N. 261 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 maggio 2016

Ordinanza del 6 maggio 2016 della Commissione tributaria regionale di
Napoli sul ricorso proposto da Ciotola Romualdo contro Agenzia  delle
entrate - Direzione provinciale di Napoli. 
 
Imposte e tasse - Accertamento tributario - Diritti  e  garanzie  del
  contribuente  sottoposto  a  verifiche  fiscali  -  Contraddittorio
  endoprocedimentale  -  Ambito   di   applicazione   -   Onere   del
  contribuente. 
- [Legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia  di  statuto
  dei diritti del contribuente), art. 12, comma 7] 
(GU n.1 del 4-1-2017 )
 
            LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DI NAPOLI 
                             Sezione 47 
 
    Riunita con l'intervento dei signori: Notari Alfredo Presidente e
relatore, Barbarano Alfonso giudice, Catalano Anna Carla giudice,  ha
emesso la seguente ordinanza collegiale  interlocutoria  sull'appello
n. 9515/2015 depositato il 28 settembre 2015 avverso la  sentenza  n.
6305/2015 - sez. 37, emessa dalla Commissione tributaria  provinciale
di Napoli, contro Agenzia delle entrate - Direzione provinciale I  di
Napoli, proposto dall'appellante Ciotola Romualdo, via C.  Pavese  n.
60/A - 80010 Quarto (Napoli), difeso da Lombardo Massimo, via  Cicori
n. 18 - 80010 Quarto (Napoli). 
    Atti  impugnati:  avviso  di  accertamento  n.  TF3010601571/2013
IRPEF-ADD.REG. 2009. 
Svolgimento del processo. 
    Con l'impugnata sentenza la C.T.P. di Napoli rigettava il ricorso
proposto da Ciotola Romualdo avverso l'avviso di accertamento come da
epigrafe speditogli dall'Agenzia delle entrate di Napoli in ordine  a
pretese imposte dirette ed IVA per il  2009  previo  accertamento  in
rettifica del reddito dichiarato con applicazione del disposto di cui
all'art. 39 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600/1973. 
    Il ricorrente aveva dedotto il difetto di contraddittorio  ed  il
mancato  rispetto  dei  presupposti  di  cui  all'art.   39   citato,
contestando nel merito  quell'accertamento  siccome  non  motivato  e
comunque fondato su elementi deduttivi arbitrari. 
    L'Agenzia delle entrate di Napoli si era  costituita  contestando
in fatto ed in diritto ogni avversa deduzione e  ribadendo  la  piena
legittimita' formale e sostanziale del proprio operato. 
    La C.T.P. di' Napoli riteneva infondate tutte le doglianze calate
in ricorso. 
    Avverso tale sentenza proponeva appello il Ciotola, deducendo che
i primi giudici avevano omesso ogni esame sulla questione del mancato
rispetto del contraddittorio, errando poi nel  ritenere  bastevole  e
congrua la motivazione dell'atto impositivo in oggetto. 
    Radicatasi  la  lite,  l'Agenzia  delle  entrate  di  Napoli   si
costituiva  ritualmente,   deducendo   sia   l'inammissibilita'   che
l'infondatezza del gravame. 
    Indi questo  collegio  ha  adottato  la  deliberazione,  come  da
dispositivo e motivi qui contenuti, all'udienza odierna, svoltasi con
le formalita' di cui all'art. 34,  decreto  legislativo  n.  546/1992
nella ricorrenza di ogni requisito previsto dalla detta norma. 
Motivi della decisione. 
    S'impone ai fini del decidere - previamente rilevato che i  primi
giudici  hanno  del  tutto  omesso,  in  violazione   dell'art.   112
del codice di procedura civile,  di  occuparsi  della  doglianza  del
Ciotola in ordine alla dedotta  mancanza  di'  contraddittorio  -  la
delibazione di questa C.T.R. circa la questione di costituzionalita',
da  sollevarsi  d'ufficio,  in  ordine  al   problema,   strettamente
funzionale alla decisione della presente causa, della legittimita'  o
non del mancato rispetto del  contraddittorio  endoprocedimentale  in
materia tributaria, pur quando, come nella specie, un obbligo in  tal
senso non risulti espressamente previsto per legge. 
    Il problema e' stato  di  recente  affrontato  dalle  S.U.  della
Cassazione con la sentenza n. 24823 depositata il 9 dicembre 2015. 
    Per inquadrarlo nei suoi precisi contorni torna  utile  riportare
testualmente proprio quanto la detta  sentenza  reca  in  esordio  di
motivazione: «La questione rimessa all'esame di queste Sezioni  unite
investe il punto centrale della controversia. Concerne,  infatti,  il
se le garanzie, di carattere  procedimentale,  predisposte  dall'art.
12, comma 7, legge n. 212/2000 (Formazione di un verbale di  chiusura
delle operazioni; rilascio di copia  del  medesimo  al  contribuente;
facolta' del contribuente di comunicare osservazioni  e  richieste  e
corrispondente  dovere  dell'ufficio  di   valutarle;   divieto   per
l'ufficio di emettere avviso di accertamento prima della scadenza del
termine dilatorio di  sessanta  giorni  dal  rilascio  di  copia  del
verbale, salva la ricorrenza di particolare e  motivata  urgenza)  si
applichino soltanto agli accertamenti emessi  in  esito  ad  accessi,
ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove  si  esercita
l'attivita' imprenditoriale o professionale del contribuente;  ovvero
se esse - in  quanto  espressione  di  un  generalizzato  obbligo  di
contraddittorio  nell'ambito  del  procedimento   amministrativo   di
formazione  dell'atto  fiscale,  eventualmente  riferibile   a   dati
normativi aliunde desumibili nell'ordinamento nazionale o  in  quello
dell'Unione europea - operino pure  in  relazione  agli  accertamenti
conseguenti ad ogni altro tipo di verifica fiscale e, in particolare,
in relazione agli  accertamenti  derivanti  da  verifiche  effettuate
presso la sede dell'ufficio, in base alle notizie acquisite da  altre
pubbliche amministrazioni, da terzi ovvero dallo stesso contribuente,
in conseguenza  della  compilazione  di  questionari  o  in  sede  di
colloquio (cd. "verifiche a tavolino"). Cio' con  la  specificazione,
ove si accedesse  alla  soluzione  della  generalizzata  applicazione
della garanzia del  contraddittorio  procedimentale,  delle  concrete
modalita'  di  sua  attuazione  in  relazione  alle   verifiche   non
direttamente contemplate  dalla  disposizione  sopra  citata  nonche'
delle conseguenze della sua inosservanza». 
    Questi dunque, in estrema sintesi, i termini della questione:  se
sussista   nel   nostro   diritto   positivo   un    principio    del
contraddittorio, estraibile dall'art. 12, comma 7, legge n.  212/2000
o, se si vuole, dalla  sua  espansione  ermeneutica,  oppure  se  si'
tratti  di  disposizione  strettamente  applicabile  all'ipotesi   di
accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali  ove  si
esercita   l'attivita'   imprenditoriale    o    professionale    del
contribuente. 
    La soluzione adottata dalle S.U. - va detto subito - non convince
del tutto questa C.T.R. per piu' di una ragione. 
 
                                - I - 
 
    Per meglio intendersi occorre, per cosi' dire,  cominciare  dalla
fine e cioe' dalla  massima  affermata  nella  sentenza  n.  24823/15
all'esito di un'articolata esposizione motiva:  «Differentemente  dal
diritto dell'Unione europea, il diritto nazionale, allo  stato  della
legislazione, non pone in capo  all'Amministrazione  fiscale  che  si
accinga  ad  adottare  un  provvedimento  lesivo  dei   diritti   del
contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un  generalizzato
obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante,  in  caso
di violazione, l'invalidita' dell'atto. Ne consegue che, in  tema  di
tributi  "non  armonizzati'',   l'obbligo   dell'Amministrazione   di
attivare il contraddittorio  endoprocedimentale,  pena  l'invalidita'
dell'atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per  le
quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema
di tributi "armonizzati", avendo luogo la  diretta  applicazione  del
diritto dell'Unione, la violazione dell'obbligo  del  contraddittorio
endoprocedimentale da parte  dell'Amministrazione  comporta  in  ogni
caso, anche in campo tributario, l'invalidita' dell'atto, purche', in
giudizio, il contribuente assolva l'onere di enunciare in concreto le
ragioni che avrebbe potuto far  valere,  qualora  il  contraddittorio
fosse stato tempestivamente attivato, e che  l'opposizione  di  dette
ragioni  (valutate   con   riferimento   al   momento   del   mancato
contraddittorio), si riveli  non  puramente  pretestuosa  e  tale  da
configurare, in relazione al canone generale di correttezza  e  buona
fede  ed  al  principio  di  lealta'  processuale,  sviamento   dello
strumento  difensivo  rispetto  alla  finalita'  di  corretta  tutela
dell'interesse sostanziale, per le quali e' stato predisposto». 
    Tale massima e' dunque scindibile in tre proposizioni essenziali: 
        1. Il diritto nazionale, a differenza del diritto dell'Unione
europea, non fissa alcun  obbligo  generalizzato  di  contraddittorio
endoprocedimentale, donde possa  derivare,  in  assenza  di  espressa
previsione, l'invalidita' dell'atto  in  caso  di  mancanza  di  esso
contraddittorio. 
        2. Pertanto per i tributi previsti solo dal  diritto  interno
(cd. tributi non armonizzati)  l'obbligo  del  detto  contraddittorio
sussiste solo se previsto testualmente, mentre  in  tema  di  tributi
disciplinati anche da norme europee (cd.  tributi  armonizzati)  esso
obbligo sussiste sempre. 
        3. In ogni caso tuttavia la sanzione della nullita' vi  resta
ascritta a condizione che il  contribuente  in  giudizio  esponga  le
ragioni che avrebbe fatto valere e che esse non appaiano  pretestuose
o comunque devianti dai canoni di correttezza e lealta'. 
 
                               - II - 
 
    Orbene, dovendosi tener conto dell'iter logico  sottesovi,  viene
anzitutto in considerazione l'attento e scrupoloso excursus  compiuto
dai Supremi giudici  sulla  giurisprudenza  invalsa  in  ordine  alla
complessiva tematica in discorso. 
    Essi iniziano col ricordare che prima della sentenza  delle  S.U.
della Cassazione n. 18184/13 non  si  era  minimamente  dubitato  del
fatto che il perimetro applicativo dell'art. 12, comma 7, della legge
n.  212/2000  fosse  quello  testualmente  definito.  Sol  che,   non
contemplandosi espressamente sanzioni per l'ipotesi di violazione  da
parte dell'Agenzia degli obblighi sanciti a suo carico, era sorto  il
dibattito   in   merito   all'identificazione    delle    conseguente
dell'inosservanza degli obblighi suddetti. I contrasti  manifestatisi
in proposito erano stati composti appunto dalla  citata  sentenza  n.
18184/13 che -  disattendendo  precedenti  pronunce  (cfr.  Cass.  n.
16092/12; n. 21103/11; n. 19875/08) attestate sulla  postulazione  di
conseguenze di mera irregolarita' -  aveva  sancito  che  la  mancata
osservanza  del  previsto  termine  dilatorio  di'  sessanta   giorni
comportava la nullita' dell'atto impositivo emesso ante tempus, salva
la ricorrenza di comprovate ragioni d'urgenza. 
    E'  peraltro  interessante  sottolineare  che   le   S.U.   della
Cassazione   con   tale   pronuncia   n.   18184/13,   pur   evitando
interpretazioni estensive di esso  art.  12,  avevano  divisato,  nel
silenzio della legge,  una  nullita'  cd.  virtuale,  ascrivibile  in
ispecie  ad  una  deviazione  intollerabile  dal  modello   normativo
prescritto, che -  come  ricordato  testualmente  nella  sentenza  n.
24823/15 in discorso - «introiettando,  con  riguardo  all'ambito  di
applicazione di riferimento, principi (di collaborazione e buona fede
nei rapporti  tra  amministrazione  e  contribuente)  di  derivazione
costituzionale   e   comunitaria,   configura   il    contraddittorio
endoprocedimentale, nelle verifiche considerate, quale indispensabile
strumento di tutela del  contribuente  e  di  garanzia  del  migliore
esercizio   della   potesta'    impositiva    anche    nell'interesse
dell'Amministrazione». 
    Indi essa sentenza  n.  24823/15,  dopo  aver  citato  pedisseque
interpretazioni restrittive della norma  in  esame  quanto  alla  sua
sfera di operativita' (Cass. n. 26316/10; n. 21391/14;  n.  15583/14;
n. 13588/14; n. 7598/14; ed altre), non tace di decisioni  dissonanti
dalle stesse, quali la pronuncia di legittimita' n. 2594/14,  pur  se
ritenuta inficiata da qualche fraintendimento, e soprattutto, in modo
piu' netto, le  pronunce  delle  S.U.  n.  19667/14  e  n.  19668/14,
riconosciute tuttavia limitate allo specifico tema  delle  iscrizioni
ipotecarie cola' contemplato. 
    Di poi, nel menzionare le pronunce della Cassazione n. 25759/14 e
n. 406/15 - per le quali il rispetto del contraddittorio sancito  per
gli  accertamenti  fondati   su   ipotesi   di   abuso   di   diritto
nominativamente  contemplate  dal  quarto  comma  dell'art.   37-bis,
decreto del Presidente della Repubblica n. 600/1973 (poi  abrogato  e
sostituito  dall'art.  10-bis  della  legge  n.   212/2000),   doveva
ritenersi operante anche in relazione  agli  accertamenti  basati  su
fattispecie atipiche di abuso di diritto - la sentenza n. 24823/15 ne
esplica le ragioni cosi' esprimendosi: «In applicazione dei  principi
costituzionali (segnatamente, di quello di cui all'art.  3  Cost.)  e
considerata l'esigenza che l'interpretazione  del  diritto  nazionale
sia  per  quanto  possibile  conforme  ai  principi  dell'ordinamento
europeo, a tale conclusione le citate  decisioni  sono  pervenute  in
base al rilievo che le indicate ipotesi di abuso di  diritto  non  si
distinguono morfologicamente dai corrispondenti abusi di  diritto  di
natura  comunitaria,  sicche'  un  diverso  trattamento  in  tema  di
contraddittorio risulterebbe razionalmente intollerabile». 
    Dopodiche'  e'  dato  leggere  che  la   sentenza   della   Corte
costituzionale  n.  132/15  -  per  la   quale   il   contraddittorio
endoprocedimentale previsto come  condizione  di  legittimita'  degli
accertamenti fondati sulle ipotesi tipizzate di abuso di diritto deve
estendersi agli accertamenti basati su ipotesi innominate di abuso di
diritto - non avrebbe offerto «alcun utile contributo al dibattito in
rassegna». Eppure non si trascura il rilievo che la  detta  pronuncia
n. 132/15 «evoca il principio generale  di  diritto  comunitario  del
rispetto dei diritti di difesa», pur se asseritamente «al solo  scopo
di  contrastare,  controbilanciandolo,  l'assunto,  in  detta  ottica
prospettato dall'intervenuta Presidenza del Consiglio  dei  ministri,
secondo cui l'obbligo di contraddittorio  sancito  dall'art.  37-bis,
decreto del Presidente della Repubblica n. 600/1973  dovrebbe  essere
sacrificato sull'altare del principio  di  effettivita'  del  diritto
comunitario  e  dell'obbligo   del   giudice   nazionale,   ad   esso
conseguente, di disapplicare le norme processuali di diritto  interno
che ne possano ostacolare la realizzazione». 
 
                               - III - 
 
    In  ogni  caso,  delineato   il   quadro   giurisprudenziale   di
riferimento e procedendo all'analisi della  disciplina  positiva,  le
S.U. affermano di dover esaminare in progressione: 
        A) se la disposizione dell'art. 12, comma 7, della  legge  n.
212/2000 possa interpretarsi nel senso della  predisposizione  di  un
obbligo di contraddittorio endoprocedimentale generalizzato; 
        B)   se   tale   obbligo   derivi   da   altre   disposizioni
dell'ordinario ordinamento nazionale; 
        C)   se   esso   derivi   invece   direttamente   da    norme
costituzionali; 
        D)  oppure  se  il  medesimo  scaturisca   da   norme   dell'
ordinamento europeo. 
    Ebbene: 
        A) sul primo punto le S.U. trovano agevole constatare che  la
previsione  dell'art.  12  citato  e'  riferita   agli   accertamenti
conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate  nei
locali ove si esercita l'attivita'  imprenditoriale  o  professionale
del contribuente, precisando che: 
          a) a volervi ravvisare la fonte di un generalizzato diritto
del contribuente al contraddittorio  fin  dalla  fase  di  formazione
della  pretesa  fiscale,   si   finirebbe   col   porre   in   essere
un'inammissibile interpretazione abrogans di parte  qualificante  del
dato normativo; 
          b)  la   limitazione   in   parola   della   garanzia   del
contraddittorio  si  spiega  con   la   peculiarita'   di   verifiche
caratterizzate dall'intromissione dell'ufficio tributario nei  luoghi
di' pertinenza del contribuente alla diretta ricerca  di  elementi  a
lui sfavorevoli; 
        B) sul secondo punto le S.U.  escludono  che  un  obbligo  di
contraddittorio generalizzato possa riscontrarsi in  altre  norme  di
diritto positivo, ma ammettono che plurime  disposizioni  prescrivono
tale contraddittorio, pur se con modalita' ed effetti diversi,  quali
gli articoli 3, comma 185, legge n. 549/1995 e 10, comma 3-bis, legge
n. 146/1998 in tema di «accertamenti  standardizzati»;  gli  articoli
36-bis, comma 3, decreto del Presidente della Repubblica n.  600/1973
e 54-bis,  comma  3,  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
633/1972  nonche'  l'art.  6,  comma  5,  legge  n.   212/2000,   con
riferimento  alle   liquidazioni   delle   imposte   in   base   alla
dichiarazione; l'art. 36-ter, comma 4, decreto del  Presidente  della
Repubblica n.  600/1973,  in  rapporto  al  controllo  formale  delle
dichiarazioni ai fini delle imposte  dirette;  l'art.  38,  comma  7,
decreto del Presidente della Repubblica n. 600/1973 (come  modificato
dall'art. 22, comma 1, decreto-legge n. 78/2010, convertito in  legge
n.  122/2010),  in  tema  di  accertamento  sintetico;  il  comma  11
dell'art. 110 in tema di recupero a tassazione di deduzioni di  costi
relativi ad operazioni intercorse con imprese con sede in Paesi black
list; il comma 4 dell'art. 37-bis (introdotto dal decreto legislativo
n. 358/1997 e poi abrogato dall'art. 1, comma 2, decreto  legislativo
n. 128/2015), in merito  agli  accertamenti  in  materia  di  imposte
dirette fondati su ipotesi di abuso di diritto; il comma 6  dell'art.
10-bis della legge n. 212/2000  (introdotto,  in  sostituzione  della
disposizione  prima  esaminata,  dall'art.  1,   comma   1,   decreto
legislativo n. 128/2015); l'art. 11, comma 4-bis, decreto legislativo
n. 374/1990 (introdotto  dall'art.  92,  comma  1,  decreto-legge  n.
1/2012, convertito in legge n. 27/2012), in  materia  doganale.  Cio'
premesso: 
          a)  anzitutto  la  conclusione  cui  pervengono  i  Supremi
giudici e' la seguente: «la ricorrenza, in campo tributario,  di  una
pluralita'   di   norme   che    prescrivono    il    contraddittorio
endoprocedimentale in rapporto ad atti  specifici,  lungi  dal  poter
assurgere ad indice dell'esistenza, nell'ordinamento  tributario,  di
una clausola generale di contraddittorio endoprocedimentale,  assume,
ineludibilmente, la valenza opposta»; 
          b) in secondo luogo l'art. 22, comma  1,  decreto-legge  n.
78/2010, convertito in legge n. 122/2010, che ha introdotto l'obbligo
del contraddittorio per gli accertamenti  sintetici  ed,  in  materia
doganale, l'art. 92, comma 1, decreto-legge n. 1/2012, convertito  in
legge n. 27/2012, contemplante lo stesso obbligo anche per  l'ipotesi
di revisione eseguita in ufficio, vengono definiti come conferma, con
argomento a contrario,  della  tesi  che  allo  stato  attuale  della
legislazione non sussiste nell'ordinamento tributario  nazionale  una
clausola generale di contraddittorio endoprocedimentale; 
          c) negli stessi sensi viene poi interpretato il rilievo che
la legge n. 23/2014, di delega al Governo per la riforma del  sistema
fiscale, inserisce tra i principi e criteri direttivi della delega la
previsione di forme di contraddittorio  propedeutiche  alla  adozione
degli atti di accertamento dei  tributi  (cfr.  l'art.  1,  comma  1,
lettera b), nonche' il rafforzamento del contraddittorio  nella  fase
di indagine e la subordinazione dei successivi atti di accertamento e
di liquidazione all'esaurimento  del  contraddittorio  procedimentale
(vedi l'art. 9, comma 1, lettera b); 
        C) sul  terzo  punto  la  sentenza  delle  S.U.  n.  24823/15
espressamente esclude che l'esistenza  di  un  generalizzato  obbligo
dell'Amministrazione     di     attivare      il      contraddittorio
endoprocedimentale in  campo  tributario  possa  essere  direttamente
ancorato  all'art.  24  Cost.,  trattandosi  di  garanzie   attinenti
all'ambito giudiziale, o all'art. 97 Cost,  norma  che  non  reca  il
benche' minimo indice  rivelatore  dell'indefettibilita'  di  un  tal
contraddittorio; 
        D) sul quarto punto  la  sentenza  in  discorso  osserva  che
l'ordinamento   europeo   adotta   in   tema    di    contraddittorio
endoprocedimentale in  materia  tributaria  un'impostazione  diversa,
estraibile: 
          a) dalla giurisprudenza della Corte  di  giustizia  europea
(cfr. sentenze: 3 luglio 2014, in  causa  C-129  e  C/130/13,  Kamino
International Logistics; 22 ottobre 2013,  in  causa  C-276/12, Jiri'
Sabou; 18 dicembre 2008, in causa  C-349/07,  Soprope';  12  dicembre
2002, causa C-395/00, Soc. Distillerie Cipriani; 21  settembre  2000,
in causa C-462/98 P, Mediocurso c. Commissione; 4  ottobre  1996,  in
causa C-32/95 c. Lisrestat), giurisprudenza che configura il rispetto
del contraddittorio nell'ambito del procedimento amministrativo,  non
escluso   quello   tributario,   come   un   principio   fondamentale
dell'ordinamento, sicche' il destinatario di  provvedimento  teso  ad
incidere sensibilmente sui suoi interessi deve, pena  la  caducazione
del  provvedimento  medesimo,   essere   messo   preventivamente   in
condizione di manifestare utilmente il suo punto di vista  in  ordine
agli elementi sui quali l'amministrazione intende fondare la  propria
decisione (cfr., in particolare, la decisione 18  dicembre  2008,  in
causa C-349/07, Soprope', punti 36 e 37); 
          b)  dall'art.  41  della  Carta  dei  diritti  fondamentali
dell'Unione europea, norma che, avendo  assunto  il  medesimo  valore
giuridico  dei  trattati,  prevede  che  il  diritto  ad  una   buona
amministrazione deve ritenersi inclusivo del diritto di ogni  persona
ad essere ascoltata prima che nei suoi confronti  venga  adottato  un
provvedimento individuale che le rechi pregiudizio (cfr. anche citate
sentenze Jiri' Sabou e Kamino International Logistics). 
    Alla  stregua  di  quanto  esposto,  le  S.U.  in   primo   luogo
puntualizzano che la Corte di  giustizia  europea  nondimeno  intende
l'obbligo del contraddittorio in termini restrittivi e  non  formali,
segnatamente esigendo che la nullita'  per  violazione  del  medesimo
presupponga la verifica che viceversa il procedimento avrebbe  potuto
comportare un risultato diverso (cfr. sentenze di  essa  Corte  sopra
richiamate ed  in  particolare  3  luglio  2014,  in  causa  C-129  e
C/130/13, Kamino International Logistics, punti 78-82). 
    Di poi esse registrano  che  sul  tema  in  rassegna  non  vi  e'
coincidenza tra disciplina europea e disciplina nazionale, in  quanto
la prima prevede il  contraddittorio  endoprocedimentale  in  materia
tributaria  quale  principio  di  generale  applicazione,  mentre  la
seconda lo delinea quale obbligo gravante sull'Amministrazione a pena
di nullita' dell'atto soltanto in  relazione  ai  singoli  (ancorche'
molteplici)  atti  per  i  quali  detto  obbligo  e'   esplicitamente
contemplato. 
 
                               - IV - 
 
    Di  qui  le  S.U.  inferiscono  che  tale  divaricazione   incide
diversamente sui tributi cosiddetti non armonizzati  (in  particolare
quelli diretti),  estranei  alla  sfera  di  competenza  del  diritto
dell'Unione  europea,  e  su  quelli   cosiddetti   armonizzati   (in
particolare l'IVA), rientranti in detta sfera. 
    Per i tributi non armonizzati, l'obbligo dell'Amministrazione  di
attivare il contraddittorio  endoprocedimentale,  pena  l'invalidita'
dell'atto, sussisterebbe esclusivamente in relazione alle ipotesi  in
cui tale obbligo sia previsto da specifica norma di legge, mentre nel
campo  dei  tributi  armonizzati,  che,  inerendo   alle   competenze
dell'Unione, sono investiti dalla diretta applicazione  del  relativo
diritto, l'obbligo del contraddittorio endoprocedimentale assumerebbe
invece rilievo generalizzato. 
    In  entrambi  i  casi  tuttavia  la  nullita'   sussisterebbe   a
condizione  di  verificare   che,   se   si   fosse   rispettato   il
contraddittorio, il procedimento impositivo avrebbe potuto comportare
un risultato diverso (come  da  indicazioni  citate  della  Corte  di
giustizia  europea  e,  nella  giurisprudenza  nazionale,  Cass.   n.
16036/15; n. 6232/15; n. 5632/15; n. 992/15; n. 961/15). 
    Ora - proseguono le S.U.  -  se  a  riguardo  si  intendesse  che
l'effetto di tale nullita' dipenda dalla prova  fornita  in  giudizio
dal contribuente che  l'omissione  del  contraddittorio  gli  avrebbe
impedito di far emergere altri profili d'illegittimita' o addirittura
l'infondatezza della pretesa  fiscale,  tale  soluzione  non  sarebbe
convincente, in quanto la violazione del contraddittorio risulterebbe
privata d'ogni rilevanza, restando comunque  rimesso  alla  capacita'
del   contribuente    di    comprovare,    in    sede    contenziosa,
quell'illegittimita' ulteriore o quell'infondatezza. E, in tal  modo,
l'obbligo del contraddittorio endoprocedimentale verrebbe derubricato
a precetto senza sanzione, in contrasto con la stessa  configurazione
offertane dalla giurisprudenza della Corte di giustizia. 
    Quest'ultima d'altro canto afferma che, ai fini considerati,  non
puo' obbligarsi l'interessato a dimostrare che la  decisione  avrebbe
avuto un contenuto differente, bensi' solo che tale  ipotesi  non  va
totalmente  esclusa  in  quanto  avrebbe   potuto   difendersi   piu'
efficacemente in assenza dell'irregolarita' procedurale  (cfr.  Corte
di giustizia 1° ottobre 2009, in  C-141/08,  Foshan  Shunde  Yongjian
Housewares,  punto  94;  2  ottobre  2003,   in   C-194/99,   Thyssen
Stahl/Commissione, punto 31; 8 luglio 1999, causa  C-51/92,  Hercules
Chernicals/Commissione,  punto  81),  si'  che  la  verifica  che  il
procedimento  impositivo  avrebbe  potuto  comportare  un   risultato
diverso  andrebbe  intesa  come  verifica  che   il   contraddittorio
procedimentale, se vi fosse stato, «non si sarebbe  risolto  in  puro
simulacro, ma avrebbe rivestito una sua ragion d'essere,  consentendo
al contribuente di addurre elementi difensivi non del tutto vacui  e,
dunque, non  puramente  fittizi  o  strumentali»,  non  bastando  una
formalistica doglianza a riguardo ma piuttosto occorrendo: 
        a) riscontrare in concreto le  ragioni  che  il  contribuente
avrebbe potuto far valere, qualora  il  contraddittorio  fosse  stato
tempestivamente attivato (cfr. anche Cass. n. 11453/14; n.  25054/13;
S.U. n. 20935/09); 
        b) delibare che l'opposizione di dette ragioni, valutate  con
riferimento al momento del mancato  contraddittorio,  si  riveli  non
puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione  al  canone
generale di correttezza e buona  fede  ed  al  principio  di  lealta'
processuale,  sviamento  dello  strumento  difensivo  rispetto   alla
finalita' di corretta tutela dell'interesse sostanziale  (cfr.  anche
Cass. S.U. n. 9935/15 e 23726/07; Cass. n. 1271/14 e n. 22502/13). 
    Di qui la massima sopra riportata, non senza il  previo  commento
che  «pur  essendo  ragionevole  che  l'interpretazione  del  diritto
nazionale incidente su rapporti sottratti all'ambito di  operativita'
del diritto comunitario s'ispiri ai principi giuridici  enucleati  in
sede comunitaria su rapporti analoghi rientranti in detto  ambito  di
operativita',  non  puo',  tuttavia,  negarsi,  che,  ferma  restando
l'innegabile influenza che  il  diritto  dell'Unione  necessariamente
dispiega sui paradigmi ermeneutici con i quali viene interpretato  il
diritto nazionale, altro e' la diretta applicazione dei principi  del
diritto comunitario altro e' l'interpretazione del diritto  nazionale
secondo  criteri  comunitariamente   orientati»,   ragion   per   cui
«l'assimilazione in  via  ermeneutica  del  trattamento  di  rapporti
sottratti all'operativita'  del  diritto  comunitario  (tributi  «non
armonizzati»)  al  trattamento   di   rapporti   analoghi   ad   esso
assoggettati (tributi «armonizzati») e' preclusa in  presenza  di  un
quadro normativa  nazionale  univocamente  interpretabile  nel  senso
opposto, e cioe' nel senso dell'inesistenza in  campo  tributario  di
una clausola generale di contraddittorio endoprocedimentale». 
 
                                - V - 
 
    Fin qui la motivazione della  sentenza  n.  24823/15  delle  S.U.
della Cassazione, motivazione del cui articolato sviluppo si e'  dato
conto non certo per ingiustificata  corrivita'  alla  ridondanza,  ma
solo perche', come premesso, piu' comprensibili appaiano  le  ragioni
del dissenso di questa C.T.R. rispetto alla  costruzione  ermeneutica
che vi si rinviene esplicata e che induce, per cio' che piu'  rileva,
a  ravvisare  la  non  manifesta  infondatezza  della  questione   di
costituzionalita' qui posta d'ufficio sul  tema  del  contraddittorio
endoprocedimentale in materia tributaria nei sensi che meglio saranno
poi specificati. 
    Orbene, prima di entrare in medias res, non e' forse  inopportuno
notare che l'intera, pur minuziosa ed erudita, esposizione  dell'iter
logico-giuridico sotteso alla soluzione adottata dai Supremi  giudici
sembra tradire un approccio, per cosi'  dire,  alquanto  burocratico,
cui forse e' mancato, se mal  non  s'intende,  un  opportuno  slancio
vitale  capace  di  veicolare  -  proprio   in   base   alle   stesse
argomentazioni della sentenza in discorso, non  a  caso  diffusamente
riportate - il diverso ed anzi opposto  risultato  dell'esistenza  in
campo  tributario  di  una  clausola  generale   di   contraddittorio
endoprocedimentale. 
    Per essere  subito  piu'  chiari,  il  contesto  interattivo  dei
rilievi variamente esegetici profusi in detta sentenza, a  parere  di
questa C.T.R., avrebbe dovuto  propriamente  condurre  ben  oltre  la
rassegnata notazione di una diversa  disciplina  del  contraddittorio
endoprocedimentale a livello europeo rispetto a quello nazionale, con
connesso distinguo fra tributi armonizzati e  non,  bensi'  piuttosto
avrebbe dovuto suggerire  una  scelta  di  interpretazione  evolutiva
legittimata  in  ispecie  da  un  ben  possibile  e  lecito   ricorso
all'analogia. 
    Ma procediamo con  ordine,  prendendo  le  mosse  dalla  triplice
scissione concettuale  della  massima  contenuta  nella  sentenza  n.
24823/15 nei sensi proposti sopra sub I,  e  notiamo  subito  che  la
prima  proposizione  -  quella  per  cui  il  diritto  nazionale,   a
differenza del diritto dell'Unione europea, non .fissa alcun  obbligo
generalizzato  di  contraddittorio  endoprocedimentale,  donde  possa
derivare, in assenza di espressa previsione, l'invalidita'  dell'atto
in caso di mancanza di esso contraddittorio  -  e'  ineccepibile,  ma
solo nel senso della  constatazione  che  nessuna  norma  di  diritto
interno fissa testualmente ed espressamente  l'obbligo  generalizzato
del contraddittorio endoprocedimentale in materia tributaria. 
    Con  cio'  si  intende  dire  che  il  passaggio   alla   seconda
proposizione - per la quale per i tributi previsti solo  dal  diritto
interno  (cd.  tributi   non   armonizzati)   l'obbligo   del   detto
contraddittorio sussiste solo se  previsto  testualmente,  mentre  in
tema di tributi disciplinati anche  da  norme  europee  (cd.  tributi
armonizzati)  esso  obbligo  sussiste  sempre  -   non   e'   affatto
consequenziale ed anzi sembra palesare uno  scollamento  sillogistico
neppur poco vistoso, dacche' dalla corretta premessa  (maggiore)  per
cui non vi  e'  testuale  obbligo  generalizzato  di  contraddittorio
endoprocedimentale in materia tributaria viene fatta discendere, come
necessaria, la detta conclusione. 
    Cio', a ben guardare, sarebbe postulabile solo a  condizione  che
vi facesse da  tramite  altra  premessa  (minore)  per  la  quale  la
frequente previsione  legislativa  testuale  di  obblighi  plurimi  e
specifici di contraddittorio endoprocedimentale in materia tributaria
sia da ritenersi rivelatrice di  una  voluntas  legis  intesa  a  far
permanere ed anzi incrementare una tale sporazione  normativa  e  non
piuttosto rivelatrice di una costante volonta' sempre direzionata nel
senso  dell'estensione  di  esso  contraddittorio  in   ulteriori   e
crescenti spazi applicativi dell'esazione tributaria. 
    Sembrerebbe quindi da preferirsi la  seconda  alternativa,  donde
potrebbe legittimarsi una  soluzione  ben  diversa  del  problema  in
oggetto,   in    forza    di    un'interpretazione    all'un    tempo
logico-sistematica e storico-evolutiva  delle  norme  considerate.  E
cio' maggiormente  perche',  accanto  a  queste  ultime,  cosi'  come
opportunamente menzionate nella  sentenza  in  discorso  nei  termini
riportati nella sezione III del  presente  scritto  sub  B),  in  uno
all'art. 22, comma 1, decreto-legge n. 78/2010, convertito  in  legge
n. 122/2010, pure cola' ricordato, non manca la menzione della  legge
n. 23/2014 di delega al Governo per la riforma del  sistema  fiscale,
legge che inserisce tra i principi e criteri direttivi  della  delega
la previsione di forme di contraddittorio propedeutiche alla adozione
degli atti di accertamento dei  tributi  (cfr.  l'art.  1,  comma  1,
lettera b), nonche' il rafforzamento del contraddittorio  nella  fase
di indagine e la subordinazione dei successivi atti di accertamento e
di liquidazione all'esaurimento  del  contraddittorio  procedimentale
(vedi l'art. 9, comma 1, lettera b). 
    E  dunque,  se  la  detta   legge   n.   23/2014   inserisce   il
contraddittorio in parola tra i principi e  criteri  direttivi  della
delega al Governo  con  l'espressa  indicazione  di  incrementare  ed
espandere  tale  istituto,  peraltro  in  maniera  cosi'  incisiva  e
qualificante da apparire senza dubbio tendenziale e generale,  appare
ben possibile una soluzione opposta a quella prospettata dalle  S.U.,
il cui mero augurio di futura armonizzazione di tutti i  tributi  per
come trascritto alla fine della sezione IV potrebbe  quindi  apparire
alquanto improprio, e cio' soprattutto perche'  Esse  non  esitano  a
definire una tale auspicata evenienza come «ragionevole», trattandosi
di «rapporti analoghi». 
    Sorge quindi il problema di valutare se per caso  un  appropriato
ricorso all'analogia non  s'imponga  da  subito  sull'abbrivio  delle
dette considerazioni, altresi' supportate dagli argomenti di cui alla
sentenza delle S.U. della Cass. n. 18184/13 sopra riportati  sub  II,
argomenti per cui il contraddittorio  endoprocedimentale  sarebbe  un
indispensabile strumento di tutela del contribuente e di garanzia del
migliore esercizio della  potesta'  impositiva  anche  nell'interesse
dell'Amministrazione in una logica di collaborazione e buona fede nei
rapporti tra amministrazione e contribuente,  nonche'  supportate  da
quanto commentato, a proposito delle  pronunce  della  Cassazione  n.
25759/14 e n. 406/15, dalle stesse S.U. nella sentenza n. 24823/15 in
esame circa l'esigenza che l'interpretazione  del  diritto  nazionale
sia  per  quanto  possibile  conforme  ai  principi  dell'ordinamento
europeo, cosi' come ancora trascritto  sub  II,  laddove  esse  S.U.,
quanto alla sentenza della  Corte  costituzionale  n.  132/15,  hanno
opportunamente ricordato che tale pronuncia, pur non esplicita  nella
soluzione  del  problema  in   oggetto,   evoca   a   proposito   del
contraddittorio endoprocedimentale il principio generale  di  diritto
comunitario del rispetto dei diritti di difesa. 
    Pertanto  -  pur  senza  contraddire  la  notazione  delle   S.U.
riportata sub III alla lettera C)  nel  senso  che  un  generalizzato
obbligo di attivare il contraddittorio  endoprocedimentale  in  campo
tributario non sembrerebbe ancorato agli articoli 24 e 97 Cost. -  e'
quanto  riportato  nel  successivo  punto  D)   a   proposito   della
giurisprudenza della Corte di giustizia europea e dell'art. 41  della
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea  che  maggiormente
induce, a  pare  di  questa  C.T.R.,  alla  necessita'  o  quantomeno
all'opportunita' di superare la rigida e forse sterile  constatazione
notarile dell'inesistenza di un obbligo generale del  contraddittorio
endoprocedimentale  tributario,  e  cio'   quantomeno   in   aderenza
all'interpretazione comunitaria che vi corrisponda  precipuamente  il
diritto di ogni persona  ad  essere  ascoltata  prima  che  nei  suoi
confronti venga adottato un provvedimento individuale  che  le  rechi
pregiudizio, a quanto indicano il citato art. 41 e le sentenze  Jiri'
Sabou e Kamino International Logistics di cui al citato punto D). 
 
                               - VI - 
 
    Di  qui  la  necessita'  di  invocare  una  pronuncia  quantomeno
interpretativa della  Corte  costituzionale  in  ordine  al  tema  in
questione,  onde  chiarire  se  l'attuale  stato  della  legislazione
interna, integrato per  quanto  di'  ragione  dall'assetto  normativo
europeo, consenta gia' di pervenire alla specifica affermazione di un
obbligo generale del contraddittorio  endoprocedimentale  in  materia
tributaria,  semmai  ricavandolo  in  via  di  estensione   esegetica
dall'art. 12, comma 7, legge n. 212/2000, o per converso legittimi la
conclusione, sopra trascritta sub  III,  B),  a),  delle  S.U.  della
Cassazione nella sentenza n. 24823/15 in discorso  e  cioe'  che  «la
ricorrenza, in campo tributario,  di  una  pluralita'  di  norme  che
prescrivono il contraddittorio endoprocedimentale in rapporto ad alti
specifici,  lungi  dal  poter  assurgere  ad  indice  dell'esistenza,
nell'ordinamento   tributario,   di   una   clausola   generale    di
contraddittorio  endoprocedimentale,  assume,   ineludibilmente,   la
valenza opposta». 
    La contrarieta' di un'interpretazione restrittiva in  tal  ultimo
senso potrebbe cogliersi rispetto all'art. 117, comma 1 Cost, e,  per
esso, rispetto ai vincoli derivanti dall'ordinamento  comunitario,  o
quantomeno rispetto a criteri generali di razionalita' ed uniformita'
con detto  ordinamento  nonche'  comunque  nell'ambito  dello  stesso
diritto  nazionale  che,  in  relazione  al  distinguo  fra   tributi
armonizzati  e  non  armonizzati  nei  sensi  precisati  dalla  detta
sentenza  n.  24823/15  e  riportati  sopra  sub  IV,  finirebbe  col
disciplinare diversamente situazioni indubbiamente connotate da eadem
ratio e come  tali  meritevoli  di  essere  sussunte  in  una  logica
unitaria di trattamento normativo. 
    E' infatti innegabile che i tributi, armonizzati o  non,  restano
pur  sempre  tributi,  nel  contesto  di  elementi   d'individuazione
strutturali e funzionali essenzialmente conformi  fra  loro  ed  anzi
tali  da  comportare  che  al  loro  insieme  si  riconosca  un'unica
categoria logico-giuridica con peculiari connotazioni le  quali  poi,
nella generale previsione dell'art. 53 Cost., valgano a  distinguerli
da contigue fattispecie nel panorama generale dei doveri  individuati
dagli articoli 52  -  54  e  per  essi  dal  titolo  IV  della  legge
fondamentale  nonche',  sotto  diverso  profilo,  nell'ambito   delle
prestazioni pecuniarie dei privati verso la pubblica amministrazione. 
    Ed e' appunto tale immanente ed ineludibile identita' dei tributi
in quanto tali, armonizzati o non che siano,  che  dovrebbe  imporre,
secondo le ordinarie  e  comuni  regole  interpretative,  il  ricorso
all'analogia per compensare gli spazi normativi, per vero de  die  in
diem sempre piu' ristretti, del diritto positivo tributario  ove  non
sia prescritto l'obbligo del contraddittorio in discorso. 
    Nondimeno  la  soluzione  che,  ad  avviso  di   questa   C.T.R.,
sembrerebbe piu' appropriata resterebbe pervasa da  problematiche  di
non poco conto, atteso che, a voler ritenere che l'art. 12, comma  7,
della  legge  n.  212/2000  non  detti  alcuna  regola  generale   di
contraddittorio  e  che  quest'ultima  sia  invece   estraibile   dal
progressivo  incremento  di  norme  tributarie   che   ne   prevedono
l'obbligo, per come  sopra  menzionate  sub  III  B)  -  fra  cui  in
particolare gli articoli 1, comma 1, lettera b) e 9, comma 1, lettera
b) della legge n. 23/2014 di delega al Governo  per  la  riforma  del
sistema fiscale nei sensi indicati, il tutto nel contesto,  anch'esso
progressivo,  di  un  ordinamento  europeo  orientato  nella   stessa
direzione - l'eventuale incostituzionalita'  delle  norme  tributarie
che non prescrivono testualmente il contraddittorio di che trattasi o
comunque l'eventuale ricorso all'analogia nei  termini  indicati  non
potrebbero giovarsi dell'ordinaria efficacia ex tunc, proprio perche'
l'illegittimita'   delle   dette   norme   o,   pedissequamente,   la
legittimita' di interpretarle mediante analogia dovrebbero  cogliersi
rispetto a quel progressivo divenire e quindi non  gia'  nel  momento
genetico dell'entrata in vigore delle stesse. 
    Il che - a parte la singolarita' di un'operazione del genere, sia
nel caso di declaratoria  di  incostituzionalita'  che  nel  caso  di
interpretazione analogica, per come  pare  evidente  -  comporterebbe
l'arduo compito di individuare il momento  a  partire  dal  quale  le
norme  che  non  prescrivono   il   contraddittorio   possano   dirsi
illegittime o comunque colmarsi con  una  tal  previsione  a  livello
interpretativo analogico. 
    Una  soluzione  -  premesso  che  difficolta'  del   genere   non
dovrebbero  apparire  impeditive  delle  auspicate   pronunce   della
Consulta  -  potrebbe  rinvenirsi  nel  far  riferimento   al   tempo
dell'entrata in vigore della citata legge di delega n.  23/2014  come
momento piu' chiaro ed inequivoco, da un lato, e  piu'  qualificante,
dall'altro, di manifestazione della volonta' del legislatore italiano
di fissare l'obbligo del contraddittorio  endoprocedimentale  in  via
generalizzata per ogni atto d'imposizione tributaria. 
    Non si potrebbe invero piu' avallare un sistema caratterizzato da
una reattivita' solo postuma del  contribuente  in  termini  di  mera
opposizione giudiziale, in luogo di agevolargli  la  possibilita'  di
previe contestazioni amministrative della pretesa tributaria gia' nel
suo divenire, di guisa che il rispetto del contraddittorio valga  non
solo a rendere concreta e non meramente enunciata la tutela  di  esso
contribuente, partecipe a pieno titolo della vicenda  tributaria  che
lo riguarda  in  una  rinnovata  dimensione  paritetica  rispetto  al
soggetto  impositore,  ma  valga  altresi'  ad  evitare  sul  nascere
possibili accertamenti erronei o  solo  ipertrofici,  adeguandoli  da
subito ad una logica di riscontro  dialettico  e  di  effettivita'  e
pertanto finendo anche e segnatamente con l'assumere un preciso ruolo
deflattivo del contenzioso. 
    In ogni caso non ci si nasconde che quanto  divisato  dalle  S.U.
nella sentenza n. 24823/15 potrebbe non solo intendersi come una mera
presa d'atto dello stato attuale della legislazione tributaria, presa
d'atto forse ineccepibile pur se insoddisfacente proprio perche' tale
e, per cosi' dire, senz'anima, o piu' in particolare senza  eccessive
attenzioni alla mens legis di molte e qualificanti novelle normative,
di diritto interno ed internazionale, ma varrebbe altresi' ad evitare
sul nascere tutta una serie  di  problemi  di  cui  e'  indubbiamente
lastricato il cammino verso un'opposta  soluzione  vivificata  da  un
piu' ampio respiro ermeneutico, non senza l'impiego di un colpo d'ala
direzionato verso dimensioni evolutive, onde, se quest'ultimo dovesse
apparire troppo ardito, la massima cola' sintetizzata  potrebbe  piu'
comodamente restare condivisa almeno per  intanto,  in  attesa  cioe'
dell'attuazione della delega di cui alla detta legge n. 23/2014. 
    Ma lo potrebbe, a tutto concedere, solo in ordine alle prime  due
proposizioni  riportate  nel  presente  scritto  sub  I  e  fin   qui
esaminate, non gia' comunque, ad avviso di questa  C.T.R,  in  ordine
alla terza. 
 
                               - VII - 
 
    Ed invero a questo punto mette conto aggiungere che  -  ove  pure
non si dovesse ravvisare nel complesso di norme tributarie menzionate
sopra sub III B), assieme a quella dell'art. 12, comma 7, della legge
n. 212/2000, contrarieta'  alcuna  a  precetto  costituzionale  o  ad
immanenti criteri di razionalita' o ancora, e massimamente, a criteri
di uniformita' con l'ordinamento europeo, per  tutto  quanto,  a  tal
ultimo  proposito,  riportato  nel  successivo  punto  D)  circa   la
giurisprudenza della Corte di giustizia europea  e  circa  l'art.  41
della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea -  nondimeno
non convincerebbe la terza  proposizione  della  massima  delle  S.U.
riportata sub I e cioe' che, in caso di inosservanza dell'obbligo del
contraddittorio  endoprocedimentale  laddove  previsto,  la  sanzione
della  nullita'  vi  resterebbe  ascritta   a   condizione   che   il
contribuente in giudizio esponga le ragioni che avrebbe fatto  valere
ed a condizione che esse non appaiano pretestuose o comunque devianti
dai canoni di correttezza e lealta'. 
    Orbene, nella sezione IV si e' gia' precisato che questa  duplice
condizione restrittiva nasce  dal  pragmatismo  della  giurisprudenza
della Corte di giustizia europea, imitato da  quella  nostrana  (vedi
Cass. n. 16036/15; n. 6232/15;  n.  5632/15;  n.  992/15;  n.  961/15
citt.), per cui occorrerebbe verificare che, se si  fosse  rispettato
il  contraddittorio,  il  procedimento  impositivo   avrebbe   potuto
comportare un risultato diverso. 
    In  proposito  si  e'  gia'  detto  che  le  S.U.  opportunamente
criticano una lettura assolutizzante di tale  ultimo  inciso,  atteso
che la violazione del contraddittorio non riceverebbe sanzione se  al
contribuente spettasse comunque di provare in giudizio  quei  profili
d'illegittimita' ulteriore o addirittura d'infondatezza della pretesa
fiscale che avrebbe potuto prospettare in esso contraddittorio. 
    Nondimeno   esse   S.U.   aderiscono   all'interpretazione    che
dell'inciso stesso offre la giurisprudenza della Corte  di  giustizia
europea, per la quale l'interessato non potrebbe essere  obbligato  a
dimostrare che  l'atto  amministrativo  avrebbe  avuto  un  contenuto
differente,  bensi'  solo  che  tale  ipotesi  non   avrebbe   potuto
escludersi del tutto in quanto egli avrebbe  potuto  difendersi  piu'
efficacemente  nel  contesto  del  contraddittorio  (cfr.  Corte   di
giustizia 1°  ottobre  2009,  in  C-141/08,  Foshan  Shunde  Yongjian
Housewares,  punto  94;  2  ottobre  2003,   in   C-194/99,   Thyssen
Stahl/Commissione, punto 31; 8 luglio 1999, causa  C-51/92,  Hercules
Chemicals/Cominissione, punto 81). 
    Tuttavia,  ad   avviso   di   questa   C.T.R.,   neppure   questa
interpretazione, invero meno afflittiva per il contribuente  sola  in
apparenza,  potrebbe  dirsi  condivisibile,   risolvendosi   in   una
specificazione che nulla toglie al notevole  aggravio  probatorio  di
dimostrare che il procedimento impositivo avrebbe  potuto  comportare
un risultato diverso. 
    Dire infatti che la  verifica  di  una  tale  evenienza  andrebbe
intesa come verifica che il contraddittorio, se vi fosse stato,  «non
si sarebbe risolto in puro simulacro, ma avrebbe  rivestita  una  sua
ragion d'essere, consentendo  al  contribuente  di  addurre  elementi
difensivi non del tutto vacui e,  dunque,  non  puramente  fittizi  o
strumentali»  equivale  ne'  piu'  ne'  meno  ad  affermare  che   il
contribuente e' gravato dall'onere di una prova certamente difficile,
se non addirittura diabolica e  comunque  non  resa  certamente  piu'
agevole dalla specificazione che egli avrebbe potuto addurre  ragioni
non pretestuose bensi' corrette, leali e di buona  fede  (cfr.  Cass.
S.U. n. 9935/15 e 23726/07; Cass. n. 1271/14 e n. 22502/13). 
    La verita' e' che, se mal non  s'interpreta,  dovrebbe  ritenersi
del tutto esulante dal nostro sistema giuridico l'idea  del  rispetto
di una garanzia procedimentale in relazione a deduzioni e  difese  di
merito, quasi che una regola rituale, vieppiu' strettamente  connessa
al diritto di difesa del singolo, resti asservita alla fondatezza  di
esse deduzioni e difese, e quindi la si  debba  rispettare  o  la  si
possa violare a seconda che quegli abbia  ragione  o  torto.  Alberga
invece nel nostro ordinamento e, per esso, nella nostra  sensibilita'
di interpreti - ed  e'  forse  il  caso  che  nell'uno  e  nell'altra
continui a permanere - un rispetto delle forme che, ad onta di troppo
facili  e  poco  pensose  critiche   di   cosiddetta   sostanza,   e'
qualificante aspetto di civilta' giuridica,  si  che  esse,  a  voler
sintetizzare e  nel  contempo  banalizzare  articolati  discorsi  che
sarebbero necessari a riguardo,  sono  intese  come  la  quintessenza
della tutela dei diritti. 
    Si', proprio le forme nella loro ragion  pura,  per  cosi'  dire,
prescissa da contenuti di sorta e quindi da aspetti  di  merito,  che
sono indefettibilmente di indole valutativa e che attengono,  appunto
perche'  tali,  al  posterius  che  e'  proprio  e  peculiare   della
decisione,  la  quale  ultima  di  certo  non  puo'  restare,  in  un
deprecabile  ribaltamento  d'ogni  logica  comune  prima  ancora  che
giuridica, anticipata alla fase acquisitiva del  procedimento,  quale
che esso sia, peggio ancora se ne  vengano  condizionate  perfino  le
scansioni di cui esso consta. 
    Ed invero il procedimento non e' altro che  fissazione  di  forme
pure entro le quali veicolare e sviluppare un'attivita'  che,  a  ben
guardare,  e'  diritto  essa  stessa  -  ed  anzi  nella   tradizione
romanistica ne e' addirittura sinonimo -  e  che  quindi  mal  soffre
incursioni di tipo decisionale capaci di flettere l'ordinato sviluppo
di quei modi e quei tempi  posti  a  presidio  dell'esplicazione  dei
diritti e percio'  della  loro  vita  funzionale.  Ecco  perche',  ad
esempio, l'imputato pur afflitto  da  schiaccianti  prove  di  reita'
deve.  essere  sentito  in  giudizio  e  parallelamente  il  soggetto
convenuto per un risarcimento del danno deve godere di tutti i  tempi
del processo per esplicare compiutamente la  propria  difesa  pur  se
agli atti gia' risulti dimostrata la sua responsabilita' contrattuale
o aquiliana. 
    Pertanto non dovrebbe  essere  consentito  rispettare  o  violare
l'obbligo del contraddittorio in funzione di una  sorta  di  prognosi
postuma, di immanente carattere valutativo, formulata sulla bonta'  o
sulla strumentalita' delle ragioni del  contribuente  spendibili  nel
contraddittorio mancato. 
    Ne dovrebbe quindi derivare che il difetto del contraddittorio in
quanto  tale,  come  mera  mancanza  procedimentale,   resti   sempre
sanzionato da  nullita'  a  prescindere  da  improbabili  commistioni
anticipate di tipo decisionale nei sensi detti. 
    In ogni caso la violazione  dell'obbligo  del  contraddittorio  -
poco importa a questi effetti se si tratti di  obbligo  generalizzato
pur nel silenzio della legge o di obbligo testualmente  prescritto  -
resterebbe davvero  deprivato  di  sanzione,  se  si  accedesse  alle
specificazioni restrittive in parola per come introdotte dalla  Corte
di giustizia europea con largo seguito nella giurisprudenza italiana,
come si e' detto, e cio' per le stesse ragioni egregiamente  espresse
nella sentenza n. 24823/15 delle S.U. della Cassazione, le quali  poi
accedono ad una soluzione del problema assolutamente identica, se non
peggiore, rispetto a quella iniziale da loro ricusata. 
    Invero onerare il contribuente della prova  che  il  procedimento
impositivo avrebbe potuto comportare  un  risultato  diverso  non  ha
valenze concettuali o pragmatiche minori o quantomeno diverse  -  sia
in termini di aggravamento del diritto  di  difesa  di  lui,  sia  in
termini di vanificazione delle conseguenze invalidanti connesse  alla
mancata fruizione di quel lecito spazio  endoprocedimentale  tuttavia
negatogli - rispetto all'alternativa dell'onerarlo  della  prova  che
egli avrebbe potuto addurvi ragioni non pretestuose ne' strumentali. 
    Non si ravvisa quindi manifesta infondatezza della  questione  di
costituzionalita'  qui   posta   d'ufficio   con   riferimento   alla
contrarieta' delle restrizioni in parola rispetto agli articoli  3  e
24 Cost., essendo innegabile il dato della disparita' di  trattamento
delle  parti,  con  intollerabile  sbilanciamento  a  svantaggio  del
contribuente, costretto comunque a vedere limitata e  compromessa  la
sua difesa  ed  addirittura  a  veder  negato  esso  contraddittorio,
peraltro per effetto di una anticipazione decisionale sulla  sostanza
di merito delle sue ragioni. 
    Da  quanto  appena  detto  discende  altresi',  quasi  a  mo'  di
corollario, la non manifesta infondatezza della stessa  questione  di
costituzionalita' rispetto all'art. 117, comma  1  Cost.  almeno  per
quanto direttamente  riguardante  i  tributi  cosiddetti  armonizzati
nell'accezione di cui sub IV, ma,  per  quanto  ravvisato  da  questa
C.T.R. nei sensi sopra espressi, in genere per ogni tipo di tributi. 
    A cio' si aggiungano le  esposte  notazioni  riferite  ai  guasti
giuridici che si verificherebbero nel sistema  a  voler  condizionare
mediante anticipate ragioni valutative di merito  il  rispetto  della
garanzia del contraddittorio, vuoi nei casi tassativamente  previsti,
vuoi ancor piu' considerandolo obbligatorio in via generale per  come
prospettato sub V e VI. 
 
                              - VIII - 
 
    Per  tutto  quanto  precede,  la   complessiva   tematica   della
legittimita' costituzionale della mancata previsione  di  un  obbligo
generale   del   contraddittorio   endoprocedimentale   in    materia
tributaria,  ad  avviso  di   questa   C.T.R.,   merita   di   essere
approfondita, alla stregua degli argomenti  qui  addotti  ex  officio
judicis, sotto i seguenti profili: 
        1) se sia legittimo che il diritto  nazionale,  a  differenza
del  diritto   dell'Unione   europea,   non   fissi   alcun   obbligo
generalizzato  di  contraddittorio  endoprocedimentale   in   materia
tributaria, vieppiu' a pena di nullita', oppure, come ritiene  questa
C.T.R., previamente ravvisato a riguardo contrasto  con  l'art.  117,
comma 1 Cost., nonche' comunque con criteri comuni di razionalita' ed
uniformita' logico-giuridica, di diritto interno  ed  internazionale,
siano da dichiararsi illegittime tutte le  norme  che  non  prevedono
testualmente il detto contraddittorio o,  in  alternativa,  siano  da
interpretarsi esse tutte come sanzionanti,  pur  nel  silenzio  della
legge, a pena di nullita' il contraddittorio  medesimo,  e  cio'  per
effetto di pedissequo ricorso  all'analogia  fondato  su  quelle  che
testualmente lo  prevedono,  o  quantomeno  per  effetto  di  lettura
estensiva dell'art. 12, comma 7, legge n. 212/2000, cosi' superandosi
altresi', per  quanto  di  ragione,  il  distinguo  fra  tributi  non
armonizzati e tributi armonizzati  nei  sensi  sopra  chiariti  e  le
connesse disparita' di disciplina; 
        2) se in ogni caso, comunque risolta la prima  questione  nel
suo complesso, la sanzione della nullita', testuale o  virtuale,  per
violazione del contraddittorio vi possa restare ascritta unicamente a
condizione che il contribuente in giudizio  esponga  le  ragioni  che
avrebbe  fatto  valere  nel  mancato  contraddittorio  ed  ancora   a
condizione che esse non appaiano pretestuose o devianti dai canoni di
correttezza e lealta', oppure se tali restrizioni interpretative  non
contrastino piuttosto, come ritiene questa C.T.R.,  coi  precetti  di
cui agli articoli 3 e 24 Cost., ed inoltre con l'art.  117,  comma  1
Cost., con i criteri  di  razionalita'  e  con  i  principi  generali
dell'ordinamento italiano nei sensi di cui si e' detto. 
    A mente dell'art. 23, comma 2 della legge 11 marzo 1953,  n.  87,
il presente giudizio e' sospeso fino alla definizione  dell'incidente
di costituzionalita', mentre ai sensi dell'art.  23,  comma  4  della
legge 11 marzo 1953, n. 87, la presente  ordinanza  sara'  notificata
alle parti costituite ed al Presidente del  Consiglio  dei  ministri,
nonche' comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e  della
Camera dei deputati. 
 
                               P.Q.M. 
 
    La commissione cosi' provvede; 
    a) letti gli articoli 134 e  137  Cost.,  l'art.  1  della  legge
costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e  l'art.  23  della  legge  11
marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente  infondata
la complessiva questione di  legittimita'  costituzionale  nei  sensi
esposti in motivazione e segnatamente nella sintesi finale sub  1)  e
2) della sezione VIII; 
    b) dispone la sospensione del presente giudizio; 
    c) dispone che, a cura della segreteria,  la  presente  ordinanza
sia notificata alle parti costituite ed al Presidente  del  Consiglio
dei ministri, nonche'  comunicata  ai  Presidenti  del  Senato  della
Repubblica e della Camera dei deputati; 
    d)  dispone  infine  l'immediata  trasmissione   della   presente
ordinanza alla Corte costituzionale assieme al fascicolo  processuale
nella  sua  interezza  e  con  la  prova  delle  avvenute  e  rituali
notificazioni e comunicazioni predette. 
          Napoli, 6 maggio 2016 
 
                   Il Presidente estensore: Notari