N. 69 SENTENZA 22 febbraio - 7 aprile 2017

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Bilancio e contabilita'  pubblica  -  Autorita'  di  regolazione  dei
  trasporti - Contributo in misura non superiore  all'uno  per  mille
  del fatturato dell'ultimo esercizio  a  carico  dei  gestori  delle
  infrastrutture e dei servizi regolati. 
- Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per  la
  crescita,  l'equita'  e  il  consolidamento  dei  conti   pubblici)
  - convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre  2011,  n.
  214 - art. 37, comma 6, lettera b). 
-   
(GU n.15 del 12-4-2017 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Paolo GROSSI; 
Giudici :Alessandro CRISCUOLO, Giorgio LATTANZI, Aldo  CAROSI,  Marta
  CARTABIA,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,  Giuliano
  AMATO, Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco
  MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  37,  comma
6,  lettera  b),  del  decreto-legge  6   dicembre   2011,   n.   201
(Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il  consolidamento
dei conti pubblici), convertito, con modificazioni,  dalla  legge  22
dicembre  2011,  n.  214,  promosso  dal   Tribunale   amministrativo
regionale per il Piemonte, nel procedimento vertente tra DHL  Express
(Italy) srl e altri e l'Autorita'  di  regolazione  dei  trasporti  e
altri, con ordinanza del 17 dicembre 2015,  iscritta  al  n.  30  del
registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell'anno 2016. 
    Visti gli atti di costituzione  di  DHL  Express  (Italy)  srl  e
altri, di Aviapartner spa  e  altra,  di  Aviation  Service  spa,  di
Confetra e altri, di United Parcel Service Italia  srl  e  altre,  di
Venezia Terminal  Passeggeri  spa  ed  altri,  nonche'  gli  atti  di
intervento della Ignazio Messina & C. spa e altra, fuori  termine,  e
del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica  del  22  febbraio  2017  il  Giudice
relatore Marta Cartabia; 
    uditi gli avvocati Giulio Cesare Rizza per  DHL  Express  (Italy)
srl e altri, Alessandro Gigli per Aviapartner  spa  e  altra,  e  per
Aviation Service spa, Salvatore Alberto Romano per Confetra e  altri,
Alessandro Boso Caretta per United Parcel Service Italia srl e altre,
Carlo Malinconico  per  Venezia  Terminal  Passeggeri  spa  e  altri,
Massimo Campailla per Ignazio Messina & C. spa e altra  e  l'avvocato
dello Stato Gianni De Bellis per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.-  Il  Tribunale  Amministrativo  Regionale  per  il  Piemonte,
pronunciandosi con un'unica ordinanza del 17 dicembre 2015  (r.o.  n.
30 del 2016) su otto ricorsi, previa riunione dei  relativi  giudizi,
solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 37,  comma
6,  lettera  b),  del  decreto-legge  6   dicembre   2011,   n.   201
(Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il  consolidamento
dei conti pubblici), convertito, con modificazioni,  dalla  legge  22
dicembre 2011, n. 214, in riferimento agli artt. 3, 23, 41 e 97 della
Costituzione. 
    1.1.- Il rimettente espone di  essere  stato  adito,  negli  otto
giudizi,  da  societa'  che  esercitano  attivita'  connesse  con  il
trasporto (magazzinaggio, distribuzione, logistica, consulenza per la
distribuzione,  trasporto  merci,  trasporto  espresso,   spedizione,
brokeraggio  doganale,  gestione  di  terminal   portuali,   handling
aeroportuale, corriere espresso), nonche'  da  loro  associazioni.  A
tutte le societa' l'Autorita' per la regolazione dei trasporti  (ART)
ha chiesto il versamento del contributo a essa dovuto  per  gli  anni
2014 e 2015 a norma, rispettivamente, dei decreti del Presidente  del
Consiglio dei ministri 12 febbraio 2014 e 2 aprile  2015,  che  hanno
approvato le delibere dell'ART 23 gennaio 2014, n. 10, e 27  novembre
2014, n. 78. 
    Le ricorrenti hanno impugnato i provvedimenti  di  sollecitazione
del  contributo,  nonche'  le  presupposte  delibere  e   i   decreti
presidenziali che le hanno approvate. Comune  a  tutti  i  ricorsi  e
centrale ai fini del contenzioso e'  la  problematica  individuazione
dei «gestori delle infrastrutture e dei servizi  regolati»,  a  norma
del censurato art. 37, comma 6, lettera b). Le societa' ricorrenti si
ritengono estranee a questo novero di soggetti. Alcune  difese  hanno
eccepito l'illegittimita' costituzionale della disposizione citata  e
la relativa questione e' stata inoltre sottoposta d'ufficio  a  tutte
le parti nell'udienza di discussione. 
    1.2.- Il citato art. 37, comma 6,  recita,  nell'alinea  e  nelle
lettere a) e b), quanto segue: «[a]lle attivita' di cui  al  comma  3
del presente articolo si provvede come segue: a) agli oneri derivanti
dall'istituzione dell'Autorita' e dal suo funzionamento,  nel  limite
massimo di 1,5 milioni di euro per l'anno 2013 e 2,5 milioni di  euro
per l'anno 2014, si provvede mediante corrispondente riduzione  dello
stanziamento del Fondo speciale di parte corrente iscritto,  ai  fini
del bilancio triennale 2013-2015, nell'ambito del programma "Fondi di
riserva e speciali" della missione "Fondi da ripartire"  dello  stato
di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per  l'anno
2013, allo scopo parzialmente utilizzando  l'accantonamento  relativo
al Ministero degli affari esteri [...];  b)  mediante  un  contributo
versato dai gestori delle infrastrutture e dei servizi  regolati,  in
misura non  superiore  all'uno  per  mille  del  fatturato  derivanti
dall'esercizio   delle   attivita'   svolte   percepiti   nell'ultimo
esercizio.  Il  contributo  e'  determinato  annualmente   con   atto
dell'Autorita', sottoposto ad approvazione da  parte  del  Presidente
del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro dell'economia
e delle  finanze.  Nel  termine  di  trenta  giorni  dalla  ricezione
dell'atto,  possono  essere  formulati  rilievi  cui  l'Autorita'  si
conforma; in  assenza  di  rilievi  nel  termine  l'atto  si  intende
approvato». 
    Il comma 3, richiamato dall'alinea  del  comma  6,  disciplina  i
poteri dell'ART nell'esercizio delle competenze di cui al  precedente
comma 2. Quest'ultimo, a propria volta, afferma che «[l]'Autorita' e'
competente nel settore dei trasporti  e  dell'accesso  alle  relative
infrastrutture» ed elenca una  serie  di  funzioni  specifiche  della
stessa, ad avviso del rimettente perlopiu' attinenti all'accesso alle
infrastrutture di trasporto e agli oneri di servizio pubblico. 
    Il  comma  1  dello  stesso  art.  37,   pur   collocando   l'ART
«[n]ell'ambito delle attivita' di regolazione dei servizi di pubblica
utilita' di cui alla legge 14 novembre 1995, n. 481», le  attribuisce
competenza «nel settore dei trasporti e  dell'accesso  alle  relative
infrastrutture  e  ai  servizi  accessori,  in  conformita'  con   la
disciplina europea e nel rispetto del principio di  sussidiarieta'  e
delle competenze delle regioni e degli enti locali di cui al titolo V
della parte seconda della Costituzione». In questo comma,  ad  avviso
del  TAR,  «la  vocazione   dell'ART   risulta   dunque   generalista
nell'ambito della materia del trasporto,  e  tale  da  potenzialmente
interessare  l'intero  settore,  non  ulteriormente  qualificato  con
riferimento agli oneri di servizio pubblico». 
    Nella versione  originaria,  il  comma  1  faceva  riferimento  a
regolamenti  del   Governo   volti   «a   realizzare   una   compiuta
liberalizzazione nel settore ferroviario, aereo e marittimo». Gia' in
sede di conversione del d.l. n. 201 del 2011, pero', il riferimento a
specifici settori  veniva  sostituito  con  quello  a  «una  compiuta
liberalizzazione  e  un'efficiente  regolazione   nel   settore   dei
trasporti e dell'accesso  alle  relative  infrastrutture»:  permaneva
dunque un riferimento alla liberalizzazione, congiunto alla  prevista
attribuzione ad una delle autorita' indipendenti  gia'  esistenti  di
competenze analoghe a quelle di cui al  vigente  art.  37,  comma  2.
Dunque,  l'originaria  vocazione  dell'ART,  neppure  concepita  come
distinta autorita' indipendente, riguardava, in coerenza con l'ancora
vigente rubrica  dell'art.  37  («Liberalizzazione  del  settore  dei
trasporti»),  l'apertura  al  mercato  di  tipologie   di   trasporto
vincolate a servizi a rete, a presupposte concessioni  amministrative
o ad oneri di servizio pubblico, e cio'  con  specifico  riguardo  al
trasporto ferroviario, aereo e marittimo. 
    In seguito, la vocazione dell'ART e' stata  ampliata,  senza  che
pero', prosegue il rimettente, la disciplina del contributo,  di  cui
all'art. 37, comma 6, fosse mai adeguata o chiarita. In  particolare,
prima ancora che l'ART entrasse in  funzione,  l'art.  36,  comma  1,
lettera a), del decreto-legge 24 gennaio  2012,  n.  1  (Disposizioni
urgenti per la concorrenza, lo sviluppo  delle  infrastrutture  e  la
competitivita'), convertito, con modificazioni, dalla legge 24  marzo
2012, n. 27, modificando l'art. 37, comma 1,  del  d.l.  n.  201  del
2011, convertito  nella  legge  n.  214  del  2011,  ha  definito  la
competenza dell'ART mediante il riferimento al generico  concetto  di
«trasporti», da un lato, e, dall'altro, alla «disciplina europea  dei
medesimi». Quest'ultimo riferimento, ad  avviso  del  rimettente,  va
letto alla luce  del  Titolo  VI  (artt.  90-100)  del  Trattato  sul
funzionamento  dell'Unione  europea  (TFUE),  il   quale,   oltre   a
contemplare tutte le tipologie di trasporti, li considera non solo un
mercato, in cui promuovere la concorrenza, ma anche uno strumento  di
complessiva coesione di altri mercati e  dell'Unione  europea.  Sulla
scorta del TFUE, la politica europea dei  trasporti  ha  considerato,
tra  l'altro,  oltre  ai  profili  concorrenziali,  anche  quelli  di
sicurezza  e  di  tutela  dell'ambiente,  i  costi   sociali   e   le
esternalita'  negative  dei  trasporti,  nonche'  la  necessita'   di
favorirne l'intermodalita': il che dimostra che la filiera  e'  stata
considerata  nel  complesso,  come  avviene  anche  nella  disciplina
dell'ART.  Il  legislatore  ha  dunque  optato  per   una   vocazione
dell'autorita' non limitata al solo profilo  della  liberalizzazione,
anche per evitare sovrapposizioni con  le  competenze  dell'Autorita'
garante della concorrenza e del mercato. 
    Tuttavia, l'iniziale identificazione dei  soggetti  obbligati  al
contributo non e' stata adeguata a questa successiva opzione  e,  «se
pure appare coerente con la moderna politica  europea  dei  trasporti
una  attenzione  al  settore  nel   suo   complesso   a   tutela   di
rilevantissimi interessi (dei consumatori, ambientali, economici), le
cui esigenze trascendono i tradizionali confini della  concorrenza  o
del  servizio  pubblico,  l'imposizione  di  forme  di  contribuzione
coattiva soggiace a specifici vincoli costituzionali  in  termini  di
riserva di legge (ancorche' relativa), tassativita', progressivita' e
prevedibilita' del carico fiscale». 
    1.3.- Con queste premesse, il TAR Piemonte solleva  la  questione
di legittimita' costituzionale di cui in esordio, precisando che essa
e'  rilevante  in  quanto  l'intero  contenzioso   si   fonda   sulla
difficolta' di identificare  la  platea  dei  soggetti  obbligati  al
contributo, come riconosciuto  dalla  stessa  ART  (nel  suo  secondo
Rapporto annuale al Parlamento del 15 luglio 2015). 
    1.4.- Il contributo dovrebbe essere inquadrato tra le imposizioni
fiscali o prestazioni patrimoniali  imposte,  analogamente  a  quanto
ritenuto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 256  del  2007.
Decisivi  furono  ritenuti,  in  quel  caso,  la  doverosita'   della
prestazione  imposta  (senza  rapporto  sinallagmatico   rispetto   a
prestazioni di servizi), il suo collegamento con una spesa pubblica e
il riferimento a un presupposto economicamente  rilevante.  Nel  caso
odierno, analogamente,  il  contributo  e'  imposto  ai  gestori  dei
servizi regolati in termini generali; serve a finanziare la spesa per
il funzionamento dell'ART; e' avulso  da  qualsiasi  corrispettivita'
con specifici servizi, sicche' non e' pertinente  la  giurisprudenza,
citata  da  alcune   parti,   relativa   ai   contributi   a   favore
dell'Autorita' per le garanzie nelle comunicazioni, ricostruiti  come
sostanziale corrispettivo per  specifiche  attivita'  regolatorie  ed
amministrative. 
    Cosi' inquadrata la fattispecie, il rimettente si interroga se la
scarna disciplina legislativa rispetti la riserva  di  legge  di  cui
all'art. 23 Cost. e, «in  subordine»,  se  l'ampia  e  indiscriminata
platea degli obbligati non contrasti con l'art. 3 Cost. 
    1.4.1.- Secondo la giurisprudenza costituzionale  (e'  citata  la
sentenza n. 350 del 2007), la riserva relativa  di  cui  all'art.  23
Cost. impone al legislatore di determinare criteri direttivi e  linee
generali  di  disciplina  della  discrezionalita'  amministrativa  in
merito al presupposto, alla base  imponibile,  ai  soggetti  passivi,
all'aliquota e alla quota di prelievo. 
    Rispetto a tali requisiti, il rimettente evidenzia alcuni profili
di insufficienza della disposizione censurata, paragonandola a quanto
previsto «dall'art. 38 co. 2 l. n. 431/95» [recte: art. 2, comma  38,
lettera b), della legge 14 novembre 1995, n. 481, recante «Norme  per
la concorrenza e la regolazione dei  servizi  di  pubblica  utilita'.
Istituzione delle Autorita' di regolazione dei  servizi  di  pubblica
utilita'»]. 
    In primo luogo, e' indicata la percentuale massima  di  fatturato
suscettibile di prelievo, nonche' un tetto ai finanziamenti  pubblici
a favore dell'ART, ma non un limite ai  costi  globali  della  stessa
autorita'. Al rimettente non pare soddisfacente che la misura di tali
costi possa ricavarsi da quanto  necessario  per  la  gestione  della
struttura dell'ART:  quest'ultima,  per  la  sua  spiccata  autonomia
organizzativa e gestionale, potrebbe scegliere  di  applicare  sempre
l'aliquota  massima,  «contestualmente  autodeterminando  la  propria
struttura in tal senso», in assenza di una  predeterminazione  legale
della quota di prelievo. 
    In secondo luogo, mentre l'art. 2, comma 38,  lettera  b),  della
legge n. 481 del 1995 determina il contributo  come  percentuale  dei
«ricavi», la disposizione censurata fa riferimento al «piu' opinabile
concetto di "fatturato"», sicche'  potrebbe  mettersi  in  dubbio  la
sufficiente determinazione della base imponibile. 
    In  terzo  luogo,  la  citata  disposizione  del  1995   riguarda
autorita'  regolatrici   di   mercati   caratterizzati   da   elevata
specificita' e specializzazione  degli  operatori,  quali  energia  e
telecomunicazioni. Invece, come del resto e' palesato dalle disparate
attivita' poste in essere dalle ricorrenti, il «mercato dei trasporti
e loro  "accessori"»,  genericamente  richiamato  dalla  disposizione
sospetta d'illegittimita' costituzionale, «pur  presentando  esigenze
di  regolazione   complessiva   ed   organica   ormai   pacificamente
riconosciute anche  a  livello  europeo,  pare  [...]  richiedere  un
maggior  rigore  normativo  nella  definizione   della   platea   dei
destinatari del contributo e della sua struttura». 
    1.4.2.-  «In  ogni  caso»,  la  parificazione  di  un  novero  di
obbligati  cosi'  indefinito  colliderebbe  con  l'art.  3  Cost.  Le
delibere dell'ART impugnate dinanzi al rimettente  hanno  individuato
come obbligati soggetti che, «pur parte del mercato dei trasporti,  e
non certo impermeabili ad esigenze di regolazione, sono in  posizione
assolutamente difforme tra loro»: cosi', ad  esempio,  i  gestori  di
reti  o  i  concessionari  di  servizi  pubblici,  da  un  lato,   e,
dall'altro, i meri prestatori di servizi di trasporto su  strada.  La
stessa ART ha individuato una sorta di soglia de minimis, ragionevole
ma non prevista nella  legge,  che,  «con  modalita'  sostanzialmente
arbitrarie», ha comportato effetti notevoli  sulla  suddivisione  del
carico impositivo tra i destinatari, ad esempio esentando i tassisti,
ancorche' la loro attivita' sia espressamente  contemplata  nell'art.
37 del d.l. n. 201 del 2011,  convertito,  con  modificazioni,  dalla
legge n. 214 del 2011. 
    Inoltre,  poiche'  i  soggetti  incisi  sono,  a  vario   titolo,
imprenditori del  mercato  dei  trasporti,  l'imprevedibilita'  degli
oneri  impositivi  si  tradurrebbe  anche  in  una  violazione  della
liberta' di iniziativa economica tutelata dall'art. 41 Cost. 
    Settori specifici di mercato possono bensi'  essere  interessati,
per  le  loro  caratteristiche  peculiari   (qualora,   ad   esempio,
garantiscano rendite di posizione), da specifiche tassazioni, purche'
strutturate in modo coerente, proporzionale e ragionevole (e'  citata
la  sentenza  n.  10  del  2015).  Tuttavia,  sono  state   giudicate
illegittime norme impositive che  parificavano  situazioni  tra  loro
difformi: e' citata  in  particolare  la  sentenza  n.  83  del  2015
(ancorche' relativa alla parificazione di «oggetti», non di soggetti,
eterogenei), la quale ha stigmatizzato  l'assenza  tanto  di  criteri
idonei a limitare la discrezionalita' amministrativa  nell'attuazione
della disciplina, quanto di forme procedurali  partecipative,  talora
considerate  dalla  stessa  giurisprudenza  costituzionale  idonee  a
compensare il deficit di tassativita' di  norme  primarie  altrimenti
incompatibili con l'art. 23 Cost. 
    Nel caso in esame, il correttivo da ultimo menzionato e' assente. 
    Sul piano normativo, nessuna  partecipazione  e'  prevista  dalla
disposizione censurata; inoltre, i provvedimenti impugnati dinanzi al
TAR rimettente, per il loro carattere generale, sfuggono ai  principi
generali sulla partecipazione, a norma dell'art.  13  della  legge  7
agosto  1990,  n.  241  (Nuove  norme  in  materia  di   procedimento
amministrativo e di diritto di accesso ai documenti  amministrativi);
infine, benche' l'art. 37,  comma  1,  del  d.l.  n.  201  del  2011,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011,  richiami
le norme organizzative e di funzionamento di cui alla  legge  n.  481
del 1995, quest'ultima, all'art. 2, contiene  previsioni  in  materia
procedimentale, ma non contempla alcuna forma di partecipazione  alle
delibere sui contributi, conformemente alla natura di esse. 
    Nei fatti, poi, prosegue il rimettente,  per  la  prima  delibera
dell'ART impugnata (n. 10 del 2014)  non  e'  stata  attivata  alcuna
forma di partecipazione; per la seconda (n. 78 del 2014), l'autorita'
ha affermato  di  avere  proceduto  ad  ampie  consultazioni,  ma  ha
altresi' evidenziato la difficolta' di coinvolgere un numero talmente
elevato   e   indefinito   di   soggetti:   il   che    comproverebbe
l'indeterminatezza della  previsione  legislativa  e  la  conseguente
ratio legis di esclusione della partecipazione. 
    1.4.3.- Del resto, osserva il  rimettente,  la  peculiarita'  del
beneficiario del contributo, qualora quest'ultimo  fosse  determinato
con la collaborazione dei soggetti incisi, porrebbe anche un problema
di compatibilita' con l'art. 97 Cost. e con i principi, ivi previsti,
del   buon   andamento   e    dell'imparzialita'    della    pubblica
amministrazione. La problematica si  collocherebbe  «in  un  delicato
crocevia di valori», sicche' sarebbe preferibile «una  piu'  rigorosa
lettura» della riserva relativa di legge, con ulteriore rafforzamento
dei dubbi di legittimita' costituzionale gia' espressi. 
    Diversamente da altre autorita' deputate all'emanazione di  fonti
secondarie integrative,  le  autorita'  indipendenti  sono  prive  di
responsabilita' e legittimazione politica. Ancorche' la  disposizione
censurata conferisca al Presidente del  Consiglio  dei  ministri,  di
concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, il potere  di
approvare le delibere oggetto di impugnazione  nel  giudizio  a  quo,
tale potere e' stato esercitato in modo da valorizzare l'indipendenza
dell'ART: tanto che in  ossequio  ad  essa  l'approvazione  e'  stata
concessa,  nonostante   le   riconosciute   difficolta'   in   merito
all'identificazione dei soggetti obbligati. 
    Il giudice rimettente ribadisce che  la  riserva  di  legge  puo'
essere soddisfatta anche quando l'integrazione della legge  ad  opera
di  fonti  secondarie  e'  circoscritta  mediante  la  previsione  di
meccanismi partecipativi; e cio' sembra  attagliarsi  particolarmente
bene alle autorita' indipendenti, titolari di ampi poteri  regolatori
e decisionali pur in  assenza  di  responsabilita'  e  legittimazione
politica. Tuttavia, «la' dove si tratti di  determinare  puntualmente
le fonti  di  finanziamento  dell'Autorita'  [...],  le  esigenze  di
neutralita' e indipendenza  ben  possono  entrare  in  conflitto  con
interventi partecipativi significativi da parte dei destinatari della
regolazione»: le esigenze anzidette, infatti, sussistono sia rispetto
al potere politico, sia,  a  maggior  ragione,  «rispetto  ai  poteri
economici destinatari della regolazione». Ne consegue, ad avviso  del
rimettente, che  quanto  piu'  la  riserva  relativa  in  materia  di
contributi obbligatori sara' interpretata rigorosamente,  pretendendo
la determinazione di criteri effettivi e chiari, tanto maggiore sara'
la garanzia di indipendenza  della  stessa  autorita'.  Sotto  questo
profilo, la disposizione censurata appare  di  dubbia  compatibilita'
con l'art. 97 Cost., «alla luce delle esigenze di  imparzialita'  che
la peculiare posizione  dell'Autorita'  traduce  nel  piu'  pregnante
concetto di neutralita'». 
    1.5.- Di  qui,  conclude  il  TAR  rimettente,  la  questione  di
legittimita' costituzionale, sollevata in relazione agli art. 3,  23,
41 e 97 Cost., avente ad oggetto l'art. 37, comma 6, lettera b),  del
d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla  legge  n.
214 del 2011, «nella parte in cui attribuisce all'ART  un  potere  di
determinazione  di  una  prestazione   patrimoniale   imposta   senza
individuare i necessari presupposti dell'imposizione». 
    2.- Si sono costituite in giudizio, con due atti distinti, ma  di
analogo contenuto, depositati  il  14  marzo  2016,  Aviapartner  spa
congiuntamente ad Aviapartner Handling spa, e Aviation  Service  spa,
parti di due dei giudizi a quibus. 
    2.1.- Premesso di operare nel settore dell'handling  aeroportuale
(servizio di assistenza  a  terra),  le  societa'  ricostruiscono  lo
svolgimento dei giudizi a quibus - ivi compresa l'ordinanza cautelare
del TAR adito (12 novembre 2015, n. 346), confermata dal Consiglio di
Stato (quarta sezione, ordinanza 19 gennaio 2016,  n.  312)  -  e  la
tormentata storia legislativa che, in  parallelo  con  le  evoluzioni
della disciplina  dei  trasporti  adottata  dall'Unione  europea,  ha
portato all'istituzione dell'ART, soprattutto con il d.l. n. 201  del
2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del  2011,  e
con il d.l. n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge
n. 27 del 2012. La stratificazione degli interventi normativi avrebbe
portato a una situazione di confusione e incertezza, con riguardo sia
alle   competenze   dell'autorita',   il   cui   perimetro    sarebbe
«estremamente ampio  e  troppo  vago»,  sia  all'identificazione  dei
soggetti obbligati al contributo,  come  rilevato  nell'ordinanza  di
rimessione. Tale identificazione sarebbe  «praticamente  impossibile»
per la testuale contraddittorieta' dell'art. 37 del d.l. n.  201  del
2011, come convertito, il  quale  fa  riferimento  ora  ai  «soggetti
esercenti il servizio sottoposto a  regolazione»,  ora  ai  «soggetti
sottoposti a regolazione», i quali - tenuto  conto  della  competenza
dell'ART a determinare i criteri per la fissazione  delle  tariffe  o
gli schemi di bandi di gara  -  potrebbero  includere  persino  altre
autorita' di settore ed enti territoriali. 
    Di tali problemi avrebbero dato atto il Presidente del  Consiglio
dei ministri, nelle premesse al proprio decreto del  2  aprile  2015,
sia l'ART, nel secondo Rapporto annuale al Parlamento. 
    2.2.- Cio' premesso, le societa' eccepiscono anzitutto il difetto
di rilevanza della questione, sul presupposto di non essere «soggetti
sottoposti  a  regolazione»,  ne'  «soggetti  esercenti  il  servizio
sottoposto a regolazione», con conseguente inapplicabilita', nei loro
confronti, del censurato art. 37, comma 6, lettera b). 
    Il servizio di assistenza a terra  e'  stato  infatti  totalmente
liberalizzato, per effetto della direttiva 96/67/CE del Consiglio del
15 ottobre 1996, relativa  all'accesso  al  mercato  dei  servizi  di
assistenza a terra  negli  aeroporti  della  Comunita',  nonche'  del
decreto  legislativo  13  gennaio  1999,  n.  18  (Attuazione   della
direttiva 96/67/CE relativa al libero accesso al mercato dei  servizi
di  assistenza  a  terra  negli  aeroporti  della   Comunita'),   con
attribuzione di  mere  funzioni  di  controllo  e  vigilanza  tecnica
all'Ente nazionale aviazione civile. L'ART sarebbe  totalmente  priva
di competenze regolatorie su questa tipologia  di  servizi,  come  e'
comprovato dalla sua estraneita' alla redazione o revisione del bando
di  gara  relativo  allo  scalo  di  Roma  Fiumicino.  Non  sarebbero
conferenti  le  distinzioni,  operate  dalla  stessa  autorita',  tra
servizi pubblici, di pubblica utilita' e di mercato, ne' la  sentenza
del Consiglio di Stato,  sesta  sezione,  5  giugno  2006,  n.  3352,
relativa a settori non ancora  integralmente  liberalizzati  come  e'
invece l'handling aeroportuale. In conclusione, le societa' esercenti
tale servizio non potrebbero essere soggetti  ad  alcuna  regolazione
(economica, concorrenziale o tecnica) da parte dell'ART. Ne' potrebbe
sostenersi che la competenza dell'autorita' riguardi l'intero settore
dei trasporti - pena i profili di incompatibilita' con l'art. 3 Cost.
riscontrati nell'ordinanza di rimessione - oppure  tutti  i  soggetti
che in qualsiasi modo beneficino delle attivita' regolatorie poste in
essere  dall'ART,  perche'  in  tal  modo  sarebbero  assoggettate  a
contributo tutte le aziende che svolgano attivita' di qualsiasi  tipo
all'interno degli aeroporti. 
    In senso analogo si sarebbe espresso il Consiglio di Stato  nella
citata ordinanza n. 312 del 2016, escludendo, in sede di  delibazione
cautelare, la soggezione contributiva  delle  societa'  di  handling,
«poiche' il relativo obbligo  in  tanto  sarebbe  potuto  sorgere  in
quanto esse operassero in un mercato regolato e solo se ve ne fossero
criticita'  ed  asimmetrie  tali  da   giustificare   un   intervento
regolatorio ex ante dell'ART», la quale «puo' chiedere il  contributo
non gia' solo  per  il  suo  funzionamento,  ma  nei  limiti  di  tal
attivita'  regolatoria,  che  presuppone  un'analisi  di  mercato  in
contraddittorio  con  tali  imprese  e  che  allo  stato  non  sembra
ravvisarsi nei loro confronti, in quanto operano o in mercato in  se'
libero o in ambiti gia' regolati ex ante da altre Autorita'». 
    2.3.- Qualora invece la questione fosse ritenuta rilevante,  essa
sarebbe, ad avviso delle esponenti, fondata in riferimento a tutti  i
parametri evocati dal TAR rimettente. 
    2.3.1.-  In  merito  all'art.  23  Cost.,  le  difese  delle  tre
societa', richiamata la giurisprudenza costituzionale  sulla  nozione
di tributo, ripercorrono le argomentazioni del giudice rimettente e i
precedenti da esso richiamati (soprattutto  la  sentenza  n.  83  del
2015);  in  merito  alle  garanzie  procedimentali  e  di  difesa  in
relazione all'esercizio dei poteri dell'ART, sottolineano  le  lacune
del censurato art. 37, che e' dubbio se possano essere  adeguatamente
integrate dai principi di cui alla legge n. 481 del 1995, considerato
che l'Autorita' garante della concorrenza e del mercato  ha  ritenuto
indispensabile dotarsi di appositi regolamenti in materia. Nemmeno e'
richiamato, in alcun modo, il dovere di applicare,  nei  procedimenti
volti all'applicazione di sanzioni, la legge 24 novembre 1981, n. 689
(Modifiche al sistema penale), previsto  invece  da  altre  normative
analoghe. 
    2.3.2.- Pure in merito  all'art.  3  Cost.  sono  ripercorsi  gli
argomenti dell'ordinanza di rimessione, sottolineandosi  in  aggiunta
che il settore dei trasporti presenta caratteristiche  peculiari:  e'
aperto ad aziende che operano e realizzano il proprio  fatturato  sia
all'estero sia in Italia e qui, talora, in modo anche solo episodico;
nonche'   ad   aziende   difficilmente   censibili    e    coercibili
all'adempimento  (ad  esempio,  aziende  di  autotrasporto  con  sede
esterna all'Unione europea). Inoltre, risulterebbero sistematicamente
esclusi dal pagamento coloro  che,  pur  beneficiando  dell'attivita'
regolatoria, accedono alla rete come singoli individui (ad esempio, i
singoli automobilisti che accedono alla rete autostradale). 
    Non  varrebbe  a  risolvere  i  problemi   descritti   l'impiego,
escogitato dall'ART, dei codici delle attivita'  economiche  (ATECO):
si tratta di codici utilizzati solo  per  finalita'  statistiche;  il
loro impiego, in assenza di qualsiasi aggancio con l'art. 37 del d.l.
n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla  legge  n.  214
del 2011, e' un espediente la cui artificiosita' comprova le  carenze
di tale normativa legislativa. Del resto,  le  note  criticita'  sono
state rilevate anche dopo la decisione dell'ART di utilizzare  questi
codici, nelle premesse del decreto del Presidente del  Consiglio  dei
ministri del 2 aprile 2015. 
    2.3.3.- La difesa delle tre societa' riporta e condivide anche  i
rilievi del TAR rimettente sulla sospetta  violazione  sia  dell'art.
41, sia dell'art. 97 Cost.,  corroborando  il  riferimento  al  primo
parametro con ulteriori riferimenti giurisprudenziali. 
    3.- Si sono costituite in giudizio, con  atto  depositato  il  14
marzo 2016, Confetra-Confederazione generale italiana dei trasporti e
della  logistica,   nonche'   altre   associazioni   imprenditoriali,
congiuntamente a  JAS-Jet  Air  Service  spa,  e  ad  altre  societa'
commerciali, parti di uno dei giudizi a quibus. 
    3.1.- Le esponenti riferiscono di essere  operative  nei  settori
dell'autotrasporto   e   della   logistica   (spedizioni,   corrieri,
magazzinaggio).  Tali  settori  sarebbero  esclusi  dall'ambito   dei
servizi regolati dall'ART, la cui istituzione,  come  rilevato  dalla
stessa Corte costituzionale (sentenza n. 41  del  2013),  «s'inscrive
nel sistema di  regolazione  indipendente  dei  servizi  di  pubblica
utilita', avviato con la legge 14 novembre 1995, n. 481 (Norme per la
concorrenza e  la  regolazione  dei  servizi  di  pubblica  utilita'.
Istituzione delle Autorita' di regolazione dei  servizi  di  pubblica
utilita')  e,  come  tale,  e'  volta   a   realizzare   un   mercato
concorrenziale  nei  servizi  di  trasporto».  Le   attivita'   delle
esponenti non sarebbero riconducibili al novero dei servizi regolati,
perche' prive di qualsiasi connotazione  in  termini  di  servizi  di
pubblica utilita' o di interesse generale; da sempre  esse  sarebbero
lasciate al libero mercato, sicche' sarebbe improprio parlare di  una
loro  "privatizzazione",  non   essendosi   mai   verificata   alcuna
"pubblicizzazione". 
    3.2.- Nel ripercorrere le argomentazioni del TAR  rimettente,  le
esponenti ribadiscono che la portata del censurato art. 37, comma  6,
lettera b), mai potrebbe essere estesa  al  punto  di  includere  nel
novero dei «gestori delle  infrastrutture  e  dei  servizi  regolati»
anche gli operatori dei servizi di autotrasporti e logistica: sarebbe
altrimenti snaturato lo stesso concetto di autorita' indipendente  di
regolazione, «che trova la giustificazione della propria indipendenza
proprio  nel  carattere   tecnico   dell'attivita'   di   regolazione
conness[a] con il processo di liberalizzazione di  settori  economici
di pubblico interesse - come quello dei servizi pubblici - e non puo'
essere, invece, trasformata in una sorta di Ministero  dei  trasporti
indipendente, sganciato dal circuito  democratico-rappresentativo  ma
competente su qualsiasi aspetto dell'eterogeneo mondo del  trasporto,
compresi gli ambiti da sempre lasciati al liberto mercato e mai stati
oggetto di regolazione per pubblica utilita'». 
    Passando in rassegna le censure riferite agli artt. 3,  41  e  97
Cost., le esponenti rimarcano altresi', soprattutto in  relazione  al
primo parametro,  che  la  disposizione  censurata  stabilirebbe  una
disciplina identica per situazioni che  sono,  invece,  profondamente
differenti: il mercato dei trasporti non e' unitario, ma estremamente
diversificato, perche'  riunisce  alcuni  ambiti  in  cui  sussistono
esigenze di  servizio  pubblico  (come  quelle  che  per  anni  hanno
giustificato la "pubblicizzazione"  di  settori  quali  il  trasporto
ferroviario, aereo e il trasporto pubblico locale) ed  altri  in  cui
gli  operatori  non  svolgono  servizi  orientati   al   bene   della
collettivita', ma comuni  attivita'  imprenditoriali  (quali  appunto
quelle di autotrasporto privato e logistica). 
    4.- Si sono costituite in giudizio, con  atto  depositato  il  14
marzo 2016, DHL Express (Italy) srl  e  altre  societa'  commerciali,
parti di uno dei giudizi a quibus. 
    4.1.- Queste societa' espongono di appartenere al gruppo DHL e di
operare nei mercati del corriere espresso, delle spedizioni di merci,
nonche' dei servizi  di  logistica  relativi  alla  distribuzione  di
merci. Riassunto lo svolgimento del  giudizio  a  quo,  precisano  di
avere altresi' impugnato, con motivi aggiunti, gli atti dell'ART  che
hanno determinato l'entita' del contributo obbligatorio per  il  2016
(delibera  5  novembre  2015,  n.  94,  approvata  con  decreto   del
Presidente del Consiglio dei ministri 23 dicembre 2015). 
    4.2.-  Dopo  avere  riportato  il  contenuto  della  disposizione
impugnata e i termini delle questioni di legittimita'  costituzionale
sollevate  dal  TAR,  le  societa'  eccepiscono  anzitutto   che   la
disposizione  puo'   essere   interpretata   in   modo   conforme   a
Costituzione. 
    Il  contributo  in  questione  sarebbe  una   tassa   di   scopo,
parzialmente commutativa per i servizi resi agli operatori  dall'ART,
le cui competenze regolatorie non sono  generiche  e  illimitate,  in
relazione a un non meglio definito «settore europeo  dei  trasporti»,
ma circoscritte ai servizi di pubblica utilita' di cui alla legge  n.
481 del 1995, al fine di facilitarne la liberalizzazione.  Sul  piano
testuale, il censurato art. 37, comma 6, lettera b), stabilirebbe  un
nesso  tra  il  contributo,  i  poteri  dell'ART  e  l'esercizio   di
specifiche competenze regolamentari. Sul piano sistematico, il  comma
1 dello stesso art. 37 collocherebbe  l'autorita'  nell'ambito  della
regolazione dei servizi di pubblica utilita' di cui alla legge n. 481
del 1995, come risulterebbe altresi' dai lavori preparatori  e  dalla
giurisprudenza costituzionale (e' citata la sentenza n. 41 del 2013);
il legame tra  l'obbligo  contributivo  e  le  attivita'  regolatorie
sarebbe  anche  attestato  dalla  giurisprudenza  amministrativa  (e'
citata la sentenza del Consiglio di Stato, terza sezione, 17 febbraio
2015, n. 810), confermata, con riguardo alla  specifica  fattispecie,
dalla gia' citata ordinanza cautelare del Consiglio di Stato  n.  312
del  2016.  Cosi'  interpretata,   la   disposizione   in   questione
delimiterebbe    in     modo     adeguato     la     discrezionalita'
dell'amministrazione nel definire il perimetro  della  contribuzione,
la quale sarebbe circoscritta ai soli soggetti passivi dell'attivita'
regolatoria,   negli   stretti    limiti    di    corrispondenza    e
proporzionalita' tra prelievo  e  costi  della  regolazione.  A  tale
perimetro sarebbero estranee le societa'  del  gruppo  DHL,  che  non
svolgono servizi di pubblica utilita', bensi' attivita'  aperte  alla
libera concorrenza, non interessate da processi di liberalizzazione. 
    4.3.- Qualora non fosse seguita l'interpretazione prospettata, la
questione di legittimita' costituzionale sarebbe fondata sotto  tutti
i parametri evocati. 
    4.3.1.- A  proposito  dell'art.  23  Cost.,  si  osserva  che  il
carattere relativo della  riserva  consente  bensi'  integrazioni  da
parte di atti amministrativi, anche con  riguardo  a  presupposti  ed
elementi della  prestazione  imposta;  ma  al  contempo  richiede  al
legislatore di individuare con sufficiente analiticita' gli  elementi
essenziali della  stessa  prestazione  (presupposto  d'imposta,  base
imponibile, soggetti obbligati, indici di capacita' contributiva). 
    Nel caso, ad avviso delle societa' esponenti, sussiste un difetto
di tassativita' con  riguardo  all'individuazione  sia  dei  soggetti
obbligati, sia della quota di prelievo. 
    Quanto al primo profilo, l'assenza di criteri delimitativi  della
discrezionalita' dell'ART e' dimostrata dal fatto  che  quest'ultima,
nei primi tre anni di applicazione del contributo, ha individuato  in
termini sempre diversi, eterogenei  e  non  corretti  il  novero  dei
soggetti obbligati: per il 2014 (delibera n. 10 del 2014),  ha  fatto
riferimento  ai  codici  ATECO,  che  costituiscono  pero'  una  mera
classificazione statistica,  attribuita  dalle  Camere  di  commercio
sulla  base  dell'attivita'  dichiarata  dall'impresa;  per  il  2015
(delibera n. 78 del 2014),  ha  ribadito  il  riferimento  ai  codici
ATECO,   ma   ha   consentito   che    la    presunzione    derivante
dall'attribuzione di un certo codice potesse essere superata mediante
la  verifica  dell'attivita'  effettivamente  svolta,   senza   pero'
chiarire, ad avviso delle esponenti, il rapporto tra i  due  criteri,
ne' gli indici per distinguere le  attivita'  ricadenti  o  meno  nel
settori di competenza dell'ART; per  il  2016  (delibera  n.  94  del
2015), sul presupposto di avere competenza per «tutti i comparti ed i
segmenti dell'intero settore dei trasporti», l'autorita' ha  adottato
un nuovo sistema, basato su «ordinamenti settoriali», che include tra
i soggetti obbligati  anche  le  imprese  operanti  nel  settore  dei
«servizi  logistici  e  accessori  ai  settori  dei  trasporti».  Nel
giudizio a quo, infine, la stessa autorita' ha fatto riferimento alla
nozione di «utente  dell'infrastruttura  regolata»  per  giustificare
l'applicazione del  contributo  alle  imprese  utenti  di  aeroporti,
autostrade e ferrovie: con la conseguenza, ritenuta  dalle  esponenti
paradossale, che qualsiasi  operatore  economico  dovrebbe  ritenersi
obbligato,  alla  sola  condizione  di  superare  la  soglia   minima
determinata dalle stesse delibere. 
    Quanto alla quota di prelievo, l'assenza di un tetto massimo agli
oneri e  ai  costi  imputabili  all'istituzione  e  al  funzionamento
dell'autorita' ha comportato la conseguenza (accertata in fatto nella
citata ordinanza del Consiglio di Stato n. 312 del 2016) che, pur non
avendo  percepito  alcun  pagamento  dalle  imprese  operanti   nella
logistica, l'ART ha esposto, nel bilancio consuntivo per l'anno 2014,
somme consistenti a  titolo  di  patrimonio  netto  e  di  avanzo  di
amministrazione, mentre ulteriori avanzi sono prefigurati nei bilanci
di previsione per gli anni 2015 e 2016. 
    4.3.2.- Con riguardo all'art. 3 Cost., le societa' del gruppo DHL
rimarcano  l'indebita  assimilazione  di  ambiti  del   settore   dei
trasporti estremamente diversificati, anche  quanto  all'esigenza  di
interventi regolativi di competenza  dell'ART.  Sottolineano  poi  in
particolare  l'intrinseca   irragionevolezza   della   indiscriminata
sottoposizione a contribuzione di una platea di soggetti  individuati
senza alcun legame con  le  attivita'  di  regolamentazione  ex  ante
dell'autorita',  in  assenza  di  basi  logiche  e  razionali   nella
disciplina  istitutiva  dell'ART  o  in  altre   fonti   legislative.
L'irragionevolezza sarebbe ancor piu' evidente quando, come nel  caso
delle esponenti, sussiste in concreto il rischio di una  duplicazione
dei contributi: poiche' queste societa'  acquistano,  per  conto  dei
propri clienti, servizi di trasporto da  terzi,  in  assenza  di  uno
scomputo dal fatturato dei costi per l'acquisto di questi servizi dai
terzi, i contributi  risultano  duplicati,  essendo  corrisposti  una
prima volta dalle esponenti sul proprio fatturato e una seconda volta
dalle aziende terze, loro fornitrici, sui  rispettivi  fatturati.  Di
questa circostanza  si  sarebbe,  invece,  fatta  carico  l'Autorita'
garante della concorrenza e del mercato,  riconoscendo,  rispetto  al
contributo che le e' dovuto,  il  suddetto  scomputo  alla  categoria
degli spedizionieri. 
    La stessa ART, per gli anni  2015  e  2016,  tenuto  conto  delle
differenti esigenze regolatorie, ha  stabilito  per  le  imprese  del
settore della logistica  un'aliquota  (0,2  per  mille)  inferiore  a
quella (0,4 per  mille)  stabilita  per  le  altre.  Resta  pero'  il
problema che le  lacune  della  legge  lasciano  spazio  all'arbitrio
applicativo: come sarebbe  comprovato  dal  fatto  che  la  descritta
riduzione non e' stata riconosciuta per l'anno 2014. 
    4.3.3.- Sarebbero altresi' fondate le censure riferite agli artt.
41  e  97  Cost.:  la  prima,  per   l'arbitrario   e   irragionevole
assoggettamento di societa' come quelle del gruppo DHL al contributo,
con  significativa  alterazione  dell'equilibrio   concorrenziale   e
conseguente violazione della liberta'  di  iniziativa  economica,  in
assenza  di  ragioni  di  utilita'  sociali  dichiarate  o   comunque
evincibili dal contesto normativo; la seconda, perche', da  un  lato,
il difetto di  tassativita'  della  norma  metterebbe  a  repentaglio
l'imparzialita'   dell'ART   e,    dall'altro,    mancano    garanzie
partecipative tali da temperare l'ampiezza dei  poteri  della  stessa
autorita', sprovvista di legittimazione e responsabilita' politica. 
    5.- Si e' costituito in giudizio, con atto depositato il 15 marzo
2016, il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello  Stato,  chiedendo  il  rigetto
della questione. 
    5.1.-  Dopo  avere  ripercorso  il  contenuto  dell'ordinanza  di
rimessione e della disposizione impugnata, nonche' della sentenza  n.
256 del 2007, la difesa statale sottolinea la configurazione data dai
commi 1 e 2 del censurato art. 37 al mandato istituzionale  dell'ART:
una configurazione ampia sia in senso orizzontale, vale a dire estesa
a tutti i comparti e i segmenti del settore dei trasporti, anche  per
tenere conto della concorrenza intermodale; sia in  senso  verticale,
cioe' atta a ricomprendere tanto le barriere  all'accesso,  quanto  i
servizi, in ragione dell'integrazione verticale dei trasporti (intesa
come modalita' di fruizione da  parte  dell'utente  finale),  nonche'
della limitata contendibilita' dei servizi finali e dell'esigenza  di
garantirne la qualita'. 
    5.2.- Cio' premesso, il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri
eccepisce anzitutto il difetto di motivazione sulla  rilevanza  della
questione nei giudizi rimessi alla  cognizione  del  TAR  rimettente:
quest'ultimo, limitandosi a elencare i tipi di attivita' svolti dalle
societa'  ricorrenti,  non  avrebbe  spiegato  come  tale  dato,  con
specifico riferimento a ciascuna di esse,  incida  sulla  valutazione
della rilevanza. 
    5.3.- Nel merito, tutte le censure sarebbero infondate. 
    5.3.1.-  L'art.  23  Cost.,  il  quale   esige   la   regolazione
legislativa dei soli profili fondamentali della  disciplina,  sarebbe
soddisfatto dalla previsione sia dei soggetti passivi, sia della base
imponibile,   sia   dell'aliquota   massima.   Solo   «la    concreta
determinazione dell'aliquota annuale» sarebbe  demandata  a  un  atto
amministrativo generale. In presenza di un  tale  assetto  normativo,
coerente con la ratio del contributo, il TAR avrebbe dovuto risolvere
autonomamente la questione, se  le  singole  societa'  ricorrenti  si
trovassero  o  meno  nella  condizione  di  essere  assoggettate   al
contributo. Si tratterebbe di una comune questione di interpretazione
legislativa, risolvibile alla luce dei normali canoni  ermeneutici  e
rientrante nella giurisdizione generale di legittimita'  del  giudice
amministrativo 
    5.3.2.- Non sussisterebbe alcuna «disparita' di  trattamento  tra
varie categorie, come conseguenza della soglia di non  applicabilita'
del contributo». Non sarebbe irragionevole esonerare  dal  contributo
chi, per la modestia  del  fatturato,  sarebbe  altrimenti  tenuto  a
versamenti esigui. 
    5.3.3.- Nemmeno sarebbe violato l'art.  41  Cost.  E'  nuovamente
richiamata, in proposito, la sentenza n. 256 del  2007,  laddove,  in
riferimento al meccanismo  di  autofinanziamento  allora  scrutinato,
afferma che esso comporta una contribuzione obbligatoria sul  mercato
di  competenza,  determinata  annualmente  dall'autorita',  sotto  il
controllo dell'esecutivo e nell'osservanza di precisi limiti  legali;
e conclude che, per la sua destinazione, il contributo  in  esame  e'
riconducibile alla categoria delle entrate tributarie statali. 
    6.- Si sono costituite in giudizio, con  atto  depositato  il  15
marzo 2016,  United  Parcel  Service  Italia  srl  e  altre  societa'
commerciali. 
    Ricostruito il  contenuto  del  censurato  art.  37,  nonche'  lo
svolgimento del giudizio a quo, di cui le  societa'  sono  parti,  in
qualita' di operatori del settore della  logistica  (in  particolare,
dei servizi di corriere espresso,  spedizione  e  magazzinaggio),  le
esponenti propongono anch'esse un'interpretazione  costituzionalmente
orientata dell'articolo  citato  e  del  suo  comma  6,  lettera  b):
destinatarie dell'obbligo di contribuzione potrebbero essere solo  le
attivita' ricadenti in ambiti in cui  la  legge  attribuisce  all'ART
competenze regolatorie, e  dunque  servizi  di  pubblica  utilita'  -
segnatamente   di   trasporto   ferroviario,   aereo,   marittimo   e
autostradale - alla cui liberalizzazione l'autorita'  stessa  sarebbe
funzionale. 
    Se condivisa, tale interpretazione consentirebbe di delimitare il
novero dei soggetti tenuti alla contribuzione, nonche'  di  contenere
quest'ultima attraverso una relazione tra  contributo,  ricavi  delle
attivita' regolate e  costi  della  regolazione,  secondo  canoni  di
proporzionalita'. Qualora invece si ritenesse l'obbligo in  questione
esteso a tutte le imprese operanti nel settore dei trasporti e  delle
attivita' connesse, indipendentemente dal rapporto  con  le  funzioni
dell'ART, sarebbero fondate le censure di legittimita' costituzionale
enunciate nell'ordinanza di rimessione. 
    7.- Si sono costituite in giudizio, con  atto  depositato  il  15
marzo  2016,  Venezia  Terminal  Passeggeri  spa  e  altre   societa'
commerciali,   nonche'   Assiterminal   -    Associazione    italiana
terminalisti portuali. 
    7.1.- Le societa' espongono  di  essere  imprese  «terminaliste»:
gestiscono  terminali  portuali,  specializzandosi  nell'offerta  dei
servizi di movimentazione (scarico, carico, stoccaggio) delle  merci,
nel  rispetto  delle   prescrizioni   dell'autorita'   concedente   e
dell'autorita' portuale, a norma dell'art. 16 della legge 28  gennaio
1994, n. 84 (Riordino della legislazione in materia portuale). 
    In  questo  settore  sussisterebbe  piena  e  reale  concorrenza,
soggetta al controllo dell'Autorita' garante della concorrenza e  del
mercato. Il rischio  di  disfunzioni  del  mercato,  con  conseguente
necessita' di garanzie per l'accesso ai servizi, sarebbe  inesistente
(e infatti non sono riscontrabili in concreto  interventi  regolatori
in tal senso), per il numero di strutture  terminaliste  equivalenti,
l'ampia possibilita' di scelta dei vettori e la costante  carenza  di
traffici portuali. Le stesse operazioni non sono  soggette  a  regimi
tariffari: le tariffe sono libere; su di esse l'autorita' portuale ha
solo  funzioni  di  vigilanza.  I  rapporti  concessori,  di  cui   i
terminalisti  sono  parte,  sono  altresi'  esclusi  da   regolazione
indipendente sotto i profili gestori e esecutivi; per quanto riguarda
la sicurezza e gli standard tecnici, sono le  amministrazioni  e  gli
enti  competenti  a  definire  regole  e  controlli;  le  scelte   di
definizione degli ambiti di servizi pubblico, di tutela sociale e  di
promozione degli investimenti, poi, rientrano  nella  responsabilita'
dei diversi livelli di governo e  sono,  dunque,  anch'essi  estranei
alle competenze dell'ART. 
    La complessiva estraneita' del settore alle competenze di  questa
autorita'  e'  dimostrata  anche  dalla  mancanza  di  una   corretta
rilevazione delle imprese terminaliste: i codici ATECO, il cui uso e'
stato  contestato  nel  giudizio  a  quo,  hanno  valenza   meramente
statistica e non provano la reale attivita'  delle  singole  imprese,
tanto  che  spesso  differiscono  tra  loro,  anche  per  le  diverse
sfumature delle attivita' nei vari porti; a causa di cio', una  delle
societa' ricorrenti si sarebbe vista applicare un'aliquota  (0,4  per
mille) diversa da  quella  applicata  alle  altre  (0,2  per  mille).
Apodittici e non veritieri sarebbero i  riferimenti,  nelle  premesse
della delibera dell'ART n. 78 del 2014, ad adempimenti istruttori  in
merito alla rilevazione delle attivita' delle imprese interessate,  i
quali comunque non sarebbero stati  preceduti  dagli  avvisi  di  cui
all'art. 7 della legge n. 241 del 1990. 
    I  principi  di  ragionevolezza  e  uguaglianza  richiederebbero,
invece, la graduazione (o addirittura l'esclusione) del contributo in
relazione alla natura delle attivita' e alla varia  incidenza  su  di
esse dei poteri regolatori dell'ART,  a  maggior  ragione  in  quanto
sussiste il rischio di un indebolimento finanziario dei  terminalisti
a causa della misura dei contributi loro imposti, elevata e  comunque
ingiustificata  in  assenza   di   effettive   funzioni   regolatorie
dell'autorita'. 
    7.2.- Cio' premesso, le societa'  affermano  la  rilevanza  della
questione di legittimita' costituzionale, per  la  genericita'  della
formula legale, tale  da  consentire  l'applicazione  del  contributo
anche a imprese che, come  le  esponenti,  non  rientrerebbero  nella
categoria dei «gestori delle infrastrutture e dei  servizi  regolati»
dall'ART: il vizio riguarderebbe proprio l'individuazione dell'ambito
soggettivo   dell'obbligo   contributivo,   nonche'   del    rapporto
sussistente tra esso e  la  qualita'  di  beneficiari  dell'attivita'
regolatoria. 
    7.3.- La questione sarebbe fondata in relazione a tutti i profili
di censura  che  il  TAR  rimettente  ha  enucleato  e  le  esponenti
ripercorrono. 
    7.3.1.- Con riguardo all'art. 23  Cost.  e,  in  particolare,  al
difetto di delimitazione dell'ambito soggettivo  del  contributo,  le
esponenti ritengono troppo generico il  rinvio  a  nozioni  quali  il
mercato  del  trasporto  o  la  gestione  delle  infrastrutture:   la
disponibilita' di una qualsiasi infrastruttura a condizioni eque o la
liberta' di accedere al mercato in questione sono talmente estese, da
abbracciare potenzialmente  chiunque,  da  produttore  o  utente  del
servizio,  si  ponga  in  relazione   con   quel   mercato.   Qualora
occorressero interventi per garantire il c.d. servizio universale,  o
livelli minimi di quantita'  e  qualita'  dei  servizi  di  interesse
generale, l'autorita'  potrebbe  compiere  gli  opportuni  interventi
regolatori,  e  cio'  influirebbe  sull'individuazione  dei  soggetti
regolati. Ma invece sono stati  assoggettati  a  contribuzione  anche
imprenditori attivi in  settori  aperti  alla  concorrenza,  che  non
necessitano di regolazioni pro-concorrenziali e neppure sono soggetti
a potesta' tariffarie. 
    Con  riguardo  alla  delimitazione  oggettiva  della  misura  del
contributo, le esponenti sottolineano un ulteriore  profilo  critico,
in  relazione  al  «criterio  di  proporzionalita'  e  progressivita'
previsto dall'art. 23 della Costituzione»: l'ART (per l'anno 2014) ha
applicato l'aliquota contributiva (0,4 per mille; 0,2 per  mille  per
le imprese dell'autotrasporto  e  della  logistica,  con  una  soglia
minima di contributo pari a 6.000 euro)  al  fatturato,  identificato
come somma delle voci A1 (Ricavi delle vendite e delle prestazioni) e
A5 (Altri  ricavi  e  proventi)  del  conto  economico.  Tuttavia  il
fatturato sarebbe capace di denotare la capacita'  contributiva  meno
di altri dati (ad esempio, l'utile), per la variegata  incidenza  dei
costi sulle diverse tipologie di imprese. Inoltre, questo riferimento
non considera che  una  singola  impresa  puo'  ricavare  il  proprio
fatturato  da  attivita'  molteplici,  non  tutte  riconducibili   ai
trasporti e alla gestione di infrastrutture; e,  benche'  l'ART  (con
apposito provvedimento) consenta lo scomputo dei proventi eterogenei,
cio'  comporta  oneri  di  allegazione  e   documentazione   abnormi,
sproporzionati e avulsi  da  qualsiasi  canone  di  ragionevolezza  e
semplificazione,  con  riguardo  sia  ai  principi  sul  procedimento
amministrativo, sia a quelli tributari (di cui alla legge  27  luglio
2000, n. 212, recante «Disposizioni in materia di statuto dei diritti
del contribuente»). 
    7.3.2.- Pure in relazione all'art. 3 Cost. le societa'  esponenti
aderiscono alle considerazioni del TAR rimettente, sottolineando  una
volta di piu', da questo  punto  di  vista,  che  arbitrariamente  la
disposizione censurata non tiene conto  del  fatto  che  i  terminali
portuali sono oggetto  di  concessione,  che  la  loro  attivita'  e'
regolata  dagli  accordi,  contratti  e  concessioni  aggiudicati  al
gestore  e  che  l'intervento  dell'ART  non  potrebbe  incidere  sul
contenuto di tali atti. 
    7.3.3.-  Dopo  avere  aderito  anche  alle   censure   sviluppate
nell'ordinanza di rimessione in riferimento  all'art.  41  Cost.,  le
societa' terminaliste ritengono che  la  disposizione  censurata  sia
altresi' contraria «ai rilevanti principi  comunitari»  e,  pertanto,
costituzionalmente illegittima ai sensi dell'art. 117  Cost.  A  tale
riguardo, «in  ogni  caso  ed  in  subordine»,  chiedono  alla  Corte
costituzionale, «in qualita' di giurisdizione di ultima istanza»,  di
sottoporre alla Corte di  Giustizia  dell'Unione  europea,  ai  sensi
dell'art. 267 TFUE, il seguente quesito: «se il diritto dell'UE  osti
ad una disciplina nazionale che, come [l']art. 37, comma 6, del  d.l.
n. 201 del 2011[,] rimette all'Autorita' di regolazione  in  completa
autonomia   e   senza    l'indicazione    di    criteri    vincolanti
l'individuazione dell'ambito soggettivo e oggettivo delle  competenze
della  regolazione  e  il  conseguente  obbligo  delle   imprese   di
contribuire al finanziamento». 
    Sarebbe altresi' fondata la censura riferita all'art.  97  Cost.,
per gli argomenti esposti nell'ordinanza di rimessione. 
    8.-  In  data  il  24  maggio  2016,  hanno  depositato  atto  di
intervento Ignazio Messina & C. spa e Costa Crociere spa. 
    8.1.- Espongono  di  essere  imprese  di  navigazione  marittima,
esercenti, rispettivamente, attivita' di trasporto  di  merci,  e  di
trasporto di passeggeri mediante navi da  crociera.  La  disposizione
censurata  inciderebbe  direttamente  sulle   attivita'   delle   due
societa',  le  quali  avrebbero  pertanto  un   interesse   immediato
all'esito del giudizio  di  legittimita'  costituzionale.  Le  stesse
societa' aggiungono di avere impugnato, con ricorso notificato il  31
marzo 2016, la delibera dell'ART n. 94 del  2015,  facendo  propri  i
rilievi  formulati  dal  TAR  nell'ordinanza  di  rimessione  che  ha
introdotto il presente giudizio. Con ordinanze del 5 maggio 2016,  il
TAR adito sospendeva i giudizi  introdotti  dalle  intervenienti,  in
attesa della pronuncia della  Corte  costituzionale  sulla  questione
gia' sollevata, ritenuta preliminare alla decisione di merito.  Dalla
data di  queste  ordinanze,  attraverso  le  quali  le  due  societa'
avrebbero avuto cognizione della loro legittimazione a partecipare al
presente giudizio, decorrerebbe, a loro  avviso,  il  termine  di  20
giorni previsto dall'art. 4 delle vigenti  norme  integrative  per  i
giudizi davanti alla Corte costituzionale. 
    8.2.- Nel  merito,  le  societa'  chiedono  l'accoglimento  delle
censure  di  legittimita'  costituzionale  di  cui  all'ordinanza  di
rimessione. 
    9.- Con memoria depositata il  31  gennaio  2017,  la  difesa  di
Confetra e altri ha  replicato  agli  argomenti  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri, insistendo per l'accoglimento della questione
di legittimita' costituzionale. 
    9.1.- A proposito dell'eccepita inammissibilita' per  difetto  di
motivazione sulla rilevanza in relazione alla posizione  dei  singoli
ricorrenti, la difesa riconosce che di questi ultimi il giudice a quo
avrebbe potuto  effettuare  «un  primo  screening»,  distinguendo  in
particolare coloro che non svolgono attivita' di gestione,  non  sono
titolari di alcuna infrastruttura, ne' esercitano servizi oggetto  di
regolazione pubblica.  Tuttavia,  considerata  anche  l'eterogeneita'
delle situazioni presenti dinanzi al  TAR,  ad  avviso  della  difesa
restava  comunque  fermo  il  nodo  di  fondo  della  difficolta'  di
individuare i soggetti tenuti alla contribuzione, il che basterebbe a
rendere la questione rilevante. 
    9.2.- Nel merito, in relazione all'art. 23 Cost., diversamente da
quanto sostenuto dalla difesa statale,  la  norma  in  questione  non
individuerebbe  con  precisione  i  soggetti  obbligati.   In   senso
contrario non varrebbe il riferimento alla sentenza n. 256 del  2007,
la  quale  e'  stata  pronunciata  in  un  giudizio  di  legittimita'
costituzionale in via principale, in cui  l'art.  23  Cost.  non  era
stato affatto evocato come parametro; e,  comunque,  si  riferiva  ad
altra  norma  di  legge,   che   ricollega   puntualmente   l'obbligo
contributivo alla particolare situazione  in  cui  gli  obbligati  si
vengono a trovare per effetto  dell'attivita'  dell'ente.  Invece,  i
difetti  di  determinatezza  della  normativa  oggi  in   esame   non
potrebbero essere colmati dall'interpretazione suggerita dalla difesa
statale, nemmeno con riguardo alla  base  imponibile  e  all'aliquota
massima. 
    La   violazione   dell'art.   3   Cost.   sarebbe    platealmente
esemplificata dal trattamento riservato ai  tassisti:  i  quali,  pur
gestendo un servizio pubblico, sono stati interamente  esentati,  per
l'ammontare non elevato del loro fatturato; senza considerare, pero',
che  l'ampiezza  di  questa  categoria  determina,  come  conseguenza
dell'esenzione, effetti notevoli nei confronti delle altre  categorie
di obbligati, e che l'importanza del servizio in esame, insieme  alla
diversita'  dei  contesti  urbani,  richiede   all'ART   un   impegno
consistente di organizzazione, mezzi e personale. 
    Fondata  sarebbe  altresi'  la  censura  sollevata  in  relazione
all'art. 41 Cost., per l'imprevedibilita' di una imposizione priva di
una struttura  coerente,  proporzionale  e  ragionevole,  mentre  nei
confronti della  censura  in  relazione  all'art.  97  Cost.  nemmeno
sarebbero state formulate repliche. 
    10.- Con memoria depositata il 1° febbraio 2017, anche la  difesa
delle societa'  del  gruppo  DHL  ha  replicato  agli  argomenti  del
Presidente del Consiglio dei ministri. 
    10.1.- In  risposta  alle  eccezioni  di  inammissibilita'  della
difesa statale, si osserva come l'ordinanza di  rimessione  argomenti
diffusamente  sia  sulla  non  manifesta  infondatezza,   sia   sulla
rilevanza. A tale ultimo proposito, sarebbe  ininfluente  la  mancata
motivazione della rilevanza in relazione  a  ciascun  ricorrente  nei
giudizi a quibus e alle rispettive attivita'. Il presupposto  da  cui
muove il rimettente e' proprio l'ampia e indeterminata accezione  del
concetto di «settore dei trasporti», tale  da  abbracciare  tutte  le
attivita' dei ricorrenti. 
    10.2.- Un'interpretazione della normativa  in  esame  conforme  a
Costituzione sarebbe possibile, ma il fatto che il giudice a quo  non
l'abbia abbracciata non inficerebbe l'ammissibilita' della questione.
Infatti, rileva la difesa privata, il rimettente  avrebbe  analizzato
ed espressamente rigettato tale  ipotesi  interpretativa,  osservando
che le competenze dell'ART non sono limitate ai servizi  di  pubblica
utilita', di cui alla legge n. 481  del  1995,  e  che  non  sussiste
alcuna relazione  sinallagmatica  tra  il  contributo  imposto  e  il
concreto esercizio  dei  poteri  regolatori.  Non  importa  che  tali
considerazioni  non  siano  state  espressamente   qualificate   come
tentativo (non riuscito) di interpretazione conforme a  Costituzione.
Neppure  il  rimettente  avrebbe   sollevato   una   mera   questione
ermeneutica, in quanto ha preso posizione senza  incertezze  per  una
lettura  estensiva  della  norma  in  questione   e   proprio   sulla
conseguente elasticita' di  quest'ultima  ha  fondato  i  rilievi  di
illegittimita' costituzionale. Se tale lettura  sia  condivisibile  o
meno, attiene al merito della questione, che la Corte  costituzionale
ben puo'  risolvere  mediante  un'interpretazione  restrittiva  della
stessa normativa, che ne affermi  l'applicabilita'  solo  ai  gestori
delle   infrastrutture   di   trasporto    (ferroviarie,    portuali,
aeroportuali e autostradali) oggetto di progressiva liberalizzazione,
nonche' ai gestori di servizio oggetto di regolamentazione diretta da
parte  dell'ART,  «negli   stretti   limiti   di   corrispondenza   e
proporzionalita'  tra  prelievo  e  costi  della  regolazione».  Cio'
sarebbe  anche  in  linea  con  una  recentissima  giurisprudenza  di
legittimita', che ha ravvisato nel contributo a favore dell'Autorita'
per le garanzie nelle comunicazioni non un  tributo  comune,  ma  una
vera e propria tassa di scopo. 
    10.3.- Ad avviso della difesa  delle  societa'  del  gruppo  DHL,
qualora si seguisse l'interpretazione data  dal  TAR  rimettente,  la
questione  di  legittimita'   costituzionale   sarebbe   fondata   in
riferimento a tutti i parametri evocati. 
    In relazione all'art. 23 Cost., si  dovrebbe  concludere  che  la
norma  e'  indeterminata  sotto  il  profilo  sia   soggettivo,   sia
oggettivo. Oltre a ripercorrere argomenti  gia'  esposti,  la  difesa
provata osserva che  il  riferimento  al  concetto  di  fatturato  ha
consentito di includere anche i  risultati  di  attivita'  del  tutto
estranee alla gestione di infrastrutture e servizi regolati;  e  che,
benche' la stessa ART abbia consentito lo stralcio dal  fatturato  di
attivita' non rientranti nella sua competenza, cio' avrebbe  «rimesso
la  determinazione  degli   importi   dovuti   ad   una   valutazione
estemporanea, in fase esecutiva,  dei  singoli  operatori  tenuti  al
versamento».   Nell'insieme,   l'incertezza   determinatasi   sarebbe
incompatibile anche con le esigenze di certezza in ambito  tributario
affermate dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea (e' citata  la
sentenza 29 aprile 2004, in causa C-17/01,  Sudholz).  A  riprova  di
tale incertezza, sono passate in  rassegna  le  norme  relative  agli
obblighi di contribuzione a favore di  altre  autorita'  indipendenti
(legge n. 481 del 1995, art.  38,  comma  2,  lettera  b);  legge  23
dicembre 1994, n. 724, recante  «Misure  di  razionalizzazione  della
finanza pubblica», art. 40, comma 3; decreto legislativo 7  settembre
2005, n. 209, recante «Codice  delle  assicurazioni  private»,  artt.
335, comma 1, e 336, comma 1; legge 23 dicembre 2005, n. 266, recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato - legge finanziaria 2006», art. 1, commi 67 e  68-bis)  e
alcuni dei provvedimenti  attuativi  delle  medesime  autorita',  per
sottolineare  la  ritenuta  maggiore  puntualita'  di  tali  norme  a
paragone di quella sospettata di illegittimita' costituzionale. 
    In relazione all'art. 3 Cost., si osserva  che  l'interpretazione
del  giudice  a  quo,  in  contrasto   con   l'anzidetto   parametro,
attrarrebbe  nel  perimetro  dell'obbligo  contributivo  soggetti  in
posizioni differenziate, quali i gestori delle infrastrutture  e  dei
servizi regolati, gli altri operatori rientranti nel generico mercato
dei trasporti e persino i meri utenti delle infrastrutture  regolate;
con il risultato di imporre la contribuzione anche  a  chi  opera  in
ambiti di libero mercato, non  soggetti,  nemmeno  indirettamente,  a
competenze dell'ART. 
    In relazione all'art. 41 Cost., si osserva, in particolare,  che,
se viene meno il nesso tra esercizio concreto di funzioni regolatorie
e obbligo contributivo dei regolati, «per  definizione  non  si  crea
spesa pubblica finanziabile con il prelievo»,  sicche'  l'ampliamento
dell'obbligo manca del suo presupposto,  non  corrisponde  ad  alcuna
differenziata  attitudine  degli  interessati  alla  contribuzione  e
risulta, in ultima analisi, ingiustificato alla  luce  del  parametro
costituzionale  in  esame,  nonche'   incongruo   e   sproporzionato,
«risultando in tal modo chiara la  correlazione  esistente  tra  tale
parametro e l'art. 3 Cost» (sentenza n. 94 del 2013). 
    11.- Con memoria depositata il 1° febbraio 2017, anche la  difesa
di  United  Parcel  Service  Italia  srl  e  di  altre  due  societa'
commerciali hanno ribadito le proprie deduzioni e conclusioni. 
    La   difesa   insiste,   anzitutto,   sulla    possibilita'    di
un'interpretazione  costituzionalmente  orientata,  fondata  su   una
lettura sistematica dell'intero art. 37 del d.l.  n.  201  del  2011,
come convertito  dalla  legge  n.  214  del  2011,  che  colleghi  il
perimetro della contribuzione  a  quello  delle  specifiche  funzioni
attribuite all'ART, segnatamente con riguardo ai servizi di  pubblica
utilita' e non alle attivita', come quelle di logistica e spedizione,
da sempre offerte in regime di libero mercato e senza connotazioni di
pubblico servizio o utilita'.  Richiamata  altresi'  l'ordinanza  del
Consiglio di Stato n. 312 del 2016, la difesa conclude, pertanto, che
il comma 6, lettera b), del citato art. 37, soggettivamente,  sarebbe
applicabile solo ai gestori di infrastrutture e servizi  di  pubblica
utilita'  nel  settore  dei  trasporti,  sottoposti  alle  competenze
regolatorie dell'ART; oggettivamente, stabilirebbe una relazione  tra
misura del contributo, ricavi tratti dalle attivita' regolate e costi
della  regolazione,  secondo  il   principio   di   proporzionalita'.
Diversamente, la questione di  legittimita'  costituzionale  dovrebbe
ritenersi  fondata,  sotto  tutti  i  parametri   evocati   dal   TAR
rimettente. 
    12.- Con memoria parimenti depositata il 1° febbraio 2017,  anche
la difesa di Ignazio Messina & C. spa e  di  Costa  Crociere  spa  ha
ribadito le proprie deduzioni e conclusioni, anzitutto in merito alla
ritenuta tempestivita' del proprio intervento e alla sussistenza  dei
presupposti per il medesimo. 
    13.- In prossimita' dell'udienza il Presidente del Consiglio  dei
ministri ha depositato, in data 1° febbraio 2017, una memoria con cui
precisa e conferma le proprie deduzioni e conclusioni. 
    13.1.- Anzitutto, le questioni sarebbero  inammissibili,  poiche'
il TAR avrebbe definito in modo del tutto generico le situazioni  dei
singoli ricorrenti, si' da non consentire la verifica della rilevanza
della questione e, comunque, da rendere oscura la discriminazione  di
cui  ciascuna  delle  parti  sarebbe  stata  vittima,  in  violazione
dell'art. 3 Cost. 
    La questione sarebbe poi indeterminata e generica:  qualora  essa
fosse orientata a una pronuncia  integralmente  caducatoria,  il  suo
accoglimento  avvantaggerebbe  anche  coloro  per  il  quali  il  TAR
rimettente non dubita della legittimita' della contribuzione; qualora
mirasse a interventi manipolativi o additivi,  la  questione  sarebbe
nondimeno inammissibile,  in  quanto  gli  interventi  auspicati  non
sarebbero a contenuto vincolato e consisterebbero in scelte riservate
alla discrezionalita' del legislatore. 
    13.2.- In relazione  all'art.  23  Cost.,  sarebbe  infondato  il
presupposto dei rilievi sulla c.d. soglia  di  prelievo:  l'autonomia
organizzativa e gestionale dell'ART non sarebbe affatto senza limiti;
l'art. 37, comma 6, lettera b-bis), del d.l. n. 201  del  2011,  come
convertito dalla legge n. 214  del  2011,  pone  limiti  alla  pianta
organica dell'ART e alla sua copertura; l'art. 22  del  decreto-legge
24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per  la  semplificazione  e  la
trasparenza  amministrativa   e   per   l'efficienza   degli   uffici
giudiziari), convertito, con modificazioni,  dalla  legge  11  agosto
2014, n. 114, reca ulteriori disposizioni per la razionalizzazione  e
il contenimento della spesa delle autorita' indipendenti; il bilancio
preventivo e il rendiconto dell'ART sono soggetti al controllo  della
Corte dei conti (legge n. 481 del 1995, art. 2, comma 27) e, inoltre,
l'autorita' si e' dotata di un collegio di revisori presieduto da  un
magistrato della stessa Corte  dei  conti  (art.  25,  comma  3,  del
Regolamento  concernente   l'organizzazione   ed   il   funzionamento
dell'Autorita', approvato con delibera del Consiglio 23 maggio  2016,
n. 61, e modificato con delibera del Consiglio 8  novembre  2016,  n.
131). La situazione non sarebbe diversa da quella delineata per altre
autorita' indipendenti dalle pertinenti  disposizioni  di  legge  (e'
citato l'art. 1, commi 66 e 68-bis, della legge n. 266 del 2005). 
    Infondati sarebbero altresi' i  rilievi  circa  la  platea  degli
obbligati, che sarebbe ampia ma non indeterminata. Anche su questo la
normativa in questione sarebbe analoga a quella utilizzata  in  altri
settori,    come    quello    dell'energia    elettrica    e    delle
telecomunicazioni. Per i  trasporti,  si  sarebbe  fatto  riferimento
all'intera  filiera,  «compreso  quel  reticolo  logistico,  in   cui
rientrano le  attivita'  svolte  da  molti  ricorrenti  nel  giudizio
principale, la cui piena integrazione  nell'ambito  del  sistema  dei
trasporti e delle infrastrutture (si  pensi  alla  rete  ferroviaria,
agli aeroporti, agli interporti e ai  porti)  e'  ormai  riconosciuta
espressamente da normative  europee  e  nazionali»  (sono  citati  il
regolamento UE n. 1315/2013 del Parlamento europeo  e  del  Consiglio
dell'11 dicembre 2013 sugli orientamenti dell'Unione per lo  sviluppo
della rete transeuropea dei trasporti e che abroga  la  decisione  n.
661/2010/UE; nonche' il decreto legislativo 15 luglio 2015,  n.  112,
recante «Attuazione della direttiva 2012/34/UE del Parlamento europeo
e del Consiglio, del 21 novembre  2012,  che  istituisce  uno  spazio
ferroviario europeo unico»). 
    Sarebbe dunque infondata la questione  sollevata  in  riferimento
all'art. 23 Cost., per ragioni analoghe a quelle  sottolineate  dalla
Corte costituzionale nella sentenza n. 350 del 2007: la legge  indica
i  soggetti  passivi,  la  base  imponibile  e  l'aliquota   massima,
affidando a fonti  inferiori  solo  la  determinazione  dell'aliquota
annuale. 
    13.3.-   Inammissibili,   per   genericita'   e    mancanza    di
autosufficienza delle relative argomentazioni, o  comunque  infondate
sarebbero altresi' le questioni sollevate in riferimento  agli  artt.
41 e 97 Cost. In particolare, non e' spiegato in  cosa  consisterebbe
l'imprevedibilita'  dell'obbligo  contributivo,  il  cui   fondamento
riposa,  comunque,  nella  situazione  normativa   gia'   illustrata.
Inoltre, come riconosciuto dalla  giurisprudenza  amministrativa  (e'
citata la  decisione  del  Consiglio  di  Stato,  sesta  sezione,  27
dicembre 2006, n. 7972)  la  partecipazione  degli  interessati  «nei
procedimenti   di   rule-making   delle    Autorita'    indipendenti»
contribuisce  a  giustificare,  e  quindi  rafforza,  l'autonomia   e
l'indipendenza delle stesse autorita' e, al contempo, le obbliga alla
trasparenza del  processo  decisionale,  nonche'  a  giustificare  le
scelte effettuate su basi razionali, verificabili e sindacabili, alla
luce delle osservazioni ricevute. 
    A conferma di cio', il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri
deposita il proprio decreto 28 dicembre 2016,  che  ha  approvato  la
delibera dell'ART 24 novembre 2016, n. 139,  relativa  al  contributo
dovuto  per  l'anno  2017:  da  essa  emergerebbe  come  l'ART,   nel
contraddittorio con gli interessati, sia giunta  a  un'individuazione
esatta, oltre che conforme alla legge, dei soggetti obbligati,  delle
modalita'  di  calcolo  della   base   imponibile   e   dell'aliquota
applicabile nell'anno di riferimento. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 17 dicembre 2015 (r.o. n. 30 del 2016),  il
Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte solleva  questioni
di legittimita' costituzionale dell'art. 37, comma 6, lettera b), del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni  urgenti  per  la
crescita,  l'equita'  e  il  consolidamento  dei   conti   pubblici),
convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214,
in riferimento agli artt. 3, 23, 41 e 97 della Costituzione. 
    Il citato art. 37, comma 6, lettera b), prevede che le  attivita'
dell'Autorita' di regolazione dei trasporti  (ART)  siano  finanziate
con «un contributo versato dai gestori  delle  infrastrutture  e  dei
servizi regolati, in misura  non  superiore  all'uno  per  mille  del
fatturato derivanti dall'esercizio delle attivita'  svolte  percepiti
nell'ultimo esercizio. Il contributo e' determinato  annualmente  con
atto  dell'Autorita',  sottoposto  ad  approvazione  da   parte   del
Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto  con  il  Ministro
dell'economia e delle finanze. Nel termine  di  trenta  giorni  dalla
ricezione dell'atto, possono essere formulati rilievi cui l'Autorita'
si conforma; in assenza di rilievi  nel  termine  l'atto  si  intende
approvato». 
    Ad avviso del TAR, tale disposizione violerebbe l'art.  23  della
Costituzione, perche' imporrebbe una prestazione  patrimoniale  sulla
base di una  previsione  legislativa  insufficientemente  determinata
sotto molteplici profili: anzitutto, in riferimento al tetto  massimo
totale dei contributi  prelevabili  (c.d.  soglia  di  prelievo);  in
secondo luogo, in ordine alla base imponibile, ancorata  al  concetto
di  «fatturato»,  di  per  se'  opinabile;  infine,  per  i   criteri
utilizzati per delimitare la platea dei destinatari,  individuati  in
base al mercato dei trasporti e dei servizi accessori, oggetto  delle
competenze dell'ART. Sarebbe altresi' violato l'art. 3 Cost., perche'
soggetti eterogenei verrebbero parificati nella qualita' di obbligati
al   contributo.   Nemmeno   risulterebbero   previste    forme    di
partecipazione   procedimentale    idonee    a    circoscrivere    la
discrezionalita' amministrativa nella determinazione del  contributo.
Sarebbero,  inoltre,  violati  l'art.  41  Cost.,  perche'  sarebbero
imposti oneri imprevedibili a imprenditori del settore dei trasporti,
in pregiudizio alla loro liberta' di iniziativa economica;  e  l'art.
97 Cost., perche' la partecipazione  delle  imprese  del  settore  al
procedimento di determinazione del contributo metterebbe in  pericolo
l'indipendenza dell'ART  dai  poteri  economici  e,  quindi,  la  sua
neutralita'. 
    2.- Preliminarmente, deve  essere  confermata  l'inammissibilita'
dell'intervento di Ignazio Messina & C. spa e di Costa Crociere  spa,
per le ragioni illustrate nell'ordinanza letta  all'udienza  pubblica
del 22 febbraio 2017 e allegata alla presente sentenza. 
    3.- Non puo' essere esaminata nel merito la questione che lamenta
la violazione dell'art. 117, primo comma,  Cost.,  in  relazione  «ai
rilevanti principi comunitari», cui ha fatto riferimento la difesa di
Venezia Terminal Passeggeri spa, la quale a tal  proposito  ha  anche
richiesto un rinvio pregiudiziale di interpretazione  alla  Corte  di
Giustizia dell'Unione europea. 
    L'oggetto del giudizio di costituzionalita' in via incidentale e'
limitato  alle  norme  e  ai  parametri  fissati  nell'ordinanza   di
rimessione e non possono essere  prese  in  considerazione  ulteriori
questioni o profili dedotti dalle parti (ex plurimis, sentenze n. 215
e n. 203 del 2016),  per  giunta,  nel  caso,  in  termini  oltremodo
generici. 
    4.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha eccepito  che  le
questioni sarebbero inammissibili per difetto  di  motivazione  sulla
rilevanza, avendo l'ordinanza elencato le  diverse  attivita'  svolte
dalle imprese ricorrenti senza spiegare come tale dato, con specifico
riferimento a ciascuna di esse, incida in punto di rilevanza. 
    L'eccezione deve essere respinta. Il TAR assume che il  perimetro
dell'obbligo  contributivo  corrisponda  a  quello   delle   funzioni
dell'ART, ritenute, a loro volta, ampie  e  inclusive  di  tutti  gli
aspetti del mercato dei trasporti, nel senso piu' lato. Tale  portata
onnicomprensiva spiega perche', secondo il  rimettente,  in  siffatto
perimetro  siano  ricomprese  tutte  le   attivita'   di   logistica,
spedizione ecc., a prescindere da una disamina delle  caratteristiche
individuali di ciascuna. 
    5.- Neppure puo' essere accolta l'eccezione  di  inammissibilita'
formulata dal Presidente del Consiglio  dei  ministri  nella  memoria
depositata   il   1°   febbraio   2017,   attinente   alla    pretesa
indeterminatezza e genericita' della  questione,  o  meglio  del  suo
petitum: secondo la difesa statale,  l'annullamento  integrale  della
norma eliminerebbe l'imposizione anche per coloro rispetto  ai  quali
lo  stesso  TAR  la   ritiene   legittima;   mentre   un   intervento
«modificativo o  additivo»  comporterebbe  valutazioni  rimesse  alla
discrezionalita' del legislatore. 
    In realta', le questioni sono formulate in  modo  lineare,  senza
incongruenze tra gli argomenti che le sorreggono e il petitum, ne' si
puo' dire che quest'ultimo sia affetto da vizi di oscurita'.  Il  TAR
remittente  ha  domandato  la  pura  e  semplice   dichiarazione   di
illegittimita'  costituzionale  della  normativa  in  questione,  sul
presupposto della sua indeterminatezza,  ritenuta  incompatibile  con
ciascuno dei principi e dei parametri costituzionali evocati. Attiene
al merito delle questioni -  di  cui  costituisce,  anzi,  il  nucleo
centrale  -  l'interrogativo  se   la   denunciata   indeterminatezza
effettivamente sussista. 
    6.- Ancora in via preliminare, si deve  osservare  che  non  osta
all'ammissibilita' delle questioni la possibilita' di interpretazioni
alternative della normativa sospettata di  incostituzionalita',  come
quelle prospettate da alcune parti del giudizio. 
    L'enunciazione,  da  parte  del  giudice  a  quo,  di   argomenti
testuali, logici, sistematici e storici denota che e' stato  esperito
in  concreto  un  tentativo  di  utilizzare   tutti   gli   strumenti
interpretativi per saggiare la possibilita' di  esegesi  alternative,
eventualmente  conformi  a  Costituzione.  Tanto  vale  a  respingere
l'eccezione di inammissibilita' della questione basata sul difetto di
un'adeguata  verifica  della  possibilita'  di  una   interpretazione
costituzionalmente orientata della disposizione oggetto del giudizio.
Tale possibilita' e' stata tentata  e  consapevolmente  scartata  dal
rimettente. 
    Cio' non esclude che, nell'esaminare il  merito  della  questione
sottoposta al suo esame, questa  Corte  sia  a  sua  volta  tenuta  a
verificare l'esistenza di alternative ermeneutiche, che consentano di
interpretare  la  disposizione  impugnata  in  modo   conforme   alla
Costituzione (ex plurimis, sentenze n. 42 del 2017, n. 219 e  n.  204
del 2016, n. 221 del 2015), in ossequio al  principio,  costantemente
ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte, per cui «le leggi  non
si dichiarano costituzionalmente  illegittime  perche'  e'  possibile
darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice ritenga  di
darne)» (sentenza n.  356  del  1996).  Tale  ipotesi,  si  verifica,
appunto, nel caso in esame. 
    7.- Nel merito, la questione sollevata in riferimento all'art. 23
Cost. non e' fondata, nei sensi e nei limiti di seguito precisati. 
    7.1.-  Non  v'e'  dubbio  che  il   contributo   previsto   dalla
disposizione  impugnata  costituisca  una  prestazione   patrimoniale
imposta e rientri nel campo di applicazione dell'art. 23 Cost.;  esso
e' quindi soggetto alla riserva di legge ivi prevista. 
    Secondo l'orientamento affermatosi nella giurisprudenza di questa
Corte  sin  dagli  inizi  della  sua  attivita',  l'art.  23   Cost.,
«prescrivendo che l'imposizione di una prestazione patrimoniale abbia
"base" in una legge [...] implica che la legge non lasci all'arbitrio
dell'ente  impositore  la  determinazione   della   prestazione.   E'
necessario, cioe', che la legge indichi i criteri idonei a delimitare
la discrezionalita' dell'ente impositore  nell'esercizio  del  potere
attribuitogli» (sentenza n. 36 del 1959). 
    In continuita' con  questa  impostazione,  costantemente  seguita
dalla copiosa giurisprudenza in  materia,  anche  di  recente  si  e'
ribadito che la riserva di legge  stabilita  dall'art.  23  Cost.  ha
carattere   relativo   e   consente   di    lasciare    all'autorita'
amministrativa consistenti margini di regolazione delle fattispecie. 
    Peraltro,  la  legge  non  puo'  limitarsi   a   prevedere   «una
prescrizione normativa "in bianco",  genericamente  orientata  ad  un
principio-valore, senza una precisazione, anche non dettagliata,  dei
contenuti e modi dell'azione amministrativa  limitativa  della  sfera
generale di liberta' dei cittadini». La fonte primaria deve,  invece,
stabilire  sufficienti  criteri  direttivi  e   linee   generali   di
disciplina, richiedendosi in  particolare  che  la  concreta  entita'
della prestazione imposta sia desumibile chiaramente  dai  pertinenti
precetti legislativi (sentenze n. 83 del 2015 e n. 115 del 2011). 
    Con particolare riguardo alle prestazioni  patrimoniali  imposte,
la Corte ha precisato che il legislatore deve indicare  compiutamente
«il  soggetto  e  l'oggetto   della   prestazione   imposta,   mentre
l'intervento complementare ed integrativo  da  parte  della  pubblica
amministrazione  deve  rimanere  circoscritto   alla   specificazione
quantitativa (e qualche volta, anche qualitativa)  della  prestazione
medesima: senza che residui  la  possibilita'  di  scelte  del  tutto
libere e  percio'  eventualmente  arbitrarie  della  stessa  pubblica
amministrazione,  ma  sussistano  nella  previsione   legislativa   -
considerata nella complessiva disciplina della materia - razionali ed
adeguati criteri per la concreta individuazione dell'onere imposto al
soggetto nell'interesse generale» (sentenza n. 34 del 1986). 
    Come si evince dal richiamo alla  «complessiva  disciplina  della
materia», questa Corte ritiene di dover apprezzare il rispetto  della
riserva relativa di legge di  cui  all'art.  23  Cost.  prendendo  in
considerazione  l'intero  sistema  delle  norme   in   cui   ciascuna
prestazione s'inscrive. Gia'  in  passato,  eventuali  carenze  della
singola disposizione di  legge  sono  state  colmate  attraverso  una
interpretazione sistematica del tessuto  normativo,  complessivamente
considerato, in cui essa si innesta e dal quale  sono  stati  tratti,
anche per implicito, gli  elementi  essenziali  dell'imposizione  (ad
esempio, i soggetti passivi di un tributo: sentenza n. 56 del 1972). 
    7.2.- Inoltre, poiche' la ratio della riserva  di  legge  di  cui
all'art.    23    Cost.    e'    contenere    la     discrezionalita'
dell'amministrazione e prevenirne  gli  arbitrii  «a  garanzia  della
liberta' e proprieta' individuale» (sentenza n. 70 del 1960),  questa
Corte ha altresi'  affermato  che  l'eventuale  indeterminatezza  dei
contenuti sostanziali della legge  puo'  ritenersi  in  certa  misura
compensata dalla previsione di talune forme procedurali (sentenza  n.
83 del 2015) aperte alla partecipazione di soggetti interessati e  di
organi  tecnici.  In  questa  logica,  e'  stato  dato  rilievo  alla
previsione  di  determinati  «elementi   o   moduli   procedimentali»
(sentenza n. 435 del 2001) che consentano la collaborazione  di  piu'
enti o organi (sentenze n. 157 del 1996 e n. 182 del 1994)  -  specie
se connotati  da  competenze  specialistiche  e  chiamati  a  operare
secondo criteri tecnici, anche di ordine economico (sentenze  n.  215
del  1998,  n.  90  del  1994  e  n.  34  del  1986)  -  o  anche  la
partecipazione delle  categorie  interessate  (sentenza  n.  180  del
1996). 
    La possibilita' di valorizzare le forme di legalita'  procedurale
previste  dalla  legge,  ai  fini  della  valutazione  del   rispetto
dell'art. 23 Cost., vale, in particolare,  nei  settori  affidati  ai
poteri regolatori delle autorita' amministrative indipendenti, quando
vengano in rilievo profili caratterizzati  da  un  elevato  grado  di
complessita'   tecnica.   In   questi   casi,   la   difficolta'   di
predeterminare  con  legge  in  modo  rigoroso  i  presupposti  delle
funzioni amministrative attribuite alle  autorita'  comporterebbe  un
inevitabile pregiudizio alle esigenze sottese alla riserva di  legge,
se non fossero quantomeno  previste  forme  di  partecipazione  degli
operatori di settore al procedimento di formazione degli atti. 
    7.3.- Interpretato alla luce di questi principi,  valevoli  anche
nel caso odierno, e correttamente inquadrato nel complessivo  sistema
normativo di riferimento, l'impugnato art. 37, comma 6,  lettera  b),
del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla  legge
n. 214 del 2011, sfugge alle censure di illegittimita' costituzionale
sollevate dal TAR rimettente. 
    E' fuori discussione che la  disposizione  censurata  attribuisca
esplicitamente all'ART il potere  di  determinare  il  contributo  in
questione e  che  altrettanto  esplicitamente  stabilisca  un  limite
massimo all'aliquota impositiva, in misura non superiore all'uno  per
mille del fatturato. 
    Quanto alla individuazione  dei  soggetti  obbligati,  la  stessa
disposizione fa riferimento ai «gestori delle  infrastrutture  e  dei
servizi regolati», ossia a coloro nei confronti dei quali l'ART abbia
effettivamente posto in essere le attivita' (specificate al  comma  3
dell'art. 37) attraverso le  quali  esercita  le  proprie  competenze
(enumerate dal comma 2 del  medesimo  articolo).  Dunque,  la  platea
degli obbligati non e' individuata, come ritiene il  rimettente,  dal
mero riferimento a un'ampia, quanto indefinita, nozione  di  "mercato
dei trasporti"  (e  dei  "servizi  accessori");  al  contrario,  deve
ritenersi  che  includa  solo  coloro  che  svolgono  attivita'   nei
confronti delle quali l'ART ha concretamente  esercitato  le  proprie
funzioni regolatorie istituzionali, come del resto ha ritenuto  anche
il Consiglio di Stato in fase cautelare (Consiglio di  Stato,  quarta
sezione, ordinanza 29 gennaio 2016, n. 312). 
    Da punto di vista procedimentale, l'art. 37, comma 6, lettera b),
non  attribuisce  in  via  esclusiva   all'ART   il   potere   e   la
responsabilita'  di  fissare  la  misura  del  contributo,   ma,   al
contrario, prevede che l'atto annuale  dell'autorita'  sia  approvato
dal Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  di  concerto  con  il
Ministro dell'economia e delle finanze, con la possibilita' che  essi
esprimano rilievi, ai quali la stessa autorita' deve conformarsi.  In
questo  modo,  la  legge  organizza  un  iter  idoneo  a  sviluppare,
attraverso la dialettica tra le autorita' coinvolte, un confronto tra
i vari interessi generali e settoriali, anche  di  ambito  economico.
L'intervento  del   Presidente   del   Consiglio   e   del   Ministro
dell'economia e delle finanze  costituisce  un  significativo  argine
procedimentale alla discrezionalita' dell'ART e alla sua capacita' di
determinare da se' le proprie risorse. 
    Inoltre, la stessa  ART  ha  ritenuto  di  coinvolgere  anche  le
categorie  imprenditoriali   interessate   dapprima,   mediante   «la
procedura di informazione alle Associazioni di  categoria»  (delibera
23 gennaio 2014, n. 10); in seguito,  mediante  consultazioni,  delle
cui risultanze le premesse della delibera piu' recente  (n.  139  del
2016) danno atto. Per quanto qui rileva, questo modo di  elaborare  e
motivare atti amministrativi generali - che pure  si  differenzia  da
quanto previsto nell'art. 3 e nel Capo III della legge 7 agosto 1990,
n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento  amministrativo  e  di
diritto  di  accesso  ai   documenti   amministrativi)   e   non   e'
disciplinato, per quanto riguarda l'ART, da puntuali disposizioni  di
legge  -  puo'  considerarsi  il  portato,  giuridicamente   doveroso
(sentenza n. 41 del 2013), di  quella  declinazione  procedurale  del
principio  di  legalita',  che  e'  ritenuta   dalla   giurisprudenza
amministrativa tipica delle autorita'  indipendenti  (tra  le  molte,
Consiglio di Stato,  sesta  sezione,  24  maggio  2016,  n.  2182)  e
rappresenta un utile, ancorche' parziale, complemento delle  garanzie
sostanziali richieste dall'art. 23 Cost., secondo  quanto  illustrato
in precedenza. 
    Quanto alla misura delle risorse per  il  cui  approvvigionamento
l'Autorita' si avvale del contributo oggetto del giudizio,  essa  non
puo'  ritenersi  illimitata  ovvero   rimessa   alla   determinazione
unilaterale  dell'Autorita'.  La  loro  entita'  e'  correlata   alle
esigenze operative dell'ART e corrisponde al  fabbisogno  complessivo
della medesima, risultante dai bilanci preventivi  e  dai  rendiconti
della gestione,  soggetti  al  controllo  della  Corte  dei  conti  e
pubblicati nella Gazzetta Ufficiale (ai sensi dell'art. 2, comma  27,
della  legge  14  novembre  1995,  n.  481,  recante  «Norme  per  la
concorrenza e  la  regolazione  dei  servizi  di  pubblica  utilita'.
Istituzione delle Autorita' di regolazione dei  servizi  di  pubblica
utilita'»). Limiti piu'  specifici  sono  poi  stabiliti  da  singole
disposizioni di legge, anch'essi soggetti a controllo,  come  risulta
dai  documenti  contabili   dell'ART   (da   ultimo,   la   Relazione
illustrativa  del  bilancio  di  previsione   per   l'anno   2017   e
programmatica per il triennio 2017-2019, allegata  alla  delibera  24
novembre 2016, n. 138). 
    Per quanto, poi, riguarda l'identificazione del «fatturato»  come
base imponibile per la determinazione del  contributo  da  parte  dei
soggetti obbligati - a prescindere dal fatto che l'ordinanza formula,
in proposito,  rilievi  dubbiosi  e  poco  perspicui,  non  spiegando
affatto perche' tale concetto sarebbe piu' «piu' opinabile» di quello
di «ricavi» - si puo' osservare che la nozione in  esame,  utilizzata
anche in altri  luoghi  dell'ordinamento,  ben  si  presta  a  essere
precisata, con riguardo allo specifico  settore  di  riferimento,  in
base a criteri tecnici di carattere economico e contabile. 
    In conclusione, ad un esame sistematico del contesto normativo di
riferimento, il potere impositivo dell'amministrazione trova -  nella
disposizione censurata e  nelle  altre  norme  pertinenti,  anche  di
principio - limiti, indirizzi,  parametri  e  vincoli  procedimentali
complessivamente adeguati ad  arginarne  la  discrezionalita',  anche
nella  prospettiva  dei  controlli  e,  segnatamente,  dei  controlli
giurisdizionali (sentenze n. 215 del 1998 e n. 180 del 1996), la  cui
incisivita'  in  concreto  e',  a  propria  volta,   essenziale   per
l'effettivita' dell'art. 23 Cost. 
    8.- Per analoghe ragioni, sono da ritenere non fondate, nei sensi
e limiti sopra enunciati, le censure formulate  in  riferimento  agli
artt. 3, 41 e 97 Cost., le quali,  pure,  fanno  leva  sull'ampiezza,
ritenuta eccessiva, della discrezionalita'  conferita  all'ART  nella
determinazione del contributo controverso. 
    In particolare, dev'essere  rigettata  la  censura  sollevata  in
riferimento all'art. 3 Cost., che lamenta l'illegittima parificazione
di un novero disomogeneo di obbligati, in posizione differenziata tra
loro.  La  platea  degli   obbligati   deve   intendersi   accomunata
dall'essere  in  concreto   assoggettati   all'attivita'   regolativa
dell'ART. A tutti gli operatori economici  che  si  trovano  in  tale
posizione e' imposto il contributo, il quale, pertanto, non puo'  non
essere determinato attraverso un  atto  generale  (si  veda,  mutatis
mutandis, la sentenza n. 34 del 1986). E'  poi  compito  del  giudice
comune  verificare  se,  nella  determinazione   della   misura   dei
contributi, oltre che nella  individuazione  dei  soggetti  tenuti  a
corrisponderli, siano stati o meno rispettati  i  criteri  desumibili
dall'intero contesto  normativo  che  regola  la  materia,  potendosi
eventualmente trarre le naturali conseguenze nella  sede  giudiziaria
appropriata (sentenza n. 507 del 1988). 
    Destituita di fondamento e' altresi' la lamentata  lesione  della
liberta' d'impresa, di cui all'art. 41 Cost. L'insieme  delle  norme,
sostanziali  e  procedurali,  che  disciplinano  i  poteri   dell'ART
smentisce  l'asserita  imprevedibilita'  degli  oneri   contributivi,
assunta dal rimettente come premessa  di  un  turbamento  (profilato,
invero, in termini alquanto  vaghi)  della  liberta'  individuale  di
iniziativa economica, garantita dall'art. 41 Cost. 
    Infine, per quanto riguarda le censure sollevate  in  riferimento
all'art.  97  Cost.,   non   puo'   essere   sottaciuta   una   certa
contraddittorieta' insita nel denunciare, da un lato, la mancanza  di
garanzie   partecipative   e,   dall'altro,   il   rischio   che   la
partecipazione determini la cosiddetta "cattura"  del  regolatore  da
parte degli  operatori.  Ad  ogni  modo,  all'interno  della  cornice
normativa di cui si e' ripetutamente detto, il  coinvolgimento  delle
categorie imprenditoriali  nel  procedimento  di  determinazione  del
contributo non riduce, ma invece accresce imparzialita', obiettivita'
e trasparenza dell'azione amministrativa, la  quale  rimane  comunque
caratterizzata, per quanto qui interessa,  da  inequivocabili  tratti
autoritativi, assicurati anche dalla  partecipazione  governativa  al
procedimento di determinazione annuale del contributo. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara  non  fondate,  nei  sensi  e  nei  limiti  di  cui   in
motivazione, le questioni di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
37, comma 6, lettera b), del decreto-legge 6 dicembre  2011,  n.  201
(Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il  consolidamento
dei conti pubblici), convertito, con modificazioni,  dalla  legge  22
dicembre 2011, n. 214, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 23, 41
e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo  regionale  per
il Piemonte, con l'ordinanza in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 febbraio 2017. 
 
                                F.to: 
                      Paolo GROSSI, Presidente 
                      Marta CARTABIA, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 7 aprile 2017. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA 
 
                                                            Allegato: 
                     ordinanza letta all'udienza del 22 febbraio 2017 
 
                              ORDINANZA 
 
    Visti   gli   atti   relativi   al   giudizio   di   legittimita'
costituzionale introdotto con ordinanza del Tribunale  amministrativo
regionale per il Piemonte del 17 dicembre 2015 (r.o. n. 30 del 2016). 
    Rilevato  che  in  tale  giudizio  hanno   depositato   atto   di
intervento, il 24 maggio 2016, Ignazio  Messina  &  C.  spa  e  Costa
Crociere spa, esponendo di essere imprese di  navigazione  marittima,
esercenti attivita' (rispettivamente, di  trasporto  di  merci  e  di
trasporto di passeggeri con navi da crociera) sulle quali inciderebbe
la disposizione censurata; 
    che le predette societa' riferiscono altresi' di avere impugnato,
con ricorso notificato il 31 marzo 2016, la  delibera  dell'Autorita'
di regolazione dei  trasporti  5  novembre  2015,  n.  94  (Misura  e
modalita'  di  versamento  del  contributo  dovuto  all'Autorita'  di
regolazione dei trasporti per l'anno 2016), approvata con decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri 23 dicembre 2015; 
    che le medesime societa' aggiungono di avere, nei propri ricorsi,
richiamato e fatte proprie le considerazioni svolte dal TAR  Piemonte
nell'ordinanza di rimessione introduttiva del  presente  giudizio  di
legittimita' costituzionale; 
    che, proseguono le societa', il giudizio amministrativo  da  loro
avviato era sospeso dall'adito TAR  con  ordinanze  pubblicate  il  5
maggio 2016, in attesa della  pronuncia  della  Corte  costituzionale
sulla  questione,  ritenuta   pregiudiziale,   gia'   sollevata   con
l'ordinanza in epigrafe; 
    che pertanto, ad avviso delle due societa', solamente dalla  data
del 5 maggio 2016 decorrerebbe per loro il termine  di  venti  giorni
per l'intervento nel presente giudizio, previsto  dall'art.  4  delle
vigenti  norme  integrative  per  i  giudizi   davanti   alla   Corte
costituzionale, giacche' solo allora le due societa' avrebbero  avuto
conoscenza  dei  provvedimenti  che  le  avrebbero   legittimate   ad
intervenire; 
    che le due societa' hanno ribadito gli argomenti a  favore  della
propria legittimazione a intervenire con  memoria  depositata  il  1°
febbraio 2017. 
    Considerato che, secondo gli artt. 3 e 4 delle norme  integrative
per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, la partecipazione al
giudizio incidentale  di  legittimita'  costituzionale  e'  di  norma
circoscritta alle parti del giudizio a quo, oltre che  al  Presidente
del Consiglio dei ministri  (e,  nel  caso  di  legge  regionale,  al
Presidente della Giunta regionale); 
    che l'intervento di soggetti estranei al giudizio  principale  e'
ammissibile  soltanto  per  i  terzi   titolari   di   un   interesse
qualificato,  inerente  in  modo  diretto  e  immediato  al  rapporto
sostanziale dedotto in giudizio, e  non  semplicemente  regolato,  al
pari di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di censura; 
    che, nel caso odierno, le societa'  aspiranti  intervenienti  non
sono parte del giudizio a quo, ma di un distinto giudizio; 
    che in tale  giudizio  espongono  di  avere  impugnato  gli  atti
relativi alla determinazione del contributo per l'anno  2016,  mentre
l'ordinanza di  rimessione,  nel  descrivere  l'oggetto  dei  ricorsi
rimessi alla cognizione del giudice a quo, fa riferimento  agli  atti
di determinazione del contributo per gli anni 2014 e 2015, oltre  che
a provvedimenti individuali relativi ai singoli ricorrenti; 
    che non incide sulla posizione dei terzi aspiranti  intervenienti
il fatto che il giudizio di cui  sono  parti  sia  stato  sospeso  in
attesa della decisione sulla questione di legittimita' costituzionale
scaturita da altro giudizio,  perche'  altrimenti  sarebbe  eluso  il
carattere incidentale del giudizio di legittimita' costituzionale (ex
plurimis, ordinanze allegate alle sentenze n. 35 e n.  16  del  2017,
nonche' alle sentenze n. 214 e n. 173 del 2016); 
    che, comunque, secondo l'art. 4, comma 4, delle richiamate  norme
integrative, l'atto di intervento deve essere depositato  «non  oltre
venti giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta  Ufficiale  dell'atto
introduttivo  del  giudizio»,  avvenuta,  nel  caso,  nella  Gazzetta
Ufficiale n. 8, prima serie speciale, del 24 febbraio 2016; 
    che il  termine  predetto  ha  natura  perentoria  (ex  plurimis,
ordinanza allegata alla sentenza n. 187 del 2016); 
    che le due societa' hanno depositato atto  di  intervento  il  24
maggio 2016, ben oltre il  previsto  termine  perentorio,  decorrente
dalla data di pubblicazione dell'ordinanza introduttiva del  presente
giudizio. 
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara inammissibile l'intervento di Ignazio Messina & C. spa e
Costa Crociere spa. 
 
                    F.to: Paolo Grossi Presidente