N. 26 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 marzo 2016

Ordinanza del 25 marzo 2016 del  Tribunale  amministrativo  regionale
per il Molise sul ricorso  proposto  da  Albano  Giuseppe e  altri  3
contro Presidenza Consiglio dei ministri, Ministero  dell'economia  e
delle finanze e Avvocatura dello Stato.. 
 
Impiego pubblico - Riforma  degli  onorari  dell'Avvocatura  generale
  dello Stato e delle avvocature degli enti pubblici - Criteri per la
  determinazione dei compensi  professionali  degli  avvocati  e  dei
  procuratori dello Stato. 
- Decreto-legge  24  giugno  2014,  n.  90  (Misure  urgenti  per  la
  semplificazione e la trasparenza amministrativa e per  l'efficienza
  degli uffici  giudiziari),  convertito,  con  modificazioni,  dalla
  legge 11 agosto 2014, n. 114, art. 9, commi 3, 4 e 6. 
(GU n.10 del 8-3-2017 )
 
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
                            PER IL MOLISE 
                           (Sezione Prima) 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 102 del 2015, proposto da: Giuseppe  Albano,  Piero
Vitullo, Alfonso Peluso, Iolanda Luce, rappresentati e  difesi  dagli
avv.ti Massimo Luciani e Michele Sansone, con domicilio eletto presso
il secondo in Campobasso, via Campania, n. 83; 
    Contro Presidenza del  Consiglio  dei  ministri,  in  p.l.r.p.t.,
Ministero dell'economia e delle finanze in persona del  Ministro  pro
tempore, Avvocatura dello Stato in persona dell'Avvocato generale pro
tempore, rappresentati e difesi per  legge  dall'Avvocatura  generale
dello Stato, domiciliata in Campobasso, via Garibaldi, n. 124; 
    Per  l'accertamento,  previa  eventuale  rimessione  alla   Corte
costituzionale   della   questione   incidentale   di    legittimita'
costituzionale dell'art. 9 del decreto-legge 24 giugno 2014,  n.  90,
del  diritto  dei  ricorrenti  alla   corresponsione   dei   compensi
professionali  senza  le  decurtazioni  e  le  limitazioni   previste
dall'art. 9 del decreto-legge n. 90/2014 citato; 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Visti gli atti di costituzione  in  giudizio  di  Presidenza  del
Consiglio dei ministri, del Ministero dell'economia e delle finanze e
dell'Avvocatura generale dello Stato; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno  19  novembre  2015  il
dott. Domenico De Falco  e  uditi  per  le  parti  i  difensori  come
specificato nel verbale; 
    I ricorrenti, tutti Avvocati dello Stato attualmente in  servizio
presso l'Avvocatura distrettuale dello Stato di Campobasso premettono
che ad essi e' conferita, oltre alla rappresentanza e  la  difesa  in
giudizio  dello  Stato  e  di  numerosi  enti  pubblici   statali   e
territoriali, anche una generale attivita' di  consulenza  in  favore
delle  Amministrazioni.  Essi  espongono  che  fino  alle   modifiche
introdotte con decreto-legge 24 giugno 2014,  n.  90  convertito  con
modificazioni con la  legge  11  agosto  2014,  n.  114,  il  proprio
trattamento economico comprendeva: 
        1) una parte fissa, commisurata a ruolo, titolo e grado e che
e'  relativamente  al  quantum  e'  equiparata  al  trattamento   dei
magistrati dell'ordine giudiziario; 
        2) una  parte  variabile  riconosciuta  articolata  ai  sensi
dell'art. 21 del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611  (T.U.  delle
leggi e delle norme  giuridiche  sulla  rappresentanza  e  difesa  in
giudizio dello Stato e sull'ordinamento dell'Avvocatura dello  Stato)
che si articolava: 
          nelle competenze di  avvocato  liquidate  con  sentenza  od
ordinanza oppure pattuite per rinuncia o transazione; 
          in una somma corrispondente alla meta' delle competenze che
sarebbero state liquidate per le ipotesi in cui l'Amministrazione non
fosse soccombente ma fosse  stata  disposta  la  compensazione  delle
spese ovvero concordata una transazione su sentenza  favorevole  allo
Stato. 
    Questo regime e' stato, poi, parzialmente modificato dall'art. 1,
comma 457, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, che ha disposto  una
riduzione  temporanea  (per  il  triennio  2014-2016)  dei   compensi
liquidati  a  seguito  di  sentenza  che  riconosceva   la   pubblica
amministrazione non soccombente. 
    In tale contesto, e' stato introdotto l'art. 9 del  decreto-legge
24 giugno 2014, n. 90 che, per quanto qui di interesse: 
        i) ha incluso gli onorari  professionali  nel  tetto  massimo
degli emolumenti di cui all'art. 23-ter del decreto-legge 6  dicembre
2011 convertito con la legge 22 dicembre 2011, n. 214; 
        ii) nei casi di  pronuncia  con  condanna  della  controparte
dell'Amministrazione alle spese, ha stabilito di  ripartire  tra  gli
avvocati degli enti pubblici le somme recuperate, escludendo da  tale
regime gli Avvocati dello Stato, ai  quali,  ha  invece  riconosciuto
solo il 50% delle somme in questione; 
        iii) nei casi di pronuncia in cui  l'Amministrazione  risulti
non soccombente e sia stata disposta la compensazione delle spese, ha
riconosciuto agli avvocati e ai dipendenti  delle  Amministrazioni  i
compensi in base alle norme regolamentari  vigenti  in  ciascun  ente
(nei limiti dello stanziamento previsto per l'anno 2013),  escludendo
gli Avvocati dello Stato ai quali quindi, in  tali  casi,  non  viene
riconosciuta alcuna somma. 
    Sul  presupposto  che  la  disciplina  appena  riportata   riduca
illegittimamente il proprio trattamento economico, gli Avvocati dello
Stato in epigrafe indicati, hanno proposto  il  ricorso  introduttivo
del presente giudizio  al  fine  di  sentire  dichiarare  il  proprio
diritto alla corresponsione degli onorari  professionali  secondo  il
regime previgente, senza le decurtazioni e limitazioni  previste  dal
citato  art.  9,  con  condanna  delle  Amministrazioni  intimate  al
pagamento delle somme dovute. 
    E' chiaro che  l'accoglimento  di  dette  domande  presuppone  la
declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale  dell'art.   9   del
decreto-legge n. 90/2014, convertito dalla legge  n.  114  del  2014,
pertanto  i  ricorrenti  hanno  prospettato  svariate  questioni   di
legittimita' costituzionale della  novella  disciplina  che,  a  loro
dire, violerebbe numerosi parametri costituzionali nonche' norme  del
diritto europeo e internazionale (segnatamente gli articoli 3, 4, 23,
35, 36, 42, 53, 77, 97 e 117 della Costituzione, anche  in  relazione
all'art. 1 del Primo Protocollo addizionale Convenzione  europea  per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e
agli art. 3 e 13 Convenzione europea per la salvaguardia dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali,  circostanza,  questa,  che,
secondo i ricorrenti, ridonda  in  altrettante  violazioni  dell'art.
117, comma 1, della Costituzione). 
    Le  Amministrazioni  intimate  si  sono  costituite  in  giudizio
argomentando  diffusamente  per  l'infondatezza  delle   censure   di
incostituzionalita' della disciplina  introdotta  con  l'art.  9  del
decreto-legge n. 90 del 2014 e chiedendo, pertanto, la reiezione  del
ricorso nel merito. 
    All'udienza del 19 novembre 2015, la causa e' stata  chiamata  e,
dopo articolata discussione, ne  e'  stata  riservata  la  decisione.
Nella Camera di consiglio del 9 marzo 2016, la causa e' stata decisa,
nel senso di cui alla seguente motivazione e al seguente  dispositivo
di ordinanza. 
    Il presente giudizio ha ad oggetto le sensibili riduzioni che  il
citato art. 9 del decreto-legge 24  giugno  2014,  n.  90  convertito
nella legge 11 agosto 2014, n.  114  dei  compensi  professionali  da
riconoscere agli Avvocati (e Procuratori) dello Stato. 
    E' utile ai  fini  di  una  migliore  comprensione  del  giudizio
riportare il contenuto dell'art art. 9 del decreto-legge n. 90/2014: 
«(Riforma degli onorari dell'Avvocatura generale dello Stato e  delle
avvocature degli enti pubblici). 
    1. I compensi  professionali  corrisposti  dalle  amministrazioni
pubbliche di cui all'art. 1, comma  2,  del  decreto  legislativo  30
marzo  2001,  n.  165,  e  successive  modificazioni,  agli  avvocati
dipendenti delle amministrazioni stesse,  ivi  incluso  il  personale
dell'Avvocatura   dello   Stato,   sono   computati   ai   fini   del
raggiungimento del limite retributivo  di  cui  all'art.  23-ter  del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni,
dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e successive modificazioni. 
    2. Sono abrogati il comma 457 dell'art. 1 della legge 27 dicembre
2013, n. 147, e il terzo comma dell'art. 21 del testo unico di cui al
regio decreto 30 ottobre 1933,  n.  1611.  L'abrogazione  del  citato
terzo comma  ha  efficacia  relativamente  alle  sentenze  depositate
successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto. 
    3. Nelle ipotesi di sentenza favorevole con recupero delle  spese
legali a carico delle controparti, le somme recuperate sono ripartite
tra gli avvocati dipendenti delle amministrazioni di cui al comma  1,
esclusi gli avvocati e i procuratori dello Stato, nella misura e  con
le  modalita'  stabilite   dai   rispettivi   regolamenti   e   dalla
contrattazione collettiva  ai  sensi  del  comma  5  e  comunque  nel
rispetto dei limiti di cui al  comma  7.  La  parte  rimanente  delle
suddette somme e' riversata nel bilancio dell'amministrazione. 
    4. Nelle ipotesi di sentenza favorevole con recupero delle  spese
legali a carico delle  controparti,  il  50  per  cento  delle  somme
recuperate e' ripartito tra gli avvocati e  procuratori  dello  Stato
secondo le  previsioni  regolamentari  dell'Avvocatura  dello  Stato,
adottate ai sensi del comma  5.  Un  ulteriore  25  per  cento  delle
suddette somme e' destinato a borse  di  studio  per  lo  svolgimento
della pratica forense presso l'Avvocatura dello Stato, da  attribuire
previa procedura di valutazione  comparativa.  Il  rimanente  25  per
cento e' destinato al Fondo per la riduzione della pressione fiscale,
di cui all'art. 1, comma 431, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, e
successive modificazioni. 
    5. I regolamenti dell'Avvocatura dello Stato e degli  altri  enti
pubblici e i contratti collettivi prevedono criteri di riparto  delle
somme di cui al primo periodo del comma 3  e  al  primo  periodo  del
comma  4  in  base  al  rendimento   individuale,   secondo   criteri
oggettivamente  misurabili  che  tengano  conto  tra  l'altro   della
puntualita' negli adempimenti processuali. I suddetti  regolamenti  e
contratti collettivi definiscono altresi' i criteri  di  assegnazione
degli affari consultivi  e  contenziosi,  da  operare  ove  possibile
attraverso  sistemi  informatici,  secondo  principi  di  parita'  di
trattamento e di specializzazione professionale. 
    6. In tutti i casi di pronunciata compensazione  integrale  delle
spese, ivi compresi quelli di transazione  dopo  sentenza  favorevole
alle amministrazioni pubbliche di cui al comma 1, ai  dipendenti,  ad
esclusione  del   personale   dell'Avvocatura   dello   Stato,   sono
corrisposti compensi professionali in base alle norme regolamentari o
contrattuali vigenti e nei limiti  dello  stanziamento  previsto,  il
quale non  puo'  superare  il  corrispondente  stanziamento  relativo
all'anno 2013. Nei giudizi di cui all'art. 152 delle disposizioni per
l'attuazione  del  codice  di   procedura   civile   e   disposizioni
transitorie, di cui al regio  decreto  18  dicembre  1941,  n.  1368,
possono essere corrisposti compensi professionali in base alle  norme
regolamentari o contrattuali delle  relative  amministrazioni  e  nei
limiti dello stanziamento previsto. Il suddetto stanziamento non puo'
superare il corrispondente stanziamento relativo all'anno 2013. 
    7. I compensi professionali di cui al comma 3 e al primo  periodo
del comma 6 possono  essere  corrisposti  in  modo  da  attribuire  a
ciascun avvocato una somma non superiore al suo trattamento economico
complessivo. 
    8. Il  primo  periodo  del  comma  6  si  applica  alle  sentenze
depositate  successivamente  alla  data  di  entrata  in  vigore  del
presente decreto. I commi 3, 4 e 5 e il secondo e  il  terzo  periodo
del  comma  6  nonche'  il  comma  7   si   applicano   a   decorrere
dall'adeguamento dei regolamenti e dei contratti collettivi di cui al
comma 5, da operare entro tre mesi dalla data di  entrata  in  vigore
della legge di conversione  del  presente  decreto.  In  assenza  del
suddetto  adeguamento,   a   decorrere   dal   1ºgennaio   2015,   le
amministrazioni pubbliche di cui al comma 1 non possono corrispondere
compensi professionali agli avvocati dipendenti delle amministrazioni
stesse, ivi incluso il personale dell'Avvocatura dello Stato. 
    9. Dall'attuazione del  presente  articolo  non  devono  derivare
minori risparmi  rispetto  a  quelli  gia'  previsti  a  legislazione
vigente e considerati nei saldi tendenziali di finanza pubblica». 
    In sintesi, per quanto attiene  al  trattamento  economico  degli
Avvocati dello Stato, la disciplina  appena  riportata  ha  stabilito
che: 
        i) i compensi professionali dovuti agli Avvocati dello  Stato
siano inclusi nel tetto massimo  degli  emolumenti  di  cui  all'art.
23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011convertito con  la  legge  22
dicembre 2011,  n.  214  (cfr.  comma  1  art.  9  del  decreto-legge
90/2014); 
        ii) nelle ipotesi di sentenza favorevole  all'Amministrazione
con condanna della controparte alle spese, le somme  recuperate  sono
ripartite tra gli avvocati delle singole Amministrazioni, sono invece
esclusi gli Avvocati dello Stato ai quali, invece,  tali  somme  sono
riconosciute nei limiti del 50% (cfr. commi 3 e  4  dell'art.  9  del
decreto-legge n. 90/2014); 
        iii)  in  tutti  i   casi   di   pronuncia   favorevole   con
compensazione delle spese (ivi compresi i casi  di  transazione  dopo
sentenza  favorevole)   agli   avvocati   e   ai   dipendenti   delle
Amministrazioni sono  corrisposti  i  compensi  in  base  alle  norme
regolamentari vigenti (nei limiti  dello  stanziamento  previsto  per
l'anno 2013), ma non invece agli Avvocati dello Stato ai quali quindi
per tali casi  non  e'  piu'  prevista  la  corresponsione  di  alcun
compenso (comma 6 del decreto-legge n. 90/2014). 
I) Rilevanza delle questioni. 
    Chiarito il contesto normativo, occorre stabilire se ricorrano  i
presupposti di cui all'art. 23 della legge 11 marzo 1953,  n.  87  di
rilevanza delle questioni di legittimita'  costituzionale  e  di  non
manifesta   infondatezza   delle   stesse,    necessari    ai    fini
dell'ammissibilita' del rinvio alla Corte costituzionale. 
    Ora, il  requisito  della  rilevanza  implica  che  la  questione
dedotta abbia nel procedimento  a  quo  un'incidenza  attuale  e  non
meramente eventuale ricorrente quando il  dubbio  investa  una  norma
dalla cui applicazione il giudice dimostri di non poter  prescindere,
realizzando una pregiudizialita' necessaria. 
    La pregiudizialita' necessaria della  questione  di  legittimita'
costituzionale rispetto alla decisione del giudizio a quo  va  intesa
considerando tale decisione come conclusione di un itinerario logico,
ciascuno  dei  cui  passaggi  puo'  dare  luogo  a  un  incidente  di
costituzionalita',   ogni   qualvolta   il   giudice   dubita   della
legittimita' costituzionale delle disposizioni normative che, in quel
momento,  e'  chiamato  ad  applicare  per  la  prosecuzione  e/o  la
definizione del giudizio. 
    Nel caso di specie, non vi e' dubbio che ricorra il requisito  in
parola, atteso che la definizione della domanda di  accertamento  del
diritto  al  conseguimento  dei  compensi  professionali   senza   le
decurtazioni e le limitazioni previste dall'art. 9 del  decreto-legge
24  giugno  2014,  n.  90   proposta   dai   ricorrenti,   presuppone
necessariamente  la  declaratoria  di  incostituzionalita'  di   tale
disciplina. 
    Occorre infatti osservare che alcune delle norme di cui  all'art.
9 del decreto-legge n. 90 del 2014 sono di immediata applicazione: 
        il limite massimo degli emolumenti comprensivo  dei  compensi
professionali (c.d. «tetto retributivo» di cui  all'art.  23-ter  del
decreto-legge n. 201 del 2011), stabilito al comma  1;  l'abrogazione
del sistema previgente  della  quota  variabile  quando  la  pubblica
amministrazione non risultava non soccombente  e  anche  in  caso  di
transazione e di compensazione delle spese (di cui all'art. 1,  comma
457, della legge n. 147 del 2013 e all'art. 21, comma 3, del r. d. n.
1611 del 1933), stabilita al comma 3; 
        anche  la  disposizione  di  cui  al  comma  7  (i   compensi
professionali  non  possono   superare   il   trattamento   economico
complessivo) e' di immediata cogenza; 
        inoltre, a decorrere dall'1  gennaio  2015  l'Amministrazione
pubblica puo' corrispondere i compensi  professionali  agli  avvocati
dello  Stato  nella  nuova  misura  (il  50  per  cento  delle  somme
recuperate in caso di sentenza  favorevole)  solamente  «in  base  al
rendimento individuale, secondo criteri oggettivamente misurabili che
tengano  conto  tra  l'altro  della  puntualita'  negli   adempimenti
processuali», quindi, secondo  criteri  di  riparto  delle  somme  da
stabilire con i regolamenti dell'Avvocatura dello Stato (comma 8). 
    Cio'  considerato  e  sempre  in  relazione  alla  rilevanza,  il
Tribunale osserva che le disposizioni in esame, per il loro contenuto
univoco e (su alcuni  profili)  di  immediata  applicazione,  non  si
prestano in  alcun  modo  a  una  interpretazione  costituzionalmente
orientata,  imponendo  la  rimessione  della  questioni  alla   Corte
costituzionale in relazione agli aspetti che ad avviso  del  Collegio
non sono manifestamente infondati e che di seguito si illustrano. 
II) Non manifesta infondatezza. 
    II.1) Ravvisata la rilevanza  della  legittimita'  costituzionale
della disciplina in questione ai fini della definizione del  giudizio
a quo, per potere investire la Corte costituzionale, occorre  che  il
giudice   rimettente   ritenga   la   questione   di   illegittimita'
costituzionale della norma scrutinata «non manifestamente infondata». 
    Ora, con riferimento alla disciplina  oggetto  del  giudizio,  il
Collegio  nutre  effettivamente  dubbi  su  due  delle  questioni  di
legittimita' costituzionale sollevate dai ricorrenti. 
    La prima di tali questioni concerne  la  possibilita',  ai  sensi
dell'art.  77  Cost.,  di  introdurre  una  vera  e  propria  riforma
strutturale del trattamento economico spettante agli  Avvocati  dello
Stato, con lo  strumento  del  decreto-legge  (peraltro  a  contenuto
plurimo). 
    La questione menzionata riveste peraltro carattere  pregiudiziale
rispetto  a  quelle  di  merito  in   quanto   riguarda   la   stessa
ammissibilita' dello strumento del decreto-legge  ed  e'  stata  gia'
scrutinata in giudizio identico dal Tribunale regionale di  Giustizia
amministrativa di Trento, che l'ha rimessa alla Corte costituzionale,
ritenendola  non  manifestamente  infondata,  con  argomenti  che  il
Collegio ritiene condivisibili (cfr.  ordinanza  10  marzo  2016,  n.
138). 
    Possono, pertanto, riportarsi - anche nella presente  sede  -  le
ragioni che il Tribunale  di  Giustizia  amministrativa  ha  posto  a
fondamento della rimessione alla Corte  costituzionale:  «l'art.  77,
commi secondo e terzo, della Costituzione prevede la possibilita' per
il Governo di adottare, sotto la propria  responsabilita',  atti  con
forza  di  legge  (nella  forma  del  decreto-legge)   come   ipotesi
eccezionale, subordinata al  rispetto  di  condizioni  precise.  Tali
atti, qualificati dalla stessa Costituzione come «provvisori», devono
risultare fondati sulla presenza  di  presupposti  «straordinari»  di
necessita' ed urgenza e devono essere presentati,  il  giorno  stesso
della loro adozione, alle Camere, ai fini della conversione in legge,
conversione che va operata nel termine di sessanta giorni dalla  loro
pubblicazione. Ove la conversione non avvenga entro tale  termine,  i
decreti-legge perdono la loro efficacia  fin  dall'inizio,  salva  la
possibilita' per le Camere di regolare con legge i rapporti giuridici
sorti sulla base dei decreti-legge non convertiti. 
    Al riguardo la Corte  costituzionale  (che,  inizialmente,  aveva
reputato la legge di conversione quale atto di novazione della fonte,
il  che  rendeva  impossibile  lo  scrutinio  sui   presupposti   del
decreto-legge una volta intervenuta la conversione, cfr. sentenza  n.
108 del 1986), a partire dalla meta' degli anni  novanta  del  secolo
scorso ha affermato che «la preesistenza di una situazione  di  fatto
comportante  la  necessita'  e  l'urgenza   di   provvedere   tramite
l'utilizzazione di uno strumento eccezionale, quale il decreto-legge,
costituisce un requisito di  validita'  costituzionale  dell'adozione
del predetto atto, di modo che l'eventuale evidente mancanza di  quel
presupposto configura in  primo  luogo  un  vizio  di  illegittimita'
costituzionale del decreto-legge che risulti  adottato  al  di  fuori
dell'ambito applicativo costituzionalmente  previsto».  La  Corte  ha
altresi'  precisato  che  lo  scrutinio  di  costituzionalita'  «deve
svolgersi su un piano  diverso»  rispetto  all'esercizio  del  potere
legislativo, in  cui  «le  valutazioni  politiche  potrebbero  essere
prevalenti».  Ha  specificato  al  riguardo  che  «il   difetto   dei
presupposti di legittimita' della decretazione d'urgenza, in sede  di
scrutinio di costituzionalita'», deve  «risultare  evidente»,  e  che
tale difetto di presupposti, «una volta intervenuta  la  conversione,
si traduce in un  vizio  in  procedendo  della  relativa  legge».  Ha
percio'  escluso,  con  cio',  l'eventuale   efficacia   sanante   di
quest'ultima,  dal  momento  che  «affermare  che   tale   legge   di
conversione sana in ogni caso i  vizi  del  decreto,  significherebbe
attribuire in concreto al legislatore ordinario il potere di alterare
il riparto costituzionale  delle  competenze  del  Parlamento  e  del
Governo quanto alla produzione delle fonti primarie» (sentenze n. 128
del 2008; n. 171 del 2007; n. 29 del 1995). 
    La Corte ha poi precisato che  il  riconoscimento  dell'esistenza
dei presupposti fattuali  di  cui  all'art.  77,  secondo  comma,  si
ricollega «ad una intrinseca coerenza delle  norme  contenute  in  un
decreto-legge, o dal punto di vista  oggettivo  e  materiale,  o  dal
punto di vista funzionale e finalistico», e che l'urgente  necessita'
del provvedere «puo' riguardare una pluralita'  di  norme  accomunate
dalla natura unitaria delle fattispecie  disciplinate,  ovvero  anche
dall'intento di fronteggiare  situazioni  straordinarie  complesse  e
variegate,  che  richiedono  interventi  oggettivamente   eterogenei,
afferenti quindi a materie diverse, ma indirizzati all'unico scopo di
approntare rimedi  urgenti  a  situazioni  straordinarie  venutesi  a
determinare». In tale ottica, la Corte  ha  conferito  rilievo  anche
all'art. 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n.  400,  che  «pur
non avendo, in se' e per se'  rango  costituzionale,  e  non  potendo
quindi  assurgere  a  parametro  di  legittimita'   ...   costituisce
esplicitazione della ratio implicita nel secondo comma  dell'art.  77
Cost., il quale impone il collegamento dell'intero  decreto-legge  al
caso straordinario di necessita' e urgenza, che ha indotto il Governo
ad  avvalersi  dell'eccezionale  potere  di  esercitare  la  funzione
legislativa  senza  previa  delegazione  da  parte  del   Parlamento»
(sentenza n. 22 del 2012 sul cosiddetto «decreto milleproroghe»). 
    14. Ora, applicando gli insegnamenti della Corte  costituzionale,
occorre verificare se  la  «evidente»  carenza  del  requisito  della
straordinarieta', del caso di necessita' e di urgenza di  provvedere,
renda la prospettata questione non manifestamente infondata. 
    Al  riguardo  si  osserva  che  l'epigrafe   del   decreto   reca
l'intestazione  «Misure  urgenti  per   la   semplificazione   e   la
trasparenza  amministrativa   e   per   l'efficienza   degli   uffici
giudiziari». 
    Il preambolo del decreto cosi' recita: «Ritenuta la straordinaria
necessita' e urgenza di emanare disposizioni volte a favorire la piu'
razionale  utilizzazione  dei  dipendenti  pubblici,   a   realizzare
interventi  di  semplificazione  dell'organizzazione   amministrativa
dello Stato e degli enti pubblici e ad introdurre ulteriori misure di
semplificazione per  l'accesso  dei  cittadini  e  delle  imprese  ai
servizi della pubblica  amministrazione;  Ritenuta  la  straordinaria
necessita' ed urgenza di introdurre disposizioni volte a garantire un
miglior livello di  certezza  giuridica,  correttezza  e  trasparenza
delle  procedure  nei  lavori  pubblici,  anche  con  riferimento  al
completamento dei lavori e delle  opere  necessarie  a  garantire  lo
svolgimento  dell'evento  Expo  2015;   Ritenuta   la   straordinaria
necessita'  ed  urgenza  di  emanare  disposizioni  per  l'efficiente
informatizzazione del processo civile,  amministrativo,  contabile  e
tributario,  nonche'  misure  per   l'organizzazione   degli   uffici
giudiziari, al fine di assicurare la ragionevole durata del  processo
attraverso l'innovazione dei modelli organizzativi e il piu' efficace
impiego delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione». 
    A sua volta, l'art. 9 all'esame e' parte del Titolo  I  rubricato
«Misure urgenti per l'efficienza della pubblica amministrazione e per
il sostegno dell'occupazione» e del Capo I denominato «Misure urgenti
in materia di lavoro pubblico». Gli  articoli  del  Capo  dispongono,
principalmente, in materia di ricambio generazionale nelle  pubbliche
amministrazioni, di semplificazione e flessibilita' nel turn-over, di
mobilita'  obbligatoria  e  volontaria,  di  assegnazione  di   nuove
mansioni,  di  divieto  di  incarichi  dirigenziali  a  soggetti   in
quiescenza, di prerogative sindacali, di incarichi  negli  uffici  di
diretta collaborazione. 
    15. Occorre ora ricordare che, ai sensi dell'art.  15,  comma  1,
della legge n. 400 del 1988, i  decreti  legge  sono  presentati  per
l'emanazione «con l'indicazione,  nel  preambolo,  delle  circostanze
straordinarie  di  necessita'  e  di  urgenza  che  ne   giustificano
l'adozione», mentre  il  comma  3  sancisce  che  «i  decreti  devono
contenere misure di immediata applicazione e il loro  contenuto  deve
essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo». 
    Ebbene,  il  dubbio  di   costituzionalita'   dell'art.   9   del
decreto-legge n. 90 del 2014 insorge in  relazione  alla  circostanza
che nessun collegamento pare ravvisabile tra le riportate premesse  e
le  previsioni  normative  di  cui  si   prospetta   l'illegittimita'
costituzionale. 
    Difatti, il  primo  paragrafo  del  preambolo  fa  riferimento  a
interventi organizzativi e  semplificatori  nella  e  della  pubblica
amministrazione, il secondo alle procedure dei  lavori  pubblici,  il
terzo all'informatizzazione processuale. Ambiti, dunque, che  con  la
disposizioni di cui si discute - volta a riformare la struttura degli
onorari degli avvocati  dello  Stato  e  degli  altri  enti  pubblici
nell'ottica del contenimento della spesa pubblica - non sembrano aver
nulla a che vedere. Appare dunque carente il rapporto  tra  la  norma
censurata  e  l'elemento  funzionale  -  finalistico  proclamato  nel
preambolo, come espressamente richiesto dalla Corte costituzionale. 
    Per converso, in nessun punto del preambolo e' stato  dato  conto
delle ragioni di necessita' e di urgenza che imponevano l'adozione  -
a mezzo di decreto-legge - delle disposizioni di riforma  strutturale
degli  onorari  all'Avvocatura  dello  Stato  di  cui   all'art.   9.
L'infrazione dell'art. 77, secondo comma, della Costituzione  appare,
quindi, questione non manifestamente infondata. 
    A  tale  stregua  occorre  ancora   rammentare   che   la   Corte
costituzionale ha specificato come "l'inserimento di norme eterogenee
all'oggetto  o  alla  finalita'  del   decreto   spezza   il   legame
logico-giuridico tra la valutazione fatta  dal  Governo  dell'urgenza
del provvedere ed «i provvedimenti provvisori con forza  di  legge»",
di cui all'art. 77, e che «il presupposto del «caso» straordinario di
necessita' e urgenza inerisce  sempre  e  soltanto  al  provvedimento
inteso come un tutto unitario, atto normativo fornito  di  intrinseca
coerenza, anche se articolato e differenziato al  suo  interno»,  per
cui  «la  scomposizione  atomistica  della  condizione  di  validita'
prescritta dalla Costituzione si pone in contrasto con il  necessario
legame tra il provvedimento legislativo urgente ed il «caso»  che  lo
ha reso necessario, trasformando il decreto-legge in una congerie  di
norme assemblate soltanto da mera casualita' temporale» (sentenza  n.
22 del 2012). 
    Ne discende che l'immissione delle disposizioni  all'esame  (come
si e' detto, di riforma strutturale degli onorari) nel  corpo  di  un
decreto-legge   volto,   dichiaratamente,   alla   «piu'    razionale
utilizzazione dei dipendenti pubblici,  a  realizzare  interventi  di
semplificazione  dell'organizzazione  amministrativa  dello  Stato  e
degli  enti   pubblici   e   a   introdurre   ulteriori   misure   di
semplificazione per  l'accesso  dei  cittadini  e  delle  imprese  ai
servizi della pubblica amministrazione», non vale a trasmettere  alle
stesse - che appaiono quindi dissonanti -  il  carattere  di  urgenza
proprio delle  altre  disposizioni,  legate  invece  tra  loro  dalla
comunanza di oggetto o di finalita'. 
    Per altro, ma correlato, profilo, occorre osservare che l'art.  9
contiene anche alcune misure che non sono  «auto-applicative»,  ossia
«di immediata applicazione» come sancito dall'art. 15, comma 3, della
legge n. 400 del 1988. 
    Sul punto si rileva che, nonostante sia  previsto  che  la  nuova
disciplina si applichi alle sentenze  pubblicate  dopo  l'entrata  in
vigore del decreto-legge n. 90 del 2014, il comma 8 stabilisce  pero'
che il nuovo regime dei compensi (nella parte che riconosce il 50 per
cento delle somme recuperate - commi  3,  4  e  5,  secondo  e  terzo
periodo del comma 6)  puo'  trovare  applicazione  solo  a  decorrere
dall'introduzione, nei regolamenti dell'Avvocatura  dello  Stato,  di
regole che prevedano criteri di  riparto  delle  somme  «in  base  al
rendimento individuale, secondo criteri oggettivamente misurabili che
tengano  conto  tra  l'altro  della  puntualita'  negli   adempimenti
processuali». 
    Sicche', trova ulteriore conferma il  dubbio  circa  la  concreta
sussistenza del caso straordinario di necessita'  e  di  urgenza,  il
solo che puo' legittimare il Governo  ad  avvalersi  dell'eccezionale
potere di esercitare la funzione legislativa senza previa delegazione
da parte del Parlamento». 
    Sulla base di tali considerazioni, il Tribunale  della  Giustizia
amministrativa di Trento ha sospeso il giudizio e  rimesso  gli  atti
alla  Corte  costituzionale,  limitatamente  alla  questione   appena
illustrata e il Collegio ritiene che analoga rimessione debba  essere
disposta anche nell'ambito del presente giudizio. 
    II.2) Tuttavia, unitamente alla questione appena  illustrata,  il
Collegio  nutre  perplessita'  su  altra  questione  di  legittimita'
costituzionale della  disciplina  in  esame,  con  cui  i  ricorrenti
lamentano la violazione del principio di uguaglianza  (art.  3  della
Costituzione)  tra  Avvocati  dello  Stato  ed  Avvocati   di   altre
Amministrazioni pubbliche, avendo i commi  3  e  6  dell'art.  9  del
decreto-legge n. 90/2014 introdotto  la  decurtazione  degli  onorari
solo per i primi (corresponsione  nei  limiti  del  50%  delle  somme
liquidate    nei    provvedimenti    giurisdizionali    in     favore
dell'Amministrazione in caso di vittoria della causa  ed  azzeramento
dei compensi stessi in caso  di  transazione  e  compensazione  delle
spese). 
    Ritiene  il  Collegio  che  tale   profilo   di   censura   renda
effettivamente   dubbia   la   legittimita'   costituzionale    delle
disposizioni, sia pure nei limiti e alla stregua delle considerazioni
che di seguito si espongono. 
    La  Corte  costituzionale  ha  avuto  modo  di  chiarire  che  il
contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica,  attraverso
cui  puo'  attuarsi  una  politica  di  riequilibrio  del   bilancio,
implicano  sacrifici  gravosi  «che  trovano  giustificazione   nella
situazione di crisi economica»,  si  giustificano  sotto  il  profilo
della ragionevolezza «in quanto mirate ad un risparmio di  spesa  che
opera riguardo a tutto il  comparto  del  pubblico  impiego,  in  una
dimensione solidaristica - sia  pure  con  le  differenziazioni  rese
necessarie dai diversi statuti professionali delle categorie  che  vi
appartengono - e per un periodo di tempo limitato, che comprende piu'
anni  in  considerazione  della  programmazione   pluriennale   delle
politiche di bilancio» (Corte cost. n. 310/2013). 
    Si  tratta,  quindi,  di  provvedimenti  che,  pur   diversamente
modulati, «devono applicarsi all'intero comparto pubblico e impongono
limiti e restrizioni generali», in una dimensione  che  la  Corte  ha
connotato in senso solidaristico (sentenza n.  310  del  2013,  punto
13.5. del Considerato in diritto, gia' citato e sentenza n.  178  del
2015). 
    Alla luce delle riportate  coordinate,  destano  perplessita'  le
specifiche deroghe specificamente riferite  all'Avvocatura  di  Stato
nei commi 3 e 6 del contestato art. 9 del decreto-legge  n.  90/2014,
atteso che mentre agli avvocati delle Amministrazioni  pubbliche  non
statali e' accordata la possibilita' di acquisire le somme  liquidate
in favore dell'Amministrazione patrocinata, anche in misura integrale
secondo quanto previsto nei regolamenti dei rispettivi enti, per  gli
Avvocati dello Stato una tale possibilita' e'  limitata  ex  ante  al
50%, mentre e' del tutto esclusa con riguardo  ai  casi  di  sentenza
favorevole con compensazione delle  spese  ove  invece  gli  avvocati
delle  altre  Amministrazioni  incontrano  il   solo   limite   dello
stanziamento di bilancio per l'anno 2013. 
    Ritiene il Collegio che una tale divaricazione  della  disciplina
non trovi giustificazione nel livello della «componente fissa»  della
retribuzione degli  Avvocati  dello  Stato,  non  potendo  addursi  a
pretesa giustificazione la circostanza per  cui  siffatta  componente
fissa sarebbe superiore  in  media  a  quella  degli  avvocati  delle
Amministrazioni  pubbliche,  poiche',   come   noto,   i   difensori,
soprattutto quelli posti in posizione  apicale,  di  altre  pubbliche
amministrazioni,  con  particolare  riferimento  alle  Autorita'   di
regolazione, godono di un  trattamento  economico  che,  nella  parte
fissa, e' superiore a quello degli Avvocati dello Stato. 
    E infatti, gli avvocati delle Amministrazioni  pubbliche  diverse
dallo Stato hanno statuti e  inquadramenti  che  mutano  da  un  ente
all'altro  senza   possibilita'   di   individuare   una   disciplina
giuridico/economica unitaria, di  modo  che  l'assegnazione  ai  soli
Avvocati  dello  Stato  di   un   trattamento   economico   variabile
peggiorativo rispetto agli altri, potrebbe assumere il  carattere  di
una  penalizzazione  discriminante,  soprattutto  se  il  trattamento
deteriore   consegue   alla   semplice   appartenenza    alle    fila
dell'Avvocatura e  non  sia  agganciata  ad  una  soglia  stipendiale
specifica. 
    I dubbi di costituzionalita' non si sarebbero  posti  qualora  il
provvedimento contestato, anziche' identificare specificamente  negli
Avvocati dello Stato i destinatari della deroga, avesse stabilito  la
limitazione del riconoscimento  delle  competenze  nei  confronti  di
tutti gli avvocati di enti pubblici che superassero nella quota fissa
una  determinata  retribuzione;  cio'  in  linea  con  la  richiamata
giurisprudenza costituzionale secondo cui la  prioritaria  azione  di
risanamento delle finanze, pur legittimando l'adozione di misure  che
comportano sacrifici per le categorie di volta in volta  incise,  non
puo' non essere condotta nel rispetto del fondamentale  principio  di
ragionevolezza e deve avere riguardo a tutto il comparto del pubblico
impiego sia pure valorizzando  le  distinzioni  statutarie  esistenti
(cfr.: Corte costituzionale sentenza 310 del 2013, cit.). 
    Nella fattispecie, l'art.  9  del  decreto-legge  n.  90/2014  e'
rivolto alla riforma della retribuzione  della  parte  variabile  dei
compensi  non  solo  dell'Avvocatura  dello  Stato  ma  di  tutte  le
avvocature pubbliche,  di  modo  che  la  coerenza  e  ragionevolezza
dell'intervento  normativo  deve  essere  letta  nel  contesto   piu'
generale in cui l'intervento e' posto in essere, con  la  conseguenza
che ogni differenziazione del trattamento, quale e' quello  deteriore
riservato all'Avvocatura dello Stato nel riconoscimento delle  «spese
legali», dovrebbe fondarsi su circostanze obiettive che nella  specie
non paiono ravvisabili. 
    Con cio' non si vuole trascurare di  considerare  il  particolare
statuto che regola l'attivita' degli Avvocati dello Stato i quali,  a
differenza degli  avvocati  delle  altre  Amministrazioni  pubbliche,
appartengono ad un plesso organizzativo distinto  rispetto  a  quello
dell'ente (lo  Stato)  che  essi  sono  chiamati  difendere  in  sede
giudiziale; sennonche', il  Collegio  ritiene  che  tale  circostanza
rilevi al fine di garantire una posizione di maggiore indipendenza ai
primi, ma non puo' valere a giustificarne  la  sottoposizione  ad  un
trattamento economico deteriore rispetto a quello goduto dalle  altre
avvocature pubbliche, soprattutto nei casi in cui queste  godano  del
medesimo trattamento economico di parte fissa. 
III) Le  considerazioni  esposte  ai  punti  precedenti  fondano,  in
definitiva,  il  giudizio  di  rilevanza,  ai  fini  della   compiuta
decisione  nel  merito  della  controversia,  e  di   non   manifesta
infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art.
9 del decreto-legge  n.  90  del  2014,  di  «Riforma  degli  onorari
dell'Avvocatura generale dello Stato e delle  avvocature  degli  enti
pubblici», per contrasto con gli articoli  77,  secondo  comma,  e  3
della Costituzione, nei termini e per le ragioni sopra esposte. 
    Tanto   premesso,   il   Collegio   ritiene   rilevanti   e   non
manifestamente infondate le esposte questioni di costituzionalita' e,
per l'effetto, sospende il  giudizio,  mandando  alla  segreteria  di
trasmettere alla Corte la presente  ordinanza,  di  notificarla  alle
parti in causa e al Presidente del Consiglio dei ministri nonche'  di
comunicarla ai Presidenti della Camera  dei  deputati  e  del  Senato
della Repubblica. 
    Riserva alla sentenza di  merito  lo  scrutinio  delle  ulteriori
censure proposte da parte ricorrente. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Tribunale amministrativo  regionale  per  il  Molise  (Sezione
Prima), visti l'art. 134 della Costituzione e l'art. 23  della  legge
11 marzo 1953, n. 87: 
        dichiara  rilevante  e  non  manifestamente   infondata,   in
relazione all'art. 77, secondo comma,  e  3  della  Costituzione,  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, commi 3, 4 e  6
del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90,  convertito  in  legge,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 11 agosto  2014,  n.
114; 
        sospende il presente giudizio, con rinvio di ogni  definitiva
statuizione all'esito del promosso giudizio incidentale davanti  alla
Corte costituzionale, cui la  presente  ordinanza  va  immediatamente
trasmessa, a cura della  segreteria  del  Tribunale  unitamente  alla
prova delle previste comunicazioni e notificazioni; 
        dispone, sempre a cura della segreteria del Tribunale, che la
presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente
del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata  ai  Presidenti  della
Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. 
    Cosi' deciso in Campobasso, nelle Camere di consiglio dei  giorni
19 novembre 2015 e 9 marzo 2016 con l'intervento dei magistrati: 
        Orazio Ciliberti, Presidente; 
        Luca Monteferrante, Consigliere; 
        Domenico De Falco, Referendario, Estensore. 
 
                      Il Presidente: Ciliberti 
 
 
                                                L'estensore: De Falco