N. 20 SENTENZA 7 dicembre 2016- 24 gennaio 2017

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Processo penale - Mezzi di ricerca  della  prova  -  Controlli  sulla
  corrispondenza postale del detenuto. 
- Codice di procedura penale, art. 266; legge 26 luglio 1975, n.  354
  (Norme sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle
  misure privative e limitative della liberta'), artt. 18 (nel  testo
  anteriore alle modifiche introdotte dall'art. 3, commi 2 e 3, della
  legge 8 aprile 2004, n. 95, recante «Nuove disposizioni in  materia
  di visto di controllo sulla corrispondenza dei detenuti») e 18-ter. 
-   
(GU n.5 del 1-2-2017 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Paolo GROSSI; 
Giudici :Giorgio LATTANZI, Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Giancarlo
  CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo'
  ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  266  del
codice di procedura penale e degli artt. 18 (nel testo anteriore alle
modifiche introdotte dall'art. 3, commi 2 e 3, della legge  8  aprile
2004, n. 95, recante «Nuove  disposizioni  in  materia  di  visto  di
controllo sulla corrispondenza dei detenuti») e 18-ter della legge 26
luglio 1975, n. 354 (Norme  sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla
esecuzione delle  misure  privative  e  limitative  della  liberta'),
promosso dalla Corte di assise  d'appello  di  Reggio  Calabria,  nel
procedimento penale a carico di C.T., con ordinanza  dell'8  febbraio
2016 iscritta al n. 67 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  14,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2016. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 7 dicembre  2016  il  Giudice
relatore Marta Cartabia. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza dell'8 febbraio 2016 (r.o. n. 67 del 2016),  la
Corte di  assise  d'appello  di  Reggio  Calabria  ha  sollevato,  in
riferimento agli artt. 3  e  112  della  Costituzione,  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 266  del  codice  di  procedura
penale e degli artt. 18 (nel testo previgente le modifiche introdotte
dall'art. 3, commi 2 e 3, della legge 8 aprile 2004, n.  95,  recante
«Nuove  disposizioni  in  materia  di  visto   di   controllo   sulla
corrispondenza dei detenuti») e 18-ter della legge 26 luglio 1975, n.
354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e  sulla  esecuzione  delle
misure privative e limitative della liberta'). 
    1.1.- La Corte rimettente ha premesso  di  essere  investita  del
processo  penale  a  carico  di  C.T.,  fondato  su  una   serie   di
intercettazioni telefoniche e ambientali, nonche' di missive  spedite
e ricevute in carcere dall'imputato, dalle quali il giudice di  primo
grado ha inferito  l'esistenza  di  un  progetto  criminoso  volto  a
consolidare il  potere  della  famiglia  dello  stesso  imputato  sul
territorio di Siderno e a consumare  una  serie  di  specifici  fatti
delittuosi. 
    La Corte di assise d'appello ha precisato che  la  corrispondenza
non e' stata sequestrata ai sensi dell'art. 254 cod. proc.  pen.,  ma
solo copiata dalla polizia  giudiziaria,  previa  autorizzazione  del
giudice per le indagini preliminari, senza quindi che  i  destinatari
potessero conoscere l'attivita' investigativa compiuta. 
    La Corte rimettente ha riferito che, in un primo tempo, la  Corte
di cassazione (sentenza 18 ottobre 2007 - 23 gennaio 2008,  n.  3579)
ha ritenuto utilizzabili i risultati di tali indagini, in  base  alla
considerazione che il provvedimento autorizzatorio del giudice sia in
questi casi parificabile a quello, di cui agli artt. 266  e  seguenti
cod. proc. pen., in materia di intercettazioni telefoniche. 
    Successivamente,     tuttavia,     la     questione      relativa
all'intercettabilita' della  corrispondenza  e'  stata  rimessa  alle
sezioni unite della medesima Corte  di  cassazione,  le  quali  hanno
ritenuto, con  sentenza  19  aprile  -  18  luglio  2012,  n.  28997,
inapplicabile  in  via  analogica  la  disciplina  prevista  per   le
intercettazioni o comunicazioni di cui agli artt. 266 e seguenti cod.
proc. pen. alle operazioni di intercettazione della corrispondenza  e
ha, di conseguenza, affermato l'inutilizzabilita', ex  art.  191  del
codice di rito, delle missive illegittimamente intercettate. 
    L'ordinanza di rimessione  riferisce  che  il  primo  giudice  di
appello ha, peraltro, considerato utilizzabili le dichiarazioni degli
imputati relative al contenuto di alcune lettere, di  cui  era  stata
data  lettura  dal  pubblico  ministero  in  sede  di  interrogatorio
dibattimentale, e ha condannato gli imputati per i delitti di tentata
estorsione aggravata, associazione mafiosa, associazione  finalizzata
al narcotraffico, omicidio volontario aggravato e connessi  reati  in
materia di armi. 
    La Corte di cassazione ha poi annullato la sentenza di  condanna,
limitatamente al delitto di omicidio volontario e ai reati in materia
di armi, rinviando il  giudizio  dinanzi  alla  procedente  Corte  di
assise d'appello di Reggio Calabria. 
    1.2.-  Cio'  premesso,  il  giudice  a  quo   ha   ritenuto   non
manifestamente infondate le questioni di legittimita'  costituzionale
degli artt. 266 cod.  proc.  pen.  e  18  (nel  testo  previgente  le
modifiche introdotte dall'art. 3, commi 2 e 3, della legge n. 95  del
2004) e 18-ter  della  legge  sull'ordinamento  penitenziario,  nella
parte in cui non consentono la intercettazione  della  corrispondenza
epistolare del  detenuto,  diversamente  da  quanto  avviene  per  le
comunicazioni telefoniche e le altre forme di telecomunicazione. 
    L'esclusione    della     corrispondenza     epistolare     dalle
intercettazioni, prosegue il rimettente, risulta  dall'impossibilita'
di applicare analogicamente  alle  missive  postali  le  disposizioni
dettate dal codice di rito in materia di intercettazioni telefoniche,
cosi' come rilevato dalle sezioni unite della  Corte  di  cassazione,
con la  citata  sentenza,  e  come  risulta  inevitabile  in  materia
presidiata da doppia riserva (di legge e di giurisdizione)  ai  sensi
dell'art. 15 Cost. Prova ne sarebbe anche  la  circostanza  che,  per
includere   nella   disciplina   delle   intercettazioni   anche   la
corrispondenza, nel corso della XV legislatura e' stato presentato un
apposito disegno di legge, mai approvato dal Parlamento. 
    Riguardo alla corrispondenza, infatti, secondo il giudice  a  quo
e' possibile il solo sequestro ai sensi degli artt. 254  e  353  cod.
proc. pen., ma non l'intercettazione all'insaputa del mittente e  del
destinatario, consentita  invece  dagli  artt.  266  e  seguenti  del
medesimo codice solo per le  comunicazioni  telefoniche  e  le  altre
telecomunicazioni. 
    Ad  avviso  del  rimettente,  simile  limitazione  determina  una
irragionevole  disparita'  di  trattamento   censurabile   ai   sensi
dell'art. 3 Cost., non giustificabile  ex  art.  15  Cost.,  giacche'
quest'ultima disposizione costituzionale si riferisce non  solo  alla
corrispondenza, ma «ad ogni altra forma  di  comunicazione»,  tra  le
quali rientrano percio' anche le comunicazioni telefoniche. 
    La rilevata  irragionevolezza  della  disparita'  di  trattamento
sarebbe accentuata nel caso di  corrispondenza  di  detenuti,  per  i
quali l'art. 18-ter dell'ordinamento penitenziario prevede,  in  caso
di controllo, l'apposizione di un visto, che  rende  i  soggetti  che
intrattengono corrispondenza edotti dell'attivita' investigativa.  In
questo modo, secondo il rimettente, lo stato detentivo, da  ritenersi
irrilevante  ai  fini  investigativi,  si  porrebbe   quale   fattore
ulteriormente  limitativo  delle  indagini,  in   quanto   imporrebbe
all'autorita' procedente, per la corrispondenza,  oneri  comunicativi
incompatibili con la necessita' di  assicurare  la  segretezza  delle
indagini, che non sono richiesti per i  soggetti  non  privati  della
liberta' personale. L'irragionevolezza della disciplina relativa alla
corrispondenza risulterebbe ancor piu' evidente a  fronte  del  fatto
che  la  legislazione  in  vigore  consentirebbe  le  intercettazioni
ambientali  di  colloqui  con  persone   in   visita   al   detenuto,
video-riprese che permettano di cogliere segni occulti o altri  gesti
comunicativi, non meno invasivi della privatezza e  della  segretezza
delle comunicazioni. 
    La Corte rimettente ritiene, dunque, che sussista una  violazione
del principio  di  uguaglianza  presidiato  dall'art.  3  Cost.,  per
irragionevole  disparita'  di  disciplina  tra   le   intercettazioni
telefoniche e quelle epistolari, nonche' per lo  status  privilegiato
che verrebbe riconosciuto all'indagato detenuto rispetto a quello non
detenuto. 
    1.3.- Il giudice a quo  ritiene  poi  violato  anche  l'art.  112
Cost., in quanto l'impossibilita' di  intercettare  le  comunicazioni
epistolari  dei  detenuti  renderebbe  ineffettivo  il  principio  di
obbligatorieta'  dell'azione  penale  in   relazione   alle   ipotesi
considerate. 
    Il   rimettente   ricorda   che,   secondo   la    giurisprudenza
costituzionale  (viene  citata  la  sentenza  n.   121   del   2009),
l'esercizio dell'azione penale puo' essere subordinato  a  specifiche
condizioni,  purche'  non  foriere  di  irragionevoli  disparita'  di
trattamento, come avverrebbe invece nella specie. 
    Inoltre, la completa individuazione degli elementi e delle  fonti
di    prova    -    che    sarebbe    compromessa     dall'esclusione
dell'intercettazione epistolare - costituisce, secondo  la  Corte  di
assise d'appello, il «precipitato naturale» del principio  codificato
dall'art.  112  Cost.,   che   ne   risulterebbe   quindi   parimenti
compromesso. 
    1.4.- Ritenuta la non manifesta infondatezza delle questioni,  in
punto  di   rilevanza   il   giudice   a   quo   ha   precisato   che
l'inutilizzabilita', nella loro completezza, delle  missive  copiate,
ma non sottoposte a sequestro, ne' alle formalita'  prescritte  dagli
artt. 18 e 18-ter dell'ordinamento penitenziario, determinerebbe  una
lacunosita'  del  materiale  probatorio  relativo  alla   fattispecie
omicidiaria e ai reati in materia di armi,  con  conseguente  rilievo
delle questioni sollevate nel giudizio. 
    2.- Con atto depositato il 26 aprile  2016,  e'  intervenuto  nel
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che   le
questioni siano dichiarate inammissibili. 
    In particolare, la difesa dello Stato ha rilevato che l'ordinanza
di rimessione risulta del tutto carente di motivazione  in  punto  di
rilevanza delle questioni, mancando  la  benche'  minima  descrizione
tanto della fattispecie concreta, quanto delle  evidenze  documentali
ritenute non utilizzabili.  Tale  carenza  precluderebbe  alla  Corte
costituzionale  ogni  verifica  della  rilevanza,   con   conseguente
inammissibilita' delle questioni sollevate. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con  ordinanza  dell'8  febbraio  2016  la  Corte  di  assise
d'appello di Reggio Calabria ha sollevato, in riferimento agli  artt.
3 e 112 della Costituzione, questioni di legittimita'  costituzionale
dell'art. 266 del codice di procedura penale e degli  artt.  18  (nel
testo previgente le modifiche introdotte dall'art. 3, commi  2  e  3,
della legge 8 aprile 2004, n.  95,  recante  «Nuove  disposizioni  in
materia di visto di controllo sulla corrispondenza dei  detenuti»)  e
18-ter della legge 26 luglio 1975,  n.  354  (Norme  sull'ordinamento
penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e  limitative
della liberta'). 
    L'art. 266 cod. proc. pen. prevede, nei procedimenti relativi  ai
reati  da  esso   elencati,   la   possibilita'   di   sottoporre   a
intercettazione le conversazioni, le comunicazioni telefoniche  e  le
altre forme di telecomunicazione, mentre gli impugnati artt. 18 - nel
testo anteriore alle modifiche di cui alla legge n. 95 del 2004  -  e
18-ter della legge n. 354 del 1975 prevedono,  come  unica  forma  di
controllo  della  corrispondenza  epistolare  del  detenuto,   quella
tramite apposizione di un visto. Il rimettente ritiene che le  citate
disposizioni siano illegittime nella parte in cui non  consentono  di
intercettare il contenuto  della  corrispondenza  postale,  impedendo
cosi' di captare il contenuto delle missive senza che il  mittente  e
il destinatario ne vengano a conoscenza, come avviene invece  per  le
altre forme di comunicazione. 
    1.1.- In particolare, il giudice a  quo  ha  premesso  di  essere
investito del  giudizio  sulla  responsabilita'  dell'imputato  C.T.,
limitatamente a delitti di omicidio volontario e in materia di  armi,
a seguito di sentenza di annullamento con rinvio da parte della Corte
di cassazione. 
    Ha  quindi  precisato  che,   per   valutare   adeguatamente   la
responsabilita' dell'imputato nel giudizio di rinvio,  e'  necessario
l'integrale esame  del  contenuto  della  corrispondenza  postale  da
questi inviata e ricevuta in carcere. 
    Tale corrispondenza e' stata copiata all'insaputa del mittente  e
dei destinatari in forza di un provvedimento di autorizzazione emesso
dal  giudice  procedente,  senza  sottoporla  a  sequestro  ai  sensi
dell'art. 254 cod. proc. pen., ne' a  visto  di  controllo  ai  sensi
degli artt. 18 e 18-ter dell'ordinamento penitenziario. 
    Ai  fini  della  condanna   sono   state   utilizzate   le   sole
dichiarazioni rese dai coimputati sul contenuto  di  alcune  di  tali
missive, di cui e' stata data loro lettura in  dibattimento,  per  le
contestazioni nel contraddittorio delle parti. 
    La corrispondenza epistolare non sarebbe  tuttavia  utilizzabile,
direttamente e nella sua integralita', ai sensi  dell'art.  191  cod.
proc. pen., in quanto acquisita mediante una forma di intercettazione
da considerarsi vietata dalla legge. 
    Infatti,  come  chiarito  dalle  Sezioni  unite  della  Corte  di
cassazione (sentenza 19 aprile  -  18  luglio  2012,  n.  28997),  la
corrispondenza epistolare  non  e'  soggetta  alla  disciplina  delle
intercettazioni di conversazioni o comunicazioni,  dovendosi  invece,
per tale forma di  comunicazione  riservata,  seguire  le  forme  del
sequestro  ovvero,  nel  caso  di  corrispondenza  di  detenuti,   la
disciplina del visto di controllo. Tale  conclusione  ermeneutica  si
impone  ineluttabilmente,  in  quanto  la  materia  delle  intrusioni
investigative sulla corrispondenza postale e' regolata dall'art.  254
cod. proc. pen. - che ha ad oggetto il sequestro della corrispondenza
presso gestori di servizi postali o in luoghi accessori - e, nel caso
dei detenuti, dai citati artt. 18 (nel testo previgente le  modifiche
introdotte dall'art. 3, commi 2 e 3, della legge n. 95  del  2004)  e
18-ter dell'ordinamento penitenziario, che  prevedono  una  procedura
mediante apposizione di visto di controllo. Il sequestro e  il  visto
di  controllo  si  atteggiano,  quindi,  quale  disciplina   speciale
incidente su aspetti  presidiati  dalla  riserva  di  legge  prevista
dall'art. 15 Cost., cosi' da impedire l'applicazione analogica  delle
disposizioni di cui all'art.  266  cod.  proc.  pen.  in  materia  di
intercettazioni, ovvero l'applicazione  dell'art.  189  dello  stesso
codice in materia di prove atipiche. 
    1.2.- Secondo il rimettente, l'assetto normativo sopra descritto,
risultante dall'art. 266 cod. proc. pen. e dai citati artt.  18  (nel
testo previgente le modifiche introdotte dall'art. 3, commi  2  e  3,
della legge n. 95 del 2004) e 18-ter dell'ordinamento  penitenziario,
sarebbe  costituzionalmente  illegittimo  nella  parte  in  cui   non
consente l'intercettazione della corrispondenza postale in genere  e,
in particolare, di quella del detenuto. 
    In primo luogo, sarebbe  violato  il  principio  di  uguaglianza,
presidiato dall'art. 3 Cost., sotto  un  duplice  profilo.  Anzitutto
perche' si sottopongono a una irragionevole disparita' di trattamento
le comunicazioni telefoniche,  informatiche  e  telematiche  rispetto
alle comunicazioni epistolari mediante servizio postale;  in  secondo
luogo, perche' si attribuisce uno  status  privilegiato  all'indagato
detenuto rispetto a quello non detenuto. 
    Inoltre, verrebbe violato l'art. 112 Cost., in quanto l'attivita'
investigativa    sarebbe    ostacolata     e     resa     ineffettiva
dall'impossibilita' di accedere a determinate fonti di prova, accesso
che, secondo il rimettente,  costituisce  il  «precipitato  naturale»
dell'obbligatorieta' dell'azione penale. 
    2.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso   dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,   ha    eccepito
l'inammissibilita' delle sollevate questioni, in  quanto  l'ordinanza
di rimessione risulterebbe del tutto  carente  di  motivazione  sulla
rilevanza delle questioni, mancando  la  benche'  minima  descrizione
tanto della fattispecie concreta, quanto delle  evidenze  documentali
ritenute non utilizzabili.  Tale  carenza  precluderebbe  alla  Corte
costituzionale  ogni  verifica  della  rilevanza,   con   conseguente
inammissibilita' delle questioni sollevate. 
    2.1.- L'eccezione non e' fondata. 
    Il rimettente ha descritto le fattispecie in termini  sufficienti
a consentire alla Corte il necessario  controllo  sull'applicabilita'
nel procedimento principale degli impugnati artt. 266 cod. proc. pen.
e 18 (nel testo previgente le modifiche introdotte dall'art. 3, commi
2 e 3,  della  legge  n.  95  del  2004)  e  18-ter  dell'ordinamento
penitenziario, come risultanti  dalla  modifica  richiesta  a  questa
Corte con le  sollevate  questioni  di  legittimita'  costituzionale.
L'ordinanza   riferisce,   infatti,   l'andamento    del    complesso
procedimento, all'esito  del  quale  la  Corte  rimettente  e'  stata
investita, in qualita' di giudice del rinvio, del giudizio  a  carico
di C.T., limitatamente al delitto di omicidio volontario e  ai  reati
in materia  di  armi.  Lo  stesso  rimettente  ha  poi  compiutamente
motivato  sull'inutilizzabilita'   delle   prove   raccolte   tramite
"intercettazione"  della  corrispondenza   epistolare   dell'imputato
detenuto e sulle ragioni per  le  quali  le  impugnate  disposizioni,
senza  le  addizioni  richieste,  costituiscano  l'ostacolo  a  detta
utilizzabilita'. 
    Non  pare  invero  necessario,  ai  fini  del   controllo   sulla
rilevanza,  che  il   giudice   a   quo   enunci   specificamente   e
dettagliatamente   i   contenuti   delle   comunicazioni   epistolari
illegittimamente intercettate, avendo egli comunque riferito  che  in
esse passano gli  elementi  per  l'organizzazione  della  fattispecie
omicidiaria sub iudice con i  connessi  reati  in  materia  di  armi.
L'ordinanza di rimessione, del resto, espone  le  ragioni  logiche  e
giuridiche per le  quali  il  giudice  deve  poter  procedere  a  una
valutazione integrale delle predette comunicazioni epistolari ai fini
della decisione di merito in sede di rinvio, e illustra i motivi  per
i quali l'attuale assetto normativo non lo consente. 
    2.2.- Quanto all'assetto normativo che impedisce  l'utilizzazione
del contenuto di missive postali non sottoposte ne'  a  sequestro  ex
art. 254 cod. proc. pen., ne' a visto di  controllo  ex  art.  18-ter
della legge n. 354 del 1975  (e,  prima  delle  modifiche  introdotte
dalla legge n. 95 del 2004, ex art. 18), neppure  puo'  rimproverarsi
al  rimettente  di  non  avere   sperimentato   una   interpretazione
costituzionalmente conforme delle disposizioni denunciate. 
    La Corte di assise d'appello ha  infatti  articolato  le  ragioni
testuali, sistematiche e di ordine costituzionale che impongono  tale
conclusione, in linea con  il  "diritto  vivente",  quale  risultante
dalla sentenza delle Sezioni  unite  della  Corte  di  cassazione  19
aprile - 18 luglio 2012, n. 28997. 
    Infatti,  la  materia  delle   intrusioni   investigative   sulla
corrispondenza epistolare e' regolata dall'art. 254 cod. proc.  pen.,
che ha ad oggetto il sequestro presso i gestori di servizi postali  o
in luoghi accessori e che, rispetto alla normativa generale  in  tema
di sequestri (art. 253 cod. proc. pen.), si atteggia quale disciplina
speciale, in quanto incidente  su  aspetti  presidiati  dall'art.  15
Cost. Inoltre, per quanto  riguarda  la  corrispondenza  postale  dei
detenuti, l'ordinamento penitenziario prevede una speciale  procedura
mediante   visto   di   controllo,   ai   sensi   dell'art.    18-ter
dell'ordinamento penitenziario (e, prima delle  modifiche  introdotte
dalla legge n. 95 del 2004, dell'art. 18). 
    In presenza di tale specifica regolamentazione  e  vertendosi  in
materia presidiata dalle riserve di legge e di giurisdizione  di  cui
all'art. 15 Cost., non e', dunque, consentita l'applicazione  in  via
analogica alla corrispondenza epistolare della disciplina dettata per
le intercettazioni dagli artt. 266 e seguenti del codice di rito. 
    Pertanto il rimettente ha argomentato in modo non implausibile  -
e anzi conforme a criteri ermeneutici anche di ordine  costituzionale
- che, essendo la materia compiutamente disciplinata,  non  sussiste,
in base al quadro  normativo  vigente  e  al  "diritto  vivente",  la
possibilita' di utilizzare forme di captazione  della  corrispondenza
postale diverse dal sequestro o,  per  i  detenuti,  dalla  procedura
mediante visto di  controllo:  cio'  non  sarebbe  possibile  neppure
ricorrendo alla categoria della prova atipica ex art. 189 cod.  proc.
pen., che presuppone la formazione lecita della prova,  come  risulta
dal "diritto vivente" in proposito espresso da altra  sentenza  delle
sezioni unite della Corte di  cassazione  (sentenza  28  marzo  -  28
luglio  2006,  n.  26795)  in  tema  di  riprese   visive.   Infatti,
l'acquisizione  della  copia  della  corrispondenza  deve   ritenersi
vietata ove non avvenga con le modalita'  stabilite  dall'ordinamento
penitenziario per l'apposizione del visto di controllo,  quanto  alla
corrispondenza dei detenuti, e con quelle del sequestro ex  art.  254
cod. proc. pen. per la generalita' della corrispondenza postale. 
    3.- Nel merito le questioni non sono fondate. 
    3.1.- La «liberta'» e la «segretezza» della «corrispondenza e  di
ogni  altra  forma  di  comunicazione»  sono  oggetto   del   diritto
«inviolabile» tutelato dall'art. 15  Cost.,  che  garantisce  «quello
spazio vitale che circonda la persona e senza  il  quale  questa  non
puo' esistere e svilupparsi in armonia con i postulati della dignita'
umana» (sentenza n. 366 del 1991, ripresa dalla sentenza  n.  81  del
1993). 
    Nondimeno, al  pari  di  ogni  altro  diritto  costituzionalmente
protetto, anche il diritto alla  liberta'  e  alla  segretezza  della
corrispondenza e' soggetto a limitazioni, purche' disposte «per  atto
motivato dell'autorita' giudiziaria con le garanzie  stabilite  dalla
legge».  Se  cosi'  non  fosse,   «si   verificherebbe   l'illimitata
espansione di uno dei diritti, che diverrebbe "tiranno" nei confronti
delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente  riconosciute  e
protette» (sentenza n. 85 del 2013).  Per  questo,  la  «Costituzione
italiana,  come  le  altre  Costituzioni  democratiche  e  pluraliste
contemporanee, richiede un continuo e vicendevole  bilanciamento  tra
principi e diritti fondamentali, senza  pretese  di  assolutezza  per
nessuno di essi», nel rispetto dei canoni di  proporzionalita'  e  di
ragionevolezza (sentenza n. 85 del 2013). Pertanto, anche il  diritto
inviolabile protetto dall'art. 15 Cost.  puo'  subire  limitazioni  o
restrizioni  «in  ragione  dell'inderogabile  soddisfacimento  di  un
interesse pubblico primario costituzionalmente rilevante,  sempreche'
l'intervento limitativo posto in essere sia  strettamente  necessario
alla tutela di quell'interesse e sia rispettata la duplice  garanzia»
della riserva assoluta di legge  e  della  riserva  di  giurisdizione
(sentenza n. 366 del 1991). 
    3.2.- Non v'e' dubbio che l'amministrazione della giustizia e  la
persecuzione   dei    reati    costituiscano    interessi    primari,
costituzionalmente rilevanti, idonei  a  giustificare  una  normativa
limitativa  del  diritto  alla  liberta'  e  alla  segretezza   della
corrispondenza  e  della  comunicazione.   Cio'   avviene,   appunto,
attraverso la previsione legislativa di mezzi di ricerca della prova,
disciplinati dal Libro III, Titolo  III,  Capo  III,  del  codice  di
procedura  penale,  che  consentono  all'autorita'   giudiziaria   di
prendere conoscenza dei contenuti delle comunicazioni  interpersonali
rilevanti ai fini dell'accertamento dei reati e di  utilizzarli  come
evidenze processuali. 
    La vigente normativa sulla ricerca dei mezzi di  prova  distingue
gli strumenti applicabili alla corrispondenza  da  quelli  esperibili
nei  confronti  delle  comunicazioni   telefoniche,   telematiche   e
informatiche. Per le prime e' possibile procedere a  sequestro  (art.
254 cod. proc. pen.), mentre per le seconde la  ricerca  delle  prove
puo' avvenire a mezzo di intercettazione (artt. 266  e  266-bis  cod.
proc. pen.), applicabile anche alle comunicazioni tra presenti. 
    Si tratta invero di strumenti diversi per modalita' ed efficacia.
Il  sequestro  della  corrispondenza  ha  per  oggetto  il   supporto
(lettera, plico, pacco, telegramma)  di  cui  comporta  l'apprensione
materiale,  con  la  conseguenza  di  impedire  che  esso  giunga   a
destinazione. L'intercettazione, che puo' avvenire anche all'insaputa
degli interessati, ha per oggetto la comunicazione in se'  e  non  ne
interrompe il flusso; essa richiede operazioni talora  articolate  di
registrazione e trascrizione perche' le informazioni  possano  essere
utilizzate  a  fini  processuali,  secondo   modalita'   puntualmente
disciplinate dalla legge (artt. 268 e ss. cod. proc. pen). 
    Il rimettente ravvisa, nella vigente normativa, un'ingiustificata
asimmetria tra la disciplina concernente le comunicazioni  epistolari
(in particolare postali) e quella applicabile  alle  altre  forme  di
comunicazione (conversazioni e comunicazioni telefoniche, telematiche
o informatiche, ovvero gestuali), in quanto per le prime non  sarebbe
prevista l'intercettazione, ma solo  il  sequestro.  Tale  asimmetria
determinerebbe una violazione del principio  di  uguaglianza  sancito
dall'art. 3 Cost. 
    3.3.- Vero e' che il diritto di cui all'art. 15  Cost.  comprende
tanto la «corrispondenza» quanto le «altre forme  di  comunicazione»,
incluse quelle telefoniche, elettroniche, informatiche, tra  presenti
o effettuate con gli altri  mezzi  resi  disponibili  dallo  sviluppo
della tecnologia. 
    E' altresi' vero, tuttavia, che la tutela del medesimo diritto  -
nella specie, a comunicare liberamente e riservatamente -  non  esige
di necessita' l'uniformita' della disciplina delle misure restrittive
ad esso applicabili. Al contrario, la  medesima  esigenza  di  tutela
della liberta' e segretezza delle  comunicazioni  interpersonali  ben
puo' tollerare, o persino richiedere, che la limitazione del  diritto
sia adeguatamente modulata, in ragione delle diverse  caratteristiche
del mezzo attraverso  cui  la  comunicazione  si  esprime.  Cio'  che
rileva, ai fini del controllo esercitato da questa Corte, e'  che  le
disposizioni  limitative  della  liberta'  di   comunicazione   siano
rispettose della riserva assoluta di legge e di giurisdizione e siano
volte alla tutela di un altro diritto o al perseguimento di un  altro
interesse costituzionalmente rilevante, in ossequio  ai  principi  di
idoneita', necessita' e proporzionalita'. 
    In altri termini, cio' che questa Corte e' chiamata a verificare,
nel caso di specie, e' che il legislatore abbia operato  in  concreto
un bilanciamento tra il principio costituzionale della  tutela  della
riservatezza nelle comunicazioni e l'interesse  della  collettivita',
anch'esso  costituzionalmente  protetto,   alla   repressione   degli
illeciti  penali,   senza   imporre   limitazioni   irragionevoli   o
sproporzionate dell'uno o dell'altro (sentenza n. 372 del 2006). 
    3.4.- Nella normativa vigente,  la  liberta'  e  la  riservatezza
della  corrispondenza  epistolare  (postale)  non  sono  esenti   dai
sacrifici necessari  ad  assicurare  un  efficace  svolgimento  delle
indagini e dell'amministrazione della giustizia. Il sequestro di  cui
all'art.  254  cod.  proc.  pen.,  infatti,  consente   all'autorita'
giudiziaria di prendere conoscenza dei contenuti della corrispondenza
dell'imputato rilevante per l'accertamento di reati, per mezzo  della
diretta acquisizione coattiva della res in cui si sostanzia l'atto di
comunicazione, rappresentata dalla missiva cartacea. In tal modo,  il
sequestro determina altresi' un'interruzione del flusso  informativo,
impedendo che la comunicazione scritta giunga al destinatario,  cosi'
da   esplicare   anche   effetti   preventivi,   specie   quando   la
corrispondenza  epistolare  si  sostanzi  in  direttive   o   mandati
criminosi. 
    Il sequestro, individuato dal legislatore come strumento volto  a
dotare l'ordinamento di mezzi  di  indagine  utili  alla  repressione
degli illeciti penali, costituisce una  tra  le  possibili  forme  di
restrizione alla liberta'  e  alla  segretezza  della  corrispondenza
idonee a contemperare, in modo non  irragionevole,  anche  alla  luce
delle peculiari caratteristiche del mezzo comunicativo  disciplinato,
interessi costituzionali contrapposti. 
    3.5.-  Non  puo'  d'altra  parte  ritenersi  che   la   specifica
disciplina applicabile alla corrispondenza determini una  distinzione
giuridica  irragionevole  e   percio'   lesiva   del   principio   di
eguaglianza,  sulla  base  del  solo  raffronto  con   la   normativa
applicabile a mezzi strutturalmente eterogenei quali  sono,  appunto,
le  comunicazioni  telefoniche,  informatiche   e   telematiche.   La
specificita' della regolamentazione del sequestro  di  corrispondenza
epistolare e  la  inapplicabilita'  ad  essa  della  normativa  sulle
intercettazioni risultano, del resto, dalla stessa giurisprudenza  di
legittimita' delle Sezioni unite (sentenza  19  aprile  -  18  luglio
2012, n. 28997). 
    La diversita' del mezzo comunicativo utilizzato - segnatamente il
suo diverso grado di materializzazione - ha orientato il  legislatore
verso differenti modalita' di ricerca della prova, secondo scelte non
irragionevoli, in base alle quali ha previsto  il  sequestro  per  la
comunicazione realizzata attraverso un mezzo cartaceo - in linea  con
gli strumenti tradizionali per l'acquisizione di cose  pertinenti  al
reato (art. 253 cod.  proc.  pen.  e,  con  specifico  riguardo  alla
corrispondenza   postale,   art.   254   cod.   proc.   pen.)   -   e
l'intercettazione per la comunicazione  realizzata  attraverso  mezzi
visivi, acustici o elettronici. 
    Non e' dunque di per se' irragionevole  che  la  restrizione  del
diritto alla segretezza delle comunicazioni, giustificata da esigenze
di  prevenzione  e  repressione  dei  reati,  possa   comportare   la
previsione di differenti mezzi di ricerca della  prova,  tecnicamente
confacenti  alla  diversa  natura  del  medium  utilizzato   per   la
comunicazione. 
    4.- Per quanto riguarda  piu'  specificamente  la  corrispondenza
postale del detenuto,  deve  inoltre  ricordarsi  che  la  disciplina
dettata dall'art. 18-ter della legge n. 354 del 1975, come modificata
dalla legge  n.  95  del  2004,  rappresenta  un  delicato  punto  di
equilibrio raggiunto dal legislatore, anche  a  seguito  di  numerose
decisioni della Corte europea dei diritti dell'uomo in  cui  l'Italia
veniva ripetutamente condannata per violazione degli  artt.  8  e  13
CEDU (ex multis, sentenze 21  ottobre  1996,  Calogero  Diana  contro
Italia; 15 novembre 1996, Domenichini contro Italia; 6  aprile  2000,
Labita contro Italia; 26 luglio 2001, Di Giovine  contro  Italia;  14
ottobre 2004, Ospina Vargas contro Italia). 
    4.1.- Non e' superfluo ribadire il  costante  orientamento  della
giurisprudenza  di  questa  Corte,  secondo  il   quale   la   tutela
costituzionale dei diritti fondamentali opera anche nei confronti  di
chi e'  stato  sottoposto  a  legittime  restrizioni  della  liberta'
personale, sia pure con  le  limitazioni  imposte  dalla  particolare
condizione in cui versa: «Chi si trova in stato  di  detenzione,  pur
privato della maggior parte della sua liberta', ne conserva sempre un
residuo, che e' tanto piu' prezioso in  quanto  costituisce  l'ultimo
ambito nel quale puo' espandersi  la  sua  personalita'  individuale»
(sentenza n. 349 del 1993, nonche' sentenze n. 26 del 1999 e  n.  212
del 1997). 
    In relazione alla liberta' di corrispondenza, deve osservarsi che
i  colloqui  personali  dei  detenuti  e,  se  autorizzate,  le  loro
comunicazioni  telefoniche  sono  soggetti   a   contingentamenti   e
regolazioni da parte dell'ordinamento penitenziario  (art.  18  della
legge n.  354  del  1975).  Per  quanto  riguarda  la  corrispondenza
epistolare, di norma  il  detenuto  deve  avere  a  disposizione  gli
strumenti necessari, ma per la  sua  stessa  condizione  e'  comunque
tenuto ad affidarsi all'amministrazione penitenziaria, che smista  la
posta diretta ai detenuti o da loro spedita. 
    In questo contesto, di  per  se'  limitativo  della  liberta'  di
comunicare riservatamente, si inserisce l'art. 18-ter, introdotto con
la legge n. 95 del 2004, che prevede  la  possibilita'  di  ulteriori
restrizioni: «Per esigenze attinenti le indagini o investigative o di
prevenzione dei reati, ovvero per ragioni di sicurezza  o  di  ordine
dell'istituto, possono essere disposti,  nei  confronti  dei  singoli
detenuti o internati, per  un  periodo  non  superiore  a  sei  mesi,
prorogabile per periodi non superiori  a  tre  mesi:  a)  limitazioni
nella corrispondenza epistolare e telegrafica e nella ricezione della
stampa;  b)  la  sottoposizione  della  corrispondenza  a  visto   di
controllo; c) il controllo del contenuto delle buste che  racchiudono
la corrispondenza, senza lettura della medesima». 
    4.2.-  La   procedura   mediante   visto   di   controllo   della
corrispondenza  postale  dei  detenuti   di   cui   all'art.   18-ter
dell'ordinamento penitenziario  si  affianca,  dunque,  ad  ulteriori
limitazioni e condizionamenti a cui  la  comunicazione  con  soggetti
esterni e' sottoposta. Unitamente agli  altri  strumenti  contemplati
dal medesimo  art.  18-ter,  l'apposizione  del  visto  di  controllo
realizza, nello specifico ambito  della  detenzione  in  carcere,  un
bilanciamento tra le esigenze investigative legate alla prevenzione o
alla repressione dei reati e i diritti dei detenuti, tra i  quali  la
possibilita' di intrattenere rapporti con  soggetti  esterni  riveste
una particolare importanza affinche' le modalita' di esecuzione della
pena siano rispettose dei principi  costituzionali  e,  segnatamente,
dell'art. 27 Cost. 
    5.- D'altra parte, la normativa  impugnata  attiene  ad  istituti
processuali e, segnatamente, ai mezzi di ricerca della prova,  ambito
in cui debbono essere preservati adeguati margini di discrezionalita'
legislativa, soggetti solo a controllo di manifesta  irragionevolezza
o arbitrarieta' da parte di questa Corte  (da  ultimo,  ex  plurimis,
sentenze n. 152 del 2016, n. 138 del 2012 e n. 141 del 2011). 
    Per   le   considerazioni   che    precedono,    relative    alle
caratteristiche del mezzo utilizzato e  della  particolare  posizione
del  detenuto,  deve  escludersi  la  manifesta  irragionevolezza   o
arbitrarieta'  delle  scelte  discrezionali  del  legislatore   nella
regolazione dei mezzi di  ricerca  della  prova  che  possono  essere
adottati  in  relazione  alla  corrispondenza   postale   in   genere
(attraverso il sequestro ex art. 254 cod. proc. pen.) e del  detenuto
in particolare (attraverso la procedura mediante visto  di  controllo
prevista dall'ordinamento penitenziario). 
    Cio' non vuol dire che lo stesso legislatore, nel rispetto  delle
riserve di legge e di giurisdizione previste dall'art. 15 Cost. e  in
osservanza dei canoni di ragionevolezza e  di  proporzionalita',  non
possa prevedere forme di captazione occulta  dei  contenuti  che  non
interrompano il  flusso  comunicativo,  come  gia'  accaduto  per  le
comunicazioni telematiche e informatiche, introdotte  attraverso  gli
artt. 11 e 12 della legge 23 dicembre 1993, n. 547 (Modificazioni  ed
integrazioni alle norme del codice penale e del codice  di  procedura
penale in tema di criminalita' informatica). 
    Si    tratta    di    delicate    scelte    discrezionali,    non
costituzionalmente necessitate, che, come  tali,  rientrano  a  pieno
titolo nelle competenze e nelle responsabilita' del legislatore e non
in quelle di questa  Corte,  il  cui  compito  precipuo  e'  vigilare
affinche' il bilanciamento, fissato  dalla  legge,  tra  contrapposti
diritti  e  interessi   costituzionali   risponda   a   principi   di
ragionevolezza e proporzionalita'. 
    6.- Dalle  osservazioni  che  precedono  discende  l'infondatezza
delle censure relative alla violazione degli artt. 3 e 112 Cost. 
    Infatti - a prescindere da ogni considerazione  sull'affermazione
del  rimettente  relativa  alla   completezza   investigativa   quale
«precipitato naturale» del principio di  obbligatorieta'  dell'azione
penale - una volta ritenuta non illegittima,  per  la  corrispondenza
epistolare, la restrizione a taluni mezzi  di  ricerca  della  prova,
risultano altrettanto non illegittime le conseguenti limitazioni  del
materiale probatorio utilizzabile. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondate le questioni di legittimita'  costituzionale
dell'art. 266 del codice di procedura penale e degli  artt.  18  (nel
testo anteriore alle modifiche introdotte dall'art. 3, commi 2  e  3,
della legge 8 aprile 2004, n.  95,  recante  «Nuove  disposizioni  in
materia di visto di controllo sulla corrispondenza dei  detenuti»)  e
18-ter della legge 26 luglio 1975,  n.  354  (Norme  sull'ordinamento
penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e  limitative
della liberta'), sollevate dalla Corte di assise di appello di Reggio
Calabria, in riferimento agli artt. 3 e 112 della  Costituzione,  con
l'ordinanza in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 dicembre 2016. 
 
                                F.to: 
                      Paolo GROSSI, Presidente 
                      Marta CARTABIA, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 24 gennaio 2017. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA