N. 5 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 30 gennaio 2017

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 30 gennaio 2017 (della Regione Toscana). 
 
Amministrazione pubblica - Camere di  commercio  -  Attuazione  della
  delega di cui all'art. 10 della  legge  n.  124  del  2015  per  il
  riordino  delle  funzioni  e  del  finanziamento  delle  Camere  di
  commercio, industria,  artigianato  e  agricoltura  -  Tempi  della
  delega - Finanziamento delle Camere di commercio  -  Riduzione  del
  numero delle stesse - Comunicazioni in via telematica. 
- Decreto legislativo 25 novembre  2016,  n.  219  (Attuazione  della
  delega di cui all'articolo 10 della legge 7 agosto  2015,  n.  124,
  per il riordino delle funzioni e del finanziamento delle camere  di
  commercio, industria, artigianato e agricoltura), intero  testo,  e
  artt. 1, comma 1, lett. r), n. 1, punto i); 3, comma 4; e 4,  comma
  6. 
(GU n.7 del 15-2-2017 )
    Ricorso della Regione Toscana (c.f.: 01386030488), in persona del
Presidente pro - tempore, autorizzato con deliberazione della  Giunta
regionale n. 2 del 10  gennaio  2017,  rappresentato  e  difeso,  per
mandato  in  calce   al   presente   atto,   dall'avv.   Lucia   Bora
dell'Avvocatura della Regione Toscana, elettivamente  domiciliato  in
Roma, presso lo studio dell'avv. Marcello Cecchetti, piazza Barberini
n. 12; 
    Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro-tempore,  per
la  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale   del   decreto
legislativo 25 novembre 2016 n. 219 nel suo complesso e con specifico
riferimento all'art. 1, comma 1, lett. r, n. 1 punto i),  all'art.  3
quarto comma e all'art. 4 sesto comma per  violazione  del  principio
della  leale  collaborazione  tra  Stato  e  Regioni,  nonche'  degli
articoli 76, 77 primo comma, 117 terzo e quarto comma e 118 Cost. 
    Sulla Gazzetta Ufficiale n. 276 del 25  novembre  2016  e'  stato
pubblicato il decreto legislativo 25 novembre 2016 n. 219 «Attuazione
della delega di cui all'art. 10 della legge 7 agosto 2015 n. 124  per
il riordino delle  funzioni  e  del  finanziamento  delle  Camere  di
commercio, industria, artigianato e agricoltura». 
    Tale decreto legislativo e' stato adottato  in  base  alla  legge
delega  n.  124/2015,  recante  deleghe  al  Governo  in  materia  di
riorganizzazione  delle  amministrazioni  pubbliche.  Ridefinire   la
mission delle Camere di commercio e rafforzare la  loro  funzione  di
sostegno alle imprese, riducendone i costi e dimezzandone il  numero,
e' il traguardo fissato dall'art. 10 della legge,  che  detta,  quali
principi  e  criteri  direttivi  a  cui  deve  ispirarsi  il  Governo
nell'adottare    un    decreto    legislativo    per    la    riforma
dell'organizzazione, delle funzioni e del finanziamento delle  Camere
di commercio, i seguenti: 
      determinazione del diritto annuale a carico delle imprese; 
      ridefinizione  delle  circoscrizioni  territoriali,  entro  180
giorni dall'entrata in vigore  del  decreto,  il  numero  complessivo
delle Camere si ridurra' dalle attuali 105  a  non  piu'  di  60  nel
rispetto  dei  seguenti  vincoli  direttivi:  almeno  una  Camera  di
commercio per Regione; accorpamento delle  Camere  di  commercio  con
meno di 75 mila imprese iscritte; 
      ridefinizione dei compiti e  delle  funzioni,  con  particolare
riguardo a quelle di pubblicita' legale generale  e  di  settore,  di
semplificazione amministrativa, di tutela del  mercato,  limitando  e
individuando gli ambiti di attivita' nei quali svolgere  la  funzione
di  promozione  del  territorio  e  dell'economia   locale,   nonche'
attribuendo al sistema camerale specifiche competenze, anche delegate
dallo Stato e dalle Regioni, eliminando  le  duplicazioni  con  altre
amministrazioni pubbliche, limitando le partecipazioni  societarie  a
quelle necessarie per lo svolgimento delle funzioni istituzionali; 
      riordino delle competenze relative alla tenuta e valorizzazione
del registro delle imprese, con particolare riguardo alle funzioni di
promozione della trasparenza del  mercato  e  di  pubblicita'  legale
delle imprese; 
      definizione di standard nazionali di qualita' delle prestazioni
delle  Camere  di  commercio,  in  relazione  a   ciascuna   funzione
fondamentale, ai relativi servizi ed  all'utilita'  prodotta  per  le
imprese; 
      riduzione del numero dei componenti dei Consigli e delle Giunte
e riordino della relativa disciplina, compresa quella sui criteri  di
elezione, in  modo  da  assicurare  un'adeguata  consultazione  delle
imprese, e sul limite ai mandati,  nonche'  delle  Unioni  regionali,
delle aziende speciali e delle societa' controllate;  riordino  della
disciplina dei compensi dei relativi organi, prevedendo la  gratuita'
degli incarichi diversi da quelli nei collegi dei revisori dei conti;
definizione  di  limiti  al   trattamento   economico   dei   vertici
amministrativi delle Camere di commercio e delle aziende speciali. 
    Il decreto legislativo presenta disposizioni non  rispettose  dei
citati criteri direttivi, in violazione degli articoli 76 e 77  primo
comma Cost., ed ha sviluppato i principi della legge delega  in  modo
non conforme alle competenze regionali  costituzionalmente  garantite
ai sensi degli articoli 117, terzo e quarto comma e 118  Cost.  e  in
violazione del principio  di  leale  cooperazione.  Le  Regioni,  nel
parere reso nell'ambito della Conferenza Unificata di cui all'art.  8
del  decreto  legislativo  n.  281/1997,  avevano   espresso   parere
favorevole condizionato all'accoglimento di una  serie  di  proposte,
tuttavia disattese in sede di approvazione. 
    In particolare, per cogliere le illegittimita' costituzionali che
verranno prospettate, si rileva che e' incontestabile che  le  Camere
di  commercio  svolgano,   ormai   da   tempo,   rilevanti   funzioni
riconducibili a materie di competenza sia concorrente  che  residuale
delle Regioni, quali la promozione dello sviluppo  economico  locale,
il sostegno delle attivita' economiche regionali, lo  sviluppo  della
competitivita' delle imprese  nell'economia  regionale,  il  sostegno
all'innovazione per i settori produttivi regionali, il commercio,  la
promozione del turismo e del patrimonio culturale, l'orientamento  al
lavoro. 
    La Corte costituzionale, gia' prima della riforma  del  Titolo  V
della Costituzione, nella sentenza n. 477/2000, ha  chiarito  che  le
Camere di commercio, in base alla  legge  di  riforma  del  1993,  si
configurano  come  «un  ente  pubblico  locale  dotato  di  autonomia
funzionale, che entra a pieno titolo, formandone  parte  costitutiva,
nel sistema dei poteri locali secondo lo schema dell'art.  118  della
Costituzione, diventando anche  potenziale  destinatario  di  deleghe
dello Stato e della Regione». 
    Nella successiva sentenza n. 374/2007, pronunciata in  base  alla
riforma del nuovo Titolo V della Cost., la Corte  costituzionale,  in
applicazione della cd «chiamata in sussidiarieta'», ha  rilevato  che
«anche quando ha proceduto al trasferimento alle Regioni di  funzioni
in materia di camere  di  commercio,  il  legislatore  si  e'  sempre
preoccupato di garantire che la costituzione  dei  consigli  camerali
fosse  disciplinata  in  maniera  omogenea  su  tutto  il  territorio
nazionale. Cio' si spiega considerando che le camere di commercio, da
un lato, sono espressione del sistema delle  imprese  e,  dall'altro,
svolgono funzioni che richiedono una disciplina uniforme».  La  Corte
costituzionale  ha  anche  precisato,  pero',  che  in  simili   casi
l'intervento  statale  deve  essere  proporzionato  all'esigenza   di
esercizio unitario a livello statale delle funzioni di cui volta  per
volta si tratta e deve essere espletato previa intesa con le Regioni. 
    Quindi sussistono esigenze di carattere unitario che  legittimano
la competenza statale in materia;  tuttavia  l'indubbia  interferenza
dell'ambito di operativita'  della  Camere  di  commercio  anche  con
materie  regionali   rende   necessario   un   pieno   ed   effettivo
coinvolgimento delle Regioni nella definizione della  normativa,  nel
rispetto del principio della leale collaborazione. Tale  premesso  il
decreto  legislativo  n.  219/2016  appare  incostituzionale  per   i
seguenti motivi di 
 
                               Diritto 
 
1) Illegittimita' costituzionale del decreto legislativo n.  219/2016
nel  suo  complesso  per  violazione  del  principio,   della   leale
collaborazione tra Stato e Regioni e per violazione degli articoli 76
e 77 primo comma Cost. 
  1.a) Come si e' esposto in premessa, le Camere di commercio operano
in ambiti rilevanti  di  competenza  regionale  sia  concorrente  che
residuale  (sviluppo  economico  locale,   sostegno   alle   imprese,
commercio, turismo,  orientamento  al  lavoro).  Le  Regioni  inoltre
gestiscono le procedure di nomina, di costituzione degli organi e  di
commissariamento allorquando gli  enti  camerali  non  assicurino  il
normale funzionamento ovvero non approvino il preventivo economico  o
il bilancio d'esercizio nei termini. Si tratta di poteri di  assoluta
importanza che riguardano gli organi e le funzioni  delle  Camere  di
commercio, ponendole nell'ambito degli enti  sottoposti  a  vigilanza
regionale  ai  sensi  dell'art.  4,  della  legge  n.  580/1993  come
modificata dal decreto legislativo n. 23 del 2010, per le materie  di
competenza. 
    Nella sentenza  n.  251  del  2016  la  Corte  costituzionale  ha
rilevato che «La' dove legislatore delegato si  accinge  a  riformare
istituti  che   incidono   su   competenze   statali   e   regionali,
inestricabilmente  connesse,  sorge   la   necessita'   del   ricorso
all'intesa. 
    Quest'ultima  si  impone,  dunque,  quale  cardine  della   leale
collaborazione anche quando l'attuazione delle  disposizioni  dettate
dal legislatore statale e' rimessa a  decreti  legislativi  delegati,
adottati dal Governo sulla base dell'art. 76 Cost.». 
    In applicazione di  tale  principio  il  decreto  legislativo  in
oggetto avrebbe dunque dovuto essere approvato previa intesa  con  la
Conferenza Stato-Regioni. 
    Ne' vale, in contrario, rilevare che l'art. 10,  della  legge  n.
124/2015 prevedeva  il  parere  della  Conferenza  unificata  di  cui
all'art. 8 del decreto legislativo n. 281/1997, perche' la violazione
del principio di leale collaborazione e' resa evidente applicando  il
criterio rilevato dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n.
251/2016, in quanto, poiche' le  Camere  di  commercio  si  collocano
all'intreccio di una serie di competenze statali e  regionali,  anche
per l'esercizio di questa delega sarebbe stato necessario il  ricorso
all'intesa, con insufficienza del  mero  parere,  con  consequenziale
illegittimita' del decreto  delegato  per  violazione  del  principio
della  leale  cooperazione  quale,   vizio   autonomo   del   decreto
legislativo medesimo. 
  1.b) Il primo comma dell'art. 10,  della  legge  n.  124  del  2015
prevedeva, quale scadenza della delega «dodici  mesi  dalla  data  di
entrata in vigore della presente legge»: dunque il 29 agosto 2016. 
    Il decreto legislativo  e'  stato  approvato  dal  Consiglio  dei
Ministri  il  25  agosto  e  trasmesso  alle  Camere,  nonche'   alla
Conferenza unificata e al Consiglio di Stato, il 26 agosto. 
    Il  secondo  comma  del  citato  art.  10  dispone:  «Il  decreto
legislativo di cui al comma 1 e' adottato ... previa acquisizione del
parere della Conferenza unificata  di  cui  all'art.  8  del  decreto
legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e del  parere  del  Consiglio  di
Stato, che sono resi nel termine di quarantacinque giorni dalla  data
di trasmissione dello schema di decreto legislativo, decorso il quale
il Governo puo' comunque procedere. Lo schema di decreto  legislativo
e' successivamente trasmesso alle Camere per l'espressione dei pareri
delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili
finanziari, che si pronunciano nel termine di sessanta  giorni  dalla
data di trasmissione, decorso il quale il  decreto  legislativo  puo'
essere comunque adottato. Se il termine previsto per il  parere  cade
nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine  previsto  al
comma 1 o successivamente,  la  scadenza  medesima  e'  prorogata  di
novanta giorni». 
    Percio' la legge di delega e' chiara nel prevedere che: 
      prima siano richiesti i pareri della Conferenza e del Consiglio
di Stato, da rendere nel termine di quarantacinque giorni; 
      successivamente  sono  richiesti  i  pareri  delle  Commissioni
parlamentari. 
    Invece, il Governo ha trasmesso lo schema di decreto  legislativo
contestualmente alla Conferenza unificata, al Consiglio  di  Stato  e
alle Commissioni parlamentari, cosi' contravvenendo l'iter  delineato
dalla citata  norma,  ottenendo  cosi'  anche  lo  spostamento  della
scadenza della delega al 29 novembre. 
    La Costituzione richiede che la legge di delega  fissi  un  tempo
limitato e certo per l'esercizio della stessa e che senza delegazione
delle Camere il Governo non  possa  emanare  decreti  con  valore  di
legge. Pertanto, il rispetto del  meccanismo  temporale  fissato  dal
legislatore delegato deve essere rigoroso:  se  la  legge  di  delega
fissa una sequenza anche temporale specifica di pareri che consentano
di integrare  e  verificare  i  contenuti  dello  schema  di  decreto
legislativo, non puo' essere certo il Governo -  da  parte  sua  -  a
modificarlo. 
    Il mancato rispetto di tale iter di  consecutivita'  comporta  il
mancato rispetto del termine di delega e la violazione degli articoli
76 e 77 primo comma Cost. 
    E' noto che la violazione  di  tali  disposizioni  costituzionali
puo'  essere  prospettata  dalle  Regioni  con  il  ricorso  in   via
principale ove la  stessa  determini  una  lesione  delle  competenze
regionali; infatti la Corte costituzionale ha motivato la  ridondanza
di  una  questione  prospettata  in  relazione  alle  suddette  norme
costituzionali sull'assunto  che  la  violazione  denunciata  risulti
«potenzialmente idonea a determinare una lesione  delle  attribuzioni
costituzionali delle Regioni», incidendo le  norme  impugnate  su  un
ambito materiale di potesta' legislativa concorrente (sentenza n.  22
del 2012; n. 80/2012). 
    Nel caso in esame, come sopra gia' evidenziato,  l'oggetto  della
disciplina - e  in  particolare  il  riordino,  l'accorpamento  e  la
riorganizzazione delle funzioni delle Camere di  commercio  -  incide
sulle attribuzioni regionali  (promozione  dello  sviluppo  economico
locale, sostegno delle attivita' economiche regionali, sviluppo della
competitivita'  delle  imprese  nell'economia   regionale,   sostegno
all'innovazione  per  i  settori  produttivi  regionali,   commercio,
promozione del turismo e del patrimonio  culturale,  orientamento  al
lavoro) e quindi la eccepita violazione degli artt. 76  e  77,  primo
comma  Cost.  determina  una  sicura   lesione   delle   attribuzioni
regionali. 
2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, lett. r), n. 1
punto i) nella parte in cui sostituisce  il  comma  10  dell'art.  18
della legge 28 dicembre 1993, n. 580, per violazione  degli  articoli
117 terzo e quarto comma e 118 Cost. - Violazione del principio della
leale cooperazione. 
    L'art. 1, comma 1, lett. r) n. 1 punto i) del decreto legislativo
in oggetto sostituisce il  comma  10  dell'art.  18  della  legge  n.
580/1993 in tema di finanziamento delle camere di commercio. 
    L'originario comma 10 disponeva che  per  il  cofinanziamento  di
specifici progetti aventi per scopo l'aumento della produzione  e  il
miglioramento  delle  condizioni  economiche   della   circoscrizione
territoriale di competenza, le Camere di commercio potevano aumentare
per gli esercizi di riferimento la misura del diritto annuale fino ad
un massimo del venti per cento. 
    L'attuale disposizione invece dispone: 
      «10. Per il finanziamento di programmi  e  progetti  presentati
dalla Camere di commercio, condivisi con le  Regioni  ed  aventi  per
scopo la promozione dello sviluppo economico  e  l'organizzazione  di
servizi alle  imprese,  il  Ministro  dello  sviluppo  economico,  su
richiesta di Unioncamere, valutata la  rilevanza  dell'interesse  del
programma o del  progetto  nel  quadro  delle  politiche  strategiche
nazionali,  puo'  autorizzare  l'aumento,   per   gli   esercizi   di
riferimento, della misura del diritto annuale fino ad un massimo  del
venti per cento. Il rapporto sui risultati dei progetti e' inviato al
Comitato che effettua la vigilanza amministrativo contabile». 
    Poiche'  la  norma  riguarda  il  finanziamento  di  programmi  e
progetti che le Camere di commercio condividono con le Regioni per la
promozione dello sviluppo economico  e  l'organizzazione  di  servizi
alle  imprese,  si  verte   in   ambiti   di   competenza   regionale
costituzionalmente garantiti. Quindi la  valutazione  del  Ministero,
compiuta in modo unilaterale senza il coinvolgimento  delle  Regioni,
e'  lesiva  delle  competenze  regionali  perche'  e'  finalizzata  a
stabilire la rilevanza di quei progetti e, quindi,  l'ammissibilita',
per il loro  finanziamento,  dell'aumento  dei  diritti  annuali.  Il
mancato riconoscimento di questa possibilita' di aumento del  diritto
annuale puo' infatti determinare l'impossibilita'  di  realizzare  il
progetto per carenza di risorse da parte della Camera di commercio. 
    Cio' non significa non tener conto dell'esigenza di  contenere  i
costi a carico delle imprese, per  razionalizzare  i  medesimi:  tale
esigenza infatti ben potrebbe  essere  perseguita  con  un  effettivo
coinvolgimento  delle  Regioni.  Quel  che  si  contesta  e'  che  la
decisione finale di autorizzare o meno l'aumento del diritto  annuale
per garantire  le  risorse  finanziarie  del  programma/progetto  sia
rimessa unilateralmente al Ministero  senza  intesa  con  le  Regioni
interessate, pur riguardando il programma o  il  progetto  ambiti  di
competenza regionale, come si evince chiaramente  dalla  disposizione
impugnata. Pertanto la disposizione non e' coerente  con  i  principi
della giurisprudenza costituzionale la quale, sin dalla  sentenza  n.
303/2003, ha configurato l'intesa con la  Regione  interessata  quale
presupposto essenziale per la compatibilita'  costituzionale  di  una
normativa statale che, in applicazione dell'art. 118 Cost.,  attragga
in capo allo Stato potesta' legislative che l'art.  117  affida  alla
competenza concorrente o residuale delle Regioni. 
    Non solo. La giurisprudenza costituzionale ha chiarito  che,  ove
la normativa  statale  incida  in  ambiti  di  competenza  regionale,
l'imprescindibile fase concertativa deve essere salvaguardata: 
      «Appare evidente che quest'ultima va considerata come un'intesa
"forte", nel senso che  il  suo  mancato  raggiungimento  costituisce
ostacolo insuperabile alla conclusione del procedimento a  causa  del
particolarissimo impatto che una struttura produttiva di questo  tipo
ha su tutta una serie di funzioni regionali relative al  governo  del
territorio, alla tutela della salute, alla  valorizzazione  dei  beni
culturali ed ambientali, al turismo, etc.» (sentenza n. 6 del 2004). 
    Ancora la giurisprudenza  costituzionale  ha  chiarito  che,  ove
l'intesa debba essere prevista dal legislatore statale come strumento
necessario per riequilibrare le potesta'  legislative  regionali  che
sarebbero altrimenti eccessivamente compromesse, e' necessario che la
stessa intesa,  secondo  i  canoni  della  leale  collaborazione,  si
sviluppi  attraverso  reiterate  trattative,  volte  a  superare   le
divergenze che ostacolano il raggiungimento di un  accordo  (sentenza
n. 339 del 2005). 
    In definitiva, e' necessario che quantomeno si attui una fase  di
dialogo fra le parti e che si realizzi  un  contatto  tra  i  diversi
interessi ed una dialettica leale  e  costruttiva  fra  i  differenti
soggetti  di  rilevanza   costituzionale,   perche'   altrimenti   la
previsione dell'intesa si tradurrebbe in una statuizione solo formale
e, quindi, inidonea al soddisfacimento degli obiettivi per  cui  deve
essere  garantita  e  cioe'  l'equo  contemperamento  delle  potesta'
riconosciute a soggetti entrambi  dotati  di  autonomia  e  rilevanza
costituzionale. 
    La norma impugnata non rispetta  i  suddetti  principi,  violando
cosi' sia gli artt. 117 terzo e quarto  comma  e  118  Cost.  che  il
principio della leale cooperazione. 
    La violazione dell'art. 118 Cost. e' configurabile anche  per  un
ulteriore motivo. 
    Come sopra accennato, le Camere di commercio sono  enti  pubblici
locali dotati di autonomia funzionale, che entrano  a  pieno  titolo,
formandone parte costitutiva, nel sistema dei poteri  locali  secondo
lo  schema  dell'art.  118  della  Costituzione,   diventando   anche
potenziali destinatarie di deleghe dello Stato e  della  Regione:  la
Regione dunque,  in  applicazione  del  principio  di  sussidiarieta'
orizzontale di cui all'art.  118  ultimo  comma  Cost.  e'  tenuta  a
valorizzare il  ruolo  di  tali  enti,  riconoscendo  loro  attivita'
amministrative di interesse generale in  conformita'  al  loro  ruolo
nella societa' civile. 
    Cio' e' espressamente stabilito anche dall'art. 7, della legge n.
131/2003 che richiede allo Stato e alle Regioni di attribuire compiti
agli enti di autonomia funzionale, anche nei settori della promozione
dello sviluppo economico e della gestione dei servizi. 
    La disposizione contestata, rimettendo unilateralmente allo Stato
la decisione circa l'ammissibilita' dell'aumento dei diritti  annuali
per finanziare i programmi ed i progetti che le Camere  di  commercio
condividono con le Regioni, lede anche l'art. 118 ultimo comma  Cost.
perche', in assenza di risorse finanziarie  sufficienti,  la  Regione
sara'  inevitabilmente  costretta  a  non  affidare  alla  Camera  di
commercio  le  attivita'  oggetto  del  programma/progetto   per   la
promozione dello sviluppo economico e per l'organizzazione di servizi
alle imprese. 
3)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  3  quarto  comma,  per
violazione dell'art. 117 terzo e quarto comma Cost. e per  violazione
del principio della leale cooperazione. 
    Dubbi di costituzionalita' presenta la procedura della  riduzione
del numero delle Camere di  commercio  oggi  esistenti,  disciplinata
dall'art. 3 del  decreto  legislativo  in  oggetto.  La  disposizione
prevede che la  proposta  di  rideterminazione  delle  circoscrizioni
territoriali, per ricondurre il numero complessivo  delle  Camere  di
commercio entro  sessanta,  debba  partire  da  Unioncamere  (che  la
trasmette al Ministero dello sviluppo economico entro il  termine  di
180 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto;  in  caso  di
inerzia provvede direttamente il Ministero dello sviluppo economico).
La proposta contiene la  razionalizzazione  delle  sedi  e  un  piano
complessivo  di  riassetto  degli  uffici   e   del   personale,   la
rideterminazione delle dotazioni organiche del personale dirigenziale
e  non,  le  risorse  finanziarie  per   i   fondi   destinati   alla
contrattazione  collettiva  decentrata  integrativa,   la   razionale
distribuzione del personale.  Il  Ministero,  sentita  la  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  Regioni  e  le  Province
autonome di Trento e Bolzano approva la proposta, istituisce la nuova
Camera e da' attuazione alle ipotesi del piano. L'eventuale personale
in sovrannumero alla fine del processo e'  ricollocato  presso  altre
amministrazioni statali  con  le  procedure  di  mobilita'  e  al  31
dicembre  2019  il  personale  non  riassorbito  e'   soggetto   alle
disposizioni di cui all'art. 33 settimo ed ottavo comma  del  decreto
legislativo n. 165/2001 (collocamento in disponibilita'). 
    Tale previsione appare lesiva  delle  attribuzioni  regionali  al
quarto  comma,  ove  introduce  il  mero  parere   della   Conferenza
Stato-Regioni sul piano di razionalizzazione cosi'  incisivo  per  le
Camere di commercio: tale parere non appare idoneo  per  un  radicale
processo di riordino di enti operanti anche in materie regionali,  il
quale dovrebbe avvenire con un coinvolgimento  effettivo  e  maggiore
delle Regioni, perche', come gia'  rilevato,  quando  il  legislatore
statale riforma  istituti  «che  incidono  su  competenze  statali  e
regionali inestricabilmente connesse, sorge la necessita' del ricorso
all'intesa» che si impone «quale cardine della leale  collaborazione»
(sentenza n. 251/2016). 
    Come  evidenziato   in   premessa,   le   Camere   di   commercio
indubbiamente  operano  anche  in  ambiti  affidati  alla  competenza
concorrente e residuale delle  Regioni,  con  conseguente  violazione
dell'art. 117 terzo e  quarto  comma  e  del  principio  della  leale
collaborazione da parte della disposizione impugnata (art. 3,  quarto
comma)  che  non  prevede  la  necessaria  intesa  della   Conferenza
Stato-Regioni, ma  il  mero  parere,  sul  provvedimento  statale  di
rideterminazione delle circoscrizioni  territoriali,  di  istituzione
delle nuove Camere di commercio e, in generale, sulle  determinazioni
conseguenti  al   piano   di   riordino   e   razionalizzazione.   Il
coinvolgimento regionale in merito e' minimo perche' e' previsto solo
un parere della Conferenza Stato-Regioni e non una intesa sul  piano,
intesa invece imprescindibile  e,  a  salvaguardia  delle  competenze
regionali in cui operano le Camere di commercio. 
4)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  4  sesto  comma,   per
violazione dell'art. 117 quarto comma Cost. 
    L'art.  4,  comma  6  introduce  anche  a  carico  delle  regioni
l'obbligo di comunicazione in via  telematica  di  propri  atti  alla
Camera  di  commercio,  finalizzato  ad  implementare  il   fascicolo
informatica d'impresa. Le Regioni hanno  propri  sistemi  informativi
per cui e' necessario che il  decreto  del  Ministro  dello  sviluppo
economico, che determina  i  termini  e  le  modalita'  operative  di
applicazione di tale  obbligo,  sia  emanato  previa  intesa  con  le
Regioni e non gia' solo sentite le medesime, come invece  prevede  la
norma. 
    Per tale aspetto si configura una violazione dell'art. 117 quarto
comma  Cost.,  per   interferenza   con   l'autonomia   organizzativa
regionale. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Si chiede che l'ecc.ma Corte costituzionale, in accoglimento  del
presente  ricorso,  dichiari  l'illegittimita'   costituzionale   del
decreto legislativo 25 novembre 2016 n. 219 nel suo complesso  e  con
specifico riferimento all'art. 1, comma 1, lett. r  n.  1  punto  i),
all'art. 3 quarto comma e all'art. 4 sesto comma per violazione degli
articoli 76, 77 primo comma, 117 terzo e quarto comma  e  118  Cost.,
nonche' per violazione del principio della leale  collaborazione  tra
Stato e Regioni. 
    Si  deposita  la  delibera  di  autorizzazione  a  promuovere  il
giudizio. 
      Firenze, 19 gennaio 2017 
 
                              Avv. Bora