N. 61 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 dicembre 2016

Ordinanza del 16 dicembre 2016 della Corte d'appello  di  Milano  nel
procedimento  civile  promosso  da  Ferri  Immobiliare   Srl   contro
Unicredit S.p.a. . 
 
Arbitrato - Lodo  arbitrale  -  Impugnazione  -  Nuova  disciplina  -
  Impugnabilita' per violazione  delle  regole  di  diritto  solo  se
  espressamente  disposta  dalle  parti  o  dalla  legge   -   Regime
  transitorio. 
- Codice di procedura civile, art. 829, comma terzo, come  sostituito
  dall'art. 24  del  decreto  legislativo  2  febbraio  2006,  n.  40
  (Modifiche al codice di procedura civile in materia di processo  di
  cassazione in  funzione  nomofilattica  e  di  arbitrato,  a  norma
  dell'articolo 1, comma 2, della L.  14  maggio  2005,  n.  80),  in
  combinato disposto con l'art. 27, comma  4,  del  medesimo  decreto
  legislativo. 
(GU n.18 del 3-5-2017 )
 
                    LA CORTE D'APPELLO DI MILANO 
                        Sezione Prima civile 
 
    composta dai sig.ri giudici: 
    Amedeo Santosuosso - Presidente relatore; 
    Raimondo Mesiano, consigliere; 
    Cesira D'Anella, consigliere; 
    ha pronunciato la seguente ordinanza  nella  causa  recante  R.G.
1667/2015  tra  Ferri  Immobiliare  S.r.l.  in  persona  del   legale
rappresentante pro  tempore,  rappresentata  e  difesa  dagli  avv.ti
Michele Pratelli e Claudia Marchionni del Foro di Pesaro e  dall'avv.
Luisa Zambon del Foro di Milano, elettivamente domiciliata presso  lo
studio  legale  di  quest'ultima,  sito  in  Milano,   Piazza   della
Repubblica, 25, impugnante; 
    Contro Unicredit S.p.a., con sede in Roma, Via Alessandro Specchi
16, in persona del legale rappresentante pro tempore,  rappresentante
e difesa dall'avv. Paolo Dalmartello del Foro di  Milano,  presso  il
cui studio legale, sito in Milano, Via dell'Annunciata, 23,  dichiara
di essere elettivamente domiciliata, resistente. 
    Con atto di citazione notificato in data  27  aprile  2015  Ferri
Immobiliare S.r.l. (d'ora in poi «Ferri» ha agito dinanzi alla  Corte
d'appello di Milano nei confronti di Unicredit S.p.a., chiedendo  che
fosse dichiarata la nullita' del lodo arbitrale che  aveva  rigettato
la domanda di accertamento della responsabilita'  precontrattuale  di
Unicredit S.p.a. (ex articoli 1337 e 1338 c.c.), e,  conseguentemente
aveva respirato la relativa domanda risarcitoria. 
    Il collegio arbitrale, definitivamente pronunciando sulle domande
avanzate dalle parti, aveva cosi deciso: 
        respinge  le  domande  di  Ferri  Immobiliare  relative  alla
dichiarazione di nullita', annullamento e risoluzione  del  contratto
normativo stipulato in data 10 ottobre 2003  e  dei  relativi  negozi
attuativi di cui agli IRS,  meglio  identificati  in  narrativa,  con
conseguente rigetto di ogni domanda restitutoria e risarcimento su di
esse fondate (ivi inclusa la domanda di pubblicazione del lodo in uno
o piu' giornali); 
        rigetta la domanda di  Ferri  di  nullita'  delle  operazioni
eseguite dopo il mese di ottobre 2007; 
        rigetta  la  domanda   di   Ferri   di   accertamento   della
illegittimita'  della  segnalazione  alla  Centrale   Rischi   e   la
conseguente domanda di risarcimento danni; 
        dichiara    l'incompetenza     arbitrale     e/o     comunque
l'inammissibilita'  con  riguardo  alle  domande  formulate  in   via
ulteriormente subordinata con riguardo a interessi ultra  legali  e/o
anatocistici e di illegittimita' della  prassi  Unicredit  in  ordine
alla capitalizzazione trimestrale e in tema di valute; 
        dispone che  le  spese  per  il  funzionamento  del  collegio
arbitrale, gli onorari degli arbitri e  il  compenso  del  segretario
(liquidati come da separata ordinanza) siano posti definitivamente  a
carico di entrambe le parti in misura paritaria e ferme  restando  il
vincolo di solidarieta' tra le parti per l'intero; 
        compensa tra le parti le spese di lite e pone definitivamente
a carico di entrambe  le  parti  in  misura  paritetica  il  compenso
liquidato al consulente tecnico d'ufficio. 
I. I fatti e il lodo. 
    1.1. La controversia in esame  ha  ad  oggetto  le  contestazioni
relative al perfezionamento di  sei  contratti  interest  rate  swap,
stipulati da Ferri in un'unica soluzione mediante  la  sottoscrizione
di un contratto quadro in data 10  ottobre  2003  al  fine  di  porre
rimedio alla situazione di indebitamento in cui versava. 
    1.2. Verificata la finalita' speculativa, e non di copertura,  di
tali contratti, Ferri decideva di promuovere un giudizio arbitrale  e
notificava in data 8  agosto  2011  a  Unicredit  S.p.a.  domanda  di
arbitrato,   conformemente   a   quanto   previsto   nella   clausola
compromissoria di cui all'art. 15 del contratto quadro.  Mediante  la
proposizione della domanda di arbitrato,  notificata  contestualmente
all'atto  di  nomina  di  arbitro,  Ferri  chiedeva  fosse  accertata
l'invalidita' e/o l'inefficacia dei contratti di swap precedentemente
sottoscritti,  non  avendo  la  Banca  osservato  gli   obblighi   di
diligenza, trasparenza e correttezza di cui  all'art.  21,  comma  1,
lettere b)  e  d)  Testo  unico  delle  disposizioni  in  materia  di
intermediazione finanziaria (decreto legislativo  n.  58/1998,  TUF).
Nel precisare le conclusioni Ferri chiedeva che venisse dichiarata la
nullita' del contratto quadro,  sulla  base  del  quale  erano  stati
stipulati i sei contratti di swap, per vizi di forma a esso  inerenti
e, inoltre, denunciava il grave inadempimento della Banca. per  avere
agito contrariamente al parametro comportamentale di cui all'art. 21,
comma 1, lettera a) TUF, occultando al cliente elementi rilevanti  ai
fini della valutazione della convenienza dell'operazione. 
    1.3. La Banca, dopo aver provveduto alla  nomina  di  arbitro  in
data 16 settembre 2011, contestava nel merito le pretese avanzate  da
Ferri, in particolare evidenziando che quest'ultimo aveva dichiarato,
per  atto  scritto  di  essere  un  operatore  qualificato,  con   la
conseguenza che gli obblighi di trasparenza, diligenza e  correttezza
in capo alla Banca si dovessero considerare affievoliti. 
    1.4. Il collegio arbitrale,  sulle  conclusioni  precisate  dalle
parti, ha deciso come sopra riportato. 
2. Il giudizio di impugnazione dinnanzi alla Corte d'appello 
    2.1. In data 27 aprile 2015, con atto di citazione  notificato  a
Unicredit S.p.a., Ferri, ai sensi degli articoli 828 e 829 codice  di
procedura civile, ha  impugnato  dinnanzi  alla  Corte  d'appello  di
Milano il lodo arbitrale emesso in data 10 febbraio 2015 e ha chiesto
che ne venisse dichiarata l'integrale nullita' sulla base di  diversi
motivi che l'impugnante ha cosi' formulato: 
    violazione delle regole di  diritto  di  cui  all'art.  1362  del
codice civile in tema di interpretazione del contratto; 
    violazione delle regole di diritto di cui al  combinato  disposto
ex articoli 1325 del codice civile 1343 del codice civile e 1349  del
codice civile; 
    violazione delle regole di diritto di cui al  combinato  disposto
ex articoli 1709 del codice civile e 23 comma 2 TUF. 
    2.2. Unicredit.  costituitasi  con  comparsa  di  costituzione  e
risposta depositata in cancelleria in data 25 luglio 2015, ha chiesto
in via principale il rigetto dell'impugnazione e la conferma del lodo
arbitrale impugnato, eccependo  l'inammissibilita'  dell'impugnazione
per violazione dell'art. 829 comma 3 codice  di  procedura  civile  A
fondamento della propria eccezione Unicredit S.p.a. ha sostenuto che,
dopo la riforma di  cui  al  decreto  legislativo  n.  40  del  2006,
l'impugnazione dei lodi arbitrali  per  violazione  delle  regole  di
diritto fosse  ammissibile  solo  ove  espressamente  prevista  dalle
parti.  L'impugnazione  del  lodo  arbitrale  da   parte   di   Ferri
Immobiliare  sarebbe  quindi  inammissibile,  poiche'   la   clausola
compromissoria del contratto quadro stipulato tra le parti in data 10
ottobre 2003 non conteneva una specifica pattuizione in tal senso. La
parte convenuta, dunque, ha sostenuto che il caso di  specie  rientri
nell'ipotesi prevista dall'art. 27 comma 4 del decreto legislativo n.
40/2006, che, nel prevedere la  disciplina  di  diritto  transitorio,
stabilisce che il nuovo regime si applichi «ai procedimenti arbitrali
nei quali la domanda di arbitrato e' stata  proposta  successivamente
alla data di entrata in vigore del presente decreto». 
    2.3. Nel corso del giudizio, il 9 maggio 2016, le  Sezioni  unite
della Suprema Corte sono intervenute nel contrasto  sull'applicazione
temporale del mutato regime di impugnabilita' del lodo per errori  di
diritto. Con tre sentenze nn. 9341, 9284 e 9285,  hanno  riconosciuto
l'impugnabilita' per errori di diritto  del  lodo  anche  laddove  la
convenzione arbitrale (anteriore alla novella del  2006)  nulla  dica
sul punto e anche quando l'arbitrato sia attivato, e  il  lodo  reso,
dopo l'entrata in vigore della novella del 2006. 
    2.4. Questa Corte, ritenuto che le decisioni delle Sezioni  unite
sollevino questioni che possono  essere  considerate  in  termini  di
costituzionalita' della norma transitoria succitata, ha suscitato  il
contraddittorio delle parti sul punto e, concesso un termine  per  il
deposito di note, si e' riservata. 
    2.5. La presente ordinanza e' resa a scioglimento della riserva. 
3. La questione della riforma e del regime transitorio. 
    Si tratta di argomenti ampiamente noti ma che puo'  essere  utile
richiamare brevemente a soli fini di chiarezza espositiva. 
3.1. La normativa anteriforma del 2006. 
    Nel  regime  normativo   previgente   alla   riforma   del   2006
l'impugnazione del lodo per  violazione  di  regole  di  diritto  era
sempre ammessa, salvo che le parti avessero autorizzato gli arbitri a
decidere secondo equita' o avessero espressamente dichiarato il  lodo
non  impugnabile.  L'art.  829,  comma  3   letteralmente   recitava:
«L'impugnazione per nullita' e' altresi' ammessa se gli  arbitri  nel
giudicare non hanno osservato le regole  di  diritto,  salvo  che  le
parti li avessero autorizzati a decidere secondo equita'  o  avessero
dichiarato il lodo non impugnabile». 
    Stante il tenore letterale della disposizione, il silenzio  delle
parti  assumeva  una  valenza  «positiva»,  ossia  sottintendeva   la
volonta'  delle  parti  che  nell'eventuale  giudizio  d'impugnazione
davanti  al  giudice  ordinario  potessero  essere  fatte  valere  le
violazioni delle regole di diritto. 
3.2 Il nuovo regime e la disciplina transitoria. 
    3.2.1. L'art. 24 del  decreto  legislativo  n.  40/2006  modifica
l'art.  829,  comma  3  e  stabilisce  la  regola  inversa,  rendendo
ammissibile l'impugnazione del lodo per violazione  delle  regole  di
diritto solo se «espressamente prevista dalle parti o  dalla  legge».
Nella disciplina post riforma il silenzio delle parti assume,  cosi',
una valenza «negativa», ossia esclude la possibilita'  di  sottoporre
al vaglio dell'Autorita' giudiziaria ordinaria  la  violazione  delle
regole di diritto. 
    3.2.2. Le inevitabili questioni di diritto transitorio sono state
espressamente  regolate  con   l'art.   27   del   medesimo   decreto
legislativo, che ha espressamente previsto che la nuova disciplina si
applichi  «ai  procedimenti  arbitrali,  nei  quali  la  domanda   di
arbitrato e' stata proposta successivamente alla data di  entrata  in
vigore  del  presente  decreto».  Tale  regime   transitorio   sembra
valorizzare la relativa autonomia dell'atto di proposizione del  lodo
per una specifica controversia (che viene a essere  regolata  secondo
il nuovo regime) rispetto alla clausola compromissoria,  che,  stante
la sua natura e funzione normativa (tesa  cioe'  a  regolare  vicende
giuridiche successive che vengono a intercorrere tra le parti), resta
ancorata al tempo della sua stipulazione. Di qui  la  valorizzazione,
ai fini dell'applicazione della  nuova  disciplina,  del  momento  di
proposizione della domanda di arbitrato piuttosto che  di  quello  in
cui sia stata stipulata la clausola compromissoria. 
    3.2.3. Tuttavia, ci si  e'  interrogati  su  cosa  ne  sia  della
volonta' delle parti stipulanti la clausola arbitrale e, soprattutto,
su quali siano i limiti che il legislatore incontra  nell'intervenire
sul contenuto di quella clausola (attribuendogli effetti  diversi  da
quello  voluto  dalle  parti)  e  sul  regime  giuridico  degli  atti
conseguenti e ad essa connessi. 
    3.2.4. Tali interrogativi sono stati valorizzati e posti in primo
piano da un filone giurisprudenziale, da ultimo fatto  proprio  dalla
Corte di cassazione a Sezioni unite, che ne ha tratto conclusioni che
paiono problematiche. Di esse  si  discute  in  questa  ordinanza  di
rimessione alla Corte costituzionale, rimessione che a  questa  Corte
d'appello pare, a questo punto, essere l'unica via non preclusa (come
meglio si dira' piu' avanti). 
3.3. I criteri e i principi direttivi della legge delega n. 80/2005 e
la ratio della Riforma. 
    3.3.1. Con il nuovo regime il  legislatore  delegante  ha  inteso
razionalizzare  l'intera  disciplina  delle  impugnazioni   di   lodi
arbitrali con l'obiettivo,  in  particolare,  di  restringere  l'area
delle   censure   deducibili   contro   il   lodo.   L'impulso   alla
razionalizzazione e' richiamato  nel  testo  della  legge  delega  n.
80/2005, ove, nell'indicazione dei principi e dei criteri  direttivi,
il   legislatore   delegato   viene   chiamato   a    operare    «una
razionalizzazione delle ipotesi attualmente esistenti di impugnazione
per nullita' [al fine di] subordinare la controllabilita' del lodo ai
sensi del secondo comma [ora terzo, ndr] dell'art. 829 del codice  di
procedura civile alla esplicita previsione delle parti, salvo diversa
previsione di legge e salvo il contrasto con i principi  fondamentali
dell'ordinamento giuridico». 
    3.3.2. Il legislatore, dunque, si e'  misurato  con  due  diverse
esigenze, che sono esplicite nei lavori preparatori: in primo  luogo,
vi era la necessita' di limitare il sindacato sulla  pronuncia  degli
arbitri, anche al fine di non ostacolare la  speditezza  propria  del
procedimento arbitrale; in secondo luogo, era  necessario  assicurare
una piena  tutela  alla  garanzia  costituzionale  del  sindacato  di
legittimita'  da  parte  dell'autorita'  giudiziaria.  Il  punto   di
equilibrio tra queste contrapposte esigenze e' stato individuato  nel
principio dell'autonomia delle parti: in  altri  termini,  l'ampiezza
sia  del  sindacato   dell'autorita'   giudiziaria   ordinaria,   sia
dell'alveo delle censure deducibili contro il lodo  sono  interamente
rimessi alla scelta discrezionale delle parti. 
    3.3.3. Del resto,  tale  scelta  trova  fondamento  nella  natura
stessa dell'istituto dell'arbitrato, che si caratterizza  per  essere
uno strumento di risoluzione alternativa delle controversie,  fondato
su un atto negoziale, ossia la convenzione d'arbitrato. La previsione
di tale istituto nel  nostro  ordinamento  rappresenta,  infatti,  un
esempio di «privatizzazione della giustizia», ove l'autonomia privata
assume   un   ruolo    predominante    rispetto    alla    legge    e
all'amministrazione   pubblica   della   giustizia,   seppur   sempre
conformemente ai principi fondamentali dell'ordinamento giuridico. 
4. Le elaborazioni giurisprudenziali sul punto. 
    La   nuova   disciplina   ha   suscitato   alcune    oscillazioni
interpretative  nella  giurisprudenza  tanto  di  merito  quanto   di
legittimita', specie con  riferimento  all'applicabilita'  del  nuovo
regime ai procedimenti arbitrali promossi dopo  l'entrata  in  vigore
del  decreto  legislativo  n.  40/2006,  ma  fondati  su  convenzioni
d'arbitrato stipulate  dalle  parti  in  un  momento  antecedente  la
riforma. 
4.1. La giurisprudenza di legittimita'. 
    4.1.1. La Corte di cassazione ha, in  alcune  occasioni,  escluso
l'applicazione  della  nuova  disciplina  e,  in  altre  ha  ritenuto
ineludibile il chiaro tenore letterale della norma transitoria  (art.
27 comma 4 cit.), adottando la soluzione opposta. 
    4.1.2. Conformemente al primo  orientamento,  la  sentenza  della
Prima Sezione civile n. 12379/2014), ha ritenuto che ratione temporis
non potesse applicarsi l'art. 829 comma 3 codice di procedura civile,
nuovo testo, a una fattispecie nella  quale  era  rilevante  la  data
della  convenzione  (che,  sola,  poteva  contenere   previsioni   di
impugnazione per violazione di regole di diritto), e non certo quella
della  impugnazione  di  nullita',  e  ha  affermato:   «si   ritiene
inaccettabile un'applicazione retroattiva  di  un  regime  di  estesa
generale inimpugnabilita' per ragioni di diritto a momenti  negoziali
anteriori alla sua entrata in vigore e nei quali il silenzio  serbato
era diretto a consentire quella impugnazione». 
    4.1.3. Con tale  sentenza,  la  suprema  Corte  ha  dato  seguito
all'allora  recente  pronuncia  della  prima  sezione  civile   della
medesima Corte (n. 6148 del 19 aprile 2012), che aveva  proposto  una
lettura costituzionalmente orientata della norma transitoria (art. 27
comma 4  cit.).  La  Corte,  prendendo  le  mosse  dal  principio  di
irretroattivita' della legge sancito dall'art. 11 delle Preleggi,  ha
ritenuto che gli effetti  di  un  atto  negoziale  siano  sottoposti,
unicamente, alla disciplina in vigore al momento in  cui  l'atto  sia
stato adottato. Su  tali  premesse,  la  Suprema  Corte  ha  ritenuto
illegittima l'applicazione del novellato art. 829 comma 3  codice  di
procedura  civile   alle   convenzioni   arbitrali   concluse   prima
dell'entrata in vigore della riforma,  poiche'  in  contrasto  con  i
principi  di  successione  delle  leggi  nel   tempo:   «laddove   le
convenzioni siano state concluse prima della entrata in  vigore  esse
non possono che continuare a essere regolate dalla legge  previgente,
che disponeva l'impugnabilita' del lodo per  violazione  della  legge
sostanziale, a meno che le parti non avessero stabilito diversamente.
E pertanto, in difetto di una disposizione che sancisca  la  nullita'
di  quelle  convenzioni  (per   sopravvenute   esigenze   di   natura
imperativa) o che obblighi le parti ad adeguarle al nuovo modello, la
salvezza di tali convenzioni deve ritenersi insita nel  sistema,  pur
in difetto di un'esplicita previsione della norma transitoria, a pena
di veder private le parti contraenti di un contratto - realizzante un
dato assetto di interessi in  ordine  alla  devoluzione  per  arbitri
delle controversie che  ne  siano  derivate  -  di  una  facolta'  di
contestazione sulla quale l'una o l'altra aveva  fiato  indiscutibile
affidamento» (Cass. civ. sez. I, 19 aprile 2012,  n.  6148;  si  veda
anche Cassazione civ. sez. I, 18 giugno 2014,  n.  13898;  Cassazione
civ. sez. I, 19 gennaio 2015, n. 745 e 748; Cass,  civ.  sez.  I,  28
ottobre 2015, n. 22007). 
    4.1.4.  Cosi'  motivando,  la  Corte  di  cassazione  ha   inteso
conformarsi   alla    consolidata    giurisprudenza    della    Corte
costituzionale   che,   in   plurime   occasioni,   ha   sottolineato
l'importanza del principio di irretroattivita' della legge, in quanto
«principio generale del nostro  ordinamento  [che]  rappresenta,  pur
sempre, una regola essenziale del sistema a cui,  salva  un'effettiva
causa giustificatrice, il legislatore deve ragionevolmente attenersi,
in quanto la certezza dei rapporti preteriti costituisce un  indubbio
cardine della civile convivenza e della tranquillita' dei  cittadini»
(Corte costituzionale sentenza n. 155 del 1990, a cui  la  Cassazione
rinvia espressamente nella pronuncia del 19 aprile 2012, n. 6148;  in
senso conforme, Corte costituzionale sentenza n. 118 del 1957). 
    4.1.5. Tale orientamento e' stato, tuttavia, messo in discussione
in  occasione  di  successive  pronunce  della  medesima   Corte   di
cassazione (ex pluris, Cassazione civ. sez. VI, 17 settembre 2013, n.
21205; Cassazione civ. sez. I, 20 febbraio 2012, n. 2400;  Cassazione
sez. I. 25 settembre 2015,  n.  19075).  In  particolare  la  suprema
Corte, nell'ordinanza  n.  21205  della  VI  Sezione  civile  del  17
settembre 2013, ha ritenuto che «il novellato  art.  829  cod.  proc.
civ. si applica, come indicato nel  decreto  legislativo  n.  40  del
2006, art. 27, comma  4,  ai  procedimenti  arbitrali  nei  quali  la
domanda di arbitrato e' stata proposta successivamente alla  data  di
entrata  in  vigore  del  decreto,  a  nulla  rilevando,  secondo  il
chiarissimo  disposto  della  norma   transitoria,   il   riferimento
temporale relativo alla clausola compromissoria». 
    4.1.6. Alla medesima conclusione e' giunta la  suprema  Corte  in
una recente ordinanza, ove ha ritenuto che «la disciplina transitoria
e' univoca nel preferire la legge vigente al tempo del lodo  rispetto
a quella diversa, anteriore,  mentre  non  sono  ravvisabili  ragioni
superiori tali da  giustificare  una  diversa  interpretazione  della
norma cosi chiaramente formulata, tanto piu' che "l'intangibilita'" e
l'immutabilita' di un determinato regime di impugnativa  correlato  a
un dato occasionale, come l'epoca di stipulazione della clausola, non
risulta assistito da alcuna garanzia costituzionale» (Cass.  sez.  I,
25 settembre 2015, n. 19075). 
    4.1.7. In sintesi, i  giudici  di  legittimita',  in  epoca  piu'
recente, e sino alle pronunce delle Sezioni unite, di cui a breve  si
dira', si sono conformati, in maniera pressoche' unanime,  alla  tesi
secondo la quale il chiaro dettato  normativo  di  cui  all'art.  27,
comma 4 del decreto legislativo n. 40/2006 non  lasci  all'interprete
alcun margine di discrezionalita' nell'applicazione del nuovo regime.
Di  conseguenza  deve  applicarsi  il  nuovo  regime  agli  arbitrati
promossi  successivamente  al  2006,  anche  se  basati  su  clausole
compromissorie stipulate prima del 2006. 
4.2. La giurisprudenza di merito. 
    4.2.1. La Corte d'appello di Milano, dopo alcuni  iniziali  dubbi
interpretativi (1)  e, considerato il chiaro tenore  letterale  della
norma transitoria, ha ritenuto nella fase  piu'  recente  di  doversi
conformare  alla  volonta'  del  Legislatore  e  applicare  la  nuova
disciplina a tutti i procedimenti arbitrali promossi mediante domanda
d'arbitrato  dopo  il  2006,  indipendentemente   dal   tempo   della
sottoscrizione   della   clausola   arbitrale.   Tale    orientamento
maggioritario, che ha  trovato  conferma  in  numerose  sentenze,  ha
proposto   un'interpretazione   costituzionalmente   orientata    del
combinato disposto di cui agli  articoli  27,  comma  4  del  decreto
legislativo n. 40/2006 e 829, comma 3 codice di procedura civile. 
    4.2.2. Nella sentenza n. 2377 del 2015 della Corte  d'appello  di
Milano,  l'applicazione  del   nuovo   regime   e'   stata   motivata
considerando l'impossibilita' di interpretazioni alternative  (stante
l'evidenza del tenore letterale  della  norma)  e  la  necessita'  di
garantire il rispetto del  principio  processuale  del  tempus  regit
processum, secondo il quale il processo civile e' regolato nella  sua
interezza dal  rito  vigente  al  momento  della  proposizione  della
domanda.   Piu'   specificamente,   si   e'    fatto    notare    che
un'interpretazione  contraria,  come  quella  che   verra'   proposta
successivamente dalle Sezioni unite (di cui fra breve si  dira'),  ha
una valenza sostanzialmente abrogativa della norma  transitoria  (che
se non regola i casi in cui la clausola compromissoria e' pre2006 non
regola nulla), col  risultato  finale  di  un'interpretazione  contra
legem. 
    4.2.3. A cio' si  aggiunga  che  la  soluzione  interpretativa  a
favore dell'applicabilita'  del  nuovo  regime  tutela  l'affidamento
delle parti su un dato assetto processuale «le cui regole rispondono,
di tempo in tempo, a superiori interessi pubblici e il cui  mutamento
non contrasta con il principio di uguaglianza»:  ne'  in  alcun  modo
appare fondata la tesi per cui, in  siffatte  circostanze,  le  parti
sarebbero costrette a  subire  un  mutamento  della  disciplina,  ben
potendo le stesse mutare il  contenuto  della  clausola  e  prevedere
espressamente l'impugnabilita' del lodo per violazione  delle  regole
di diritto  (Corte  d'appello  di  Milano,  sezione  I,  sentenza  n.
2377/2015). 
    4.2.4. In tal modo, la Corte d'appello di Milano  ha  assunto  un
orientamento sostanzialmente unanime e  ha  rigettato  l'impugnazione
dei lodi arbitrali promossi  in  virtu'  di  clausole  compromissorie
stipulate ante riforma e il cui contenuto non fosse stato  modificato
a fronte del nuovo regime. (2) 
    4.2.5. In altra sentenza la Corte d'appello  di  Milano  ha  cosi
motivato la legittimita' della norma transitoria: «a) il  legislatore
si e' conformato puntualmente al  principio  codificato  in  generale
dall'art.  5  codice  procedura  civile  ovvero  del   tempus   regit
processum;  b)  nessun  vulnus  viene   inferto   al   principio   di
uguaglianza, vero essendo che tutte le parti del  processo  arbitrale
sono poste nella medesima condizione; la intervenuta esclusione della
impugnabilita' del  lodo  per  violazione  delle  regole  di  diritto
riguarda sia l'impugnante sia la parte resistente, in  un  regime  di
perfetta parita'; [...] e) il novellato art. 829 codice di  procedura
civile  se  raffrontato  col  testo  previgente,  non   sembra   aver
determinato alcun rilevante deficit di  tutela  del  cittadino  [...]
apparendo la nuova disciplina, conformemente alla delega parlamentare
ricevuta,   volta   a   razionalizzare   l'istituto   dell'arbitrato,
rafforzando ulteriormente l'autonomia  delle  parti  ed  evitando  il
protrarsi di tutte le zone d'ombra interpretative; g) il  "potere  di
veto" che parrebbe per tale via introdotto compete a  ciascuna  parte
alla stessa stregua cosicche', essendo le stesse in una posizione  di
reciproca e paritaria autonomia, non si verifica alcuna "imposizione"
unilaterale e autoritativa; [...] i)  appare  del  tutto  ragionevole
l'intento del legislatore  di  evitare  che,  proprio  attraverso  il
sistema delle impugnative per nullita' dei lodi arbitrali,  si  possa
incrementare quel contenziosa che l'arbitrato avrebbe dovuto, invece,
contribuire a  ridurre;  k)  non  puo'  dirsi  violato  l'affidamento
riposto dai cittadini nella certezza dell'ordinamento giuridico, vero
essendo che non si e' in presenza di un caso di  legge  "retroattiva"
quanto piuttosto di legge ad applicazione immediata» (Corte d'appello
di Milano, n. 1943/2012). 
    4.2.6. La Corte d'appello  di  Venezia,  aderendo  alla  medesima
soluzione interpretativa, ha ritenuto che «la disciplina  transitoria
e' univoca nel preferire la legge vigente al tempo del lodo  rispetto
a quella diversa, anteriore,  mentre  non  sono  ravvisabili  ragioni
superiori tali da giustificare una diversa interpretazione Alla norma
cosi' chiaramente  formulata,  tanto  piu'  che  "l'intangibilita"  e
l'immutabilita' di un determinato regime di impugnativa correlato  ad
un dato occasionale, come l'epoca di stipulazione della clausola, non
risulta assistito  da  alcuna  garanzia  costituzionale.  Una  simile
interpretazione e' l'unica idonea ad assicurare il pieno rispetto del
principio del tempus regit actum» (Corte  d'appello  di  Venezia,  30
novembre 2015, n. 2722). 
    4.2.7. Va notato infine che tale soluzione  interpretativa  trova
riscontro in molteplici pronunce della Corte costituzionale,  che  ha
piu'  volte  affermato  che,  lungi  dal  comportare  un'applicazione
retroattiva della  nuova  disciplina,  la  previsione  di  un  regime
transitorio ad hoc assicura  un'applicazione  immediata  della  nuova
disciplina in modo conforme alla norma generale  di  cui  all'art.  5
codice di procedura di civile, come si puo' leggere nell'ordinanza n.
11 del 2003: 
        «il principio dell'affidamento [...] non puo' in  alcun  modo
ritenersi leso dalle norme impugnate in quanto esse,  escludendo  dal
divieto di devoluzione ad arbitri le sole controversie per  le  quali
sia stata gia' notificata  la  domanda  di  arbitrato  alla  data  di
entrata in vigore del decreto-legge 11 giugno 1998,  n.  180  (Misure
urgenti per la prevenzione del  rischio  idrogeologico  ed  a  favore
delle zone colpite da disastri franosi nella Regione  Campania),  non
attribuiscono al suddetto divieto alcuna efficacia  retroattiva,  ma,
al  contrario,  fanno  puntuale  applicazione  della  norma  generale
enunciata dall'art. 5 del codice di procedura civile,  a  tenore  del
quale "la giurisdizione e la competenza si determinano  con  riguardo
alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al  momento  della
proposizione della domanda"». 
5. Le pronunce 2016 delle Sezioni unite come fatto nuovo. 
    A fronte di un contrasto  giurisprudenziale  che  interessava  la
stessa Corte di cassazione, la Prima Sezione della suprema  Corte  ha
investito le Sezioni unite  al  fine  di  superare  l'incertezza  sui
possibili motivi di impugnazione (Cass, Civ.  Sez.  I,  ordinanza  n.
25039 e 25562 del 2015). 
5.1. Le tre sentenze Sezioni unite del 2016 e la loro ispirazione. 
    5.1.1. Con tre sentenze gemelle (nn. 9341,  9284  e  9285  del  9
maggio  2016)  le  Sezioni  unite   hanno   composto   il   contrasto
sull'applicazione temporale del mutato regime di  impugnabilita'  del
lodo per errori di diritto, riconoscendo  l'impugnabilita'  del  lodo
per errori di diritto quando l'arbitrato, pur reso dopo l'entrata  in
vigore della novella del 2006, origini da una  convenzione  anteriore
al 2006, che nulla  dica  sull'impugnabilita'  per  violazione  delle
regole di diritto relative al merito della controversia. 
    5.1.2. Le Sezioni unite, pur prendendo  atto  dell'inequivocabile
tenore  letterale  della  norma  transitoria,  ritengono   di   poter
escludere l'applicabilita' del riformato art. 829 comma 3  codice  di
procedura civile ai giudizi  arbitrali  promossi  dopo  il  2006,  ma
azionati in forza  di  clausole  compromissorie  stipulate  in  tempo
antecedente la Riforma. 
    5.1.3. La soluzione data dalle Sezioni  unite  e'  incentrata  su
un'interpretazione  letterale  dell'art.  829,  comma  3,  codice  di
procedura civile e, in particolare,  sul  concetto  di  «legge»,  che
dispone  espressamente  l'impugnazione  per  violazione  del  diritto
sostanziale (testualmente l'art. 829  comma  3  codice  di  procedura
civile cosi' recita: «l'impugnazione per violazione delle  regole  di
diritto  relative  al  merito  della  controversia  e'   ammessa   se
espressamente disposta dalle parti o dalla legge»). Le Sezioni  unite
s'interrogano, infatti su quale sia la «legge» cui fa riferimento  il
testo  riformato,  ai   sensi   della   quale   sarebbe   ammissibile
l'impugnazione per violazione  di  norme  di  diritto  sostanziale  e
giungono alla conclusione che tale legge deve  essere  caratterizzata
dai seguenti requisiti (pagg. 8-9 delle sentenze delle Sezioni unite,
poc'anzi indicate): 
    deve essere una disposizione di legge diversa dal nuovo art. 829,
comma 3 codice di procedura civile; 
    deve essere una legge che disciplini la convenzione di arbitrato,
in cui sono stabiliti i limiti dell'impugnabilita' del lodo; 
    deve essere una legge vigente  al  momento  della  stipula  della
convenzione di arbitrato, perche' «solo  la  legge  vigente  in  quel
momento [...] puo' ascrivere al silenzio delle parti  un  significato
normativamente predeterminato». 
    5.1.4. Orbene, ad avviso delle Sezioni unite,  la  legge  cui  fa
riferimento l'art. 829 comma 3 codice di procedura civile.  idonea  a
escludere  limiti  d'impugnabilita'  del  lodo,  e',  esclusivamente,
quella  vigente  al  momento  della  stipulazione  della  convenzione
d'arbitrato. Solo una simile soluzione consentirebbe di attribuire al
silenzio delle parti, comportamento di per se' neutro, il significato
voluto dai contraenti. In altri termini, la neutralita' del  silenzio
obbliga l'interprete a tener conto del contesto normativo in  cui  lo
stesso  si  sia  formato,  in  quanto,  solo  un   simile   approccio
interpretativo, consente di attribuire al  silenzio  un  «significato
normativamente predeterminato» (pag. 9 sentenze Corte di cassazione a
Sezioni unite) rispettoso della volonta' delle parti contraenti. 
    5.1.5. Conformemente alla tesi  sostenuta  dalle  Sezioni  unite,
ammettere l'applicazione del riformato art. 829  comma  3  codice  di
procedura civile, anche alle convenzioni sottoscritte prima della sua
entrata in vigore, significherebbe modificare la portata del silenzio
tenuto dalle parti nella stipulazione della convenzione,  attribuendo
a esso un significato diverso rispetto a quello conosciuto  e  voluto
dalle parti. Pertanto, il significato del  silenzio  delle  parti  al
momento della  stipulazione  della  clausola  arbitrale  deve  essere
stabilito sulla base della legge vigente al momento in  cui  essa  e'
avvenuta, a nulla rilevando la modifica sopravvenuta della disciplina
in materia di arbitrato. 
    5.1.6. Ne' tantomeno, proseguono le Sezioni unite,  e'  in  alcun
modo meritevole di accoglimento la  tesi  in  forza  della  quale  le
parti, consapevoli del sopravvenuto  mutamente  legislativo,  possono
rinnovare la convenzione, prevedendo  la  libera  impugnabilita'  del
lodo per violazione delle regole di diritto relative al merito  della
controversia.   Si   tratterebbe   di   una   soluzione    pressoche'
irrealizzabile,  «perche'  la  conclusione  della  nuova  convenzione
richiederebbe il consenso di tutti gli stipulanti,  anche  di  quelli
eventualmente interessati  al  mantenimento  del  vincolo  precedente
(pag. 10 delle sentenze della Corte di cassazione a Sezioni unite). 
    5.1.7. In definitiva, nell'interpretazione delle Sezioni unite il
regime normativo cui far riferimento per  l'impugnabilita'  del  lodo
nel caso di errores in judicando, derivante da un giudizio  arbitrale
disciplinato da una convenzione d'arbitrato antecedente  al  2  marzo
2006, e' quello previsto dal vecchio art.  829,  comma  2  codice  di
procedura  civile.  Sulla  base   di   queste   argomentazioni   (qui
succintamente riportate), la Corte ha accolto il ricorso e  formulato
il seguente principio di diritto: 
        «in  applicazione  della   disciplina   transitoria   dettata
dall'art. 27 decreto legislativo n. 40 del 2006, l'art. 829, comma  3
codice di procedura civile, come  riformulato  dall'art.  24  decreto
legislativo n. 40 del 2006, si applica nei giudizi arbitrali promossi
dopo l'entrata in vigore del suddetto decreto, ma  la  legge  cui  lo
stesso art. 829, comma 3  codice  di  procedura  civile  rinvia,  per
stabilire se e' permessa l'impugnazione per violazione  delle  regole
di diritto relative al merito della controversia e' quella vigente al
momento della stipulazione della convenzione d'arbitrato». 
    5.1.8. Dunque, se la  convenzione  e'  anteriore  all'entrata  in
vigore del decreto legislativo n. 40/2006, e  le  parti  nulla  hanno
previsto in essa, il lodo sara' impugnabile per violazione di  regole
di diritto sostanziale relative al merito della  controversia,  anche
nel caso in cui il procedimento sia instaurato dopo il 2 marzo 2006. 
5.2. Il valore giuridico delle  pronunce  a  Sezioni  unite  dopo  la
riforma  dell'art.  374  codice  di  procedura  civile  e   la   loro
vincolativita'. 
    5.2.1. Posto il contenuto delle decisioni delle Sezioni  unite  e
considerato l'orientamento opposto consolidatosi presso questa  Corte
d'appello, ci si deve porre il problema di  quale  sia  il  grado  di
vincolativita' che oggi ha una pronuncia della Corte di cassazione  a
Sezioni unite (quali sono le decisioni in questione) per  un  giudice
di merito, quale questa Corte e'. 
    5.2.3. La riforma del comma 3 dell'art. 374 codice  di  procedura
civile (introdotta dal decreto legislativo n. 40/2006 - lo stesso che
ha modificato anche l'art. 829 codice di procedura civile - ma  senza
alcuna connessione) ha ridefinito il rapporto tra le Sezioni semplici
e le Sezioni unite della suprema Corte, rafforzando  notevolmente  la
funzione  di  garanzia  che   queste   ultime   hanno   sull'uniforme
interpretazione della legge. Invero, in un'ottica  di  valorizzazione
della funzione nomofilattica della Corte di cassazione, la novella ha
introdotto il nuovo principio giuridico della vincolativita', per  le
Sezioni semplici, del decisum delle Sezioni unite, stabilendo che «se
la Sezione Semplice  ritiene  di  non  condividere  il  principio  di
diritto enunciato dalle Sezioni unite, rimette a queste  ultime,  con
ordinanza motivata, la decisione del ricorso». Quindi,  mentre  nella
disciplina previgente le Sezioni semplici  potevano  pronunciarsi  in
modo difforme in ordine ad  una  quaestio  iuris  gia'  decisa  dalle
Sezioni unite, oggi una Sezione semplice non puo'  decidere  in  modo
difforme  dalle  Sezioni  unite   e,   qualora   non   ne   condivida
l'orientamento, e' tenuta a reinvestire queste ultime  con  ordinanza
motivata.  La  Novella  ha  il  chiaro  obiettivo   di   ridurre   le
oscillazioni che, talvolta, si riscontrano fra le diverse sentenze  e
di favorire  il  dispiegamento  della  funzione  nomofilattica  della
Corte. 
    5.2.4. Il nuovo assetto introdotto dal legislatore in  seno  alla
Cassazione ha effetti  sull'intero  sistema  giudiziario  e,  quindi,
anche sui giudici di merito, che  sanno  in  anticipo  che  una  loro
eventuale decisione in difformita' dalle  Sezioni  unite  non  potra'
essere accolta se non dopo aver subito vaglio di una Sezione semplice
che intenda risollecitare le Sezioni unite. Si tratta, invero, di una
norma che, posta a presidio della funzione nomofilattica della  Corte
di cassazione, introduce una vera e propria  «procedimentalizzazione»
della  nomofilachia  stessa,  che  non  necessariamente  comporta  un
irrigidimento del sistema. Tale norma non opera anche  nei  confronti
del giudice di merito, il quale, formalmente, non e' costretto a  uni
formarsi al principio di diritto enunciato dalle  Sezioni  unite.  E'
anche vero, tuttavia, che una  sua  pronuncia  difforme  rispetto  al
principio enunciato dalle Sezioni unite della  Corte  cassazione  non
potrebbe  essere  accolta  direttamente  da  una  Sezione   semplice.
Comporterebbe invece due diversi possibili esiti: 
    a. la Sezione semplice,  condividendo  il  principio  di  diritto
enunciato dalle Sezioni unite, respinge la  soluzione  interpretativa
proposta dal giudice  di  merito,  cassando  la  sentenza  da  questi
emessa. 
    b. la Sezione semplice, ritenendo vi siano  nuove  argomentazioni
in grado di mettere in discussione la fondatezza  e  la  razionalita'
della soluzione interpretativa adottata da una  decisione  a  Sezioni
unite, puo' sollecitare nuovamente le Sezioni  unite.  Questo  metodo
procedurale consente il raggiungimento di una  piena  intesa  tra  le
Corti  finalizzata  a  ottenere  la  massima  garanzia  dei   diritti
fondamentali. 
5.3. Le pronunce a Sezioni unite  come  diritto  vivente  secondo  la
giurisprudenza della Corte costituzionale. 
    5.3.1.  Oltre  a  prestare   la   massima   considerazione   alla
vincolativita' che intrinsecamente portano le decisioni delle Sezioni
unite nei termini appena esposti, questa Corte e' altrettanto attenta
a non trascurare il rilievo che la Corte  costituzionale  attribuisce
al «diritto vivente», nell'esplicazione del proprio potere-dovere  di
procedere alla ricognizione  degli  indirizzi  espressi  dal  giudice
della nomofilachia. 
    5.3.2. Per la Corte costituzionale sono molteplici e  diverse  le
condizioni  affinche'  un  enunciato  interpretativo   possa   essere
considerato  idoneo  a   rappresentare   un   consolidato   indirizzo
giurisprudenziale, tale da poterlo ritenere espressivo di un «diritto
vivente». Sono stati ritenuti indici  di  «diritto  vivente»  (a)  il
carattere  di  stabilita'  di  un  dato  indirizzo  della  Corte   di
cassazione; (b) il carattere di costanza e ripetizione;  (c)  o,  per
quanto concerne il profilo quantitativo,  quando  le  pronunce  della
Corte di cassazione, che hanno accolto una data interpretazione, sono
numerose e distribuite nell'arco di un  lungo  periodo,  valorizzando
«il numero elevato, la  sostanziale  identita'  di  contenuto  [delle
medesime]  e  la  funzione   nomofilattica   dell'organo   decidente»
(Sentenza 14 marzo 2008. n. 64). 
    5.3.3. Non sembrano esservi incertezze nel  ritenere  l'esistenza
di un «diritto vivente» in presenza di pronunce delle Sezioni  unite.
A  questo  scopo  e'  stata  giudicata  sufficiente  anche  una  sola
decisione delle  Sezioni  unite,  sopravvenuta  «in  presenza  di  un
orientamento non univoco», enfatizzando  che  con  esso  «le  Sezioni
unite civili della Corte di cassazione hanno ritenuto. nell'esercizio
della propria funzione nomofilattica, di cui questa Corte deve tenere
conto,  di  superare  [...]  il  contrasto»,  costituendo   «siffatta
interpretazione [...] diritto vivente, del quale si deve accertare la
compatibilita' con i parametri costituzionali»  (in  questi  termini,
Corte costituzionale 22 dicembre 2011, n. 338). 
    5.3.4. In una  sentenza  del  1997  la  Corte  costituzionale  ha
affrontato esplicitamente la situazione in cui viene  a  trovarsi  il
giudice di merito di fronte al diritto vivente: «Pur essendo indubbio
che nel vigente sistema non sussiste un obbligo  per  il  giudice  di
merito di conformarsi agli orientamenti  della  Corte  di  cassazione
(salvo che nel giudizio di rinvio), e' altrettanto  vero  che  quando
questi orientamenti sono stabilmente consolidati nella giurisprudenza
- al punto da acquisire i connotati del "diritto vivente"  -  e'  ben
possibile che la norma, come interpretata dalla Corte di legittimita'
e  dai  giudici  di  merito,  venga   sottoposta   a   scrutinio   di
costituzionalita'. poiche' la norma vive  ormai  nell'ordinamento  in
modo cosi' radicato che e' difficilmente  ipotizzabile  una  modifica
del sistema senza l'intervento del legislatore o di questa Corte.  In
altre parole, in presenza di un diritto  vivente  non  condiviso  dal
giudice a quo perche' ritenuto costituzionalmente illegittimo, questi
ha la facolta' di optare tra l'adozione, sempre  consentita,  di  una
diversa interpretazione [ma, si badi bene la pronuncia e'  precedente
alla modifica dell'art. 374 codice di procedura civile, ndr],  oppure
- adeguandosi al diritto vivente - la  proposizione  della  questione
davanti a questa Corte (Corte costituzionale n. 350/1997). 
    5.3.5. Va inoltre, e sotto diverso profilo, rilevato che, con  il
riconoscimento del  «diritto  vivente»  la  Corte  costituzionale  ha
ritenuto di porre limite alla sua stessa  potesta'  reinterpretativa,
astenendosi   dal   fornire   una   propria   interpretazione   della
disposizione   censurata,   qualora    una    stabile    elaborazione
giurisprudenziale abbia  identificato  ed  enunciato  il  significato
normativo  da  attribuirle.  (3)  In  definitiva,  in   presenza   di
un'interpretazione stabilizzata e  consolidata  fornita  dal  giudice
della nomofilachia, la Corte puo' e deve esclusivamente procedere  ad
«accertar[ne]  la  compatibilita'  con  i  parametri   costituzionali
evocati»  dal  rimettente  (sentenza  338/2011).   Questa   soluzione
risponde a un'esigenza di rispetto del ruolo dei giudici comuni  -  e
segnatamente all'organo giudiziario  depositario  della  funzione  di
nomofilachia - nell'attivita' interpretativa. La Corte costituzionale
ha, in plurime occasioni, ritenuto che «in presenza di  un  indirizzo
giurisprudenziale costante o, comunque, ampiamente condiviso - specie
se consacrato in una decisione delle Sezioni  unite  della  Corte  di
cassazione - la Corte costituzionale assume la disposizione censurata
nel significato in  cui  essa  attualmente  «vive»  nell'applicazione
giudiziale» (Corte costituzionale, sentenza 12 ottobre 2012, n.  230;
in senso con forme ordinanza del 30 luglio 1997, n. 297). 
    5.3.6. Sul problema sul quale questa Corte d'appello e'  chiamata
a decidere, la Corte di cassazione si e' espressa per ben tre volte a
Sezioni unite componendo quel contrasto  interpretativo  che  si  era
verificato  nella  giurisprudenza  di  legittimita'  (e  di   merito)
sull'applicazione temporale del mutato  regime  d'impugnabilita'  del
lodo per errori di  diritto.  Questa  interpretazione  delle  Sezioni
unite sembra  avere  i  requisiti  per  essere  qualificata  «diritto
vivente» nei termini sopra esposti e, quindi, puo' essere  sottoposta
al vaglio  della  Corte  costituzionale,  perche'  sia  eventualmente
dichiarata  incostituzionale  la  disposizione  nella  sua   costante
interpretazione giurisprudenziale. 
6. L'alternativa che si offre alla Corte d'appello dopo  le  pronunce
delle Sezioni unite. 
    Definito il quadro legislativo e  giurisprudenziale  come  sopra,
questa  Corte  si  trova  di  fronte   all'alternativa   se   seguire
l'orientamento delle  Sezioni  unite,  ma  violare  la  Costituzione,
oppure seguire la propria giurisprudenza basata su un'interpretazione
costituzionalmente orientata, ma decidere  in  senso  contrario  alle
Sezioni unite. Qui di seguito vengono illustrati i  termini  di  tale
alternativa. 
6.1. Seguire le Sezioni, ma violare la Costituzione. 
    I motivi in base  ai  quali  seguire  l'interpretazione  proposta
dalle Sezioni unite comporterebbe una violazione  della  Costituzione
vengono  esposti  nel   paragrafo   relativo   alla   non   manifesta
infondatezza  (7.2.  Non  manifesta  infondatezza  e  norme  violate:
articoli 3 e 41 della Costituzione) al quale si rinvia. 
6.2. Seguire la propria giurisprudenza conforme alla Costituzione, ma
contraria alle Sezioni unite. 
    6.2.1. Vi e' certo la possibilita'  materiale  che  questa  Corte
disattenda  le  Sezioni  unite  e  continui  a  decidere  nel   senso
dell'immediata  applicabilita'  delle  nuove  norme,  secondo  quanto
prescritto  dalla  norma   transitoria   ad   hoc   (per   i   motivi
sinteticamente  riportati  nel  par.  4.2.).  Tuttavia  questa  Corte
ritiene che una tale strada non sia in realta'  percorribile,  per  i
seguenti motivi: 
    in primo luogo, vi sono motivi di correttezza  istituzionale  che
sconsigliano di ignorare tali autorevoli pronunce: le sentenze  delle
Sezioni unite devono  essere  tenute  nella  massima  considerazione,
altrimenti ne sarebbe lesa la credibilita' complessiva  del  sistema,
Corte di cassazione e giudici di merito compresi; 
    in secondo luogo, vi e' l'ostacolo  giuridico  del  nuovo  regime
dell'art. 374 codice di procedura  civile  e  dei  suoi  effetti  sul
sistema nel suo complesso (vedi sopra par. 5.2); 
    in terzo luogo, le sentenze Sezioni unite di cui  sopra  hanno  i
requisiti per essere qualificate «diritto  vivente»,  come  tale  non
suscettibile di diversa interpretazione, fatto salvo il sindacato  di
costituzionalita' (vedi sopra par. 5.3.). 
    6.2.2. Ed e' per questi motivi che, con  la  presente  ordinanza,
viene sollevata la questione di costituzionalita',  nei  termini  che
vengono precisati qui di seguito. 
7.  Esistenza  dei  presupposti  per   la   rimessione   alla   Corte
costituzionale. 
    La norma  che  questa  Corte  sospetta  d'incostituzionalita'  e'
quella di cui al  combinato  disposto  dei  seguenti  articoli,  come
interpretati dal «diritto vivente» costituito  dalle  sentenze  della
Corte di cassazione, Sezioni unite, e in particolare: 
    Art. 829, comma 3, codice di  procedura  civile:  «L'impugnazione
per violazione delle regole  di  diritto  relative  al  merito  della
controversia e' ammessa se espressamente disposta dalle parti o dalla
legge»; 
    Norma transitoria di cui al comma  4  dell'art.  27  del  decreto
legislativo n. 40/2006: «4. Le disposizioni degli  articoli  21,  22,
23, 24 e 25 si applicano ai  procedimenti  arbitrali,  nei  quali  la
domanda di arbitrato e' stata proposta successivamente alla  data  di
entrata in vigore del presente decreto»; 
    entrambe come  interpretate  dal  «diritto  vivente»,  costituito
dalle sentenze della Corte di cassazione, Sezioni  unite,  nn.  9341,
9284 e 9285 del 9 maggio 2016. 
7.1. Rilevanza. 
    7.1.1. E' evidente,  nel  caso  di  specie,  la  rilevanza  della
questione ai fini del decidere, dato che il sindacato di  merito  che
spetta alla Corte d'appello, perche' venga valutata la  fondatezza  o
meno delle domande di parte impugnante, non  puo'  prescindere  dalla
preliminare valutazione sull'ammissibilita' o meno dell'impugnazione. 
    7.1.2.  Difatti,  nel   caso   in   cui   si   dovesse   ritenere
immediatamente applicabile il nuovo regime, cosi' come stabilito  dal
novellato art. 829 comma 3 codice di procedura civile, l'impugnazione
del  lodo  arbitrale  proposta  da  Ferri  sarebbe  da   considerarsi
inammissibile, poiche'  non  prevista  espressamente  dalla  clausola
compromissoria, la quale, letteralmente, cosi' dispone: «Il  presente
contratto normativo, come pure tutti i contratti specifici  posti  in
essere in sua applicazione, sono retti  dalla  legge  italiana,  Ogni
disputa, contestazione o controversia  fra  le  parti  derivante  dal
presente contratto normativo o da ciascun contratto specifico, oppure
ai medesimi inerente, verra' deferita a un collegio di tre arbitri il
quale giudichera' in via rituale, procedendo ai sensi degli  articoli
816 e ss. codice di procedura civile. La parte che intende promuovere
il giudizio arbitrale dovra'  comunicarlo  all'altra  parte  mediante
lettera raccomandata  contenente  l'oggetto  della  controversia,  le
proprie richieste, l'invito alla  procedura  e  la  designazione  del
proprio arbitro. Qualora l'altra  parte,  entro  venti  giorni  dalla
ricezione della predetta comunicazione, non  proceda  con  le  stesse
formalita' alla designazione  del  proprio  arbitro  oppure  qualora,
entro venti giorni dalla designazione  del  secondo  arbitro,  i  due
arbitri designati non avessero scelto il terzo arbitro,  alla  nomina
dell'arbitro o degli arbitri non  designati  procedera',  su  istanza
della parte interessata, il Presidente del Tribunale  di  Milano.  In
ogni caso, il collegio arbitrale giudichera' con sede in Milano anche
in merito all'entita' e all'accollo delle spese di giudizio,  nonche'
alla fissazione dell'ammontare dei danni conseguenti alla  violazione
del contratto.» 
    7.1.2. Diversamente, nel caso in  cui  si  dovesse  applicare  il
diritto vivente come scaturente dalle sentenze  delle  Sezioni  unite
del maggio 2016, la  Corte  d'appello,  essendo  stata  stipulata  la
clausola compromissoria in un momento antecedente l'entrata in vigore
del decreto legislativo n. 40/2006,  dovrebbe  rigettare  l'eccezione
d'inammissibilita' proposta da Unicredit S.p.a. e procedere all'esame
dell'impugnazione per violazione di  norme  di  diritto  relative  al
merito della controversia. 
    7.1.3.  Non  sono  ravvisabili  vie  diverse  e  tutte  dipendono
dall'interpretazione  della  norma  transitoria  sopra  citata.   Per
completezza si fa notare che la rilevanza della questione nel caso di
specie  e  concreta  ed  effettiva,  e  non  «meramente  ipotetica  e
virtuale» (Corte costituzionale sentenza n. 281/2013), e presenta  un
carattere di pregiudizialita' rispetto all'esame delle  questioni  di
nullita' del lodo. 
7.2. Non manifesta infondatezza e norme  violate:  articoli  3  e  41
della Costituzione. 
    La non manifesta infondatezza si  fonda  sui  seguenti  punti  di
contrasto tra la norma oggetto della presente rimessione e  le  norme
costituzionali: 
        7.2.1. Art. 3 - Violazione del  principio  d'uguaglianza.  La
norma che scaturisce dall'intervento delle  Sezioni  unite  viola  il
principio d'uguaglianza di cui all'art.  3  Costituzione,  in  quanto
comporta una disparita' di trattamento tra situazioni sostanzialmente
analoghe che il legislatore del 2006 ha,  invece,  volutamente  posto
sullo stesso piano: la situazione di tutti coloro i quali  promuovono
un arbitrato dopo il 2006.  In  tal  modo,  la  Corte  di  cassazione
applica  due  regimi  normativi  diversi   a   situazioni   analoghe,
determinando  un'irragionevole  disparita',  in  termini   di   norme
processuali applicabili, tra coloro i quali hanno proposto la domanda
di arbitrato dopo  il  2006,  per  il  solo  fatto  che  la  clausola
compromissoria era stata stipulata in  momenti  diversi,  Una  simile
soluzione interpretativa si pone, tra l'altro, in  contrasto  con  un
consolidato orientamento della Corte  costituzionale,  la  quale,  in
plurime occasioni, ha sottolineato che «fluire del tempo -  il  quale
costituisce di per se' un elemento diversificatore  che  consente  di
trattare in modo  differenziato  le  stesse  categorie  di  soggetti,
atteso che la demarcazione temporale consegue come  effetto  naturale
alla generalita' delle leggi - non comporta, di per se', una  lesione
del principio di parita' di trattamento [e pertanto, ndr] lo scorrere
del tempo e la collocazione  in  esso  dei  fatti  giuridici  possono
legittimare una diversa modulazione dei rapporti che ne scaturiscono»
(Corte  costituzionale  ordinanza  n.   77/2008:   conformemente   si
segnalano: sentenza n. 409/1998. sentenza n.  342/2006,  sentenza  n.
94/2009, sentenza n. 376/2001, ordinanza n.  401/2008,  ordinanza  n.
224/2011). In conclusione, il fluire del tempo e, di conseguenza, uno
ius superveniens volto a incidere direttamente su rapporti  giuridici
preesistenti  non  contrastano,  di  per  se',   col   principio   di
uguaglianza (4) . 
    7.2.2. Violazione dell'art. 3 della Costituzione, in relazione al
principio del tempus regit processum. 
    La norma che scaturisce dall'intervento delle Sezioni unite viola
il principio tempus regit processum e il  principio  di  uguaglianza,
poiche' pone in comparazione entita' di natura giuridica diversa,  la
clausola   compromissoria   (di   natura   sostanziale)   e    l'atto
d'impugnazione del lodo (atto processuale). 
    Non pare condivisibile la tesi secondo  la  quale  l'applicazione
del nuovo regime anche  ai  procedimenti  arbitrali  fondati  su  una
clausola compromissoria stipulata prima del  2006  comporterebbe  una
violazione  del  principio  del  tempus  regit  actum.   Una   simile
argomentazione non tiene conto di quella che e' la natura della nuova
disciplina introdotta. Si tratta, invero, di una  normativa  volta  a
incidere, esclusivamente, sul piano processuale.  sul  momento  della
proposizione dell'impugnazione del  lodo  arbitrale.  E'  necessario.
infatti, che i termini della comparazione, ai fini della  valutazione
alla luce dell'art.  3  Cost.,  siano  omogenei.  Non  puo'  pertanto
effettuarsi una commistione tra due dimensioni giuridiche diverse  e,
per tale ragione, sottoposte a regimi  normativi  differenti:  da  un
lato, la clausola compromissoria e' un negozio  autonomo,  di  natura
normativa  e  sostanziale;  dall'altro,  l'impugnazione  di  un  lodo
arbitrale e', a tutti gli effetti, un atto di natura  processuale  e,
di  conseguenza,   sottoposto   alla   legge   vigente   al   momento
dell'impugnazione del lodo. 
    La disciplina del 2006 e' intervenuta  esclusivamente  sul  piano
processuale, non incidendo  in  alcun  modo  sulla  validita'  e  sul
contenuto della clausola compromissoria, che e'  e  resta  totalmente
rimessa nel suo contenuto all'autonomia contrattuale delle parti. 
    Infine, l'applicazione del  regime  del  2006  non  comporta  una
violazione  dell'affidamento  dei  contraenti  in  merito  al  regime
processuale  applicabile.  In  realta',  la   nuova   disciplina   ha
assicurato il pieno rispetto del principio della certezza del diritto
e, di conseguenza, dell'affidamento dei contraenti. Quest'ultimo  non
puo' che venire in rilievo al momento dell'impugnazione del  lodo,  e
non certo quando le parti stipulano la  clausola  compromissoria:  si
tratta, infatti, di un affidamento rispetto a un  rapporto  giuridico
in fieri, i cui contorni verranno definitivamente stabiliti  solo  al
momento della proposizione della domanda  di  arbitrato  o,  rectius,
d'impugnazione del lodo. 
    7.2.3. Art. 41 Cost.: la  norma  che  scaturisce  dall'intervento
delle Sezioni unite e'  in  contrasto  con  l'autonomia  contrattuale
delle parti e con l'art. 41 Costituzione. 
    La norma che scaturisce dall'intervento delle Sezioni unite viola
il principio dell'autonomia privata e della liberta' contrattuale dei
contraenti di cui all'art. 41 Costituzione. 
    Secondo la Sezioni unite n. 9585/2016 la nuova  normativa  limita
considerevolmente l'autonomia contrattuale delle  parti  e  viola  la
volonta'  contrattuale  «ascrivendo  al  silenzio  delle   parti   un
significato convenzionale che le vincoli per  il  futuro  in  termini
diversi da quelli definiti  dalla  legge  vigente  al  momento  della
conclusione del contratto» (Cass. S.U.  n.  9585/2016).  In  realta',
come meglio si dira', e' proprio la non  applicazione  immediata  del
nuovo regime a limitare  considerevolmente  l'autonomia  delle  parti
fondata sull'art. 41 Costituzione. 
    La norma che scaturisce dall'intervento delle Sezioni unite e' in
contrasto con la logica del legislatore del 2006 e la  natura  stessa
dell'istituto dell'arbitrato, il quale si caratterizza per essere uno
strumento di risoluzione alternativa delle controversie,  fondato  su
un  atto  negoziale,   espressione   della   piu'   ampia   autonomia
contrattuale. Con la  Riforma  del  2006,  e'  stato  ridotto  (salvo
diversa volonta') il novero delle possibili  censure  formulabili  al
lodo e, cosi', si e' valorizzato il ruolo degli  arbitri  all'interno
dell'ordinamento, assimilando sempre piu',  di  fatto,  la  decisione
arbitrale a una pronuncia dell'autorita'  giudiziaria  ordinaria.  Di
conseguenza, il nuovo regime e  la  disciplina  transitoria  in  esso
contenuta, diversamente da quanto ritenuto dalle Sezioni unite, hanno
comportato una considerevole valorizzazione del ruolo  dell'autonomia
contrattuale, dando ai contraenti la possibilita'  di  modificare  il
contenuto della clausola compromissoria e prevedere espressamente  un
regime d'impugnazione ad hoc. 
    Ne' valgono, a tal proposito, le argomentazioni secondo le  quali
il mutamento della disciplina comporta un disequilibrio di poteri tra
le parti nel caso in cui uno solo dei contraenti volesse  rinegoziare
il contenuto della clausola in prospettiva di una futura  vertenza  e
l'altro vi si opponga. In realta', una simile  circostanza  (peraltro
del tutto astratta. perche' prima  della  controversia  e  del  lodo,
nessuno puo' sapere se puo' essere conveniente un regime  processuale
di maggiore o minore ampiezza della possibile impugnazione) altro non
e' che una manifestazione dell'autonomia contrattuale, che il  nostro
ordinamento riconosce alle parti, nella  sua  pienezza  e  totalita',
nella fase di determinazione del contenuto del contratto. 
    Una  simile  situazione  d'incertezza   tra   i   contraenti   e'
coessenziale alla natura stessa della clausola compromissoria che, in
quanto negozio normativo, detta una disciplina pro futuro,  potendosi
attivare solo ed esclusivamente col sorgere di possibili vertenze tra
le parti. Pertanto, stante l'impossibilita' di sapere in anticipo  se
un lodo sara' impugnato o meno, va da se' che,  essendo  la  clausola
finalizzata a incidere su rapporti  giuridici  futuri,  i  contraenti
siano esposti alla  possibile  sopravvenienza  di  una  modifica  del
regime del processo. 
    In  sintesi.  si  puo'  dire  che,  se  si  assume  come  cardine
dell'arbitrato la volonta' delle parti, la modifica  legislativa  del
2006 rende possibili diverse soluzioni tra le quali si  segnalano  le
seguenti: a) le parti rinegoziano la clausola compromissoria;  b)  le
parti non rinegoziano la clausola accettando implicitamente il  nuovo
regime delle impugnazioni  dei  lodi  post  2006;  c)  le  parti  non
rinegoziano la clausola,  ma  si  accordano,  prima  di  attivare  un
arbitrato e con distinta specifica contrattazione, sul fatto che quel
solo lodo possa essere eventualmente impugnato anche  per  violazione
di regole di diritto, immutata  la  clausola  compromissoria  per  le
future eventuali altre controversie. 
    In tutti i casi la liberta' negoziale delle parti era  assicurata
maggiormente dal regime transitorio previsto  dalla  legge  del  2006
piuttosto  che  dalla  norma  che  scaturisce  dall'intervento  delle
Sezioni unite. 
    7.2.4. La norma  che  scaturisce  dall'intervento  delle  Sezioni
unite  e'  in   contrasto   con   l'art.   11   delle   preleggi   e,
conseguentemente, viola la disposizione  di  cui  all'art.  12  delle
preleggi. 
    Sulla base delle argomentazioni sinora svolte e, in  particolare,
considerata la natura sostanziale e non  processuale  della  clausola
arbitrale, non appaiono condivisibili le argomentazioni delle Sezioni
unite in base alle  quali  il  legislatore  avrebbe  illegittimamente
applicato retroattivamente la nuova disciplina. 
    Cosi' come piu' volte  ribadito  in  circostanze  analoghe  dalla
Corte costituzionale, in ipotesi del genere si e' in presenza non  di
una legge retroattiva ma  piuttosto  di  una  legge  ad  applicazione
immediata (vedi sopra par. 4.2). In  definitiva,  la  disciplina  non
incide sulla clausola compromissoria  e,  pertanto,  non  puo'  dirsi
applicata   retroattivamente,   in   quanto   regola   esclusivamente
l'impugnazione di un lodo promosso successivamente alla  sua  entrata
in vigore. 

(1) Si veda la sentenza  n.  3541  del  2014  che  si  e'  conformata
    all'orientamento della suprema Corte di cassazione civile sez. I,
    3 giugno 2014, n. 12379.  

(2) In senso conforme, le sentenze nn. 14/2016, 3061/2015, 1716/2014,
    1943/2012, 946/2012. 

(3) «L'indirizzo  delle  Sezioni   unite   debba   ritenersi   oramai
    consolidato, si da costituire diritto vivente, rispetto al  quale
    non sono piu' proponibili decisioni interpretative».  Qualora  si
    accerti l'esistenza del diritto vivente, «questa Corte non ha  la
    possibilita'  di  proporre  differenti  soluzioni  interpretative
    [...], ma deve limitarsi a stabilire se  lo  stesso  sia  o  meno
    conforme  ai  principi  costituzionali»,  e  «incentrare  le  sue
    valutazioni sulla norma impugnata nell'interpretazione dominante,
    fatta propria dal giudice a quo» non potendo  dunque  fare  altro
    che «procedere  allo  scrutinio  di  legittimita'  costituzionale
    della  norma  censurata,  per  come  interpretata  dal   "diritto
    vivente"»  (Corte  costituzionale  sent.   299/2005;   in   senso
    conforme, Corte costituzionale sentenza n. 266/2006). 

(4) Va segnalato che la Corte costituzionale (ordinanza n.  162/2009)
    ha   ritenuto   che   l'individuazione   di   un    momento    di
    differenziazione  applicativa  della  vecchia   e   della   nuova
    disciplina in materia di arbitrato per contratti pubblici, aventi
    a oggetto la realizzazione di interventi originati  da  calamita'
    naturali. non comporta lesione del principio di uguaglianza. Tale
    pronuncia, pur traendo origine dalla disciplina di tali contratti
    pubblici (avente caratteri speciali). riafferma in definitiva  lo
    stesso principio. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visto l'art. 23 della legge n. 87 del 1953; 
    Ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione  di
legittimita' costituzionale, per contrarieta' agli articoli  3  e  41
della Costituzione, della norma di  cui  al  combinato  disposto  dei
seguenti articoli, come interpretati dal «diritto vivente»: 
    art. 829, comma 3, codice di  procedura  civile:  «L'impugnazione
per violazione delle regole  di  diritto  relative  al  merito  della
controversia e' ammessa se espressamente disposta dalle parti o dalla
legge»; 
    norma transitoria di cui al comma  4  dell'art.  27  del  decreto
legislativo n. 40/2006: «4. Le disposizioni degli  articoli  21,  22,
23, 24 e 25 si applicano ai  procedimenti  arbitrali,  nei  quali  la
domanda di arbitrato e' stata proposta successivamente alla  data  di
entrata in vigore del presente decreto»; 
    entrambe come interpretate dal «diritto vivente» costituito dalle
sentenze della Corte di cassazione, Sezioni unite, numeri 9341,  9284
e 9285 del 9 maggio 2016. 
    Rimette la questione di legittimita'  costituzionale  alla  Corte
costituzionale. 
    Sospende il  presente  giudizio  fino  alla  comunicazione  della
decisione della Corte costituzionale. 
    Dispone  la  trasmissione  di  copia  integrale   del   fascicolo
d'ufficio e della presente ordinanza, in copia autentica, alla  Corte
costituzionale. 
    Dispone che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza  sia
notificata alle parti in  causa,  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, ai presidenti delle due Camere del Parlamento. 
    Cosi' deciso in Milano, nella Camera di consiglio del 30 novembre
2016. 
 
                   Il Presidente est.: Santosuosso