestamente irragionevole». 
    Coloro  che  hanno  commentato  la  sentenza  n.   1/2014   hanno
condivisibilmente evidenziato che la Corte, quando ha  affermato  che
gli  effetti  del  premio  di  maggioranza  non  possono   distorcere
eccessivamente l'esito del voto, ha evidentemente voluto dire che  la
vittoria conseguita con il premio di  maggioranza  deve,  per  essere
razionale e non eccessivamente distorsiva  dei  risultati  del  voto,
dipendere piu'  dal  numero  di  voti  ottenuti  che  dal  premio  di
maggioranza il cui peso, in sostanza, non puo'  essere  maggiore  del
peso del consenso che quella lista (o  coalizione  di  liste)  si  e'
conquistato attraverso le urne. 
    Ora, l'art. 1, lettera f)  legge  n.  52  del  2015  prevede  che
vengano attribuiti 340 seggi su base nazionale,  almeno  il  40%  dei
voti validi, con attribuzione in via automatica di un premio del  15%
a fronte del conseguimento del 40% dei voti validi di lista. Come  e'
stato  gia'  correttamente  osservato,  questo   significa   che   la
percentuale di distorsione del voto espresso  a  favore  della  lista
vincitrice e'  pari  a  1,375,  dato  che  il  55%  dei  seggi  viene
attribuito a chi  ha  ottenuto  il  40%  dei  voti.  Invece  il  voto
«perdente» ha un coefficiente di  sotto  rappresentazione  pari  allo
0,75, dato che il restante 45% dei seggi viene distribuito a  chi  si
e' aggiudicato il restante 60% dei voti  validi.  Il  voto  unico  in
entrata a favore della lista vincitrice per  effetto  del  premio  di
maggioranza viene effettivamente sovra rappresentato, come  lamentano
i ricorrenti, ma non in modo tale da vanificare un effettivo rapporto
di rappresentativita' tra seggi conseguiti in base ai voti espressi e
quelli conseguiti per effetto del premio di maggioranza. 
    Si ritiene pertanto che il test di ragionevolezza previsto  dalla
Corte nella sentenza n. 1/2104 sia positivamente superato dalle norme
censurate che, per  tutte  le  ragioni  esposte,  non  possono  dirsi
distorcere in modo eccessivo,  in  «uscita»  l'uguaglianza  del  voto
unico e uguale espresso in «entrata». 
    Con il settimo motivo  i  ricorrenti  censurano  gli  articoli  1
lettera b) per le parole «... salvo i  capilista  nel  limite  di  10
collegi» c) per le parole «...  dapprima  i  capilista  nei  collegi,
quindi ...»; 2 comma 26 capoverso «art. 84» comma  1  per  le  parole
«... a partire dal candidato capolista ...» e comma 2 per  le  parole
«... a partire dal candidato capolista» della legge n.  52  del  2015
nonche' dell'art. 59-bis commi da 1 a 3 decreto del Presidente  della
Repubblica n. 361 del 2015 come  novellato  dall'art.  2,  comma  21,
legge n. 52 del 2015, in relazione agli articoli 2, 48 secondo comma,
51 primo comma e 67 Costituzione. 
    Le  disposizioni  citate  vengono   ritenute   non   conformi   a
Costituzione in quanto consentono solo  a  determinate  categorie  di
candidati, scelti dai partiti senza alcuna forma di controllo esterno
o  di  trasparenza  del  relativo  procedimento,  di  essere   eletti
prescindendo completamente dall'esistenza di una indicazione di  voto
in loro favore da parte degli elettori. 
    Si tratta dei candidati ai quali la forza politica  che  presenta
una lista alle elezioni della  Camera  attribuisce  la  posizione  di
«capo lista», consentendo  all'elettore  di  esprimere  «sino  a  due
preferenze per candidati di sesso diverso tra  quelli  che  non  sono
capilista». 
    Le stesse disposizioni consentono inoltre ai soli  candidati  che
siano anche  «capi  lista»  di  candidarsi  simultaneamente  in  piu'
collegi, fino al limite massimo di 10. 
    Il nuovo testo dell'art. 59-bis del decreto del Presidente  della
Repubblica n. 361 del 1957 ai commi da 1 a 3 stabilisce  al  comma  1
che il voto espresso a favore del capo lista (cioe' con il  segno  di
voto  tracciato  sul  nominativo  del  candidato  capo  lista)  senza
tracciare un segno sul contrassegno della lista, valga  come  voto  a
favore della lista, al comma 2 che se l'elettore traccia un segno  su
una linea posta a destra del contrassegno senza  tracciare  un  segno
sul contrassegno della lista medesima si intende che abbia votato per
la lista stessa; al comma 3 che se l'elettore esprime uno o due  voti
di preferenza, senza tracciare un segno sul contrassegno della  lista
medesima, si intende che abbia votato anche per la lista medesima. 
    I capi lista, inoltre, per effetto delle  disposizioni  contenute
nell'art. 2, comma 26 (ossia il nuovo testo dell'art. 84 decreto  del
Presidente della Repubblica n. 361 del 1957) si vedono attribuire per
primi (in precedenza cioe' sugli altri candidati della  stessa  lista
ma in posizione successiva alla prima) i seggi che la lista  da  loro
capeggiata si e' conquistata,  conteggiati  secondo  quanto  previsto
dall'art. 83-bis stesso decreto. 
    Secondo i ricorrenti queste disposizioni, esattamente come  aveva
fatto la legge n. 270 del 2005, privano di liberta' l'elettore,  dato
che  il  descritto   meccanismo   dei   c.d.   «capilista   bloccati»
consentirebbe ai partiti  di  scegliere,  prescindendo  completamente
dalla  volonta'  espressa  dall'elettore,  circa   300   deputati   e
richiamano sul punto le motivazioni con cui la Corte  costituzionale,
con  la  sentenza  n.  1/2014   aveva   dichiarato   illegittime   le
disposizioni della precedente legge elettorale che  non  consentivano
agli elettori di esprimere preferenze e che inoltre imponeva loro  la
scelta di un elenco bloccato di candidati e che  pertanto  alteravano
per l'intero complesso dei parlamentari il rapporto di rappresentanza
tra elettori ed eletti. 
    Il motivo e' manifestamente infondato. 
    Nel  merito  si  deve,  anzitutto,  escludere  che  il  principio
affermato con la citata sentenza n. 1/2014  possa  essere  trasposto,
tal quale, alle disposizioni della legge n. 52  del  2015  in  quanto
esse hanno sostanzialmente modificato il sistema delle liste previsto
dalla legge previgente. 
    Nel  sistema  precedente  non  era  possibile  esprimere  nessuna
preferenza e l'elettore era costretto a  votare  in  blocco  per  una
lista relativamente lunga di candidati,  sicche'  per  effetto  delle
candidature multiple (previste anche dalla legge precedente) e  della
possibilita' per l'eletto in piu' di un collegio di optare «per altre
circoscrizioni sulla  base  delle  indicazioni  di  partito»,  veniva
alterata in modo serio la stessa possibilita' di  ipotizzare  che  si
costituisse realmente un rapporto di rappresentanza tra  elettori  ed
eletti. 
    Diversa e' la condizione di voto delineata, per  questi  profili,
dalla legge n. 52 del  2015  in  quanto  l'art.  14-bis,  lettera  c)
prevede che «ogni lista, all'atto della presentazione, composta da un
candidato capolista e da un elenco di candidati,  presentati  secondo
un ordine numerico. La lista e' formata da  un  numero  di  candidati
pari almeno alla meta' del numero dei  seggi  assegnati  al  collegio
plurinominale e non  superiore  al  numero  dei  seggi  assegnati  al
collegio  plurinominale...»  il  che  comporta  la  possibilita'   di
presentare liste  relativamente  «corte»,  con  specifiche  ulteriori
disposizioni volte a salvaguardare la parita' di genere  nell'accesso
alle cariche elettive. 
    Inoltre, dall'art. 2, comma 21,  legge  n.  52  del  2015  (testo
dell'art. 59-bis decreto del Presidente della Repubblica n.  361  del
1957)  l'elettore  puo'  esprimere  fino  a  due  preferenze,  mentre
l'eventuale preferenza espressa per il  capolista,  senza  segno  sul
contrassegno della lista, vale come voto a favore della lista stessa. 
    Il complesso delle disposizioni censurate  non  esclude  pertanto
l'esistenza di un effettivo rapporto di rappresentanza  tra  elettori
ed eletti, proprio in quanto e' previsto, a  differenza  della  legge
precedente, che si possano esprimere fino a due preferenze. 
    Queste preferenze non sono in assoluto vanificate dal  meccanismo
dei c.d. «capilista bloccati» che permette la loro elezione per primi
rispetto ai candidati che li seguono in lista dato  che  in  caso  di
candidature plurime, il capolista  dovra'  poi  optare  per  un  solo
collegio, cosi' dando luogo alla elezione del candidato non capolista
negli altri collegi. 
    Con   il   nono   motivo   viene    censurata    l'illegittimita'
costituzionale degli articoli 2, comma 25 legge n. 25  del  2015,  83
comma 3 decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del  1957  per
violazione dell'art. 56, secondo comma Costituzione, articoli 2 commi
29, 30, 31 e 32 legge n. 52 del 2015 in relazione agli articoli 3, 48
e 51 Costituzione oltre che dell'art. 1, comma 1, lettera f) legge n.
52 del 2015  nella  parte  in  cui  non  prevede  l'esclusione  dalla
partecipazione al voto al turno di ballottaggio  gli  elettori  della
Regione Valle d'Aosta e Trentino  Alto-Adige.  Si  puo'  evincere  in
maniera indiretta che la norma violata sarebbe l'art. 3 Cost. 
    Secondo i ricorrenti, il procedimento di ripartizione  dei  seggi
disciplinato dalle sopra indicate disposizioni sarebbe congegnato  in
modo tale da condurre, in concreto, a una possibile  attribuzione  di
un  numero  di  seggi  superiore  al  numero  totale  fissato   dalla
Costituzione (630).  Questo  potrebbe  infatti  verificarsi,  secondo
quanto prospettato, nel caso in cui, per i nove  collegi  uninominali
attribuiti a VDA e TAA  (rispettivamente  1  +  8)  siano  proclamati
vincitori candidati espressione di  liste  risultate  minoritarie  su
base nazionale. 
    Il motivo e' manifestamente infondato. 
    L'argomentazione dei ricorrenti, infatti,  non  tiene  conto  del
dato costituito dal numero massimo di 630  deputati,  compresi  i  12
della Circoscrizione estero indicato nella norma  costituzionale  che
si assume violata e del fatto che, per questo, il  dato  numerico  in
questione costituisce il canone ermeneutico che non puo' non  guidare
l'analisi delle disposizioni della legge n. 52 del 2015. 
    Nelle norme sospettate di illegittimita' costituzionale non vi  e
un espresso riferimento al numero di seggi che a seguito dei conteggi
debba  essere  attribuito  alle  liste  che  partecipano  alla   loro
distribuzione. 
    Questo comporta che, come evidenziato dalla dottrina  che  si  e'
occupata di questo aspetto della nuova  legge  elettorale,  le  norme
dettate in ordine al modo in cui si deve operare il  conteggio  della
quota dei seggi  da  ripartire  tra  le  liste  minoritarie  su  base
nazionale, debbano necessariamente essere interpretate in conformita'
al ricordato precetto Costituzionale e quindi, nel  caso  prospettato
dai ricorrenti,  che  i  seggi  attribuiti  a  tali  liste  siano  da
computare in riduzione ulteriore della quota di  seggi  da  ripartire
tra le liste minoritarie nazionali,  al  fine  di  evitare  di  dover
proclamare eletti ulteriori deputati (eletti nei  collegi  di  VDA  e
TAA) fino a superare il limite di 630 deputati. 
    Per quanto concerne l'asserita  irrazionalita'  delle  previsioni
dettate per il solo TAA nella parte in cui stabiliscono, solo  per  i
voti espressi dagli abitanti di questa  regione,  che  l'attribuzione
dei corrispondenti seggi avvenga con  la  «previsione  di  8  collegi
uninominali  e  3  deputati   di   recupero   proporzionale»,   giova
evidenziare che la scelta del legislatore di dotare la regione TAA di
una peculiare modalita' di attribuzione dei  seggi  trova  fondamento
razionale nel fatto che la regione TAA e' costituita da due  province
autonome in una delle quali  (Trentino-Alto  Adige)  la  porzione  di
popolazione di lingua germanofona e ladina costituisce una  minoranza
linguistica massicciamente presente all'interno del  territorio.  Non
si rileva pertanto  nessuna  evidente  violazione  del  principio  di
uguaglianza di cui all'art. 3 ed anche di uguaglianza del voto di cui
agli articoli 48 e 51 Costituzione. 
    Insomma, anche per questa parte il motivo  appare  manifestamente
infondato. 
    Con  la  terza  parte  del  motivo  i  ricorrenti  censurano   le
disposizioni della legge n. 52 del 2015 nella parte in cui consentono
agli elettori delle  regioni  Valle  d'Aosta  e  TAA  di  partecipare
all'eventuale turno di ballottaggio nonostante essi eleggano tutti  i
loro rappresentanti al primo turno, in modo  indipendente  dall'esito
del voto su base nazionale. 
    Il denunciato «privilegio» che avrebbero gli elettori  di  questi
due collegi, di disporre di un «primo voto» tale da  determinare  con
precisione il risultato elettorale locale  e  di  un  «secondo  voto»
finalizzato all'attribuzione del  premio  di  maggioranza  sul  piano
nazionale,  non  tiene  pero'  conto  delle   misure   di   carattere
compensativo che il legislatore ha avuto cura di introdurre. 
    Il rilievo sul piano nazionale dei voti espressi  dagli  elettori
del VDA e del TAA e', infatti, compensato dalla previsione secondo la
quale i seggi guadagnati in quelle due  circoscrizioni  da  candidati
collegati ad una lista che abbia vinto il premio di' maggioranza sono
scomputati dal traguardo dei 340 seggi. 
    I motivi decimo e  tredicesimo,  in  quanto  vertono  sul  comune
argomento della distorsione del voto  in  uscita  dovuto  alle  norme
dettate  per  la  tutela  delle  minoranze   linguistiche   in   sede
elettorale, vengono esaminati congiuntamente. 
    Con il decimo motivo si censura  l'illegittimita'  costituzionale
degli articoli 1, comma 1, lettera a), e) e i) e art. 2 commi  1,  2,
3, 4, 5, 25 capoverso «art. 83» commi 1 numeri 3, 6, 29, 30, 31 e  32
della legge n. 52 del 2015 in relazione agli articoli 1, 2, 3, 6, 10,
11, 48, 49, 51, 117 secondo  comma,  lettera  f)  Costituzione  nella
parte in cui non  tutelano  in  modo  effettivo  e  attivo  le  altre
minoranze  linguistiche  riconosciute  (diverse   cioe'   da   quelle
francofone e germanofone e ladine residenti in  VDA  e  TAA)  per  le
quali  non  sono  previste  disposizioni  specifiche  idonee  a  dare
effettiva  rappresentativita'  agli  elettori  appartenenti  a   tali
minoranze. 
    Secondo i ricorrenti la disposizione di cui all'art. 83, comma 1,
numero  3,  in  base  alla  quale  l'Ufficio   elettorale   nazionale
«individua quindi le liste che abbiano conseguito sul piano nazionale
almeno  il  3  per  cento  dei  voti  validi  espressi  e  le   liste
rappresentative di minoranze  linguistiche  riconosciute,  presentate
esclusivamente in una regione ad autonomia speciale  il  cui  statuto
preveda una particolare tutela di  tali  minoranze  linguistiche  che
abbiano conseguito almeno il 20%)  dei  voti  validi  espressi  nella
regione medesima», prevedrebbe un sistema di conteggio  dei  voti  da
applicare solo per  le  liste  che  siano  espressione  di  minoranze
linguistiche che risiedano in regioni a statuto  speciale  e  solo  a
condizione che il relativo statuto ne preveda in modo  specifico  una
particolare  tutela.  Verrebbero  conseguentemente  esclusi  da  tale
speciale sistema di conteggio tutti gli elettori che  abbiano  votato
per  liste  espressione  di  minoranze  linguistiche   (riconosciute)
presentate in regioni non ad autonomia  speciale,  ovvero  in  quelle
regioni ad autonomia speciale che nulla prevedano sul punto,  percio'
solo la minoranza linguistica  slovena  residente  in  Friuli-Venezia
Giulia sarebbe tutelata dal  combinato  disposto  delle  disposizioni
statutarie regionali e dal citato art. 83, comma 1, n. 3) legge n. 25
del 2015. 
    Con  il  tredicesimo  motivo  viene  censurata   l'illegittimita'
costituzionale  della  Tabella  A  approvata  dall'art.   1   decreto
legislativo n. 122 del 2015 per violazione dell'art. 76  Costituzione
e dell'art. 4 della  legge  n.  52  del  2015  per  violazione  degli
articoli 1, 2, 3, 6, 48, 49 e 51 Costituzione. L'art. 4 legge  n.  52
del 2015 contiene una delega al Governo per  la  «determinazione  dei
collegi plurinominali», da adottare entro 90  giorni  dalla  data  di
entrata in vigore della legge stessa, secondo i criteri dettati dalle
lettere da a) a g) dell'art. 4. La delega e'  stata  attuata  con  il
decreto legislativo n. 122 del 2015  che  ha  individuato  i  confini
«geografici» di detti collegi, contenuti nella  Tabella  A  approvata
con l'art. 1 del decreto in questione. 
    Secondo i ricorrenti il Governo nel dare attuazione  alla  delega
avrebbe disatteso i criteri di cui alle lettere c) (ultimo periodo) e
g) con violazione, quindi, della delega. Inoltre la mappa dei collegi
plurinominali  delineata  dalla  Tabella  A  produrrebbe  anche   una
violazione del principio  di  tutela  delle  minoranze  linguistiche.
Sarebbero stati separati  comuni  caratterizzati  dalla  presenza  di
determinate  minoranze  linguistiche,  con   l'effetto   pratico   di
«annacquarne» il  peso  del  voto  in  uscita  (cio'  avverrebbe,  in
particolare, per  la  minoranza  di  lingua  slovena,  nonostante  il
riconoscimento da parte della Regione ad autonomia speciale),  tenuto
conto della soglia di sbarramento posto dall'art. 83 primo comma n. 3
che  le  liste  rappresentative  di  minoranze  linguistiche   devono
superare per concorrere alla ripartizione dei seggi alla Camera. 
    I motivi appena esposti sono privi di rilevanza. 
    Non viene infatti prospettata  in  concreto  una  violazione  del
diritto di voto da parte  dei  ricorrenti  per  effetto  delle  norme
censurate con i motivi in esame. 
    Non indicano infatti quali effetti distorsivi avrebbero le  norme
denunciate come illegittime in ordine al loro diritto  di  elettorato
attivo, neanche quali elettori friulanofoni. Si fa  riferimento  alle
minoranze  linguistiche  presenti  in  VDA  e  TAA,  alla   minoranza
linguistica slovena, ma non anche alla loro  condizione  di  elettori
friulanofoni. 
    Con l'undicesimo motivo i ricorrenti  censurano  gli  articoli  2
comma 10 e comma 36 legge n. 52 del 2015 e  18-bis  commi 1  e  2  in
relazione agli articoli 3, 48, 49 e 51 Costituzione, nonche' 24,  113
Costituzione e 13 della Convenzione europea per la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. 
    I ricorrenti lamentano che in  modo  del  tutto  irragionevole  i
nuovi soggetti politici che intendono partecipare  alla  competizione
elettorale, per poter presentare le loro liste devono munirsi  di  un
numero di firme di  elettori  iscritti  nelle  liste  elettorali  (di
comuni  compresi  nei  Collegi  nei  quali  si  intende  partecipare)
ricompreso tra 1.500 e 2 mila firme ovvero, in caso  di  scioglimento
della Camera di deputati prima di 120 giorni, da un numero pari  alla
meta'  delle  firme  richieste  in  via  ordinaria;  invece   nessuna
sottoscrizione  e'  richiesta  per  i  partiti  e   gruppi   politici
costituiti in gruppo parlamentare in entrambe  le  Camere  all'inizio
della legislatura in corso al momento della convocazione dei  Comizi,
ovvero per i partiti o gruppi  politici  che  abbiano  effettuato  le
dichiarazioni di collegamento di cui all'art.  14-bis  (a  condizione
che il collegamento venga fatto con due partiti o gruppi politici che
abbiano conseguito almeno un seggi in occasione delle ultime elezioni
per il Parlamento europeo). 
    I  ricorrenti   evidenziano   che   le   disposizioni   censurate
lederebbero il diritto  dei  partiti  alle  pari  opportunita'  nelle
competizioni elettorali in violazione degli articoli 3, 48, 49  e  51
della Costituzione  e  lamentano  inoltre  l'assenza  di  un  «giusto
processo» (o meglio di un rimedio effettivo ex  art.  113  CEDU)  che
consenta ai partiti esclusi per insufficienza di  firme  di  ottenere
tutela giurisdizionale con ulteriore violazione degli articoli  24  e
113 Costituzione, atteso che il Governo, nuovamente  violando  l'art.
76 Costituzione, non aveva attuato i principi contenuti  nella  legge
delega  n.  69/2009,  art.  44,  comma  2,  lettera  b)  che  avrebbe
consentito l'impugnazione delle operazioni  elettorali  preparatorie,
tra  le  quali  le  ammissioni  e  le  esclusioni  di  liste  per  il
Parlamento. 
    Tale effettiva tutela non sarebbe oggi garantita  dalla  «abnorme
estensione  dell'autodichia  ex  art.  66  Costituzione»   che   tale
competenza attribuisce attualmente alla Camera. 
    Il motivo e' privo di rilevanza  per  la  considerazione  che  la
violazione  delle  norme   costituzionali   inciderebbe,   per   come
prospettata, sul diritto di elettorato passivo e  non  su  quello  di
elettorato  attivo,  che  non  costituisce,  come  ormai  piu'  volte
sottolineato, oggetto dell'accertamento richiesto. 
    Con il sesto motivo vengono censurati l'art. 1, comma 1,  lettera
f); art. 2 commi 1, 25 capoverso «art. 83» della legge n. 52 del 2015
e 93 comma 2 n. 5 decreto del Presidente della Repubblica n. 361  del
1957  relativamente  al  turno  di  ballottaggio  in  relazione  agli
articoli 1, 3, 48 secondo comma, 49, 51, 56 primo e quarto comma,  67
Costituzione e art. 3 del Protocollo  addizionale  della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali nella parte in cui disciplinano il turno di ballottaggio
e l'attribuzione, all'esito del premio di maggioranza. 
    Secondo i ricorrenti il meccanismo di attribuzione del premio  di
maggioranza al secondo turno  di  ballottaggio  tra  liste  viola  il
principio di ragionevolezza e di  uguaglianza  del  voto,  in  quanto
consente l'attribuzione del premio con modalita' che, senza  adeguati
correttivi, rischiano di premiare in modo abnorme una forza  politica
addirittura in modo inversamente proporzionale al grado  di  consenso
ricevuto. 
    Le disposizioni in esame attribuiscono il premio  di  maggioranza
sulla base dei  voti  validi  espressi  nel  turno,  senza  porre  un
correttivo quale, ad esempio, il raggiungimento di un  quorum  minimo
al primo turno, con la conseguenza che potrebbe risultare  vincitrice
al ballottaggio una lista che  in  termini  assoluti  e'  in  realta'
minoritaria; il voto dei cittadini che  avesse  scelto  la  lista  di
minoranza finirebbe, con l'esito del secondo turno, ad  esprimere  un
voto di  valore  piu'  che  doppio  rispetto  al  voto  espresso  dai
cittadini che avessero, invece, votato altre liste. 
    La questione di legittimita' non e' manifestamente infondata  per
i seguenti motivi. 
    La Corte costituzionale, in ordine alla legge n. 270 del 2005, ha
precisato  che:  «il  meccanismo  di  attribuzione  del   premio   di
maggioranza prefigurato dalle norme censurate, inserite  nel  sistema
proporzionale introdotto con la legge n.  270  del  2005,  in  quanto
combinato con l'assenza di una ragionevole soglia di voti minima  per
competere all'assegnazione del premio e' pertanto tale da determinare
un'alterazione del circuito democratico definito dalla  Costituzione,
basato sul principio fondamentale di uguaglianza  (art.  48,  secondo
comma  della  Costituzione).  Esso  infatti  pur  non  vincolando  il
legislatore ordinario alla scelta di un  determinato  sistema,  esige
che ciascun voto contribuisca potenzialmente  e  con  pari  efficacia
alla funzione degli organi elettivi»  (Corte  cost.  n.  1/2014).  Ha
dunque ravvisato la  necessita'  di  individuare  un  limite  per  la
legittima attribuzione  del  premio  di  maggioranza,  dal  quale  il
legislatore non puo' prescindere in sede di  adozione  di  una  legge
elettorale. La legge n. 52 del 2015  prevede  che  nel  caso  in  cui
nessuna delle liste che partecipano alla competizione  elettorale  si
aggiudichi la maggioranza dei seggi alla Camera, viene attribuito  un
premio di maggioranza alla formazione che abbia raggiunto  almeno  il
40% dei voti validi espressi. Nel caso in cui nessuna lista raggiunga
almeno il 40% dei voti, e' previsto  un  ulteriore  turno  elettorale
strutturato secondo il modello del ballottaggio di tipo  binario,  al
quale hanno diritto di partecipare le sole prime  due  liste  che  al
primo turno abbiano raggiunto il maggior numero di voti, con espresso
divieto di collegamento tra liste o apparentamento tra i due turni di
votazione, con esclusione della possibilita' di esprimere  preferenze
e con conteggio dei voti che tiene conto  soltanto  dei  voti  validi
espressi nel turno di' ballottaggio. Il legislatore si e' limitato  a
prevedere che accedano al secondo turno le sole due liste piu' votate
al primo turno, purche' abbiano raggiunto almeno  la  soglia  del  3%
(ovvero  del  20%  nel  caso  di  liste  espressione   di   minoranze
linguistiche).  In  effetti,  senza  l'adozione  di  meccanismi   che
garantiscano una adeguata espansione della componente rappresentativa
del voto (ovvero senza l'eliminazione del divieto di cui si e' detto)
l'attribuzione  del  premio  di  maggioranza  alla  sola  lista  che,
all'esito del ballottaggio, si aggiudichi il  premio  di  maggioranza
finisce per essere svincolata dalla esistenza di parametri  oggettivi
che consentano di affermare che lista vincitrice ha  ottenuto  quella
«ragionevole soglia di  voti  minima»  in  presenza  della  quale  e'
possibile la legittima attribuzione del premio di maggioranza. 
    Appare  allora  non  manifestamente  infondato   il   dubbio   di
conformita' a Costituzione espresso dai ricorrenti, in relazione agli
articoli 1 secondo comma, 3, 48 secondo comma Costituzione, la'  dove
essi evidenziano, in  accordo  con  le  opinioni  espresse  da  molti
costituzionalisti, che l'attuale sistema, privo di  correttivi,  pone
il concreto rischio che il premio venga attribuito a  una  formazione
che e' priva di adeguata rappresentativita' nel corpo elettorale. 
    Con l'ottavo motivo i ricorrenti censurano  la  non  conformita',
rispetto agli articoli 48 e 51 Costituzione,  delle  disposizioni  di
cui all'art. 2, comma 11, legge n. 52  del  2015  «sulle  candidature
multiple» nella parte in cui consentono  al  candidato  capolista  in
piu' collegi di optare ad elezione  avvenuta  con  successo,  per  un
collegio piuttosto che per un altro,  senza  dare  indicazioni  sulle
modalita' di esercizio di detta opzione e  cosi'  influendo  in  modo
arbitrario e potenzialmente molto «pesante» sul  voto  di  preferenza
espresso dagli elettori a favore di un candidato che, senza l'opzione
del capolista, verrebbe senz'altro eletto avendo raggiunto il  numero
maggiore di preferenze rispetto  agli  altri  competitori  della  sua
stessa lista. In questo modo non sono piu' gli elettori  ad  eleggere
il candidato ma il candidato capolista a decidere in  quale  collegio
farsi eleggere. 
    Il motivo, nei  termini  suindicati,  non  appare  manifestamente
infondato, limitatamente alla disposizione che consente di operare la
scelta del collegio senza alcun tipo di vincolo. 
    Infatti, la libera scelta del candidato capolista e  suscettibile
di annullare il voto di preferenza degli elettori nel collegio optato
dal capolista. In virtu' dell'opzione, e' del tutto possibile che  il
candidato che abbia ricevuto molte preferenze  (addirittura  il  piu'
votato in assoluto) sia superato da uno o  piu'  candidati  di  altri
collegi con meno preferenze. L'assenza di  qualsivoglia  criterio  al
quale il capolista debba ispirarsi nella scelta rende impossibile per
l'elettore effettuare valutazioni prognostiche. 
    L'esigenza della governabilita' non puo' giustificare  la  scelta
legislativa perche' l'esclusione di un candidato non condizionata dal
numero di voti di preferenza ottenuti  e'  del  tutto  irrazionale  e
contraria al principio della rappresentativita'; la scelta  normativa
non e' rispettosa della volonta' espressa dagli elettori. 
    In conclusione, per  tutte  le  ragioni  esposte,  devono  essere
dichiarate rilevanti e non manifestamente infondate le  questioni  di
costituzionalita'  sollevate  nel  giudizio,  tutte  indicenti  sulle
modalita' di esercizio della sovranita' popolare (art. 1 Cost., comma
2, 3, 48 II comma Cost.), aventi ad oggetto: 
        l'art. 1, comma 1, lettera f) sono  attribuiti  comunque  340
seggi alla lista che ottiene, su base nazionale,  almeno  il  40  per
cento dei voti validi o, in mancanza, a  quella  che  prevale  in  un
turno di ballottaggio tra le due  con  il  maggior  numero  di  voti,
esclusa ogni forma di collegamento tra liste o di apparentamento  tra
i due turni di votazione e art. 2 comma 25 «art. 83» relativamente al
novellato comma 5: «Qualora la verifica di cui al comma 1, numero 5),
abbia dato esito negativo, si procede ad un turno di ballottaggio fra
le liste che abbiano ottenuto al primo turno le  due  maggiori  cifre
elettorali nazionali e che abbiano i requisiti di  cui  ai  comma  1,
numero 3). Alla lista che ha  ottenuto  il  maggior  numero  di  voti
validi  al  turno  di  ballottaggio  l'Ufficio  assegna  340   seggi.
L'Ufficio procede poi a ripartire proporzionalmente i restanti  seggi
tra le altre liste di cui al comma 1, numero 3), ai sensi  del  comma
3. L'Ufficio procede quindi all'assegnazione dei seggi ai  sensi  del
comma 4.», della legge n. 52 del 2015; 
        l'art. 85 decreto del Presidente della Repubblica n. 361  del
1957 come modificato dall'art. 2, comma 27, legge n. 52 del 2015. 
    Con   il   quattordicesimo   motivo   i   ricorrenti   denunciano
l'illegittimita' costituzionale degli articoli 16 e  17  del  decreto
legislativo 20 dicembre 1993, n. 553, come  modificati  dall'art.  4,
commi 7 e 8, della legge n. 270 del 21 dicembre 2005, per  violazione
degli articoli 1, 3, 48, 49 e 51 Cost. 
    Secondo  i  ricorrenti  tali  norme,  in  maniera  irragionevole,
prevedrebbero soglie di accesso per il Senato pari  al  doppio  della
Camera (8% per le liste e 20% per le coalizioni) e  senza  le  stesse
eccezioni per le liste coalizzate. In questo modo i candidati con  lo
stesso numero di voti avrebbero meno possibilita' al Senato  rispetto
alla Camera e a causa delle  soglie  di  accesso  piu'  elevate  e  i
partiti o gruppi politici non potrebbero presentarsi  con  le  stesse
liste alla Camera e al Senato. 
    I motivi appaiono manifestamente infondati perche' la  previsione
di soglie diverse per la Camera  ed  il  Senato  non  lede  le  norme
costituzionali previste dagli articoli 1, 3, 48, 49 e 51 Cost. 
    Rispetto all'art. 1 Cost. non sono esplicitati i motivi  per  cui
la piu' elevata soglia di accesso rispetto alla Camera  possa  essere
contraria   alle   affermazioni   di   principio   contenute    nella
disposizione. 
    Rispetto  all'art.  3  Cost.  i  ricorrenti  fanno  questione  di
disparita' di trattamento tra candidati  che  ottengano  il  medesimo
numero di voti a seconda che concorrano per la Camera  o  il  Senato.
Ora, a parte la considerazione che tale censura appare attenere  piu'
al diritto di elettorato passivo che a quello attivo, che costituisce
oggetto della controversia, la disparita' di trattamento  tra  i  due
tipi di candidati trova giustificazione ragionevole nella circostanza
che per il Senato il numero dei seggi e' la  meta'  di  quello  della
Camera, percio' e' ragionevole che possa avere accesso alla carica di
senatore chi gode di un piu' ampio consenso. 
    Non si ritiene sussistere contrasto con l'art. 48 Cost.,  perche'
la semplice previsione di una soglia di accesso piu' elevata  per  il
Senato non e' suscettibile di per se' di creare  discriminazioni  tra
gli elettori. Analogamente non viola  il  diritto  dei  cittadini  di
associarsi liberamente, e con cio' viene in considerazione l'art.  49
Cost. 
    Infine, quanto all'art. 51 Cost. la maggiore soglia prevista  per
il Senato non determina di per se' discriminazioni legate al genere o
alla cittadinanza, ma per la verita' simili profili di illegittimita'
non sono nemmeno allegati. 
    Vi  sono  nell'ultima  parte  del  ricorso  diverse  censure   di
incostituzionalita'  sollevate  dai   ricorrenti   in   ordine   alla
partecipazione alle competizioni elettorali e alla  ripartizione  dei
seggi da parte di minoranze linguistiche del Friuli-Venezia Giulia. 
    Innanzitutto secondo i  ricorrenti  la  soglia  del  20%  per  la
partecipazione del riparto tra  i  seggi  andrebbe  a  discapito  dei
movimenti  «di  carattere   locale   ed   etnico-linguistico».   Essa
violerebbe gli articoli 2, 3 e 6 Cost. 
    La censura e' manifestamente infondata per i seguenti motivi. 
    Precisato preliminarmente che sussiste interesse  dei  ricorrenti
solo per quanto concerne la minoranza friulanofona (hanno  dichiarato
di appartenere tutti solo a tale minoranza), va fatta una premessa di
carattere  generale.   La   tutela   delle   minoranze   linguistiche
contemplata dall'art.  6  della  Cost.  si  concretizza  innanzitutto
nell'affermazione del principio  di  uguaglianza  formale  e  di  non
discriminazione sulla base del fattore linguistico (tutela negativa),
e poi anche nella predisposizione di interventi di sostegno idonei  a
realizzare   l'uguaglianza   sostanziale   (tutela   positiva).    Il
Costituente ha rinviato ad «apposite norme» la tutela positiva  delle
minoranze linguistiche. Tali norme sono state  a  volte  trasfuse  in
legge costituzionale, come nel caso delle regioni a statuto speciale,
altre volte in leggi ordinarie. Ragioni storiche hanno comportato che
per alcune minoranze vi fosse una tutela piu' forte, come e' avvenuto
per  la  minoranza  francofona  in  Valle  d'Aosta   e   tedesca   in
Trentino-Alto Adige. In Friuli-Venezia Giulia lo statuto regionale  -
diversamente da quelli della Valle d'Aosta e del Trentino-Alto  Adige
- non contiene disposizioni ulteriori e specificamente  rivolte  alla
garanzia delle minoranze localizzate nella Regione; quella slovena ha
ricevuto sin da subito dalla Corte costituzionale  la  qualificazione
di «minoranza riconosciuta» per effetto del Memorandum di Londra  del
1954 e del Trattato di Osimo del 1975. E' intervenuta infine la legge
n. 482/199 che in attuazione dell'art. 6 Cost. ha inteso  tutelare  i
diritti linguistici delle minoranze, tra cui quella friulanofona. Non
vi e'  nessuna  norma  costituzionale  che  assicuri  alle  minoranze
linguistiche la presenza di un loro rappresentante in Parlamento. 
    Tanto premesso, si rileva che sotto il profilo  della  violazione
dell'art. 3 Cost. non si  ravvisa  altra  minoranza  linguistica  (ne
viene  indicata)  rispetto  alla  quale  vi  sarebbe  disparita'   di
trattamento. 
    Rispetto all'art. 6 Cost., si e' gia' posto in  evidenza  che  la
norma non assicura  alle  minoranze  linguistiche  la  partecipazione
attraverso un loro rappresentante  alla  formazione  del  Parlamento.
Rispetto all'art. 2 Cost. pure non si ravvisano, e per la verita' non
sono allegate, ragioni di contrasto. 
    I  ricorrenti  ritengono  che  la  previsione  di   due   collegi
elettorali nella Regione da parte del decreto legislativo n. 122/2015
ed in generale  l'individuazione  di  simili  collegi  attraverso  lo
strumento normativo del decreto  delegato  contrasti  con  l'art.  72
Cost.,  che  consentirebbe  la  delega  legislativa  solo  per  testi
normativi compilativi. 
    Non e' corretta l'affermazione per cui non sia costituzionalmente
legittimo l'uso del decreto legislativo per introdurre  nuove  norme.
Invero, la lettera della norma costituzionale (l'art.  76  Cost.)  e'
chiara nel senso di attribuire al Parlamento il potere di delegare al
Governo la funzione legislativa, purche' in una materia  sulla  quale
la  Costituzione  non  preveda  una  riserva  di  legge  formale.   I
ricorrenti  non  si  dolgono,  in  questo  specifico   motivo   della
violazione di una riserva di  tal  fatta  ne'  della  violazione  dei
criteri direttivi dati nella delega. 
    La violazione dei criteri direttivi viene  invece  denunciata  in
ordine alla lettera c) dell'art. 4 legge n. 52/2015  che  prevede  il
rispetto  delle  aree  linguistiche  delle   comunita'   linguistiche
autoctone legislativamente riconosciute. 
    La norma prevede: «Nelle zone in  cui  siano  presenti  minoranze
linguistiche riconosciute, la delimitazione  dei  collegi,  anche  in
deroga ai principi e ai criteri indicati nella presente lettera, deve
tenere conto dell'esigenza di agevolare la loro inclusione nel  minor
numero possibile di collegi». 
    Si ritiene che il motivo sia manifestamente infondato  in  quanto
le disposizioni censurate non prevedono che  per  la  formazione  dei
collegi siano rispettati in maniera assoluta le aree  geografiche  in
cui sono presenti le minoranze riconosciute, ma solo che queste siano
eccessivamente frammentate, finalita' realizzata con la previsione di
soli due collegi. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Tribunale di Trieste dichiara rilevanti e  non  manifestamente
infondate, in relazione agli articoli 1 comma  2,  3  e  48  comma  2
Costituzione, le questioni di  legittimita'  sollevate  in  relazione
agli articoli: 
    1, comma 1, lettera f) della legge n. 52 del 2015; 
    2, comma 25 «art. 83» della legge n. 52 del 2015 in relazione  al
novellato comma 5; 
    85, decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957  come
modificato dall'art. 2, comma 27, legge n. 52 del 2015. 
    Manda alla cancelleria di notificare  la  presente  ordinanza  al
Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' di darne comunicazione
al presidente del Senato  della  Repubblica  e  al  presidente  della
Camera dei deputati e alle parti del presente giudizio. 
    Dispone l'immediata trasmissione degli  atti,  comprensivi  della
documentazione  attestante  il   perfezionamento   delle   prescritte
comunicazioni e notificazione, alla Corte costituzionale. 
    Sospende il giudizio in corso. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Tribunale di Trieste dichiara rilevanti e  non  manifestamente
infondate, in relazione agli articoli 1 comma  2,  3  e  48  comma  2
Costituzione, le questioni di  legittimita'  sollevate  in  relazione
agli articoli: 
    1, comma 1, lettera f) della legge n. 52 del 2015; 
    2, comma 25 «art. 83» della legge n. 52 del 2015 in relazione  al
novellato comma 5; 
    85, decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957  come
modificato dall'art. 2, comma 27, legge n. 52 del 2015. 
    Dispone l'immediata trasmissione degli  atti,  comprensivi  della
documentazione  attestante  il   perfezionamento   delle   prescritte
comunicazioni e notificazione, alla Corte costituzionale. 
    Sospende  il  giudizio  in  corso  fino  all'esito  del  giudizio
incidentale di legittimita' costituzionale. 
    Manda alla cancelleria di notificare  la  presente  ordinanza  al
Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' di darne comunicazione
al presidente del Senato  della  Repubblica  e  al  presidente  della
Camera dei deputati e alle parti del presente giudizio. 
 
        Trieste, 5 ottobre 2016 
 
                         Il Giudice: Pacilio