N. 64 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 gennaio 2017

Ordinanza del 3 gennaio 2017 del Tribunale  amministrativo  regionale
per il Lazio  sul  ricorso  proposto  da  Di  Blasi  Antonino  contro
Ministero della giustizia, Consiglio Superiore della  Magistratura  e
Del Boccio Anna . 
 
Impiego   pubblico   -   Previdenza   -   Magistrati   -   Esclusione
  dell'applicabilita' al personale di magistratura  della  disciplina
  di cui al decreto-legge n. 90 del 2014 a tutela  del  conseguimento
  del minimo pensionistico. 
- Decreto-legge  24  giugno  2014,  n.  90  (Misure  urgenti  per  la
  semplificazione e la trasparenza amministrativa e per  l'efficienza
  degli uffici  giudiziari),  convertito,  con  modificazioni,  dalla
  legge 11 agosto 2014, n. 114, art. 1, commi 1, 2, 3 e 5. 
(GU n.19 del 10-5-2017 )
 
         IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO 
                           (Sezione Prima) 
 
    ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 3260 del 2016, proposto da: 
        Antonino  Di  Blasi,  rappresentato  e  difeso  dall'avvocato
Giuseppe Falcone c.f. FLCGPP44L01A887K, con domicilio  eletto  presso
l'avv. Antonio Iorio in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 287; 
    Contro  Ministero  della  giustizia,  in   persona   del   legale
rappresentante pro tempore, Consiglio Superiore  della  Magistratura,
in persona del legale rappresentante  pro  tempore,  rappresentati  e
difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, presso  i  cui
uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
    nei confronti di Anna Del Boccio, non costituita in giudizio; 
    per l'annullamento previa sospensione dell'esecuzione 
        a)  della  delibera  del  CSM  del  22  dicembre  2015  prot.
P23872/2015 che ha disposto il collocamento a riposo  del  ricorrente
dal 1° gennaio 2016 per limite di eta', nonche' 
        b) della nota ministeriale non comunicata ed ivi  presupposta
e richiamata n. 12610/5/FM/pv del 20 novembre 2015; 
        c) del decreto ministeriale 30  dicembre  2015  del  Ministro
della giustizia, comunicato in corso di  registrazione,  giusta  nota
Ministeriale  31  dicembre  2015  prot.  14572/5/FM/pv,  con  cui  si
comunica la parziale revoca del decreto ministeriale 24  aprile  2012
di trattenimento in servizio,  stante  il  collocamento  a  riposo  a
decorrere dal 1° gennaio 2016, disposto con la precitata delibera del
CSM del 22 dicembre 2015; 
        d) della nota  del  Ministero  della  giustizia  in  data  11
gennaio 2016 prot. 101/09/5, con la quale si prende atto  dei  pareri
del Consiglio di Stato - Seconda Sezione, quali resi  nella  Adunanza
del 2 dicembre 2015 e depositato il 3 dicembre 2015 e nella  Adunanza
del 22 dicembre 2015 e depositato il 23 dicembre 2015, e  si  dispone
la sospensione della nota dell'Ufficio V Pensioni prot. n.  8830  del
21 agosto 2015; 
        e) della delibera del CSM 27  gennaio  2016,  comunicata  con
nota 28 gennaio 2016 prot. P1442/2016, con la quale si «delibera  non
luogo a provvedere sull'istanza» del 7  gennaio  2016  con  la  quale
l'odierno ricorrente chiedeva che il CSM  adottasse  i  provvedimenti
necessari al proprio mantenimento in servizio; 
    nonche'  di  ogni  altro  atto   presupposto,   antecedente   e/o
consequenziale a quelli impugnati anche  non  conosciuto  e  tuttavia
rilevante; e 
    per il risarcimento del danno; 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Visti gli atti di costituzione in giudizio  del  Ministero  della
giustizia e del Consiglio Superiore della Magistratura; 
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
difese; 
    Visto l'art. 79, comma 1, cod. proc. amm.; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del  giorno  9  novembre  2016  la
dott.ssa Rosa Perna e uditi per le parti i difensori come specificato
nel verbale; 
 
            Considerato e ritenuto in fatto ed in diritto 
 
    1 - Che con il ricorso in epigrafe, il Dott. Antonino  Di  Blasi,
Consigliere  della  Corte  di  cassazione,  impugna  gli  atti  della
procedura di collocamento a riposo, posti  in  essere  dal  Ministero
della giustizia e dal  Consiglio  Superiore  della  Magistratura  (di
seguito, anche «CSM») in applicazione del decreto-legge  n.  90/2014,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114/14,  per  chiederne
l'annullamento previa sospensione dell'esecuzione. 
    Il ricorrente chiede altresi' il risarcimento  del  danno  subito
per    effetto    dei    provvedimenti    e     dei     comportamenti
dell'Amministrazione. 
    Che il ricorrente espone di essere stato nominato consigliere  di
cassazione all'eta' di 57 anni, ai sensi della legge 5  agosto  1998,
n. 303, giusta delibera  del  CSM  28  ottobre  1999  e  decreto  del
Presidente della Repubblica 27 gennaio 2000, e destinatario, in corso
di  rapporto,  del  provvedimento  2  novembre  2011  del   CSM,   di
trattenimento in servizio, su istanza dell'interessato, fino  al  75°
anno di eta', e cioe' fino al 23 settembre 2017; 
    Che con successivo provvedimento n. 8830 del 21  agosto  2015  il
Ministero  della  giustizia  ha  chiesto  tuttavia  di  acquisire   i
documenti per il suo  collocamento  in  pensione  a  partire  dal  1°
gennaio 2016 e, pertanto, in data 23  settembre  2015,  il  dott.  Di
Blasi ha confermato al CSM la sua volonta'  di  restare  in  servizio
fino al raggiungimento del 75° anno o, comunque, per il  minor  tempo
sufficiente a conseguire il diritto a pensione. 
    Che, ciononostante, il Ministero della giustizia ne  ha  disposto
il  collocamento  a  riposo  in  applicazione  del  decreto-legge  n.
90/2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114/2014. 
    Che, con atto depositato in data 10 novembre 2015,  il  dott.  Di
Blasi ha proposto ricorso  straordinario  al  Capo  dello  Stato  per
l'annullamento, previa sospensione, del provvedimento di collocamento
a riposo, nonche' della delibera del CSM del 30  luglio  2015,  nella
parte in  cui  veniva  disposta  la  pubblicazione  straordinaria  di
venticinque posti di consigliere di Cassazione e di ogni  altro  atto
presupposto, connesso e/o consequenziale. 
    Il  Consiglio  di  Stato,  nell'Adunanza  del  2  dicembre  2015,
esprimeva il parere che dovesse «essere accolta la  domanda  proposta
dal ricorrente e per  l'effetto  sospesa  l'efficacia  dell'impugnato
provvedimento di collocamento a riposo ...». 
    Che, frattanto, in data 22 dicembre  2015,  il  CSM  emetteva  il
provvedimento di collocamento a riposo del dott. Di Blasi  alla  data
del 31 dicembre 2015, oggetto del presente giudizio. 
    2 - Che la presente controversia attiene, dunque,  agli  atti  di
collocamento a riposo del ricorrente, a far data dal 1° gennaio  2016
- adottati in conseguenza  dell'abrogazione  dell'istituto  del  c.d.
«trattenimento in servizio» e della disciplina transitoria introdotta
dal decreto-legge n. 90/2014, convertito,  con  modificazioni,  dalla
legge  n.  114/2014  e  modificata  dal  decreto-legge  n.   83/2015,
convertito dalla legge n. 132/2015 - che l'odierno esponente  impugna
con il ricorso in epigrafe unitamente a tutti gli atti presupposti  e
connessi, lamentando di non aver maturato, per la suddetta  data,  il
diritto al conseguimento della pensione. 
    3 - Che il contenzioso  in  esame  concerne,  in  definitiva,  la
vicenda applicativa del decreto-legge  n.  90/2014,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge n. 114/2014, e  segnatamente  dell'art.  1
(Disposizioni  per  il   ricambio   generazionale   nelle   pubbliche
amministrazioni), commi 1, 2, 3 e 5, il quale stabilisce, 
al comma 1: 
    «Sono abrogati l'art. 16  del  decreto  legislativo  30  dicembre
1992, n. 503, l'art. 72, commi 8, 9, 10, del decreto-legge 25  giugno
2008, n. 112, convertito, con modificazioni,  dalla  legge  6  agosto
2008, n. 133, e l'art. 9, comma 31, del decreto-legge 31 maggio 2010,
n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010,  n.
122.» 
al comma 2: 
    «Salvo quanto previsto dal comma 3, i trattenimenti  in  servizio
in essere alla data di entrata in vigore del  presente  decreto  sono
fatti salvi fino al 31 ottobre 2014 o  fino  alla  loro  scadenza  se
prevista in data anteriore.  I  trattenimenti  in  servizio  disposti
dalle amministrazioni pubbliche di  cui  all'art.  1,  comma  2,  del
decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e non ancora efficaci alla
data di entrata in vigore del presente decreto-legge sono revocati.» 
al comma 3: 
    «Al  fine  di  salvaguardare  la   funzionalita'   degli   uffici
giudiziari, i trattenimenti in servizio, pur se ancora non  disposti,
per i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e  militari  che
alla data di entrata in vigore del  presente  decreto  ne  abbiano  i
requisiti ai sensi dell'art. 16 del decreto legislativo  30  dicembre
1992, n. 503, e successive modificazioni, sono fatti salvi sino al 31
dicembre  2015  o  fino  alla  loro  scadenza  se  prevista  in  data
anteriore». 
al comma 5: 
    «All'art.  72  del  decreto-legge  25  giugno   2008,   n.   112,
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.  133,  e
successive modificazioni, il comma 11 e' sostituito dal seguente: 
    "11.  Con  decisione  motivata  con  riferimento  alle   esigenze
organizzative e ai criteri di scelta applicati  e  senza  pregiudizio
per   la   funzionale   erogazione   dei   servizi,   le    pubbliche
amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del  decreto  legislativo
30 marzo  2001,  n.  165,  e  successive  modificazioni,  incluse  le
autorita' indipendenti, possono, a decorrere  dalla  maturazione  del
requisito di anzianita' contributiva per l'accesso al  pensionamento,
come rideterminato a decorrere dal  1°  gennaio  2012  dall'art.  24,
commi 10 e 12, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito,
con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, risolvere il
rapporto di lavoro e il contratto  individuale  anche  del  personale
dirigenziale, con un preavviso di sei mesi e comunque non  prima  del
raggiungimento di un'eta' anagrafica che possa dare luogo a riduzione
percentuale  ai  sensi  del  citato  comma  10   dell'art.   24.   Le
disposizioni del presente comma non  si  applicano  al  personale  di
magistratura,  ai  professori  universitari  e  ai  responsabili   di
struttura complessa del Servizio sanitario nazionale e si  applicano,
non prima del raggiungimento del sessantacinquesimo anno di eta',  ai
dirigenti medici e del ruolo sanitario. Le medesime disposizioni  del
presente  comma  si  applicano  altresi'  ai  soggetti  che   abbiano
beneficiato dell'art. 3, comma 57, della legge 24 dicembre  2003,  n.
350, e successive modificazioni."». 
    4  -  Che,  in   attuazione   della   citate   disposizioni,   le
Amministrazioni resistenti hanno provveduto a disporre a far data dal
1° gennaio  2016  il  collocamento  a  riposo  del  dott.  Di  Blasi,
nonostante  che  il  ricorrente  fosse  stato  destinatario   di   un
provvedimento di trattenimento in servizio fino al 75° anno di  eta',
e  cioe'  fino  al  23  settembre  2017,  e  avesse   successivamente
confermato la sua volonta' di permanere in  servizio  fino  a  quella
data o, in subordine, per il minor periodo di tempo  che  -  cumulato
con gli altri periodi a diverso titolo computabili  -  sarebbe  stato
sufficiente a conseguire il diritto a pensione. 
    Che l'odierno esponente  si  duole  della  circostanza  che,  per
effetto del provvedimento di collocamento a riposo a far data dal  1°
gennaio 2016, non sarebbe posto nelle condizioni  di  raggiungere  il
diritto al minimo della pensione, pur avendo acquisito il  diritto  e
la legittima aspettativa a restare in servizio fino a quella data. 
    Ne discenderebbe un  pregiudizio  notevole,  connesso,  sia  alla
perdita della retribuzione mensile da gennaio 2016 a settembre  2017,
sia agli esborsi necessari al riscatto del periodo da gennaio 2016  a
settembre  2017,  sia,  infine,  all'impossibilita'  di  ottenere  il
riconoscimento a fini pensionistici e di buonuscita  del  periodo  di
effettivo servizio (16 anni), come anche dei 24 anni  figurativamente
previsti dal comma 1 dell'art. 5 della legge n. 303/1998. 
    Che,  poiche'  ad   avviso   delle   Amministrazioni   resistenti
l'emanazione  del   decreto-legge   n.   90/2014,   convertito,   con
modificazioni,   dalla   legge   n.   114/2014,   legittimerebbe   il
collocamento a riposo del dott. De Blasi  a  partire  al  1°  gennaio
2016, per quest'ultimo si renderebbe necessario  contestare  sia  gli
atti adottati  in  applicazione  della  normativa  primaria,  sia  la
normativa  stessa,  e  chiedere  l'annullamento   dei   provvedimenti
impugnati oltre che la condanna delle Amministrazioni  resistenti  al
risarcimento dei danni patiti e patiendi dall'odierno esponente,  per
come sopra evidenziati. 
    5 -  Che  il  ricorrente  sostiene  l'illegittimita'  degli  atti
impugnati, deducendo sei motivi di ricorso di seguito sintetizzati: 
        1) Violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della legge  7
agosto 1990 n.  241  e  dei  principi  in  tema  di  motivazione  dei
provvedimenti amministrativi. Eccesso di potere. 
    I provvedimenti impugnati sarebbero,  sostanzialmente,  privi  di
motivazione e non darebbero conto delle specifiche  ragioni  poste  a
base  della  richiesta  di  trattenimento  in   servizio,   fino   al
raggiungimento  del  75°  anno  di  eta',   e   rappresentate   dalla
particolare necessita' del ricorrente di maturare il  periodo  minimo
per conseguire il diritto al pensionamento; il  mero  riferimento  al
testo dell'«art. 18 comma 1 del decreto-legge 27 giugno 2015, n.  83,
convertito dalla legge n. 132/2015, ed alla necessita',  per  effetto
della normativa sopravvenuta, di dover  disporre  il  collocamento  a
riposo dell'interessato», non risulterebbe pertinente alla  posizione
del dott. Di Blasi. 
        2) Violazione e falsa  applicazione  dell'art.  69,  comma  2
della legge 18 giugno 2009, n. 69. Eccesso di potere. 
    Gli atti impugnati sarebbero illegittimi anche perche' assunti in
elusione  del  parere  del  Consiglio  di   Stato   favorevole   alla
sospensione dell'efficacia del provvedimento impugnato dal ricorrente
con  ricorso  straordinario  al  Presidente   della   Repubblica,   e
assuntivamente avente ad oggetto il collocamento a riposo  del  dott.
Di  Blasi,  e  pertanto  violerebbero  la  norma  in   rubrica,   che
limiterebbe il potere governativo di non uniformarsi al  parere  reso
nell'Adunanza del 2 dicembre 2015 dal Consiglio di Stato. 
        3)  Nullita'  e/o   illegittimita'   del   provvedimento   di
collocamento a  riposo  adottato  dal  CSM  il  22  dicembre  2015  e
comunicato il 30 dicembre 2015 con mail per  violazione  ed  elusione
del giudicato cautelare (art. 21-septies, legge n. 241/1990). 
    Il provvedimento del CSM del 22  dicembre  2015  che  -  anziche'
adeguarsi al parere espresso dal Consiglio di Stato - ha disposto  il
collocamento a riposo del ricorrente con effetto dal 1° gennaio 2016,
si porrebbe in aperta violazione dell'art. 21-septies della legge  n.
241/1990 e sarebbe, pertanto, nullo e/o  illegittimo,  non  potendosi
ammettere che la pubblica  amministrazione  non  rispetti  la  misura
cautelare legittimamente adottata dal Giudice per legge competente  a
valutare la fattispecie. 
        4)  Nullita'  e/o   illegittimita'   del   provvedimento   di
collocamento a riposo per violazione degli obblighi contrattuali, dei
diritti quesiti e  della  tutela  dell'affidamento,  per  eccesso  di
potere,  irragionevolezza  manifesta,  omessa  motivazione,   e   per
violazione dell'art. 97 e dell'art. 38  della  Costituzione  per  non
avere garantito  al  lavoratore  le  condizioni  per  raggiungere  il
diritto al minimo della pensione. 
    Il ricorrente, nominato direttamente Consigliere della  Corte  di
cassazione  in  applicazione  della  norma  che  ha  dato  attuazione
all'art. 106 della Costituzione, ha avuto  riconosciuto  dal  CSM  il
diritto ad essere trattenuto in servizio fino al  75°  anno  di  eta'
sulla base di una legge dello Stato, e avrebbe  quindi  acquisito  il
diritto e la legittima aspettativa  a  restare  in  servizio  fino  a
quella data, al fine di  creare  le  condizioni  per  raggiungere  il
diritto al minimo della pensione. 
    Il diritto del lavoratore  al  raggiungimento  del  minimo  della
pensione sarebbe tutelato dall'art. 38 della Costituzione, come  piu'
volte statuito anche  dalla  Corte  costituzionale,  e  non  potrebbe
essere scalfito da una norma successiva,  la  quale  dovrebbe  essere
interpretata  in  senso  costituzionalmente  orientato  al  fine   di
garantire  stabilita'  alle  situazioni  da   cui   sorgono   diritti
fondamentali. 
    Aggiunge   il   ricorrente   che   il   provvedimento   impugnato
risulterebbe  illegittimo  anche  perche'  lo  stesso  violerebbe  il
principio della tutela dell'affidamento, che trova  riconoscimento  a
livello nazionale  e  comunitario,  e  il  principio  del  diritto  a
raggiungere il minimo della pensione lavorando, tutelato dall'art.  4
e dall'art. 38, comma 2, della Costituzione. 
    A  tal  fine,  il  ricorrente  richiama  precedenti  pronunce  di
incostituzionalita' di disposizioni normative,  che  sarebbero  state
introdotte dal legislatore  in  tema  di  trattenimenti  in  servizio
funzionali  al  raggiungimento  del   minimo   pensionistico   (Corte
costituzionale n. 33 del 2013 e n. 444 del 1990). 
    Infine, l'odierno esponente lamenta la  violazione  dell'art.  97
della Costituzione, non avendo la pubblica amministrazione  adottato,
nel caso in esame, la soluzione che meglio  l'avrebbe  garantita  sul
piano economico e dei principi. 
        5)  In   via   subordinata,   illegittimita'   costituzionale
dell'art. 1, commi 1,  2,  3  e  5,  del  decreto-legge  n.  90/2014,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114/2014,  nella  parte
in  cui,  conservando  -  nell'art.  72  decreto-legge  n.   112/2008
riformulato - il potere dell'Amministrazione di risolvere il rapporto
di lavoro dei pubblici dipendenti «a decorrere dalla maturazione  del
requisito di anzianita' contributiva per l'accesso al pensionamento»,
facendo in questo modo salvo il diritto a  pensione,  ha  escluso  da
questa disciplina  il  personale  della  magistratura,  per  evidente
contrasto di queste norme con  gli  articoli  2,  3,  4  e  38  della
Costituzione. 
    Il ricorrente, in via subordinata,  chiede  che  l'adito  Giudice
voglia sollevare la questione  di  legittimita'  costituzionale,  per
contrasto con gli articoli 2, 3, 4 e  38  della  Costituzione,  delle
disposizioni normative in rubrica, nella parte  in  cui  escludono  i
magistrati dal novero delle persone alle quali lo Stato garantisce la
possibilita' di maturare il diritto a pensione. 
        6)   In   via   ulteriormente   subordinata,   illegittimita'
costituzionale dell'art. 1, commi 1,  2  e  3  del  decreto-legge  n.
90/2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114/2014,  per
contrasto con l'art. 81 e con l'art. 97 della Costituzione. 
    In via ulteriormente  subordinata,  chiede  che  l'adito  Giudice
voglia sollevare la questione  di  legittimita'  costituzionale,  per
contrasto  con  l'art.  81  della  Costituzione,  delle  disposizioni
normative in rubrica,  in  quanto  l'eliminazione  dell'istituto  del
trattenimento in servizio prevista dall'art. 1 del  decreto-legge  n.
90 del 2014 comporterebbe una rilevante nuova spesa, e per  contrasto
con l'art. 97 della Costituzione, nella  parte  in  cui  verrebbe  in
rilievo il nuovo parametro costituito dal criterio di economicita'  e
nella parte in cui verrebbero altresi' in rilievo il buon andamento e
l'efficienza dell'amministrazione. 
    6 -  Che  le  Amministrazioni  intimate  si  sono  costituite  in
giudizio per  difendere  la  piena  legittimita'  e  doverosita'  del
proprio operato a termini di legge, legge le  cui  disposizioni  sono
state altresi' argomentatamente ritenute scevre dai dedotti  vizi  di
legittimita' costituzionale; 
    7 - Che alla Camera di consiglio del 6 aprile 2016 convocata  per
l'esame della  domanda  cautelare,  con  ordinanza  n.  1576/2016  la
Sezione ha accolto la domanda incidentale di sospensione  degli  atti
impugnati ai soli fini  della  fissazione,  per  la  trattazione  del
merito, dell'udienza pubblica del 9 novembre 2016; 
    8 - Che con memoria  del  22  settembre  2016  il  ricorrente  ha
variamente articolato le censure proposte e maggiormente dettagliato,
documentandole,  le  richieste  risarcitorie  gia'  avanzate  con  il
ricorso; 
    9 - Che all'esito dell'udienza pubblica del 9  novembre  2016  il
ricorso e' stato quindi introitato dal Collegio per la decisione; 
    10 - Che, a fini di un corretto inquadramento della  fattispecie,
e' opportuno premettere un sintetico richiamo al quadro normativo  di
riferimento. 
    L'art. 16, comma  1-bis,  del  decreto  legislativo  n.  503/1992
riconosceva alle categorie di personale di cui all'art. 1 della legge
19 febbraio 1981,  n.  27,  tra  cui  sono  ricompresi  i  magistrati
ordinari, la facolta' di permanere in servizio sino al compimento del
settantacinquesimo anno di eta'. 
    L'art. 1 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con
modificazioni, dalla legge  11  agosto  2014,  n.  114,  ha  tuttavia
abrogato, tra gli altri, l'art. 16 anzidetto, prevedendo al 3°  comma
che,  «Al  fine  di  salvaguardare  la  funzionalita'  degli   uffici
giudiziari, i trattenimenti in servizio, pur se ancora non  disposti,
per i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e  militari  che
alla data di entrata in vigore del  presente  decreto  ne  abbiano  i
requisiti ai sensi dell'art. 16 del decreto legislativo  30  dicembre
1992, n. 503, e successive modificazioni, sono fatti salvi sino al 31
dicembre  2015  o  fino  alla  loro  scadenza  se  prevista  in  data
anteriore». 
    Con  la  modifica  in   seguito   introdotta   in   materia   dal
decreto-legge n. 83/2015 (in vigore dal 27 giugno  2015),  l'art.  18
(Proroga degli effetti del trattenimento in servizio  dei  magistrati
ordinari) ha disposto: «1. Al fine di salvaguardare la  funzionalita'
degli uffici giudiziari e garantire un ordinato e  graduale  processo
di conferimento, da parte del Consiglio Superiore della Magistratura,
degli incarichi direttivi e semidirettivi che si  renderanno  vacanti
negli anni 2015 e  2016,  gli  effetti  dell'art.  1,  comma  3,  del
decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, sono  differiti  al  31  dicembre
2016  per  i  magistrati  ordinari  che  non  abbiano   compiuto   il
settantaduesimo anno di eta' alla data del 31  dicembre  2015  e  che
debbano essere collocati a  riposo  nel  periodo  fra  lo  stesso  31
dicembre 2015 ed il  30  dicembre  2016.  Per  gli  altri  magistrati
ordinari che abbiano compiuto almeno il settantaduesimo anno di  eta'
alla data del 31 dicembre 2015, resta  fermo  il  termine  ultimo  di
permanenza in servizio stabilito dal citato  art.  1,  comma  3,  del
decreto-legge n. 90 del 2014». 
    Il ricorrente,  che  alla  data  del  31  dicembre  2015  avrebbe
compiuto il  settantatreesimo  anno  di  eta',  essendo  nato  il  23
settembre 1942, e al quale  pertanto  non  risultava  applicabile  la
proroga di cui al richiamato art. 18, e'  rimasto  assoggettato  alla
normativa transitoria introdotta dal decreto-legge  n.  90/2014,  con
l'effetto che il provvedimento impugnato (la delibera del CSM del  22
dicembre  2015)  ne  ha  deliberato  il  collocamento  a  riposo  per
raggiunto limite di eta'. 
    11  -  Che  l'odierno  esponente  censura  variamente  gli   atti
impugnati, deducendone l'illegittimita' sotto i diversi  profili  del
difetto di motivazione (primo motivo di ricorso), della  contrarieta'
al parere  espresso  dal  Consiglio  di  Stato  nell'adunanza  del  2
dicembre 2015 (motivi secondo e terzo), della contrarieta' a principi
e norme costituzionali (quarto motivo); e, solo in subordine,  chiede
all'adito giudice sollevarsi questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 1 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (convertito,  con
modificazioni, dalla legge n. 114/2014), quanto ai commi 1, 2, 3 e 5,
per contrasto con gli articoli 2,  3,  4  e  38  della  Costituzione,
quanto ai commi 1, 2 e 3, per ulteriore contrasto con gli articoli 81
e 97 della Costituzione (motivi quinto e sesto di ricorso); 
    12 - Che, ai fini della  decisione  delle  complesse  e  delicate
questioni evocate dal ricorrente, hanno priorita' logica  le  censure
svolte con i primi quattro motivi di gravame,  perche'  volte  a  far
valere l'illegittimita' degli atti di collocamento a riposo del dott.
Di Blasi e quindi maggiormente satisfattive  dell'interesse  al  bene
della vita azionato con il ricorso; mentre, solo nel caso di  mancato
accoglimento delle predette censure e, quindi, di ritenuta  legittima
applicazione al caso concreto  della  normativa  transitoria  di  cui
decreto-legge n. 90/2014,  deve  farsi  luogo  allo  scrutinio  delle
ulteriori censure, concernenti le proposte questioni di  legittimita'
costituzionale delle disposizioni normative richiamate; 
    13 - Che, con la sentenza non definitiva  n.  12384/2016  del  13
dicembre 2016, il Collegio ha escluso la fondatezza delle censure  di
illegittimita' degli atti  impugnati  dedotte  con  i  motivi  primo,
secondo, terzo e quarto di ricorso, e ha disatteso  la  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  commi  1,  2  e  3,  del
decreto-legge n. 90/2014, convertito, con modificazioni, dalla  legge
n. 114/2014, in relazione agli articoli 81 e 97  della  Costituzione,
proposta con il sesto motivo di ricorso; 
    14 - Che al Collegio restano, dunque, da esaminare  le  questioni
di possibile illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 1, 2, 3
e 5, del decreto-legge n.  90/2014,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge n. 114/2014, per la possibile violazione  degli  articoli
2, 3, 4 e 38 della Costituzione,  sollevate  dal  ricorrente  con  il
quinto motivo  del  ricorso,  ma  deducibili  anche  d'ufficio  e,  a
fortiori, integrabili da questo giudice; 
    15 - Che la rilevanza delle indicate  questioni  di  legittimita'
costituzionale per la decisione del giudizio a quo non appare  dubbia
alla  luce  dell'esposizione  dei  fatti  di  causa,  atteso  che   i
provvedimenti impugnati con il ricorso trovano un'indefettibile  base
normativa nel citato art. 1 del decreto-legge n. 90/2014, convertito,
con modificazioni, dalla legge n. 114/2014 - norma che, in  concreto,
impedisce di fare salvo il provvedimento di trattenimento in servizio
fino a 75 anni che garantirebbe al dott. Di Blasi  il  raggiungimento
del minimo di pensione - di modo che il  suo  eventuale  annullamento
per  illegittimita'  costituzionale  comporterebbe   l'illegittimita'
derivata degli atti predetti, con  il  conseguente  accoglimento  del
ricorso che altrimenti - alla stregua delle pregresse  considerazioni
- dovrebbe essere respinto. 
    16 - Che ben piu' complesso e' il  vaglio  della  «non  manifesta
infondatezza» dei numerosi profili di  illegittimita'  costituzionale
sopra indicati, riservato al giudice a quo; 
    17 - Che occorre in primo luogo rammentare il fondamentale canone
ermeneutico secondo il quale «in linea di principio, le leggi non  si
dichiarano costituzionalmente illegittime» [o «una  disposizione  non
puo' essere  ritenuta  costituzionalmente  illegittima»]  perche'  e'
possibile darne interpretazioni incostituzionali (e  qualche  giudice
ritenga di darne), ma perche' e'  impossibile  darne  interpretazioni
costituzionali" (sentenza n.  356/1996  e  pronunce  successive)  per
giustificare, insieme, il potere-dovere dei giudici  di  interpretare
secundum   constitutionem   e    l'inammissibilita'    dell'incidente
costituzionale promosso senza esercitarlo; 
    Che, sulla scorta del suddetto canone, al  giudice  comune  viene
richiesto di sperimentare preventivamente la possibilita' di dare  al
testo  legislativo  un  significato  compatibile  con  il   parametro
costituzionale, e - ove il tentativo risulti infruttuoso - di offrire
adeguata motivazione, nell'ordinanza di rimessione, delle ragioni che
impediscono  di  pervenire  in  via  interpretativa  alla   soluzione
ritenuta  costituzionalmente   corretta;   e,   per   l'effetto,   la
dichiarazione di inammissibilita' o  di  manifesta  inammissibilita',
con cui la Corte sanzionasse le questioni incidentali sollevate senza
farsi carico di tali oneri, sarebbe, a  rigore,  determinata  da  una
lacuna dell'ordinanza di rimessione, che trascurasse di  motivare  su
un punto essenziale ai fini della rilevanza  e  della  non  manifesta
infondatezza della questione e si  risolvesse  in  una  inammissibile
«richiesta di parere alla Corte costituzionale, incompatibile con  la
funzione istituzionale di questo Collegio (cfr. la  sentenza  n.  123
del 1970)»; 
    18 - Che, venendo al vaglio della  «non  manifesta  infondatezza»
dei profili di illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 1, 2,
3 e 5, del decreto-legge n. 90/2014, convertito,  con  modificazioni,
dalla legge n. 114/2014, in relazione agli articoli  2,  3,  4  e  38
della Costituzione, le proposte questioni si prestano  a  conclusioni
piu' articolate, peraltro gia' sviluppate dalla Corte, in  situazioni
analoghe, a partire dalla sentenza n. 444  del  1990  fino,  piu'  di
recente, alla sentenza n. 33 del 2013, tutte  aventi  ad  oggetto  la
tutela del conseguimento del minimo pensionistico, quale bene oggetto
di protezione ai sensi dell'art. 38, comma 2, della Costituzione; 
    19  -  Che,  in  particolare,  il  comma  5   dell'art.   1   del
decreto-legge n. 90/2014 (convertito, con modificazioni, dalla  legge
n. 114/2014), nel sostituire l'art. 72 del decreto-legge n.  112/2008
- in evidente aderenza anche alla  previsione  di  cui  all'art.  38,
comma 2, della Costituzione - ha  ancorato  la  possibilita'  per  le
Amministrazioni pubbliche di recedere anticipatamente dal rapporto di
pubblico  impiego,  all'avvenuta   maturazione   del   requisito   di
anzianita' contributiva per l'accesso al pensionamento  dei  pubblici
dipendenti. 
    La nuova formulazione dell'art. 72 del decreto-legge n. 112/2008,
tuttavia, esclude l'applicazione del  principio  anche  al  personale
della magistratura, determinando un rilevante vulnus al  diritto  dei
magistrati a maturare i requisiti minimi per la pensione; 
    20 - Che, nel caso all'esame, dunque, il  collocamento  a  riposo
del dott. Di Blasi, disposto in virtu' dell'art. 1 del  decreto-legge
n. 90/2014, convertito, con modificazioni, dalla legge  n.  114/2014,
preclude   al   ricorrente   di   raggiungere   il   periodo   minimo
indispensabile per maturare il proprio  diritto  al  pensionamento  e
pertanto ne viola in maniera irreparabile il  diritto  a  maturare  i
requisiti minimi per la pensione di vecchiaia, che trova  una  tutela
primaria, rispettivamente, nell'art. 4 e nell'art. 38, comma 2, della
Costituzione; 
    21 -  Che  l'applicazione  della  normativa  transitoria  di  cui
all'art.  1   del   decreto-legge   n.   90/2014,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge n. 114/2014, conduce a risultati  analoghi
a  quelli  di  consimili  disposizioni  di  legge,  gia'   dichiarate
incostituzionali dalla Suprema Corte, nella parte in  cui  le  stesse
non consentivano «al personale ivi contemplato, che al raggiungimento
del limite massimo di eta' per il collocamento a riposo,  non  avesse
compiuto il numero degli anni richiesti per ottenere il minimo  della
pensione,  di  rimanere,  su   richiesta,   in   servizio   fino   al
conseguimento  di  tale  anzianita'  minima»  (Corte  costituzionale,
sentenza n. 33 del 2013). 
    Gia' in passato, con riferimento al personale  della  scuola,  la
Corte medesima aveva affermato che non potesse essere preclusa, senza
violare  l'art.   38,   secondo   comma,   della   Costituzione,   la
possibilita', per coloro che al compimento del 65°  anno  (prescritto
per il collocamento a  riposo)  -  e  quale  che  fosse  la  data  di
assunzione - non avessero ancora maturato il diritto a  pensione,  di
derogare a tale limite per il collocamento a riposo, al solo scopo di
completare il periodo minimo di servizio richiesto dalla legge per il
conseguimento di tale diritto (Corte costituzionale, sentenza n.  444
del 1990); 
    22 - Che, avuto riguardo  al  consolidato  orientamento  espresso
dalla Corte costituzionale in tema di tutela  del  conseguimento  del
minimo pensionistico, la lamentata  esclusione  del  personale  della
magistratura  dal  campo  di  applicazione  della  disciplina  recata
dall'art.  72  del  decreto-legge  n.  112/2008  -  come   modificato
dall'art. 1, comma 5, del decreto-legge n. 90/2014,  convertito,  con
modificazioni,  dalla  legge  n.  114/2014  -  pone  seri  dubbi   di
compatibilita' della disposizione con gli articoli 2, 4  e  38  della
Costituzione; 
    23 - Che, come chiaramente evidenziato e  costantemente  ribadito
dalla Corte medesima, norme analoghe a quelle impugnate «rispondono a
finalita' sociali di particolare  pregio  costituzionale,  in  quanto
tendenti a conferire il massimo della effettivita' alla garanzia  del
diritto sociale alla pensione,  riconosciuto  a  tutti  i  lavoratori
dall'art. 38, comma 2,  della  Costituzione»  (Corte  costituzionale,
sentenze n. 238 del 1988 e n. 444 del 1990). 
    Che, «nella prospettiva di una piu' ampia attuazione del  diritto
garantito dall'art. 38, comma 2, l'interesse del lavoratore ad essere
trattenuto in servizio per il tempo necessario al conseguimento della
pensione normale e' meritevole di considerazione, tanto piu'  che  la
presunzione secondo cui al compimento dei 65 anni di eta' si pervenga
ad una diminuita  disponibilita'  di  energia  incompatibile  con  la
prosecuzione del rapporto e' destinata ad essere  vieppiu'  inficiata
dai riflessi positivi del generale miglioramento delle condizioni  di
vita e di salute dei  lavoratori  sulla  loro  capacita'  di  lavoro»
(Corte costituzionale, sentenza n. 444 del 1990); 
    24 - Che il Collegio ritiene di fondamentale rilievo il  richiamo
al costante orientamento della Suprema Corte,  secondo  il  quale  il
problema della tutela del conseguimento del minimo pensionistico  «e'
strettamente connesso a quello dei limiti di eta'; la  previsione  di
questi ultimi  e'  rimessa  «al  legislatore  nella  sua  piu'  ampia
discrezionalita'» (sentenza n. 195  del  2000)  e  quest'ultima  puo'
incontrare vincoli -  sotto  il  profilo  costituzionale  -  solo  in
relazione all'obiettivo  di  conseguire  il  minimo  della  pensione,
attraverso lo strumento della  deroga  ai  limiti  di  eta'  ordinari
previsti  per  ciascuna  categoria  di  dipendente  pubblico»  (Corte
costituzionale, sentenza n. 33 del 2013). 
    Che «anche la deroga ai limiti di eta' al fine del  conseguimento
del bene primario del minimo pensionistico incontra a sua  volta  dei
limiti fisiologici» e la Corte  «ha  avuto  modo  di  definirli  come
«energia compatibile con la prosecuzione del rapporto»  (sentenza  n.
444 del 1990), oltre la quale neppure l'esigenza  di  tutelare  detto
bene primario puo' spingersi. 
    Nel tempo, detto limite fisiologico si e' spostato in avanti,  di
modo che, mentre fino al 1989 (sentenza n.  461  del  1989)  esso  e'
stato individuato  a  sessantacinque  anni,  successivamente  con  la
citata sentenza n. 444 del 1990 questa Corte  ha  affermato  che  «la
presunzione secondo cui al  compimento  dei  sessantacinque  anni  si
pervenga ad una diminuita disponibilita' di energia incompatibile con
la  prosecuzione  del  rapporto  "e'  destinata  ad  essere  vieppiu'
inficiata dai riflessi  positivi  del  generale  miglioramento  delle
condizioni di vita e di salute dei lavoratori sulla loro capacita' di
lavoro"». (Corte costituzionale, sentenza n. 33 del 2013); 
    25  -  Che  conclusivamente,  nella  giurisprudenza  della  Corte
costituzionale, risulta ben ferma e  netta  «la  distinzione  tra  la
tutela della pensione minima  e  l'intangibile  discrezionalita'  del
legislatore nella  determinazione  dell'ammontare  delle  prestazioni
previdenziali e nella variazione dei trattamenti  in  relazione  alle
diverse figure professionali  interessate.  Mentre  il  conseguimento
della pensione al minimo  e'  un  bene  costituzionalmente  protetto,
altrettanto non puo'  dirsi  per  il  raggiungimento  di  trattamenti
pensionistici e benefici ulteriori (ex plurimis, sentenza n. 227  del
1997)» (Corte costituzionale, sentenza n. 33 del 2013); 
    26 - Che nemmeno la previsione normativa di cui all'art. 6, comma
2, della legge n. 303/1998, che richiama la legge n.  45/1990  -  nel
caso di specie applicabile al dott. Di Blasi -  del  ricongiungimento
dei periodi di contribuzione  per  il  caso  di  pregresso  esercizio
dell'attivita'  forense,  e'  sufficiente  a  superare  i  dubbi   di
costituzionalita' prospettati con riferimento all'art. 1, commi 1, 2,
3 e 5, del decreto-legge n. 90/2014, convertito,  con  modificazioni,
dalla legge n. 114/2014, in relazione agli  articoli  4  e  38  della
Costituzione, perche' il ricongiungimento predetto attiene alla  mera
facolta' di unificare  tutti  i  periodi  di  contribuzione  maturati
presso le diverse forme previdenziali ai fini di  un'unica  pensione,
laddove  il  prospettato  dubbio  di  costituzionalita'  concerne  il
possibile vulnus al diritto del lavoratore di  conseguire  il  minimo
pensionistico lavorando, ed e' dovuto alla lamentata  esclusione  del
personale della magistratura dalla nuova  formulazione  dell'art.  72
del decreto-legge n. 112/2008, come sopra enunciata; 
    27 - Che, sotto ulteriore  profilo,  l'esclusione  del  personale
della magistratura dal campo di applicazione della disciplina  recata
dall'art.  72  del  decreto-legge  n.  112/2008  -  come   modificato
dall'art. 1, comma 5, del decreto-legge n. 90/2014,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge n. 114/2014  -  risulta  ingiustificata  e
irrazionale, in quanto esclude i magistrati dal novero  dei  soggetti
ai quali lo Stato garantisce la possibilita' di maturare - nei limiti
della ragionevolezza - il diritto a pensione, e collide con  evidenti
ragioni di giustizia e di civilta'. 
    Che  la  suddetta  esclusione  viola  pertanto  l'art.  3   della
Costituzione, venendosi a configurare, nella  specie,  un'irrazionale
disparita' di trattamento in danno del personale della  magistratura,
alla  luce  della  irredimibile  circostanza   che   «l'esigenza   di
raggiungere un numero di anni di lavoro sufficiente per  ottenere  il
minimo della pensione e' un interesse di tutti i  lavoratori»  (Corte
costituzionale, sentenza n. 444 del 1990); 
    28 - Che l'accertata rilevanza e non manifesta infondatezza della
predetta questione incidentale  di  legittimita'  costituzionale  del
citato art. 1, commi 1, 2, 3, e 5,  del  decreto-legge,  n.  90/2014,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114/2014,  nei  termini
sopra evidenziati, determina la necessita' di rimettere gli  atti  di
causa  alla  Corte  costituzionale,  con  sospensione  parziale   del
presente giudizio fino alla sua decisione. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Tribunale  amministrativo  regionale  per  il  Lazio  (Sezione
Prima), non definitivamente pronunciando sul  ricorso  n.  3260/2016,
come in epigrafe  proposto,  visti  gli  articoli  1  della  legge  9
febbraio 1948 n. 1, e 23 della legge 11 marzo 1953 n.  87,  riservata
ogni altra pronuncia nel merito e sulle spese, dichiara  rilevante  e
non   manifestamente   infondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale, meglio evidenziata in motivazione, dell'art. 1, commi
1,  2,  3,  e  5  del  decreto-legge  n.  90/2014,  convertito,   con
modificazioni, dalla legge n. 114/2014, in relazione agli articoli 2,
3, 4 e 38 della Costituzione. 
    Dispone la sospensione parziale del presente  giudizio  e  ordina
l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. 
    Ordina che, a cura della segreteria della  Sezione,  la  presente
ordinanza sia notificata alle parti costituite e  al  Presidente  del
Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera
dei deputati e del Senato della Repubblica. 
    Riserva al definitivo ogni altra statuizione in rito, nel  merito
e sulle spese. 
    Cosi' deciso in Roma nella  Camera  di  consiglio  del  giorno  9
novembre 2016 con l'intervento dei magistrati: 
        Carmine Volpe, Presidente; 
        Rosa Perna, consigliere, estensore; 
        Roberta Cicchese, consigliere. 
 
                        Il Presidente: Volpe 
 
 
                                                   L'estensore: Perna