N. 278 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 settembre 2016

Ordinanza  del  27  settembre  2016  del  Tribunale  di  Torino   nel
procedimento civile promosso da Conidi Salvatore contro INPS. 
 
Previdenza e assistenza -  Disposizioni  in  materia  di  trattamenti
  pensionistici -  Perequazione  automatica  -  Riconoscimento  della
  perequazione per i trattamenti pensionistici di importo complessivo
  superiore a tre volte il minimo INPS, relativa agli anni  2012-2013
  come determinata dall'art. 24, comma 25, del decreto-legge  n.  201
  del 2011, nella misura del 20 per cento negli anni 2014-2015 e  del
  50 per cento a decorrere dall'anno 2016. 
- Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per  la
  crescita,  l'equita'  e  il  consolidamento  dei  conti  pubblici),
  convertito, con modificazioni, dalla legge  22  dicembre  2011,  n.
  214, art. 24, comma 25-bis, introdotto dal [l'art. 1, comma  1,  n.
  2) del] decreto-legge 21 maggio 2015, n. 65  (Disposizioni  urgenti
  in materia di pensioni, di ammortizzatori sociali e di garanzie TFR
  ), convertito, con modificazioni, dalla legge 17  luglio  2015,  n.
  109. 
(GU n.5 del 1-2-2017 )
 
                    TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO 
                           Sezione lavoro 
 
    Il ricorrente e' titolare di pensione Vobanc numero 03017265,  di
importo superiore a sei volte il minimo,  con  decorrenza  1°  luglio
2012. Per effetto dell'art. 24, comma 25,  decreto-legge  6  dicembre
2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita,  l'equita'  e  il
consolidamento dei conti pubblici),  convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n.  214,  non  ha
usufruito della perequazione automatica per l'anno 2013: la norma  in
questione e' stata dichiarata  costituzionalmente  illegittima  dalla
sentenza n. 70/2015 della Corte costituzionale e  la  fattispecie  e'
stata  nuovamente  disciplinata   dal   decreto-legge   n.   65/2015,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 109/2015. 
    Il  nuovo  comma  25  introdotto  da  tale  ultima   disposizione
legislativa prevede, per quanto qui interessa (ossia per  coloro  che
percepiscono una pensione superiore a sei volte il trattamento minimo
I.N.P.S.), l'esclusione dalla rivalutazione per gli anni 2012 e 2013.
In  altre  parole,  la  situazione  del  lavoratore  non  e'  affatto
cambiata, nonostante la  sentenza  della  Corte  costituzionale  gia'
citata che aveva dichiarato illegittimo l'originario art.  24,  comma
25, decreto-legge n. 201/2011, convertito dalla legge n. 214/2011. Il
blocco della rivalutazione, con riferimento alle pensioni  di  valore
superiore a sei volte il minimo I.N.P.S., veniva poi  prolungato  per
gli anni successivi dal comma 25-bis,  il  quale  disponeva  che  «La
rivalutazione automatica dei trattamenti  pensionistici,  secondo  il
meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge  23  dicembre
1998, n. 448, relativa agli anni 2012 e  2013  come  determinata  dal
comma 25,  con  riguardo  ai  trattamenti  pensionistici  di  importo
complessivo superiore a tre volte il trattamento minimo  I.N.P.S.  e'
riconosciuta: 
        a) negli anni 2014 e 2015 nella misura del 20 per cento; 
        b) a decorrere dall'anno 2016 nella misura del 50 per cento». 
    Proponeva l'odierno ricorso al  fine  di  ottenere  il  pagamento
della differenza tra quanto effettivamente percepito, a  seguito  del
blocco  della  rivalutazione,  con  quanto  avrebbe   avuto   diritto
applicando la rivalutazione automatica per il periodo dal  2013  sino
al luglio 2015. 
    Chiedeva di sollevare questione di legittimita' costituzionale in
merito  all'art.  24,  commi  25  e  25-bis,  cosi'  come  introdotti
dall'art. 1 decreto-legge n. 65/2015, convertito, con  modificazioni,
dalla legge n. 109/2015. 
 
                              Rilevanza 
 
    Il  ricorrente,  sulla  base  del  meccanismo  di   rivalutazione
automatica delle pensioni, come introdotto  dall'art.  34,  comma  1,
della  legge  23  dicembre  1998,  n.  448,  avrebbe   diritto   alla
rivalutazione  annua  del  trattamento  pensionistico  percepito.  La
rivalutazione della propria pensione era stata  bloccata  per  l'anno
2013 (egli gode della pensione dal  2012)  dall'art.  24,  comma  25,
decreto-legge n. 201/2011, convertito dalla  legge  n.  214/2011;  la
norma era stata dichiarata incostituzionale  con  la  sentenza  della
Consulta n. 70/2015. 
    Il  legislatore,  con  decreto-legge  n.  65/2015,  che  si  apre
affermando  «Ritenuta  la  straordinaria  necessita'  e  urgenza   di
provvedere in materia di rivalutazione automatica delle  pensioni  al
fine di dare attuazione ai principi enunciati  nella  sentenza  della
Corte costituzionale n. 70 del  2015»  e  che  quindi  si  pone  come
strumento normativo di attuazione di tale  pronuncia,  ha  modificato
l'art. 24, comma 25 dichiarato  incostituzionale  e  ha  aggiunto  il
comma 25-bis. 
    Tali norme prevedono: 
        art. 24, comma 25, decreto-legge n. 201/2011, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 214/2011: «La rivalutazione  automatica
dei  trattamenti  pensionistici,  secondo  il  meccanismo   stabilito
dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, relativa
agli anni 2012 e 2013, e' riconosciuta: 
         (...) 
         e) non  e'  riconosciuta  per  i  trattamenti  pensionistici
complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo I.N.P.S.
con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi»; 
        comma 25-bis: «La rivalutazione  automatica  dei  trattamenti
pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1,
della legge 23 dicembre 1998, n. 448, relativa agli anni 2012 e  2013
come  determinata  dal  comma  25,  con   riguardo   ai   trattamenti
pensionistici  di  importo  complessivo  superiore  a  tre  volte  il
trattamento minimo I.N.P.S. e' riconosciuta: 
          a) negli anni 2014 e 2015 nella misura del 20 per cento; 
          b) a decorrere dall'anno  2016  nella  misura  del  50  per
cento». 
    Il ricorrente e' titolare di trattamento pensionistico  di  oltre
sei volte superiore al minimo I.N.P.S.:  pertanto,  la  rivalutazione
della propria pensione e' nuovamente esclusa  dalla  nuova  normativa
introdotta a seguito della sentenza n. 70/2015. 
    Con la domanda proposta in giudizio, chiede l'applicazione  della
rivalutazione  sulla  propria  pensione   a   decorrere   dal   2013;
l'I.N.P.S.,  applicando  le  norme  ora  esaminate,  l'ha  del  tutto
esclusa. 
    La rilevanza della questione e' quindi evidente: nel caso in  cui
la norma venga ritenuta costituzionalmente legittima, il ricorso  non
puo' che essere rigettato, in quanto la domanda avanzata in  giudizio
trova  la  sua  diretta  negazione  nella  legge,  che  esclude  ogni
rivalutazione per le pensioni di importo di oltre sei volte  rispetto
al trattamento minimo I.N.P.S. (come quella del ricorrente) non  solo
per gli anni 2012 e 2013, ma anche per gli anni successivi.  Infatti,
per gli anni 2012 e 2013 la rivalutazione e'  esclusa  dall'art.  24,
comma 25, lettera e), introdotto dal decreto-legge n. 65/2015 e sopra
riportato; per gli anni successivi, la rivalutazione e'  esclusa  dal
comma  25-bis  dello  stesso  articolo.  Tale  seconda   disposizione
riconosce la rivalutazione nel limite prima  del  20%  (anni  2014  e
2015) e poi del 50% (2016 in poi ) rispetto ai criteri stabiliti  dal
precedente comma  25:  e'  evidente  che,  essendo  la  rivalutazione
spettante al ricorrente pari  a  zero,  la  pensione  da  lui  goduta
continuera' a non essere rivalutata in futuro. 
    Al contrario,  nel  caso  in  cui  le  norme  vengano  dichiarate
costituzionalmente illegittime, la domanda dovra' essere accolta,  in
quanto la rivalutazione della  pensione  dovra'  avvenire  secondo  i
criteri gia' stabiliti. Il ricorrente ha specificato nel  ricorso  il
beneficio  economico  di  cui   avrebbe   diritto,   limitandone   la
quantificazione   al   luglio   2015:   l'importo,   non   contestato
dall'I.N.P.S., e' pari a € 2.833,40. 
    Vi e' quindi un evidente interesse economico del ricorrente  alla
rimozione della normativa in oggetto, la quale  deve  necessariamente
essere presa in considerazione dal giudice al  fine  della  decisione
della causa. 
    Non  appare  possibile  addivenire  ad   alcuna   interpretazione
costituzionalmente orientata delle norme, le quali sono chiare  nello
stabilire che la rivalutazione, per le pensioni oltre  sei  volte  il
trattamento minimo, e' esclusa. 
 
                     Non manifesta infondatezza 
 
    Premesso che, ovviamente, la valutazione della  costituzionalita'
della norma e' rimessa alla Consulta,  si  evidenzia  che  sussistono
quantomeno seri dubbi di legittimita' delle  disposizioni  riportate,
per il contrasto con alcune norme di rango costituzionale. 
    1. Per quanto riguarda il comma  25,  si  ritiene  manifestamente
infondata la questione relativamente al contrasto con gli articoli 36
e 38 della Costituzione: infatti, non si puo' ritenere che il  blocco
della rivalutazione per due anni, in  una  situazione  di  inflazione
molto  vicina  allo  zero  (nell'anno  2013,  il  primo  per  cui  il
ricorrente poteva godere della rivalutazione, l'inflazione  e'  stata
pari  al  1,1%   (1)  ,  sia  tale  da  compromettere  gli  interessi
richiamati  nella  sentenza  n.  70/2015,  ossia   «L'interesse   dei
pensionati, in particolar modo  di  quelli  titolari  di  trattamenti
previdenziali modesti, e'  teso  alla  conservazione  del  potere  di
acquisto delle somme percepite, da cui deriva in modo  consequenziale
il diritto a una prestazione previdenziale adeguata». 
    Le pensioni per cui  la  nuova  norma  prevede  il  blocco  della
rivalutazione (superiori a sei volte il trattamento  minimo  previsto
dall'I.N.P.S.)  garantiscono  importi  sufficientemente  elevati   da
consentire una vita dignitosa, anche escludendo la rivalutazione  per
gli anni 2012 e 2013. 
    Non pare quindi che si possa essere alcuna  violazione  dell'art.
38  della  Costituzione,  poiche',   nonostante   il   blocco   della
rivalutazione,  anche  per  questi  due  anni  lo  Stato  continua  a
garantire «mezzi adeguati alle loro  esigenze  di  vita  in  caso  di
infortunio,  malattia,  invalidita'   e   vecchiaia,   disoccupazione
involontaria». 
    Lo stesso ragionamento deve essere fatto con riferimento al comma
25-bis, che dispone per gli anni 2014 e seguenti il prolungamento del
blocco della rivalutazione per  le  pensioni  di  importo  sei  volte
superiore  al  minimo:  peraltro,  la  disposizione  puo'   ritenersi
illegittima, dal punto di vista costituzionale, solo laddove  vi  sia
un effettivo impoverimento dei pensionati, al punto che  sia  violata
l'esigenza di garantire loro dei mezzi adeguati  o  che  la  pensione
goduta non si possa piu' ritenere  proporzionata  alla  contribuzione
versata, secondo l'interpretazione congiunta degli articoli 36  e  38
della Costituzione che la Corte ha richiamato anche nella sentenza n.
70/2015. 
    Infatti,  se  dal  punto  di  vista  teorico  il   blocco   della
rivalutazione potrebbe causare un pregiudizio ai  pensionati  per  la
perdita del potere d'acquisto degli  importi  erogati  dall'I.N.P.S.,
sotto il profilo concreto  si  devono  di  nuovo  richiamare  i  dati
diffusi dall'Istat,  che  descrivono  un  andamento  inflazionale  in
deciso ribasso, con un'inflazione dello 0,2% nel 2014  e  addirittura
una deflazione del 0,1% nel 2015; nuovamente, non viene  in  evidenza
alcun  effettivo  pregiudizio,  tale  da  far   ritenere   la   norma
costituzionalmente legittima. 
    2. Si ritiene invece non manifestamente infondata la questione di
costituzionalita' proposta con riferimento al  contrasto  con  l'art.
136 della Costituzione dell'art. 24, comma 25-bis. 
    La sentenza n. 70/2015 e' stata chiara nel  sancire  il  seguente
principio, gia' conclamato in precedenti pronunce,  secondo  cui  «la
sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo,  ovvero
la  frequente  reiterazione  di   misure   intese   a   paralizzarlo,
"esporrebbero il sistema ad evidenti tensioni  con  gli  invalicabili
principi di ragionevolezza e proporzionalita'", poiche'  risulterebbe
incrinata la principale finalita' di tutela,  insita  nel  meccanismo
della perequazione, quella che prevede una difesa modulare del potere
d'acquisto delle pensioni»  (2) . 
    Ebbene, il comma 25-bis gia' richiamato, che prevede che per  gli
anni  2014  e  seguenti  si  applichera'  «il  meccanismo   stabilito
dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, relativa
agli anni 2012 e 2013 come determinata dal comma 25», con  successivi
decrementi percentuali prima del 20% e poi del 50%, non fa altro  che
bloccare la rivalutazione delle pensioni il cui importo sia oltre sei
volte il minimo previsto dall'I.N.P.S., con  cio'  contravvenendo  al
monito della Corte costituzionale, secondo il  quale  il  blocco  del
meccanismo perequativo  deve  essere  necessariamente  contenuto  nel
tempo. 
    Si ritiene quindi che questa  questione  non  sia  manifestamente
infondata e debba essere sottoposta all'attenzione della Consulta. 

(1) Secondo i dati dell'Istat, che si possono ritenere notori. 

(2) Corte costituzionale,  sentenza  n.  70/2015,  che  richiama  uno
    stralcio della sentenza n. 316 del 2010. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Il giudice, visto l'art. 23 legge n. 53/1987: 
        accertata la rilevanza e la non manifesta infondatezza  della
questione  di  legittimita'  costituzionale  sollevata,  sospende  il
giudizio e rimette gli atti alla Corte  costituzionale  affinche'  la
stessa si pronunci,  adottando  i  provvedimenti  di  competenza,  in
merito   alla   costituzionalita'   dell'art.   24,   comma   25-bis,
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito, con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre  2011,  introdotto  dal
decreto-legge n. 65/2015, convertito, con modificazioni, dalla  legge
n. 109/2015 per contrasto con l'art. 136 della Costituzione; 
        manda   alla   cancelleria   di   notificare   il    presente
provvedimento alle parti, al Presidente del  Consiglio  dei  ministri
nonche' di comunicarlo ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
          Torino, 27 settembre 2016 
 
                          Il giudice: Mollo