N. 253 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 luglio 2016

Ordinanza del 26 luglio 2016 del Tribunale di Trento - Sezione lavoro
nel procedimento civile promosso da Segata  Mariangela  contro  Cassa
Rurale di Trento. 
 
Lavoro e occupazione - Tutela del lavoratore in caso di licenziamento
  illegittimo  -  Condanna  del  datore  di  lavoro  a  corrispondere
  un'indennita'  risarcitoria  dal  giorno  del  licenziamento   sino
  all'effettiva reintegrazione. 
- Legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della  liberta'  e
  dignita' dei lavoratori, della liberta' sindacale e  dell'attivita'
  sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), art.  18,
  comma quarto, come novellato dall'art. 1, comma 42, lett. b), della
  legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del
  mercato del lavoro in una prospettiva di crescita). 
(GU n.51 del 21-12-2016 )
 
                    TRIBUNALE ORDINARIO DI TRENTO 
                           Sezione lavoro 
 
    Il giudice  istruttore,  in  funzione  di  giudice  unico,  dott.
Giorgio Flaim, ha pronunciato in data  26  luglio  2016  la  seguente
ordinanza; 
 
                          Rilevato in fatto 
 
    Con ricorso monitorio  depositato  in  data  26  aprile  2016  la
societa' Cassa Rurale di  Trento  B.C.C.  Soc.  coop.  ha  agito  nei
confronti di Segata Mariangela vantando il credito di € 63.414,77 (al
netto delle contribuzioni previdenziali, fiscali e assistenziali e al
lordo della trattenuta di € 48,81 relativa all'addizionale  2014),  a
titolo di ripetizione delle somme versate in relazione al  periodo  8
luglio 2013 (data del licenziamento) - 22  aprile  2015  (data  della
sentenza del tribunale che, ai sensi dell'art. 1  comma  51  e  segg.
legge 28 giugno 2012, n. 92, aveva accolto l'opposizione proposta  da
Cassa Rurale di Trento B.C.C. Soc. coop. avverso l'ordinanza ex  art.
1 comma 49 legge n. 92/2012, pronunciata in data 28 gennaio 2014, con
cui il giudice della fase sommaria aveva, ai sensi dell'art. 18 comma
4 legge 20 maggio 1970, n. 300, annullato il licenziamento per giusta
causa intimato a Segata Mariangela in data 8 luglio 2013  e  ordinato
la reintegrazione -  sentenza  confermata  dalla  Corte  d'appello  e
passata in giudicato). 
    In data 2 maggio 2016 il ricorso monitorio e' stato  accolto  con
decreto ingiuntivo n. 110/2016. 
    Con ricorso depositato in data 27 maggio 2016  Segata  Mariangela
ha  proposto  opposizione  al  decreto  ingiuntivo,  contestando   la
ripetibilita' delle somme, pari a complessivi € 40.332,60, versate in
relazione al (solo) periodo 28 gennaio 2014 (data  dell'ordinanza  ex
art. 1 comma 49 legge n. 92/2012,  con  cui  il  giudice  della  fase
sommaria aveva, ai sensi dell'art. 18  comma  4  legge  n.  300/1970,
annullato il  licenziamento  per  giusta  causa,  intimato  a  Segata
Mariangela in data 8 luglio 2013, e ordinato la reintegrazione) -  22
aprile 2015  (data  della  sentenza  del  tribunale,  che,  ai  sensi
dell'art. 1  comma  51  e  segg.  legge  n.  92/2012,  aveva  accolto
l'opposizione proposta da Cassa Rurale di Trento  B.C.C.  Soc.  coop.
avverso detta ordinanza), [mentre nulla ha eccepito  in  ordine  alla
ripetibilita' delle somme (pari a complessivi € 23.081,17)  percepite
in relazione al periodo 8 luglio 2013 (data del licenziamento)  -  28
gennaio 2014 (data  dell'ordinanza  ex  art.  1  comma  49  legge  n.
92/2012, con cui il giudice  della  fase  sommaria  aveva,  ai  sensi
dell'art. 18 comma 4 legge n. 300/1970, annullato detto licenziamento
e ordinato la reintegrazione)]. 
    A sostegno dell'opposizione Segata Mariangela ha allegato che, in
relazione al periodo 28 gennaio 2014 (data dell'ordinanza ex  art.  1
comma 49 legge n. 92/2012) - 22 aprile 2015 (data della  sentenza  ex
art.  1  comma  51  e  segg.  legge  n.   92/2012   di   accoglimento
dell'opposizione) la societa' Cassa  Rurale  di  Trento  B.C.C.  Soc.
coop. le aveva  spontaneamente  corrisposto  la  retribuzione,  senza
pero' utilizzare la controprestazione offerta dalla  lavoratrice,  di
talche' ella era rimasta a disposizione del datore di  lavoro  (cosi'
testualmente a pag. 5 del ricorso in opposizione:  «Se  in  qualsiasi
momento dei tredici mesi in discussione Cassa Rurale di Trento avesse
richiamato immediatamente la Segata a riprendere il proprio servizio,
quest'ultima avrebbe dovuto essere pronta  e  per  tale  ragione,  in
questa situazione, non vi e' alcun  dubbio  che  non  poteva  trovare
occupazione alternative»). 
    Quindi la questione  sottesa  alla  controversia  consiste  nello
stabilire se siano ripetibili (tesi dell'ex datore ricorrente in  via
monitoria) o meno (tesi dell'ex lavoratrice opponente) le somme, pari
a complessivi € 40.332,60, che la Cassa Rurale di Trento B.C.C.  Soc.
coop. ha spontaneamente corrisposto a Segata Mariangela, senza  pero'
utilizzare  la  controprestazione  offerta  dalla   lavoratrice,   in
relazione al periodo intercorrente tra la data dell'ordinanza ex art.
1 comma 49 legge n. 92/2012 (28 gennaio 2014),  con  cui  il  giudice
della fase sommaria aveva, ai sensi dell'art. 18  comma  4  legge  n.
300/1970, annullato il licenziamento  per  giusta  causa  intimato  a
Segata Mariangela in data 8 luglio 2013 e ordinato la reintegrazione,
e la data della sentenza (22 aprile 2015), che, ai sensi dell'art.  1
comma 51 e  segg.  legge  n.  92/2012,  aveva  accolto  l'opposizione
proposta da Cassa Rurale di Trento B.C.C. Soc.  coop.  avverso  detta
ordinanza. 
 
                         Ritenuto in diritto 
 
    Viene  sollevata   d'ufficio   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 18 comma 4 legge 20  maggio  1970,  n.  300,
come novellato dall'art. 1 comma 42 lettera b) legge 28 giugno  2012,
n. 92 («Il giudice, nelle ipotesi in cui accerta  che  non  ricorrono
gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della  giusta  causa
addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto  contestato
ovvero perche' il fatto rientra tra  le  condotte  punibili  con  una
sanzione conservativa  sulla  base  delle  previsioni  dei  contratti
collettivi ovvero dei codici  disciplinari  applicabili,  annulla  il
licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione  nel
posto di lavoro di cui al primo comma e al pagamento di un'indennita'
risarcitoria commisurata retribuzione globale di fatto dal giorno del
licenziamento sino a quello  dell'effettiva  reintegrazione,  dedotto
quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione,  per
lo svolgimento di altre attivita' lavorative, nonche' quanto  avrebbe
potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una  nuova
occupazione. In ogni caso la misura dell'indennita' risarcitoria  non
puo' essere superiore a dodici mensilita' della retribuzione  globale
di fatto...») nella parte in cui, in contrasto  con  il  precetto  ex
art.    3    primo    comma    della    Costituzione,    attribuisce,
irragionevolmente, natura risarcitoria,  anziche'  retributiva,  alle
somme di denaro che il datore di lavoro e' tenuto a corrispondere  in
relazione al periodo intercorrente dalla  pronuncia  di  annullamento
del licenziamento e di condanna  alla  reintegrazione  nel  posto  di
lavoro provvisoriamente esecutiva fino all'effettiva riammissione  in
servizio o fino alla pronuncia di riforma della prima. 
Sulla rilevanza nel giudizio a quo. 
    Il giudizio in corso non puo' essere  definito  indipendentemente
dalla   soluzione   della   suddetta   questione   di    legittimita'
costituzionale. 
    Applicando la norma impugnata l'opposizione, proposta  da  Segata
Mariangela avverso il  decreto  ingiuntivo  emesso  in  favore  della
societa' Cassa Rurale di Trento B.C.C. Soc.  coop.,  dovrebbe  essere
integralmente rigettata. 
    Si e' gia' evidenziato nella parte dedicata alla descrizione  dei
fatti che la societa' Cassa Rurale di Trento B.C.C. Soc. coop. agisce
in ripetizione (tra  l'altro)  delle  somme,  pari  a  complessivi  €
40.332,60, versate in relazione al  periodo  28  gennaio  2014  (data
dell'ordinanza ex art. 1 comma  49  legge  n.  92/2012,  con  cui  il
giudice della fase sommaria aveva, ai  sensi  dell'art.  18  comma  4
legge n.  300/1970,  annullato  il  licenziamento  per  giusta  causa
intimato a Segata Mariangela in data 8  luglio  2013  e  ordinato  la
reintegrazione) - 22 aprile 2015 (data  della  sentenza  con  cui  il
tribunale, ai sensi dell'art. 1 comma 51 e segg.  legge  n.  92/2012,
aveva accolto l'apposizione proposta da Cassa Rurale di Trento B.C.C.
Soc. coop. avverso detta ordinanza). 
    La pretesa di Cassa Rurale di  Trento  B.C.C.  Soc.  coop.  trova
fondamento nel disposto ex art. 18 comma 4 legge  n.  300/1970  (come
novellato dall'art. 1 comma 42 lettera b) legge n. 92/2012), per  cui
il giudice, qualora annulli il licenziamento, condanna il  datore  di
lavoro  «al  pagamento  di  un'indennita'  risarcitoria   commisurata
all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento
sino a quello dell'effettiva reintegrazione»; 
        infatti, secondo l'orientamento (formatosi nella vigenza  del
precedente testo dell'art. 18 legge  n.  300/1970,  quale  risultante
dalla novella ex art. 1 legge 11 maggio 1990, n. 108, la cui  portata
normativa non e', pero', mutata in parte qua con la novella ex  legge
n. 92/2012, e cosi' consolidato  da  potersi  considerare  certamente
diritto vivente) della Suprema Corte (ex multis, di recente, Cass. 29
marzo 2016, n. 6054; Cass. 11 giugno 2015, n.  12124;  Cass.  ord.  3
luglio 2014, n. 15251;), le somme erogate in favore del lavoratore ai
sensi dell'art. 18 legge n. 300/1970 sono  giustificate  dall'obbligo
risarcitorio  derivante  dall'illegittimita'  del   licenziamento   e
debbono considerarsi ripetibili in ogni caso in cui il  provvedimento
giudiziale, che ha accertato l'illegittimita' del licenziamento,  sia
stato successivamente riformato, senza che assuma rilievo al riguardo
l'offerta da parte del lavoratore della propria prestazione; 
Sulla non manifesta infondatezza. 
 
                                 I) 
 
    Vigente il testo originario dell'art. 18 legge n. 300/1970 (comma
2: «Il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno subito per  il
licenziamento  di  cui  sia  stata   accertata   la   inefficacia   o
l'invalidita' a norma del comma precedente. In ogni caso,  la  misura
del risarcimento non potra' essere inferiore a cinque  mensilita'  di
retribuzione, determinata secondo i criteri di cui all'art. 2121  del
codice civile. Il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza di
cui  al  comma  precedente e'  tenuto  inoltre  a  corrispondere   al
lavoratore le retribuzioni dovutegli in virtu' del rapporto di lavoro
dalla data della sentenza stessa fino a quella della reintegrazione»)
la Suprema Corte (per tutte Cass.  S.U.  13  aprile  1988,  n.  2925)
statui' che, a seguito della pronuncia che dichiari  l'illegittimita'
del licenziamento e ordini la reintegrazione  nel  posto  di  lavoro,
l'obbligo del datore di lavoro,  inottemperante  a  tale  ordine,  di
corrispondere la  retribuzione  dovuta  in  virtu'  del  rapporto  di
lavoro, si fonda sulla riaffermata vigenza  della  lex  contractus  e
sulla  ininterrotta  continuita'  del  rapporto  di  lavoro  con   la
correlativa equiparazione, all'effettiva utilizzazione delle  energie
lavorative del dipendente, della mera  utilizzabilita'  di  esse,  in
relazione  alla  disponibilita'  del  lavoratore,  ove  richiesto,  a
riprendere servizio (salva la prova contraria, a carico del datore di
lavoro, della mancanza  di  detta  disponibilita');  quindi,  qualora
quell'ordine  venga   rimosso   con   sentenza   dichiarativa   della
legittimita' del licenziamento, le retribuzioni  maturate  fino  alla
pronuncia di tale sentenza, se gia' riscosse,  restano  irripetibili,
in applicazione dei principi posti dall'art. 2126 del  codice  civile
con riguardo al rapporto lavorativo di fatto. 
 
                                 II) 
 
    Vigente  il  testo  dell'art.  18  legge  n.  300/1970  novellato
dall'art. 1 legge n. 108/1990 (comma 4 «Il giudice con la sentenza di
cui al primo comma condanna il datore di lavoro al  risarcimento  del
danno subito dal lavoratore per il licenziamento  di  cui  sia  stata
accertata  l'inefficacia  o  l'invalidita'  stabilendo  un'indennita'
commisurata  alla  retribuzione  globale  di  fatto  dal  giorno  del
licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione»), come  si
e' gia' visto in  tema  di  rilevanza,  la  Suprema  Corte  (cfr.  le
pronunce ivi richiamate) ha ritenuto che tutti  gli  importi  erogati
dal datore di lavoro in esecuzione  della  pronuncia  che  ordina  la
reintegrazione  del  lavoratore  licenziato,  anche  per  il  periodo
successivo alla data di detta decisione,  costituiscono  risarcimento
del danno derivante dall'illegittimo licenziamento e come  tali  sono
interamente ripetibili a seguito della sentenza di riforma. 
    Cio' in quanto la novella ex legge n.  108/1990  ha  unificato  i
periodi pre- e post-pronuncia di reintegrazione nel posto  di  lavoro
sotto il comune denominatore  dell'obbligo  risarcitorio,  disponendo
che la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito
dal lavoratore per il licenziamento  inefficace  o  invalido  ha  per
oggetto «un'indennita' commisurata alla retribuzione globale di fatto
dal  giorno  del   licenziamento   sino   a   quello   dell'effettiva
reintegrazione»; 
    la  ripetibilita'  va   esclusa   solo   quando   all'ordine   di
reintegrazione segua l'effettiva ripresa dell'attivita' lavorativa in
quanto e' grazie a quest'ultima, e non gia' alla mera  offerta  della
prestazione lavorativa successiva all'ordine di  reintegrazione  (poi
riformato),  che  puo'  mutare  il  titolo  della  corresponsione  da
risarcitorio a retributivo. 
 
                                III) 
 
    Nell'attuale vigenza dell'art. 18 comma 4 legge n. 300/1970, come
novellato dall'art. 1  comma  42  lett.  b)  legge  n.  92/2012  («Il
giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono  gli  estremi
del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa  addotti  dal
datore di lavoro,  per  insussistenza  del  fatto  contestato  ovvero
perche' il fatto rientra tra le condotte punibili  con  una  sanzione
conservativa sulla base delle  previsioni  dei  contratti  collettivi
ovvero dei codici disciplinari applicabili, annulla il  licenziamento
e condanna il datore di  lavoro  alla  reintegrazione  nel  posto  di
lavoro di cui  al  primo  comma  e  al  pagamento  di'  un'indennita'
risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal
giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione,
dedotto  quanto  il  lavoratore  ha  percepito,   nel   periodo   di'
estromissione, per lo  svolgimento  di  altre  attivita'  lavorative,
nonche' quanto avrebbe potuto  percepire  dedicandosi  con  diligenza
alla ricerca di  una  nuova  occupazione.  In  ogni  caso  la  misura
dell'indennita' risarcitoria  non  puo'  essere  superiore  a  dodici
mensilita' della retribuzione globale di fatto...»)  -  al  quale  e'
assoggettata la vicenda in esame - la disciplina in parte qua non  e'
mutata, essendo sempre previsto che, nell'ipotesi di annullamento del
licenziamento e conseguente reintegrazione nel posto  di  lavoro,  la
condanna  pecuniaria  del   datore   di   lavoro   ha   per   oggetto
«un'indennita'  risarcitoria  commisurata   all'ultima   retribuzione
globale  di  fatto  dal  giorno  del  licenziamento  sino  a   quello
dell'effettiva reintegrazione». 
    Orbene, non appare  manifestamente  infondato  ritenere  che  sia
contraria al principio di razionalita' - insito nel precetto ex  art.
3 primo comma della Costituzione,  svincolato  da  una  normativa  di
raffronto    e    «rintracciato    nell'esigenza    di    conformita'
dell'ordinamento a valori di giustizia e di equita' e  a  criteri  di
coerenza logica, teleologica e storico-cronologica»  (Corte  cost.  9
aprile 2014, n. 162; Corte cost. 14 febbraio 2012, n. 87; Corte cost.
18 novembre 1991, n. 421) - la qualificazione giuridica in termini di
risarcimento del danno attribuita  direttamente  dal  legislatore  al
pagamento delle somme (commisurate all'ultima retribuzione globale di
fatto) che il datore di lavoro e' tenuto a versare  in  relazione  al
periodo successivo alla pronuncia di annullamento del licenziamento e
di condanna alla reintegrazione. 
    Infatti: 
        a) 
          lo stesso art. 18 comma  4  legge  n.  300/1970,  novellato
dalla legge n. 92/2012, prevede  espressamente  che  il  giudice,  se
accoglie la domanda, «annulla il licenziamento» e «condanna il datore
di lavoro alla reintegrazione nel posto  di  lavoro»  (con  pronuncia
immediatamente esecutiva ex articoli 282 e 431  comma  1  cod.  proc.
civ. se costituita da una sentenza, ex  art.  669-octies  cod.  proc.
civ. se costituita da un provvedimento d'urgenza, ex art. 1 comma  50
legge n. 92/2012 se costituita da un'ordinanza ex rito speciale); 
          cio'  dovrebbe  comportare  - in  virtu'  della  prescritta
condanna del datore alla  reintegrazione  nel  posto  di  lavoro,  la
quale,  per  espressa  volonta'  del  legislatore,  costituisce   una
statuizione  condannatoria,  volta  all'adeguamento   della   realta'
materiale  al  decisum,  in  mera   dipendenza   con   l'accertamento
costitutivo e compatibile con la produzione dell'effetto  costitutivo
in  un  momento  temporale  successivo  (in   questi   termini,   con
riferimento alla vexata quaestio della provvisoria esecutivita' delle
sentenze costitutive, Cass. S.U. 29 luglio 2010, n.  4059;  Cass.  29
luglio 2011, n. 16737;) - il ripristino del rapporto di lavoro; 
          ma allora, se sussiste nuovamente il  rapporto  di  lavoro,
esso sara' produttivo degli effetti  che  gli  sono  propri  (la  cd.
«riaffermata vigenza della lex contractus» evidenziata da Cass.  S.U.
2925/1988  cit.;),  vale  a   dire   costituira'   nuovamente   fonte
dell'obbligazione  di  prestazione  di  lavoro  e   dell'obbligazione
retributiva (la quale, di' regola, ha per oggetto la dazione  di  una
somma di denaro); 
          quindi attribuire ai  versamenti  delle  somme  di  denaro,
effettuati da colui che in quel momento e' a  tutti  gli  effetti  il
datore di lavoro in favore di colui che in quel momento  e'  a  tutti
gli effetti il lavoratore, natura di risarcimento danni significa non
distinguere tra l'obbligazione (retributiva) cd.  primaria  e  finale
scaturente dal rapporto di  lavoro  (ripristinato)  e  l'obbligazione
(risarcitoria)    cd.    secondaria    e    strumentale    scaturente
dall'inadempimento della prima; 
          inoltre, affermare che  le  somme  erogate  in  favore  del
lavoratore dopo la pronuncia di annullamento del licenziamento  e  di
reintegrazione nel posto di lavoro  «sono  giustificate  dall'obbligo
risarcitorio   derivante   dall'illegittimita'   del   licenziamento»
comporta attribuire al  licenziamento  un'efficacia  successiva  alla
reintegrazione  nel  posto  di  lavoro,  il   che   dovrebbe   essere
incompatibile con il ripristino della  situazione  preesistente  alla
condanna del datore di lavoro alla reintegrazione del prestatore  nel
posto di lavoro; 
        b) 
          attribuire  natura  risarcitoria  alle  somme  versate  dal
datore   successivamente   alla   pronuncia   di   annullamento   del
licenziamento e di reintegrazione  nel  posto  di  lavoro  appare  in
contrasto con la realta' ontologica del rapporto  di  lavoro,  quale,
solitamente, si concretizza in quel momento: 
          il datore di  lavoro  e'  consapevole  di  dover  adempiere
l'obbligazione retributiva e, quindi. di regola, effettua i  relativi
versamenti in denaro in favore del lavoratore al fine di non  esporsi
a iniziative monitorie di quest'ultimo; 
          il lavoratore - ed e' cio' che piu' rileva - e' consapevole
di dover adempiere l'obbligazione di lavoro e, quindi, di regola  (in
particolare se nelle more del giudizio non aveva  trovato  una  nuova
occupazione),  si  mette  a  disposizione  del  datore  al  fine   di
effettuare nuovamente le prestazioni; 
          qualora il datore di lavoro non  presti  la  collaborazione
necessaria ai fini  di  un  proficuo  utilizzo  da  parte  sua  della
prestazione offerta dal lavoratore, si realizza  un'ipotesi  di  mora
accipiendi (con conseguente impossibilita'  del  datore  di  eccepire
l'inadempimento   del   prestatore   e,   quindi,   con   correlativa
equiparazione, ai fini della spettanza della retribuzione, della mera
utilizzabilita' delle energie lavorative del dipendente all'effettiva
utilizzazione); 
          si tratta di una situazione complessa non certo  riducibile
a  una  mera  produzione  di   danno   derivante   da   licenziamento
illegittimo; 
        c) 
          la limitazione, per  effetto  della  novella  ex  legge  n.
92/2012,   a   dodici   mensilita'   della   misura   dell'indennita'
risarcitoria  rende  ancora  meno   ragionevole   la   qualificazione
giuridica  in  termini  di  risarcimento  del  danno  (e  quindi   la
ricomprensione in detta indennita' del pagamento delle somme  versate
dal datore in relazione  al  periodo  successivo  alla  pronuncia  di
annullamento del licenziamento e di condanna alla reintegrazione); 
          infatti, se l'indennita' risarcitoria riguardasse non  solo
il danno effettivamente derivante dal licenziamento  illegittimo,  ma
anche le retribuzioni afferenti il periodo successivo alla  pronuncia
di annullamento del licenziamento e di condanna alla  reintegrazione,
il datore,  nell'ipotesi  in  cui  questa  pronuncia  intervenisse  a
distanza di oltre dodici mesi dal licenziamento,  potrebbe  (oltre  a
non fornire la collaborazione necessaria al proficuo  utilizzo  della
prestazione offerta dal lavoratore)  legittimamente  non  versare  le
somme corrispondenti alla retribuzione globale di fatto afferenti  i'
mesi successivi; 
        d) 
          ritenere che solo l'effettiva riammissione  del  lavoratore
in servizio sia in grado di mutare da risarcitorio a  retributivo  la
natura del titolo di corresponsione  delle  somme  (commisurate  alle
retribuzioni  maturate)  versate  dal  datore  successivamente   alla
pronuncia di annullamento del licenziamento e di  reintegrazione  nel
posto di lavoro implica conseguenze dubbie sul piano del principio di
eguaglianza nel caso di successiva riforma di detta pronuncia: 
le somme - che il datore versa al lavoratore dopo averlo riammesso in
servizio, adempiendo cosi' l'obbligo (Cass. 18 maggio 2012, n.  7963;
Cass. 2 gennaio 2002, n. 10;), su di  lui  gravante,  di  fornire  la
collaborazione necessaria  al  proficuo  utilizzo  della  prestazione
lavorativa - sono certamente  irripetibili,  stante  la  loro  sicura
natura retributiva, trovando causa nello scambio con  la  prestazione
stessa; 
invece, qualora il datore si limiti a versare la retribuzione, ma non
riammetta in servizio il lavoratore, rendendosi cosi' inadempiente al
suddetto obbligo  di  collaborazione,  potra',  invocando  la  natura
risarcitoria  dei  pagamenti  effettuati,   agire   in   ripetizione,
adducendo che  la  riforma  della  pronuncia  di  annullamento  e  di
reintegrazione   ha   fatto   venir   meno    l'illegittimita'    del
licenziamento; 
verrebbe cosi' premiata - anziche' la condotta legalitaria del datore
che, in presenza di una  pronuncia  giudiziale  di  annullamento  del
licenziamento e di condanna alla reintegrazione nel posto  di  lavoro
provvisoriamente esecutiva, abbia proceduto a riammettere in servizio
il lavoratore -  una  sorta  di  scommessa  del  datore  inadempiente
rispetto all'obbligo di collaborazione: egli versa  la  retribuzione,
ma non riammette  in  servizio  il  lavoratore  (anche  approfittando
dell'insuscettibilita'   di   esecuzione   forzata   dell'ordine   di
reintegrazione - ex multis Cass. 6 maggio 1999,  n.  4543;  Cass.  17
dicembre 1987, n. 9373), cosi' da poter agire in ripetizione nel caso
di accoglimento dell'impugnazione della pronuncia di annullamento del
licenziamento  e  di  reintegrazione  nel  posto   di   lavoro,   pur
esponendosi al rischio di un esborso  senza  corrispettivo  effettivo
nel caso di rigetto dell'impugnazione medesima; 
in   proposito   autorevole   dottrina   ha   gia'    rilevato    che
l'irripetibilita'  delle  somme  versate  dal  datore  al  lavoratore
successivamente alla pronuncia di annullamento  e  di  reintegrazione
mira a evitare che  il  datore  sia  disincentivato  dall'ottemperare
integralmente  all'ordine  di   reintegrazione   (forma   questa   di
persuasione assolutamente opportuna stante l'ineseguibilita' coattiva
dell'ordine di reintegrazione); 
        e) 
          l'attribuzione  della  natura  retributiva  ai   versamenti
effettuati dal  datore  nel  periodo  successivo  alla  pronuncia  di
annullamento e di  reintegrazione  non  comporta  che,  nel  caso  di
successiva  riforma,  la  fonte  del  diritto  del  lavoratore  debba
rinvenirsi solamente nel processo (e cio'  in  palese  contraddizione
con il principio generale per  cui  il  processo  e'  solo  luogo  di
attuazione di diritti gia' acquisiti); infatti la situazione venutasi
a creare dopo la pronuncia di annullamento e di reintegrazione assume
dopo la riforma della stessa i tratti della fattispecie  (di  diritto
sostanziale e non  gia'  processuale)  prevista  dall'art.  2126  del
codice civile, come gia' ritenevano le Sezioni  Unite  della  Suprema
Corte (Cass. S.U. 2925/1988 cit.) nella vigenza dell'originario  art.
18 legge n. 300/1970. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visto l'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 18  comma  4  legge  20  maggio
1970, n. 300, come novellato dall'art. 1 comma 42 lettera b) legge 28
giugno 2012, n. 92 nella parte in cui, in contrasto con  il  precetto
ex   art.   3   primo   comma   della   Costituzione,    attribuisce,
irragionevolmente, natura risarcitoria,  anziche'  retributiva,  alle
somme di denaro che il datore di lavoro e' tenuto a corrispondere  in
relazione al periodo intercorrente dalla  pronuncia  di  annullamento
del licenziamento e di condanna  alla  reintegrazione  nel  posto  di
lavoro  provvisoriamente   esecutiva   fino   all'effettiva   ripresa
dell'attivita' lavorativa o fino  alla  pronuncia  di  riforma  della
prima. 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale; 
    Sospende il giudizio in corso; 
    Dispone che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza  sia
notificata alle parti in causa e  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, nonche' comunicata  ai  presidenti  delle  due  Camere  del
Parlamento. 
        Cosi' deciso in Trento, in data 26 luglio 2016 
 
                          Il Giudice: Flaim 
 
 
                                    Il funzionario giudiziario: Zorzi