N. 26 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 marzo 2016
Ordinanza del 25 marzo 2016 del Tribunale amministrativo regionale per il Molise sul ricorso proposto da Albano Giuseppe e altri 3 contro Presidenza Consiglio dei ministri, Ministero dell'economia e delle finanze e Avvocatura dello Stato.. Impiego pubblico - Riforma degli onorari dell'Avvocatura generale dello Stato e delle avvocature degli enti pubblici - Criteri per la determinazione dei compensi professionali degli avvocati e dei procuratori dello Stato. - Decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, art. 9, commi 3, 4 e 6.(GU n.10 del 8-3-2017 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL MOLISE (Sezione Prima) Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 102 del 2015, proposto da: Giuseppe Albano, Piero Vitullo, Alfonso Peluso, Iolanda Luce, rappresentati e difesi dagli avv.ti Massimo Luciani e Michele Sansone, con domicilio eletto presso il secondo in Campobasso, via Campania, n. 83; Contro Presidenza del Consiglio dei ministri, in p.l.r.p.t., Ministero dell'economia e delle finanze in persona del Ministro pro tempore, Avvocatura dello Stato in persona dell'Avvocato generale pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Campobasso, via Garibaldi, n. 124; Per l'accertamento, previa eventuale rimessione alla Corte costituzionale della questione incidentale di legittimita' costituzionale dell'art. 9 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, del diritto dei ricorrenti alla corresponsione dei compensi professionali senza le decurtazioni e le limitazioni previste dall'art. 9 del decreto-legge n. 90/2014 citato; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Presidenza del Consiglio dei ministri, del Ministero dell'economia e delle finanze e dell'Avvocatura generale dello Stato; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 novembre 2015 il dott. Domenico De Falco e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; I ricorrenti, tutti Avvocati dello Stato attualmente in servizio presso l'Avvocatura distrettuale dello Stato di Campobasso premettono che ad essi e' conferita, oltre alla rappresentanza e la difesa in giudizio dello Stato e di numerosi enti pubblici statali e territoriali, anche una generale attivita' di consulenza in favore delle Amministrazioni. Essi espongono che fino alle modifiche introdotte con decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 convertito con modificazioni con la legge 11 agosto 2014, n. 114, il proprio trattamento economico comprendeva: 1) una parte fissa, commisurata a ruolo, titolo e grado e che e' relativamente al quantum e' equiparata al trattamento dei magistrati dell'ordine giudiziario; 2) una parte variabile riconosciuta articolata ai sensi dell'art. 21 del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611 (T.U. delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull'ordinamento dell'Avvocatura dello Stato) che si articolava: nelle competenze di avvocato liquidate con sentenza od ordinanza oppure pattuite per rinuncia o transazione; in una somma corrispondente alla meta' delle competenze che sarebbero state liquidate per le ipotesi in cui l'Amministrazione non fosse soccombente ma fosse stata disposta la compensazione delle spese ovvero concordata una transazione su sentenza favorevole allo Stato. Questo regime e' stato, poi, parzialmente modificato dall'art. 1, comma 457, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, che ha disposto una riduzione temporanea (per il triennio 2014-2016) dei compensi liquidati a seguito di sentenza che riconosceva la pubblica amministrazione non soccombente. In tale contesto, e' stato introdotto l'art. 9 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 che, per quanto qui di interesse: i) ha incluso gli onorari professionali nel tetto massimo degli emolumenti di cui all'art. 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011 convertito con la legge 22 dicembre 2011, n. 214; ii) nei casi di pronuncia con condanna della controparte dell'Amministrazione alle spese, ha stabilito di ripartire tra gli avvocati degli enti pubblici le somme recuperate, escludendo da tale regime gli Avvocati dello Stato, ai quali, ha invece riconosciuto solo il 50% delle somme in questione; iii) nei casi di pronuncia in cui l'Amministrazione risulti non soccombente e sia stata disposta la compensazione delle spese, ha riconosciuto agli avvocati e ai dipendenti delle Amministrazioni i compensi in base alle norme regolamentari vigenti in ciascun ente (nei limiti dello stanziamento previsto per l'anno 2013), escludendo gli Avvocati dello Stato ai quali quindi, in tali casi, non viene riconosciuta alcuna somma. Sul presupposto che la disciplina appena riportata riduca illegittimamente il proprio trattamento economico, gli Avvocati dello Stato in epigrafe indicati, hanno proposto il ricorso introduttivo del presente giudizio al fine di sentire dichiarare il proprio diritto alla corresponsione degli onorari professionali secondo il regime previgente, senza le decurtazioni e limitazioni previste dal citato art. 9, con condanna delle Amministrazioni intimate al pagamento delle somme dovute. E' chiaro che l'accoglimento di dette domande presuppone la declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 9 del decreto-legge n. 90/2014, convertito dalla legge n. 114 del 2014, pertanto i ricorrenti hanno prospettato svariate questioni di legittimita' costituzionale della novella disciplina che, a loro dire, violerebbe numerosi parametri costituzionali nonche' norme del diritto europeo e internazionale (segnatamente gli articoli 3, 4, 23, 35, 36, 42, 53, 77, 97 e 117 della Costituzione, anche in relazione all'art. 1 del Primo Protocollo addizionale Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e agli art. 3 e 13 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, circostanza, questa, che, secondo i ricorrenti, ridonda in altrettante violazioni dell'art. 117, comma 1, della Costituzione). Le Amministrazioni intimate si sono costituite in giudizio argomentando diffusamente per l'infondatezza delle censure di incostituzionalita' della disciplina introdotta con l'art. 9 del decreto-legge n. 90 del 2014 e chiedendo, pertanto, la reiezione del ricorso nel merito. All'udienza del 19 novembre 2015, la causa e' stata chiamata e, dopo articolata discussione, ne e' stata riservata la decisione. Nella Camera di consiglio del 9 marzo 2016, la causa e' stata decisa, nel senso di cui alla seguente motivazione e al seguente dispositivo di ordinanza. Il presente giudizio ha ad oggetto le sensibili riduzioni che il citato art. 9 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 convertito nella legge 11 agosto 2014, n. 114 dei compensi professionali da riconoscere agli Avvocati (e Procuratori) dello Stato. E' utile ai fini di una migliore comprensione del giudizio riportare il contenuto dell'art art. 9 del decreto-legge n. 90/2014: «(Riforma degli onorari dell'Avvocatura generale dello Stato e delle avvocature degli enti pubblici). 1. I compensi professionali corrisposti dalle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, agli avvocati dipendenti delle amministrazioni stesse, ivi incluso il personale dell'Avvocatura dello Stato, sono computati ai fini del raggiungimento del limite retributivo di cui all'art. 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e successive modificazioni. 2. Sono abrogati il comma 457 dell'art. 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, e il terzo comma dell'art. 21 del testo unico di cui al regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611. L'abrogazione del citato terzo comma ha efficacia relativamente alle sentenze depositate successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto. 3. Nelle ipotesi di sentenza favorevole con recupero delle spese legali a carico delle controparti, le somme recuperate sono ripartite tra gli avvocati dipendenti delle amministrazioni di cui al comma 1, esclusi gli avvocati e i procuratori dello Stato, nella misura e con le modalita' stabilite dai rispettivi regolamenti e dalla contrattazione collettiva ai sensi del comma 5 e comunque nel rispetto dei limiti di cui al comma 7. La parte rimanente delle suddette somme e' riversata nel bilancio dell'amministrazione. 4. Nelle ipotesi di sentenza favorevole con recupero delle spese legali a carico delle controparti, il 50 per cento delle somme recuperate e' ripartito tra gli avvocati e procuratori dello Stato secondo le previsioni regolamentari dell'Avvocatura dello Stato, adottate ai sensi del comma 5. Un ulteriore 25 per cento delle suddette somme e' destinato a borse di studio per lo svolgimento della pratica forense presso l'Avvocatura dello Stato, da attribuire previa procedura di valutazione comparativa. Il rimanente 25 per cento e' destinato al Fondo per la riduzione della pressione fiscale, di cui all'art. 1, comma 431, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, e successive modificazioni. 5. I regolamenti dell'Avvocatura dello Stato e degli altri enti pubblici e i contratti collettivi prevedono criteri di riparto delle somme di cui al primo periodo del comma 3 e al primo periodo del comma 4 in base al rendimento individuale, secondo criteri oggettivamente misurabili che tengano conto tra l'altro della puntualita' negli adempimenti processuali. I suddetti regolamenti e contratti collettivi definiscono altresi' i criteri di assegnazione degli affari consultivi e contenziosi, da operare ove possibile attraverso sistemi informatici, secondo principi di parita' di trattamento e di specializzazione professionale. 6. In tutti i casi di pronunciata compensazione integrale delle spese, ivi compresi quelli di transazione dopo sentenza favorevole alle amministrazioni pubbliche di cui al comma 1, ai dipendenti, ad esclusione del personale dell'Avvocatura dello Stato, sono corrisposti compensi professionali in base alle norme regolamentari o contrattuali vigenti e nei limiti dello stanziamento previsto, il quale non puo' superare il corrispondente stanziamento relativo all'anno 2013. Nei giudizi di cui all'art. 152 delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, possono essere corrisposti compensi professionali in base alle norme regolamentari o contrattuali delle relative amministrazioni e nei limiti dello stanziamento previsto. Il suddetto stanziamento non puo' superare il corrispondente stanziamento relativo all'anno 2013. 7. I compensi professionali di cui al comma 3 e al primo periodo del comma 6 possono essere corrisposti in modo da attribuire a ciascun avvocato una somma non superiore al suo trattamento economico complessivo. 8. Il primo periodo del comma 6 si applica alle sentenze depositate successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto. I commi 3, 4 e 5 e il secondo e il terzo periodo del comma 6 nonche' il comma 7 si applicano a decorrere dall'adeguamento dei regolamenti e dei contratti collettivi di cui al comma 5, da operare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. In assenza del suddetto adeguamento, a decorrere dal 1ºgennaio 2015, le amministrazioni pubbliche di cui al comma 1 non possono corrispondere compensi professionali agli avvocati dipendenti delle amministrazioni stesse, ivi incluso il personale dell'Avvocatura dello Stato. 9. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare minori risparmi rispetto a quelli gia' previsti a legislazione vigente e considerati nei saldi tendenziali di finanza pubblica». In sintesi, per quanto attiene al trattamento economico degli Avvocati dello Stato, la disciplina appena riportata ha stabilito che: i) i compensi professionali dovuti agli Avvocati dello Stato siano inclusi nel tetto massimo degli emolumenti di cui all'art. 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011convertito con la legge 22 dicembre 2011, n. 214 (cfr. comma 1 art. 9 del decreto-legge 90/2014); ii) nelle ipotesi di sentenza favorevole all'Amministrazione con condanna della controparte alle spese, le somme recuperate sono ripartite tra gli avvocati delle singole Amministrazioni, sono invece esclusi gli Avvocati dello Stato ai quali, invece, tali somme sono riconosciute nei limiti del 50% (cfr. commi 3 e 4 dell'art. 9 del decreto-legge n. 90/2014); iii) in tutti i casi di pronuncia favorevole con compensazione delle spese (ivi compresi i casi di transazione dopo sentenza favorevole) agli avvocati e ai dipendenti delle Amministrazioni sono corrisposti i compensi in base alle norme regolamentari vigenti (nei limiti dello stanziamento previsto per l'anno 2013), ma non invece agli Avvocati dello Stato ai quali quindi per tali casi non e' piu' prevista la corresponsione di alcun compenso (comma 6 del decreto-legge n. 90/2014). I) Rilevanza delle questioni. Chiarito il contesto normativo, occorre stabilire se ricorrano i presupposti di cui all'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 di rilevanza delle questioni di legittimita' costituzionale e di non manifesta infondatezza delle stesse, necessari ai fini dell'ammissibilita' del rinvio alla Corte costituzionale. Ora, il requisito della rilevanza implica che la questione dedotta abbia nel procedimento a quo un'incidenza attuale e non meramente eventuale ricorrente quando il dubbio investa una norma dalla cui applicazione il giudice dimostri di non poter prescindere, realizzando una pregiudizialita' necessaria. La pregiudizialita' necessaria della questione di legittimita' costituzionale rispetto alla decisione del giudizio a quo va intesa considerando tale decisione come conclusione di un itinerario logico, ciascuno dei cui passaggi puo' dare luogo a un incidente di costituzionalita', ogni qualvolta il giudice dubita della legittimita' costituzionale delle disposizioni normative che, in quel momento, e' chiamato ad applicare per la prosecuzione e/o la definizione del giudizio. Nel caso di specie, non vi e' dubbio che ricorra il requisito in parola, atteso che la definizione della domanda di accertamento del diritto al conseguimento dei compensi professionali senza le decurtazioni e le limitazioni previste dall'art. 9 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 proposta dai ricorrenti, presuppone necessariamente la declaratoria di incostituzionalita' di tale disciplina. Occorre infatti osservare che alcune delle norme di cui all'art. 9 del decreto-legge n. 90 del 2014 sono di immediata applicazione: il limite massimo degli emolumenti comprensivo dei compensi professionali (c.d. «tetto retributivo» di cui all'art. 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011), stabilito al comma 1; l'abrogazione del sistema previgente della quota variabile quando la pubblica amministrazione non risultava non soccombente e anche in caso di transazione e di compensazione delle spese (di cui all'art. 1, comma 457, della legge n. 147 del 2013 e all'art. 21, comma 3, del r. d. n. 1611 del 1933), stabilita al comma 3; anche la disposizione di cui al comma 7 (i compensi professionali non possono superare il trattamento economico complessivo) e' di immediata cogenza; inoltre, a decorrere dall'1 gennaio 2015 l'Amministrazione pubblica puo' corrispondere i compensi professionali agli avvocati dello Stato nella nuova misura (il 50 per cento delle somme recuperate in caso di sentenza favorevole) solamente «in base al rendimento individuale, secondo criteri oggettivamente misurabili che tengano conto tra l'altro della puntualita' negli adempimenti processuali», quindi, secondo criteri di riparto delle somme da stabilire con i regolamenti dell'Avvocatura dello Stato (comma 8). Cio' considerato e sempre in relazione alla rilevanza, il Tribunale osserva che le disposizioni in esame, per il loro contenuto univoco e (su alcuni profili) di immediata applicazione, non si prestano in alcun modo a una interpretazione costituzionalmente orientata, imponendo la rimessione della questioni alla Corte costituzionale in relazione agli aspetti che ad avviso del Collegio non sono manifestamente infondati e che di seguito si illustrano. II) Non manifesta infondatezza. II.1) Ravvisata la rilevanza della legittimita' costituzionale della disciplina in questione ai fini della definizione del giudizio a quo, per potere investire la Corte costituzionale, occorre che il giudice rimettente ritenga la questione di illegittimita' costituzionale della norma scrutinata «non manifestamente infondata». Ora, con riferimento alla disciplina oggetto del giudizio, il Collegio nutre effettivamente dubbi su due delle questioni di legittimita' costituzionale sollevate dai ricorrenti. La prima di tali questioni concerne la possibilita', ai sensi dell'art. 77 Cost., di introdurre una vera e propria riforma strutturale del trattamento economico spettante agli Avvocati dello Stato, con lo strumento del decreto-legge (peraltro a contenuto plurimo). La questione menzionata riveste peraltro carattere pregiudiziale rispetto a quelle di merito in quanto riguarda la stessa ammissibilita' dello strumento del decreto-legge ed e' stata gia' scrutinata in giudizio identico dal Tribunale regionale di Giustizia amministrativa di Trento, che l'ha rimessa alla Corte costituzionale, ritenendola non manifestamente infondata, con argomenti che il Collegio ritiene condivisibili (cfr. ordinanza 10 marzo 2016, n. 138). Possono, pertanto, riportarsi - anche nella presente sede - le ragioni che il Tribunale di Giustizia amministrativa ha posto a fondamento della rimessione alla Corte costituzionale: «l'art. 77, commi secondo e terzo, della Costituzione prevede la possibilita' per il Governo di adottare, sotto la propria responsabilita', atti con forza di legge (nella forma del decreto-legge) come ipotesi eccezionale, subordinata al rispetto di condizioni precise. Tali atti, qualificati dalla stessa Costituzione come «provvisori», devono risultare fondati sulla presenza di presupposti «straordinari» di necessita' ed urgenza e devono essere presentati, il giorno stesso della loro adozione, alle Camere, ai fini della conversione in legge, conversione che va operata nel termine di sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Ove la conversione non avvenga entro tale termine, i decreti-legge perdono la loro efficacia fin dall'inizio, salva la possibilita' per le Camere di regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti-legge non convertiti. Al riguardo la Corte costituzionale (che, inizialmente, aveva reputato la legge di conversione quale atto di novazione della fonte, il che rendeva impossibile lo scrutinio sui presupposti del decreto-legge una volta intervenuta la conversione, cfr. sentenza n. 108 del 1986), a partire dalla meta' degli anni novanta del secolo scorso ha affermato che «la preesistenza di una situazione di fatto comportante la necessita' e l'urgenza di provvedere tramite l'utilizzazione di uno strumento eccezionale, quale il decreto-legge, costituisce un requisito di validita' costituzionale dell'adozione del predetto atto, di modo che l'eventuale evidente mancanza di quel presupposto configura in primo luogo un vizio di illegittimita' costituzionale del decreto-legge che risulti adottato al di fuori dell'ambito applicativo costituzionalmente previsto». La Corte ha altresi' precisato che lo scrutinio di costituzionalita' «deve svolgersi su un piano diverso» rispetto all'esercizio del potere legislativo, in cui «le valutazioni politiche potrebbero essere prevalenti». Ha specificato al riguardo che «il difetto dei presupposti di legittimita' della decretazione d'urgenza, in sede di scrutinio di costituzionalita'», deve «risultare evidente», e che tale difetto di presupposti, «una volta intervenuta la conversione, si traduce in un vizio in procedendo della relativa legge». Ha percio' escluso, con cio', l'eventuale efficacia sanante di quest'ultima, dal momento che «affermare che tale legge di conversione sana in ogni caso i vizi del decreto, significherebbe attribuire in concreto al legislatore ordinario il potere di alterare il riparto costituzionale delle competenze del Parlamento e del Governo quanto alla produzione delle fonti primarie» (sentenze n. 128 del 2008; n. 171 del 2007; n. 29 del 1995). La Corte ha poi precisato che il riconoscimento dell'esistenza dei presupposti fattuali di cui all'art. 77, secondo comma, si ricollega «ad una intrinseca coerenza delle norme contenute in un decreto-legge, o dal punto di vista oggettivo e materiale, o dal punto di vista funzionale e finalistico», e che l'urgente necessita' del provvedere «puo' riguardare una pluralita' di norme accomunate dalla natura unitaria delle fattispecie disciplinate, ovvero anche dall'intento di fronteggiare situazioni straordinarie complesse e variegate, che richiedono interventi oggettivamente eterogenei, afferenti quindi a materie diverse, ma indirizzati all'unico scopo di approntare rimedi urgenti a situazioni straordinarie venutesi a determinare». In tale ottica, la Corte ha conferito rilievo anche all'art. 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, che «pur non avendo, in se' e per se' rango costituzionale, e non potendo quindi assurgere a parametro di legittimita' ... costituisce esplicitazione della ratio implicita nel secondo comma dell'art. 77 Cost., il quale impone il collegamento dell'intero decreto-legge al caso straordinario di necessita' e urgenza, che ha indotto il Governo ad avvalersi dell'eccezionale potere di esercitare la funzione legislativa senza previa delegazione da parte del Parlamento» (sentenza n. 22 del 2012 sul cosiddetto «decreto milleproroghe»). 14. Ora, applicando gli insegnamenti della Corte costituzionale, occorre verificare se la «evidente» carenza del requisito della straordinarieta', del caso di necessita' e di urgenza di provvedere, renda la prospettata questione non manifestamente infondata. Al riguardo si osserva che l'epigrafe del decreto reca l'intestazione «Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari». Il preambolo del decreto cosi' recita: «Ritenuta la straordinaria necessita' e urgenza di emanare disposizioni volte a favorire la piu' razionale utilizzazione dei dipendenti pubblici, a realizzare interventi di semplificazione dell'organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici e ad introdurre ulteriori misure di semplificazione per l'accesso dei cittadini e delle imprese ai servizi della pubblica amministrazione; Ritenuta la straordinaria necessita' ed urgenza di introdurre disposizioni volte a garantire un miglior livello di certezza giuridica, correttezza e trasparenza delle procedure nei lavori pubblici, anche con riferimento al completamento dei lavori e delle opere necessarie a garantire lo svolgimento dell'evento Expo 2015; Ritenuta la straordinaria necessita' ed urgenza di emanare disposizioni per l'efficiente informatizzazione del processo civile, amministrativo, contabile e tributario, nonche' misure per l'organizzazione degli uffici giudiziari, al fine di assicurare la ragionevole durata del processo attraverso l'innovazione dei modelli organizzativi e il piu' efficace impiego delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione». A sua volta, l'art. 9 all'esame e' parte del Titolo I rubricato «Misure urgenti per l'efficienza della pubblica amministrazione e per il sostegno dell'occupazione» e del Capo I denominato «Misure urgenti in materia di lavoro pubblico». Gli articoli del Capo dispongono, principalmente, in materia di ricambio generazionale nelle pubbliche amministrazioni, di semplificazione e flessibilita' nel turn-over, di mobilita' obbligatoria e volontaria, di assegnazione di nuove mansioni, di divieto di incarichi dirigenziali a soggetti in quiescenza, di prerogative sindacali, di incarichi negli uffici di diretta collaborazione. 15. Occorre ora ricordare che, ai sensi dell'art. 15, comma 1, della legge n. 400 del 1988, i decreti legge sono presentati per l'emanazione «con l'indicazione, nel preambolo, delle circostanze straordinarie di necessita' e di urgenza che ne giustificano l'adozione», mentre il comma 3 sancisce che «i decreti devono contenere misure di immediata applicazione e il loro contenuto deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo». Ebbene, il dubbio di costituzionalita' dell'art. 9 del decreto-legge n. 90 del 2014 insorge in relazione alla circostanza che nessun collegamento pare ravvisabile tra le riportate premesse e le previsioni normative di cui si prospetta l'illegittimita' costituzionale. Difatti, il primo paragrafo del preambolo fa riferimento a interventi organizzativi e semplificatori nella e della pubblica amministrazione, il secondo alle procedure dei lavori pubblici, il terzo all'informatizzazione processuale. Ambiti, dunque, che con la disposizioni di cui si discute - volta a riformare la struttura degli onorari degli avvocati dello Stato e degli altri enti pubblici nell'ottica del contenimento della spesa pubblica - non sembrano aver nulla a che vedere. Appare dunque carente il rapporto tra la norma censurata e l'elemento funzionale - finalistico proclamato nel preambolo, come espressamente richiesto dalla Corte costituzionale. Per converso, in nessun punto del preambolo e' stato dato conto delle ragioni di necessita' e di urgenza che imponevano l'adozione - a mezzo di decreto-legge - delle disposizioni di riforma strutturale degli onorari all'Avvocatura dello Stato di cui all'art. 9. L'infrazione dell'art. 77, secondo comma, della Costituzione appare, quindi, questione non manifestamente infondata. A tale stregua occorre ancora rammentare che la Corte costituzionale ha specificato come "l'inserimento di norme eterogenee all'oggetto o alla finalita' del decreto spezza il legame logico-giuridico tra la valutazione fatta dal Governo dell'urgenza del provvedere ed «i provvedimenti provvisori con forza di legge»", di cui all'art. 77, e che «il presupposto del «caso» straordinario di necessita' e urgenza inerisce sempre e soltanto al provvedimento inteso come un tutto unitario, atto normativo fornito di intrinseca coerenza, anche se articolato e differenziato al suo interno», per cui «la scomposizione atomistica della condizione di validita' prescritta dalla Costituzione si pone in contrasto con il necessario legame tra il provvedimento legislativo urgente ed il «caso» che lo ha reso necessario, trasformando il decreto-legge in una congerie di norme assemblate soltanto da mera casualita' temporale» (sentenza n. 22 del 2012). Ne discende che l'immissione delle disposizioni all'esame (come si e' detto, di riforma strutturale degli onorari) nel corpo di un decreto-legge volto, dichiaratamente, alla «piu' razionale utilizzazione dei dipendenti pubblici, a realizzare interventi di semplificazione dell'organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici e a introdurre ulteriori misure di semplificazione per l'accesso dei cittadini e delle imprese ai servizi della pubblica amministrazione», non vale a trasmettere alle stesse - che appaiono quindi dissonanti - il carattere di urgenza proprio delle altre disposizioni, legate invece tra loro dalla comunanza di oggetto o di finalita'. Per altro, ma correlato, profilo, occorre osservare che l'art. 9 contiene anche alcune misure che non sono «auto-applicative», ossia «di immediata applicazione» come sancito dall'art. 15, comma 3, della legge n. 400 del 1988. Sul punto si rileva che, nonostante sia previsto che la nuova disciplina si applichi alle sentenze pubblicate dopo l'entrata in vigore del decreto-legge n. 90 del 2014, il comma 8 stabilisce pero' che il nuovo regime dei compensi (nella parte che riconosce il 50 per cento delle somme recuperate - commi 3, 4 e 5, secondo e terzo periodo del comma 6) puo' trovare applicazione solo a decorrere dall'introduzione, nei regolamenti dell'Avvocatura dello Stato, di regole che prevedano criteri di riparto delle somme «in base al rendimento individuale, secondo criteri oggettivamente misurabili che tengano conto tra l'altro della puntualita' negli adempimenti processuali». Sicche', trova ulteriore conferma il dubbio circa la concreta sussistenza del caso straordinario di necessita' e di urgenza, il solo che puo' legittimare il Governo ad avvalersi dell'eccezionale potere di esercitare la funzione legislativa senza previa delegazione da parte del Parlamento». Sulla base di tali considerazioni, il Tribunale della Giustizia amministrativa di Trento ha sospeso il giudizio e rimesso gli atti alla Corte costituzionale, limitatamente alla questione appena illustrata e il Collegio ritiene che analoga rimessione debba essere disposta anche nell'ambito del presente giudizio. II.2) Tuttavia, unitamente alla questione appena illustrata, il Collegio nutre perplessita' su altra questione di legittimita' costituzionale della disciplina in esame, con cui i ricorrenti lamentano la violazione del principio di uguaglianza (art. 3 della Costituzione) tra Avvocati dello Stato ed Avvocati di altre Amministrazioni pubbliche, avendo i commi 3 e 6 dell'art. 9 del decreto-legge n. 90/2014 introdotto la decurtazione degli onorari solo per i primi (corresponsione nei limiti del 50% delle somme liquidate nei provvedimenti giurisdizionali in favore dell'Amministrazione in caso di vittoria della causa ed azzeramento dei compensi stessi in caso di transazione e compensazione delle spese). Ritiene il Collegio che tale profilo di censura renda effettivamente dubbia la legittimita' costituzionale delle disposizioni, sia pure nei limiti e alla stregua delle considerazioni che di seguito si espongono. La Corte costituzionale ha avuto modo di chiarire che il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, attraverso cui puo' attuarsi una politica di riequilibrio del bilancio, implicano sacrifici gravosi «che trovano giustificazione nella situazione di crisi economica», si giustificano sotto il profilo della ragionevolezza «in quanto mirate ad un risparmio di spesa che opera riguardo a tutto il comparto del pubblico impiego, in una dimensione solidaristica - sia pure con le differenziazioni rese necessarie dai diversi statuti professionali delle categorie che vi appartengono - e per un periodo di tempo limitato, che comprende piu' anni in considerazione della programmazione pluriennale delle politiche di bilancio» (Corte cost. n. 310/2013). Si tratta, quindi, di provvedimenti che, pur diversamente modulati, «devono applicarsi all'intero comparto pubblico e impongono limiti e restrizioni generali», in una dimensione che la Corte ha connotato in senso solidaristico (sentenza n. 310 del 2013, punto 13.5. del Considerato in diritto, gia' citato e sentenza n. 178 del 2015). Alla luce delle riportate coordinate, destano perplessita' le specifiche deroghe specificamente riferite all'Avvocatura di Stato nei commi 3 e 6 del contestato art. 9 del decreto-legge n. 90/2014, atteso che mentre agli avvocati delle Amministrazioni pubbliche non statali e' accordata la possibilita' di acquisire le somme liquidate in favore dell'Amministrazione patrocinata, anche in misura integrale secondo quanto previsto nei regolamenti dei rispettivi enti, per gli Avvocati dello Stato una tale possibilita' e' limitata ex ante al 50%, mentre e' del tutto esclusa con riguardo ai casi di sentenza favorevole con compensazione delle spese ove invece gli avvocati delle altre Amministrazioni incontrano il solo limite dello stanziamento di bilancio per l'anno 2013. Ritiene il Collegio che una tale divaricazione della disciplina non trovi giustificazione nel livello della «componente fissa» della retribuzione degli Avvocati dello Stato, non potendo addursi a pretesa giustificazione la circostanza per cui siffatta componente fissa sarebbe superiore in media a quella degli avvocati delle Amministrazioni pubbliche, poiche', come noto, i difensori, soprattutto quelli posti in posizione apicale, di altre pubbliche amministrazioni, con particolare riferimento alle Autorita' di regolazione, godono di un trattamento economico che, nella parte fissa, e' superiore a quello degli Avvocati dello Stato. E infatti, gli avvocati delle Amministrazioni pubbliche diverse dallo Stato hanno statuti e inquadramenti che mutano da un ente all'altro senza possibilita' di individuare una disciplina giuridico/economica unitaria, di modo che l'assegnazione ai soli Avvocati dello Stato di un trattamento economico variabile peggiorativo rispetto agli altri, potrebbe assumere il carattere di una penalizzazione discriminante, soprattutto se il trattamento deteriore consegue alla semplice appartenenza alle fila dell'Avvocatura e non sia agganciata ad una soglia stipendiale specifica. I dubbi di costituzionalita' non si sarebbero posti qualora il provvedimento contestato, anziche' identificare specificamente negli Avvocati dello Stato i destinatari della deroga, avesse stabilito la limitazione del riconoscimento delle competenze nei confronti di tutti gli avvocati di enti pubblici che superassero nella quota fissa una determinata retribuzione; cio' in linea con la richiamata giurisprudenza costituzionale secondo cui la prioritaria azione di risanamento delle finanze, pur legittimando l'adozione di misure che comportano sacrifici per le categorie di volta in volta incise, non puo' non essere condotta nel rispetto del fondamentale principio di ragionevolezza e deve avere riguardo a tutto il comparto del pubblico impiego sia pure valorizzando le distinzioni statutarie esistenti (cfr.: Corte costituzionale sentenza 310 del 2013, cit.). Nella fattispecie, l'art. 9 del decreto-legge n. 90/2014 e' rivolto alla riforma della retribuzione della parte variabile dei compensi non solo dell'Avvocatura dello Stato ma di tutte le avvocature pubbliche, di modo che la coerenza e ragionevolezza dell'intervento normativo deve essere letta nel contesto piu' generale in cui l'intervento e' posto in essere, con la conseguenza che ogni differenziazione del trattamento, quale e' quello deteriore riservato all'Avvocatura dello Stato nel riconoscimento delle «spese legali», dovrebbe fondarsi su circostanze obiettive che nella specie non paiono ravvisabili. Con cio' non si vuole trascurare di considerare il particolare statuto che regola l'attivita' degli Avvocati dello Stato i quali, a differenza degli avvocati delle altre Amministrazioni pubbliche, appartengono ad un plesso organizzativo distinto rispetto a quello dell'ente (lo Stato) che essi sono chiamati difendere in sede giudiziale; sennonche', il Collegio ritiene che tale circostanza rilevi al fine di garantire una posizione di maggiore indipendenza ai primi, ma non puo' valere a giustificarne la sottoposizione ad un trattamento economico deteriore rispetto a quello goduto dalle altre avvocature pubbliche, soprattutto nei casi in cui queste godano del medesimo trattamento economico di parte fissa. III) Le considerazioni esposte ai punti precedenti fondano, in definitiva, il giudizio di rilevanza, ai fini della compiuta decisione nel merito della controversia, e di non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9 del decreto-legge n. 90 del 2014, di «Riforma degli onorari dell'Avvocatura generale dello Stato e delle avvocature degli enti pubblici», per contrasto con gli articoli 77, secondo comma, e 3 della Costituzione, nei termini e per le ragioni sopra esposte. Tanto premesso, il Collegio ritiene rilevanti e non manifestamente infondate le esposte questioni di costituzionalita' e, per l'effetto, sospende il giudizio, mandando alla segreteria di trasmettere alla Corte la presente ordinanza, di notificarla alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei ministri nonche' di comunicarla ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Riserva alla sentenza di merito lo scrutinio delle ulteriori censure proposte da parte ricorrente.
P.Q.M. Il Tribunale amministrativo regionale per il Molise (Sezione Prima), visti l'art. 134 della Costituzione e l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87: dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione all'art. 77, secondo comma, e 3 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, commi 3, 4 e 6 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 11 agosto 2014, n. 114; sospende il presente giudizio, con rinvio di ogni definitiva statuizione all'esito del promosso giudizio incidentale davanti alla Corte costituzionale, cui la presente ordinanza va immediatamente trasmessa, a cura della segreteria del Tribunale unitamente alla prova delle previste comunicazioni e notificazioni; dispone, sempre a cura della segreteria del Tribunale, che la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' deciso in Campobasso, nelle Camere di consiglio dei giorni 19 novembre 2015 e 9 marzo 2016 con l'intervento dei magistrati: Orazio Ciliberti, Presidente; Luca Monteferrante, Consigliere; Domenico De Falco, Referendario, Estensore. Il Presidente: Ciliberti L'estensore: De Falco