N. 78 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 14 dicembre 2016

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 14 dicembre 2016 (del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri). 
 
Acque pubbliche - Norme della Regione Siciliana - Denuncia dei  pozzi
  - Differimento del termine ultimo previsto dall'art. 10 del decreto
  legislativo  n.  275  del  1993  e  successive  modifiche  per   la
  presentazione della denuncia. 
- Legge  della  Regione  Siciliana   29   settembre   2016,   n.   20
  (Disposizioni per favorire l'economia.  Disposizioni  varie),  art.
  19. 
(GU n.2 del 11-1-2017 )
    Ricorso ex art. 127 Costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso  ex  lege  dall'Avvocatura  generale
dello   Stato   c.f.   80224030587,    fax    06/96514000    e    PEC
roma@mailcert.avvocaturastatoit,  presso  i  cui   uffici   ex   lege
domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12; 
    Nei confronti della Regione Sicilia, in  persona  del  presidente
della  giunta  regionale  pro  tempore  per   la   dichiarazione   di
illegittimita' costituzionale  dell'art.  19  della  legge  regionale
Sicilia n. 20  del  29  settembre  2016,  recante  «Disposizioni  per
favorire l'economia. Disposizioni varie», pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Regione Sicilia n. 43 S.O. n. 33 del 7 ottobre  2016,
giusta delibera del Consiglio dei ministri in data 5 dicembre 2016. 
    Con la legge regionale n. 20 del 29 settembre  2016  indicata  in
epigrafe, che consta di ventisei  articoli,  la  Regione  Sicilia  ha
emanato  le  disposizioni  in  tema  di  «Disposizioni  per  favorire
l'economia. Disposizioni varie». 
    In particolare, l'art. 19, rubricato «Disposizioni in materia  di
pozzi», prevede che «Il termine finale previsto dalle disposizioni di
cui al primo periodo dell'art. 10 del decreto legislativo  12  luglio
1993, n. 275 recepito con modifiche dalla legge  regionale  15  marzo
1994, n. 5 e' differito al 31 dicembre 2017». 
    E' avviso del Governo che, con la norma denunciata  in  epigrafe,
la  Regione  Sicilia  abbia   ecceduto   dalla   propria   competenza
statutaria, legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, «Conversione
in legge costituzionale dello Statuto  della  Regione  siciliana»,  e
successive integrazioni e modificazioni, in  particolare  l'art.  14,
comma 1, lettera i), in violazione  della  normativa  costituzionale,
come si confida di dimostrare in  appresso  con  l'illustrazione  dei
seguenti 
 
                               Motivi 
 
1. L'art. 19  della  legge  Regione  Sicilia  n.  20/2016  viola  gli
articoli 11,  117,  comma  1,  e  117,  comma  2,  lettera  s,  della
Costituzione. 
    1.1. Occorre, innanzitutto, ricordare che l'art. 14  (1) ,  comma
1, lettera i), contenuto nella Sezione I (che contempla  le  funzioni
dell'assemblea regionale), Titolo II (che elenca  le  funzioni  degli
organi regionali)  dello  Statuto  speciale  della  Regione  Sicilia,
approvato  con  il  r.d.l.  15  maggio  1940,  n.  455  e  successive
modificazioni e  integrazioni,  riconosce  una  potesta'  legislativa
primaria in materia di «acque pubbliche, in quanto non siano  oggetto
di opere pubbliche di interesse nazionale». 
    Tale  considerazione,  tuttavia,  non   vale   evidentemente   ad
affermare che la menzionata competenza  legislativa  esclusiva  possa
esercitarsi, cosi come per tutte le materie indicate nel citato  art.
14, senza alcun limite; la Regione deve  rispettare,  infatti,  oltre
che, in generale, i precetti costituzionali, anche le c.d. «norme  di
grande riforma economico-sociale» poste  dallo  Stato  nell'esercizio
delle proprie competenze legislative. Tra queste ultime, per quel che
riguarda  la  presente  fattispecie,  rilevano  quelle  poste   dalla
legislazione   statale   in   tema   di   «tutela   dell'ambiente   e
dell'ecosistema». 
    Piu' precisamente, sono ascritti  alla  «tutela  dell'ambiente  e
dell'ecosistema»: 
        a)  «i  criteri  dell'uso  delle  acque,  in  relazione  alla
finalita' di evitare sprechi,  favorire  il  rinnovo  delle  risorse,
garantire i diritti delle generazioni future e tutelare, tra l'altro,
"la vivibilita' dell'ambiente"» (sentenza n. 246 del 2009); e  b)  le
norme volte a garantire il «risparmio della risorsa idrica» (sentenza
n. 246 del 2009 citata). 
    La normativa regionale de  qua,  evidentemente,  deve  rispettare
anche le  norme  del  diritto  dell'Unione  europea  concernenti,  in
particolare, l'utilizzazione della risorsa idrica, la cui  violazione
comporta la lesione degli articoli  11  e  117,  primo  comma,  della
Costituzione. 
    Al riguardo, rileva, in particolare, la Direttiva 2000/60/CE  che
stabilisce che «L'acqua non e' un prodotto commerciale al pari  degli
altri, bensi' un patrimonio che va protetto, difeso e  trattato  come
tale.»  (considerando  n.  1).  «Come  stabilito  dall'art.  174  del
trattato, la politica ambientale della Comunita' deve  contribuire  a
perseguire gli obiettivi della salvaguardia, tutela  e  miglioramento
della qualita' dell'ambiente, dell'utilizzazione accorta e  razionale
delle risorse naturali, che dev'essere  fondata  sui  principi  della
precauzione e dell'azione preventiva, sul principio della correzione,
anzitutto alla fonte, dei danni  causati  all'ambiente,  nonche'  sul
principio «chi inquina paga».  (considerando  n.  11).  Inoltre,  «e'
opportuno stabilire definizioni comuni di stato delle acque, sotto il
profilo qualitativo e anche, laddove cio' si riveli importante per la
protezione  dell'ambiente,  sotto   il   profilo   quantitativo.   Si
dovrebbero fissare obiettivi  ambientali  per  raggiungere  un  buono
stato delle acque superficiali e sotterranee in tutta la Comunita'  e
impedire  il  deterioramento  dello  stato  delle  acque  a   livello
comunitario» (considerando n. 25). Infine, «E'  necessario  garantire
la piena attuazione e  applicazione  della  legislazione  vigente  in
materia  ambientale  ai  fini  della  protezione  delle   acque.   E'
indispensabile garantire la corretta applicazione delle  disposizioni
di  attuazione  della  presente  direttiva  in  tutta  la  Comunita',
prevedendo sanzioni adeguate nelle legislazioni degli  Stati  membri.
Tali   sanzioni   dovrebbero   essere   efficaci,   proporzionate   e
dissuasive». (considerando n. 53). 
    Lo scopo della Direttiva e'  quello  di  agevolare  «un  utilizzo
idrico sostenibile fondato sulla protezione  a  lungo  termine  delle
risorse idriche disponibili».  (art.  1,  paragrafo  1,  lettera  b).
L'art. 19 della legge regionale n. 20/2016 citato dispone, come si e'
gia' detto, che «il termine finale previsto dalle disposizioni di cui
al primo periodo dell'art. 10 del decreto legislativo 12 luglio 1993,
n. 275 recepito con modifiche dalla legge regionale 15 marzo 1994, n.
5 e' differito al 31 dicembre 2017.». 
    L'art. 10, comma 1, primo periodo,  del  decreto  legislativo  12
luglio 1993, n. 275, recante il «Riordino in materia  di  concessione
di  acque  pubbliche»,  dispone  che  «tutti  i  pozzi  esistenti,  a
qualunque uso adibiti, ancorche' non utilizzati, sono denunciati  dai
proprietari, possessori  o  utilizzatori  alla  regione  o  provincia
autonoma nonche' alla  provincia  competente  per  territorio,  entro
dodici mesi dalla data di entrata  in  vigore  del  presente  decreto
legislativo». 
    Il  predetto  termine  e'  stato  differito  al  30  giugno  1995
dall'art. 14 del decreto-legge 8 agosto 1994, n. 507,  contenente  le
«Misure urgenti in materia di dighe»,  convertito  con  modificazioni
con la legge 21 ottobre 1994, n. 584. L'art. 28, «Norme in materia di
difesa del suolo e di risorse idriche», della legge 30  aprile  1999,
n.  136,  contenente  le  «Norme  per  il  sostegno  ed  il  rilancio
dell'edilizia residenziale pubblica e per interventi  in  materia  di
opere a  carattere  ambientale»,  al  primo  comma,  ha  riaperto  il
predetto termine, fissandolo in otto mesi dalla data  di  entrata  in
vigore della legge stessa (il giorno successivo a  quello  della  sua
pubblicazione avvenuta nella Gazzetta Ufficiale del 18 maggio 1999). 
    L'art.  2,  «Denuncia  dei  pozzi,  Modifica  all'art.   11   del
decreto-legge n. 507 del 1994», della legge 17 agosto 1999,  n.  290,
contenente la «Proroga di termini nel settore agricolo», ha  riaperto
il predetto termine e l'ha fissato  in  dodici  mesi  dalla  data  di
entrata in vigore della legge stessa (il giorno successivo  alla  sua
pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del 20 agosto 1999). 
    Infine, vanno menzionati l'art. 96, comma 7,  in  vigore  dal  10
agosto  2010,  del  decreto  legislativo  3  aprile  2006,  n.   152,
contenente «Norme in materia ambientale»  che  ha  stabilito  che  «I
termini entro i quali far valere, a pena di decadenza, ai sensi degli
articoli 3 e 4 del regio  decreto  11  dicembre  1933,  n.  1775,  il
diritto al riconoscimento o  alla  concessione  di  acque  che  hanno
assunto natura pubblica a norma dell'art. 1, comma 1  della  legge  5
gennaio 1994, n. 36, nonche' per la presentazione delle  denunce  dei
pozzi a norma dell'art. 10 del decreto legislativo 12 luglio 1993, n.
275, sono prorogati al 31 dicembre  2007.»;  e  l'art.  6,  comma  1,
lettera r-ter), «Sospensione e proroga di termini» del  decreto-legge
28 aprile 2009, n. 39, convertito con modificazioni con la  legge  24
giugno 2009, n. 77. 
    La disposizione della legge statale  richiamata,  l'art.  10  del
decreto legislativo n. 275/1993, e successive modificazioni,  citato,
costituisce, dunque, una norma di grande riforma economico sociale ed
e' espressione di uno standard di tutela ambientale che  deve  essere
applicato in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, ai sensi
dell'art. 117, secondo comma, lettera  s),  della  Costituzione,  che
affida alla competenza esclusiva dello Stato  la  legislazione  volta
alla tutela dell'ambiente. 
    Al riguardo, la Corte  costituzionale  ha  sottolineato  che  «il
legislatore statale, tramite l'emanazione di tali norme, conserva  il
potere - anche  relativamente  al  titolo  competenziale  legislativo
«nella materia "tutela  dell'ambiente,  dell'ecosistema  e  dei  beni
culturali", di cui all'art. 117, secondo  comma,  lettera  s),  della
Costituzione, [...] di vincolare  la  potesta'  legislativa  primaria
delle Regioni a statuto speciale»  (punto  2.2.  del  Considerato  in
diritto della sentenza n. 238/2013). 
    Le  norme  qualificabili  come  «riforme  economico-sociali»   si
impongono anche alla Regione siciliana ai  sensi  di  quanto  prevede
l'art. 14 dello Statuto speciale citato, che limita  l'esercizio  del
potere legislativo primario della Regione, nella materia delle «acque
pubbliche»,  al  rispetto  delle  norme  fondamentali  delle  riforme
economico-sociali dello Stato. 
    Non e' consentito, pertanto, alla Regione siciliana adottare  una
disciplina difforme da quella contenuta dalle normativa nazionale  di
riferimento che prevede quale termine  ultimo  per  la  denuncia  dei
pozzi, a pena di decadenza, il 31 dicembre 2007. 
    In altri termini, anche in applicazione dei principi generali  in
tema di gerarchia delle  fonti,  non  e'  consentito  al  legislatore
regionale prorogare con una legge regionale, un termine  indicato,  a
pena di decadenza, in un decreto legislativo. Peraltro, la previsione
di questa ulteriore proroga evidenzia che si e' accumulato un ritardo
di moltissimi anni nell'applicazione della normativa nazionale  sopra
citata. Il differimento disposto dalla Regione, dunque,  finisce  per
configurarsi, in realta', in una  sorta  di  «condono»  generalizzato
sulle attivita' di estrazione dell'acqua, che,  nel  frattempo,  sono
state effettuate in  maniera  incontrollata,  in  un  arco  temporale
davvero esteso, potendo  determinare  potenzialmente  danni  al  buon
regime delle acque. L'art. 19 della legge regionale n. 20/16  citato,
dunque, si pone in contrasto proprio  con  gli  obiettivi  ambientali
disposti dalla direttiva 2000/60/CE, che mira ad «istituire un quadro
per la protezione delle acque superficiali interne,  delle  acque  di
transizione, delle acque costiere e sotterranee», volto  a  garantire
un uso razionale e accorto di  detta  risorsa,  nonche'  a  porre  in
essere azioni dirette ad evitare il deterioramento dello stato  delle
acque. 
    Proprio in tal senso  l'ulteriore  proroga  disposta  non  appare
coerente con  gli  obiettivi  di  tutela  delle  acque  determinando,
altresi', un'ulteriore prosecuzione del prelievo incontrollato  della
risorsa. 
    Dall'applicazione dell'articolo in  esame,  infine,  ne  potrebbe
discendere un  potenziale  effetto  pregiudizievole  per  la  finanza
pubblica, in quanto l'art. 10 del  decreto  legislativo  n.  275/1993
citato, ultimo periodo, ricollega all'omessa denuncia:  «la  sanzione
amministrativa del pagamento di una somma da lire duecentomila a lire
unmilioneduecentomila; il pozzo puo' essere sottoposto a sequestro ed
e' comunque soggetto a chiusura a spese  del  trasgressore  allorche'
divenga definitivo il provvedimento che applica la sanzione.  Valgono
le disposizioni della legge 24 novembre 1981, n. 689», sanzioni  che,
con la proroga del termine, sarebbero di fatto non irrogabili. 
    Alla luce di quanto sopra esposto, l'art. 19  della  legge  della
Regione Sicilia n. 20/16  citato,  quindi,  eccede  dalle  competenze
statutarie della Regione autonoma della Sicilia di cui  all'art.  14,
comma, 1, lettera i), citato, e si pone in contrasto con gli articoli
11 e 117, comma 1, della Costituzione per violazione della  direttiva
2000/60 considerando 1, 11, 25,  53  nonche'  art.  1,  paragrafo  l,
lettera b), e dell'art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione,
quindi, in  violazione  della  competenza  esclusiva  dello  Sato  in
materia di tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali
per violazione della normativa interposta di cui all'art.  10,  comma
1, decreto legislativo n. 275/1993  citato,  all'art.  14,  comma  1,
decreto-legge n. 507/1994 citato, all'art. 28, comma 1,  della  legge
n. 136/1999 citato, art. 2, comma 1, della legge n. 2901999 citato  e
all'art. 96, comma 7, del decreto legislativo n. 152/2006 citato. 

(1) Art. 14. - L'Assemblea, nell'ambito della Regione  e  nei  limiti
    delle leggi costituzionali dello Stato, senza  pregiudizio  delle
    riforme agrarie e industriali deliberate  dalla  Costituente  del
    popolo italiano, ha  la  legislazione  esclusiva  sulle  seguenti
    materie: a) agricoltura e foreste; b) bonifica; c) usi civici; d)
    industria e commercio, salva la disciplina dei rapporti  privati;
    e)  incremento  della   produzione   agricola   ed   industriale;
    valorizzazione, distribuzione, difesa dei  prodotti  agricoli  ed
    industriali e delle attivita'  commerciali;  f)  urbanistica;  g)
    lavori  pubblici,  eccettuate  le  grandi  opere   pubbliche   di
    interesse prevalentemente nazionale; h) miniere, cave,  torbiere,
    saline; i) acque pubbliche, in quanto non siano oggetto di  opere
    pubbliche di interesse nazionale; l) pesca e caccia; m)  pubblica
    beneficenza ed opere pie; n)  turismo,  vigilanza  alberghiera  e
    tutela del paesaggio;  conservazione  delle  antichita'  e  delle
    opere  artistiche;  o)  regime  degli   enti   locali   e   delle
    circoscrizioni relative; p) ordinamento degli uffici e degli enti
    regionali; q)  stato  giudico  ed  economico  degli  impiegati  e
    funzionari della Regione, in ogni caso non inferiore a quello del
    personale  dello  Stato;   r)   istruzione   elementare,   musei,
    biblioteche, accademie; s) espropriazione per pubblica utilita'. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Si conclude perche' l'art. 19 della legge regionale Sicilia n. 20
del 29 settembre 2016, recante «Disposizioni per favorire l'economia.
Disposizioni   varie»,   indicata   in   epigrafe,   sia   dichiarato
costituzionalmente illegittimo. 
    Si produce  l'estratto  della  deliberazione  del  Consiglio  dei
ministri del 5 dicembre 2016. 
 
        Roma, 6 dicembre 2016 
 
           Il vice Avvocato generale dello Stato: Palmieri