N. 95 ORDINANZA 7 marzo - 4 maggio 2017

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Straniero e apolide - Diritto all'assegno di maternita' -  Condizioni
  - Titolarita' della carta di soggiorno. 
- Decreto legislativo 26  marzo  2001,  n.  151  (Testo  unico  delle
  disposizioni legislative in materia  di  tutela  e  sostegno  della
  maternita' e della paternita', a norma dell'articolo 15 della legge
  8 marzo 2000, n. 53), art. 74. 
-   
(GU n.19 del 10-5-2017 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Paolo GROSSI; 
Giudici :Alessandro CRISCUOLO, Giorgio LATTANZI, Aldo  CAROSI,  Marta
  CARTABIA,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,   Silvana
  SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON,  Franco  MODUGNO,  Augusto
  Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nei giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  74  del
decreto  legislativo  26  marzo  2001,  n.  151  (Testo  unico  delle
disposizioni legislative  in  materia  di  tutela  e  sostegno  della
maternita' e della paternita', a norma dell'articolo 15 della legge 8
marzo 2000, n. 53), promossi con ordinanza  del  30  marzo  2015  dal
Tribunale ordinario di Reggio Calabria, in funzione  di  giudice  del
lavoro, e con due  ordinanze  del  30  novembre  2015  dal  Tribunale
ordinario  di  Bergamo,  in   funzione   di   giudice   del   lavoro,
rispettivamente iscritte al n. 202 del registro ordinanze 2015  e  ai
nn. 56 e 57 del registro ordinanze 2016,  pubblicate  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 41,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2015 e n. 12, prima serie speciale, dell'anno 2016. 
    Visti gli atti  di  costituzione  dell'Istituto  nazionale  della
previdenza sociale, di D.B., di E.B. e  di  S.S.  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 7 marzo 2017 il Giudice  relatore
Alessandro Criscuolo; 
    uditi gli  avvocati  Alberto  Guariso  per  D.B.,  E.B.  e  S.S.,
Antonietta Coretti  per  l'INPS  e  l'avvocato  dello  Stato  Massimo
Giannuzzi per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
    Ritenuto che  con  ordinanza  del  30  marzo  2015  il  Tribunale
ordinario di Reggio Calabria, in funzione di giudice del  lavoro,  ha
sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art.  74  del
decreto  legislativo  26  marzo  2001,  n.  151  (Testo  unico  delle
disposizioni legislative  in  materia  di  tutela  e  sostegno  della
maternita' e della paternita', a norma dell'articolo 15 della legge 8
marzo 2000, n. 53), «nella parte in cui, nel subordinare il diritto a
prestazioni previdenziali  che  costituiscono  diritti  soggettivi  e
siano dirette a soddisfare bisogni primari della persona, fra i quali
appunto l'assegno di maternita', al possesso di carta di  soggiorno»,
introduce  «un  requisito  idoneo  a   generare   una   irragionevole
discriminazione dello straniero  nei  confronti  del  cittadino»,  in
riferimento agli artt. 2, 3, 10, 31, 38 e  117,  primo  comma,  della
Costituzione,  quest'ultimo  in  relazione  agli   artt.   14   della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950,  ratificata
e resa esecutiva con legge  4  agosto  1955,  n.  848,  1  del  Primo
Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, 21  della  Carta  dei
diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata  a  Nizza  il  7
dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007,  e  6  del
Trattato sull'Unione europea; 
    che il giudice a quo ha premesso di essere  stato  investito  del
ricorso proposto nei confronti del Comune di Botricello (Provincia di
Catanzaro) e dell'Istituto nazionale della previdenza sociale  (INPS)
da una cittadina eritrea,  titolare  di  permesso  di  soggiorno  per
motivi  umanitari,  alla  quale,  a  norma  della  disposizione   qui
denunciata, era stato negato l'assegno  di  maternita'  per  via  del
mancato possesso della carta di soggiorno (ora permesso di  soggiorno
di lungo periodo); 
    che,  secondo  il  rimettente,  tale  disposizione  si  pone   in
contrasto con l'art. 2 della Costituzione,  sotto  il  profilo  della
violazione del dovere  di  solidarieta';  con  l'art.  3  Cost.,  per
violazione  del  principio   di   eguaglianza,   poiche'   disciplina
situazioni identiche in modo diverso  a  seconda  che  si  tratti  di
cittadine italiane e comunitarie ovvero di donne straniere  prive  di
carta di soggiorno; con l'art. 10 Cost., in quanto tra le  norme  del
diritto internazionale generalmente riconosciute,  che  costituiscono
un limite alla discrezionalita' del legislatore, vi sono quelle  che,
nel  garantire  i   diritti   inviolabili   indipendentemente   dalla
appartenenza   a   determinate   entita'   politiche,   vietano    la
discriminazione  nei   confronti   degli   stranieri   legittimamente
soggiornanti nel territorio dello Stato;  con  l'art.  31  Cost.,  in
quanto la preclusione sarebbe incompatibile con il principio  secondo
cui la Repubblica «protegge la maternita'»; con l'art. 38 Cost.,  per
lesione del diritto all'assistenza sociale e, infine, con l'art. 117,
primo comma, Cost., in relazione all'art. 14 della Convenzione per la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
(CEDU), firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,  ratificata  e  resa
esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, e all'art. 1 del  relativo
Primo Protocollo addizionale - «cosi' come interpretati  dalla  Corte
stessa e replicati nell'art. 21 della Carta dei diritti  fondamentali
dell'Unione Europea, a sua volta richiamato dall'art. 6 del  Trattato
sull'Unione Europea»  -  in  quanto  opera  una  discriminazione  tra
cittadini e stranieri legalmente soggiornanti  sul  territorio  dello
Stato  fondata  su  requisiti  diversi  da  quelli  previsti  per  la
generalita' dei soggetti; 
    che, osserva il giudice  a  quo,  la  presenza  in  Italia  della
ricorrente non ha carattere episodico in quanto trattasi di «soggetto
residente e legalmente presente sul territorio nazionale in virtu' di
permesso di soggiorno per motivi umanitari  di  cui  all'art.  5,  6°
comma del d.lgs. n. 286  del  1998,  rilasciato  in  data  11.09.2013
valido fino al 10.09.2014 e prorogato»; 
    che, in punto di  rilevanza,  espone  il  giudice,  la  cittadina
eritrea  possiede  tutti  i  requisiti  per  il  riconoscimento   del
beneficio  domandato,  ad  eccezione  di   quello   richiesto   dalla
disposizione censurata; 
    che, quanto alla non manifesta  infondatezza,  il  rimettente  ha
ricordato che «la giurisprudenza  della  Corte  Europea  dei  diritti
dell'uomo ha reiteratamente affermato che tra i diritti  patrimoniali
tutelati dall'art. l del Protocollo addizionale  I  alla  Convenzione
per la salvaguardia dei diritti  dell'uomo,  si  intendono  anche  le
prestazioni  sociali,  comprese  quelle  cui   non   corrisponde   il
versamento di contributi, e che per tali diritti vige il  divieto  di
discriminazione di cui all'art. 14 della Convenzione»; 
    che, inoltre, secondo il giudice, e' manifestamente irragionevole
l'introduzione  di  «un  trattamento  differenziato  basato,  seppure
indirettamente, sulla nazionalita' rispetto ai cittadini comunitari e
sulla base del solo dato temporale di durata della residenza rispetto
ad alcune categorie di stranieri extracomunitari, senza  prendere  in
considerazione   condizioni   di   grave   bisogno   della    persona
soggiornante, legalmente autorizzata, e  che  versi  in  oggettiva  e
conclamata debolezza economica e fisica da  non  poter  adeguatamente
provvedere al proprio sostentamento e di quello del figlio»; 
    che,  ad  avviso  del  rimettente,  «dall'esame  complessivo  del
diritto dell'Unione Europea non e' dato  rinvenire  una  disposizione
normativa che in quanto munita di completezza, precisione,  chiarezza
e assenza di condizioni da non  richiedere  misure  complementari  di
carattere  nazionale  o  europeo,  abbia  effetto  diretto  volto  al
riconoscimento di un diritto all'assegno in  questione  anche  a  chi
goda dello status di straniero soggiornante per motivi umanitari»; 
    che il Tribunale ordinario di Bergamo, in funzione di giudice del
lavoro,  con  due  ordinanze,  entrambe   del   30   novembre   2015,
sostanzialmente identiche tra  loro  e  di  tenore  analogo  rispetto
all'ordinanza emessa dal Tribunale ordinario di Reggio  Calabria,  ha
sollevato questione di  legittimita'  costituzionale  della  medesima
disposizione in riferimento agli stessi parametri; 
    che, con la prima ordinanza, il giudice  a  quo  ha  premesso  di
essere  stato  investito  del  ricorso  proposto  da  due   cittadine
provenienti dal Burkina Faso e dal Ghana nei confronti del Comune  di
Azzano San Paolo (Provincia di Bergamo) e dell'INPS e, con la seconda
ordinanza, di essere stato investito  del  ricorso  proposto  da  una
cittadina marocchina nei confronti del Comune di Gorle (Provincia  di
Bergamo) e dell'INPS; 
    che il rimettente, con la prima ordinanza,  ha  riferito  che  il
Comune di Azzano San Paolo aveva  negato  la  prestazione  in  favore
delle due cittadine  dell'Africa  occidentale  «stante  l'intervenuto
diniego  della  carta  di  soggiorno  e  dunque  l'insussistenza  del
requisito di cui all'art. 74 d.lgs. 151/01», mentre, con  la  seconda
ordinanza, ha riferito che il  Comune  di  Gorle  aveva  inizialmente
erogato la prestazione in favore della cittadina  marocchina  essendo
in corso la procedura per il rilascio della carta  di  soggiorno,  ma
poi, a fronte  del  sopravvenuto  diniego,  aveva  dato  disposizione
all'INPS di procedere alla revoca del beneficio; 
    che, ha osservato il giudice, in entrambi  i  casi  esaminati  la
presenza in Italia delle cittadine extracomunitarie non ha  carattere
episodico in quanto, al  momento  della  domanda  volta  ad  ottenere
l'assegno  di  maternita',  le  stesse  risultavano  titolari  di  un
permesso di soggiorno per motivi familiari correlato al  permesso  di
soggiorno per lungo-soggiornanti rilasciato ai mariti e ai figli; 
    che, in punto di rilevanza,  le  ricorrenti  possiedono  tutti  i
requisiti per il riconoscimento del beneficio domandato, ad eccezione
di quello richiesto dalla disposizione censurata; 
    che, quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente,  dopo
aver  ripercorso  l'iter  argomentativo  sviluppato   dal   Tribunale
reggino, ha osservato a sua volta  che  «dall'esame  complessivo  del
diritto dell'Unione  Europea  non  e'  rinvenibile  una  disposizione
normativa munita di completezza, precisione, chiarezza e  assenza  di
condizioni, tale da consentire di riconoscere il diritto  all'assegno
in questione anche allo straniero soggiornante per motivi  familiari,
non in possesso dei requisiti per il conseguimento  del  permesso  di
soggiorno di lunga durata»; 
    che nei giudizi si  e'  costituito  l'INPS  con  tre  memorie  di
analogo tenore riferite, rispettivamente, ad ognuna  delle  ordinanze
di rimessione, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata; 
    che,   secondo   l'Istituto   resistente,   alla    luce    della
giurisprudenza   costituzionale,    deve    considerarsi    legittima
l'introduzione  di  limitazioni   all'attribuzione   di   prestazioni
assistenziali  e  pensionistiche  in  relazione  al  requisito  della
stabile  permanenza  nel  territorio  dello  Stato  (sono  citate  le
sentenze n. 141 del 2014; n. 222, n. 178, n. 4 e n. 2 del 2013); 
    che, quanto all'adempimento dei doveri  di  solidarieta',  l'art.
35, comma 3, del decreto legislativo 25 luglio 1998,  n.  286  (Testo
unico delle disposizioni concernenti la disciplina  dell'immigrazione
e norme sulla condizione dello  straniero)  assicura  alle  cittadine
straniere presenti sul territorio nazionale, non  in  regola  con  le
norme relative all'ingresso ed al soggiorno, la tutela sociale  della
gravidanza e della  maternita',  a  parita'  di  trattamento  con  le
cittadine italiane; 
    che nel giudizio si sono costituite le parti  ricorrenti  dinanzi
al Tribunale ordinario di Bergamo con due memorie di  analogo  tenore
riferite, rispettivamente, ad ognuna delle ordinanze  di  rimessione,
chiedendo,  previa  riunione   dei   giudizi,   in   via   principale
l'accoglimento della questione e, in via subordinata, la restituzione
degli atti al giudice per consentire una valutazione in  ordine  alla
diretta applicabilita' dell'art. 12 della direttiva 13 dicembre 2011,
n. 2011/98/UE (Direttiva  del  Parlamento  europeo  e  del  Consiglio
relativa a una procedura unica di  domanda  per  il  rilascio  di  un
permesso  unico  che  consente  ai  cittadini  di  paesi   terzi   di
soggiornare e lavorare nel territorio di uno  Stato  membro  e  a  un
insieme comune di  diritti  per  i  lavoratori  di  paesi  terzi  che
soggiornano regolarmente in uno Stato membro) ovvero la dichiarazione
di inammissibilita' della questione  per  omessa  considerazione  del
diritto europeo applicabile; 
    che, con esclusivo riferimento alla questione sollevata nel corso
del giudizio promosso dinanzi al Tribunale ordinario di Bergamo dalla
cittadina marocchina (r.o. n. 57 del 2016), la  difesa  ha  lamentato
che il giudice non ha tenuto in considerazione l'art. 65 dell'Accordo
euromediterraneo che  istituisce  un'associazione  tra  le  Comunita'
europee e i loro Stati membri, da una parte, e il Regno del  Marocco,
dall'altra, firmato a Bruxelles il 26 febbraio 1996, approvato a nome
di tali Comunita' con la decisione 2000/204/CE, CECA del Consiglio  e
della Commissione, del 24 gennaio 2000, entrato in vigore il 1° marzo
2000 e ratificato dall'Italia con legge 2 agosto 1999, n. 302, ove si
prevede che «[...] i lavoratori di cittadinanza marocchina ed i  loro
familiari conviventi godono in materia di previdenza sociale,  di  un
regime  caratterizzato  dall'assenza  di  qualsiasi   discriminazione
basata sulla cittadinanza rispetto ai cittadini  degli  Stati  membri
nei quali essi sono occupati» e  si  specifica  che  «[l]'espressione
"previdenza sociale"  copre  gli  aspetti  della  previdenza  sociale
attinenti alle prestazioni in caso di malattia e  di  maternita',  di
invalidita', di vecchiaia,  di  reversibilita',  le  prestazioni  per
infortuni sul lavoro e per malattie professionali, le  indennita'  in
caso  di  decesso,  i  sussidi  di   disoccupazione   e   prestazioni
familiari»; 
    che, ha osservato ancora la difesa, «[i]n proposito la  Corte  di
Giustizia ha affermato che "le  norme  dell'Accordo  euromediterraneo
tra l'Unione  europea  e  il  Marocco  fondano  posizioni  soggettive
direttamente tutelabili  dinanzi  al  giudice  nazionale"  (Corte  di
giustizia 2 marzo 1999, in causa C-416/96,  Nour  Eddline  El-Yassini
contro Secretary of State for the Home Department)»; 
    che, con riferimento all'ordinanza di rimessione pronunciata  dal
Tribunale ordinario di Reggio Calabria, e' intervenuto in giudizio il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura  generale  dello   Stato,   che   ha   concluso   per
l'inammissibilita' della questione per omessa verifica in ordine alla
possibilita'   di   una   interpretazione   conforme    al    dettato
costituzionale; 
    che, secondo la difesa statale, il  giudice  a  quo  non  avrebbe
tenuto debitamente conto  della  circostanza,  non  contestata  dalla
parti, che la ricorrente risulta titolare del permesso  di  soggiorno
per motivi umanitari previsto dall'art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 286
del 1998 e che  l'art.  34,  comma  5,  del  decreto  legislativo  19
novembre 2007, n. 251 (Attuazione della direttiva 2004/83/CE  recante
norme minime sull'attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi,
della qualifica del rifugiato o di persona  altrimenti  bisognosa  di
protezione internazionale, nonche' norme minime sul  contenuto  della
protezione riconosciuta) riconosce agli  stranieri  con  permesso  di
soggiorno umanitario «i  medesimi  diritti»  attribuiti  dal  decreto
stesso ai titolari dello status di  «protezione  sussidiaria»  tra  i
quali, ai sensi dell'art. 27, comma 1, e' annoverato il  diritto  «al
medesimo trattamento riconosciuto al cittadino italiano in materia di
assistenza sociale e sanitaria»; 
    che, pertanto, anche  alla  luce  delle  indicazioni  provenienti
dalla giurisprudenza costituzionale (sono citate le  sentenze  n.  22
del 2015 e n. 40 del 2013), il giudice «avrebbe  dovuto  sperimentare
una  lettura  della  norma  costituzionalmente  orientata,  tale   da
sottrarla alla ipotizzata incostituzionalita'»; 
    che, con memorie di analogo tenore, depositate il 3 gennaio 2017,
le parti ricorrenti dinanzi al Tribunale ordinario di  Bergamo  hanno
ribadito le proprie conclusioni. 
    Considerato che il Tribunale ordinario  di  Reggio  Calabria,  in
funzione  di  giudice  del  lavoro,   ha   sollevato   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 74 del decreto  legislativo  26
marzo 2001, n. 151 (Testo unico  delle  disposizioni  legislative  in
materia di tutela e sostegno della maternita' e della  paternita',  a
norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), «nella parte
in cui, nel subordinare il diritto a  prestazioni  previdenziali  che
costituiscono diritti soggettivi e siano dirette a soddisfare bisogni
primari della persona, fra i quali appunto l'assegno  di  maternita',
al possesso di carta di soggiorno», introduce «un requisito idoneo  a
generare  una  irragionevole  discriminazione  dello  straniero   nei
confronti del cittadino», in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 31,  38
e 117, primo comma, della  Costituzione,  quest'ultimo  in  relazione
agli artt. 14 della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre
1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848,  1
del Primo Protocollo addizionale alla Convenzione  stessa,  21  della
Carta dei diritti  fondamentali  dell'Unione  europea,  proclamata  a
Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007,
e 6 del Trattato sull'Unione europea; 
    che il Tribunale ordinario di Bergamo, in funzione di giudice del
lavoro,  con  due  ordinanze,  entrambe   del   30   novembre   2015,
sostanzialmente identiche tra  loro  e  di  tenore  analogo  rispetto
all'ordinanza emessa dal Tribunale ordinario di Reggio  Calabria,  ha
sollevato questioni di  legittimita'  costituzionale  della  medesima
disposizione in riferimento agli stessi parametri; 
    che per la identita' dell'oggetto, considerando che i  rimettenti
sollevano censure analoghe,  con  argomentazioni  coincidenti  e  con
riferimento ai medesimi parametri  costituzionali,  i  giudizi  vanno
riuniti e decisi con un'unica pronuncia; 
    che, quanto alla questione sollevata dal Tribunale  ordinario  di
Reggio Calabria, il  giudice  a  quo  ha  premesso  di  essere  stato
investito del ricorso proposto da una cittadina eritrea, titolare  di
permesso di soggiorno per motivi umanitari; 
    che il rimettente ha mostrato di non essersi  posto  il  problema
della eventuale applicabilita', anche solo per  escluderla,  al  caso
della ricorrente, della disciplina dettata dall'art. 34, comma 5, del
decreto legislativo del 19 novembre 2007, n.  251  (Attuazione  della
direttiva  2004/83/CE  recante  norme  minime  sull'attribuzione,   a
cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica del  rifugiato  o
di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonche'
norme  minime  sul  contenuto  della  protezione  riconosciuta),  che
riconosce agli stranieri con  permesso  di  soggiorno  umanitario  «i
medesimi diritti» attribuiti dal decreto  stesso  ai  titolari  dello
status di «protezione sussidiaria», tra i quali, ai  sensi  dell'art.
27, comma 1,  e'  annoverato  il  diritto  «al  medesimo  trattamento
riconosciuto al cittadino italiano in materia di assistenza sociale e
sanitaria»; 
    che, pertanto,  la  questione  proposta  deve  essere  dichiarata
manifestamente inammissibile (ordinanze n. 180 del 2016 e n. 197  del
2013); 
    che, quanto alle due questioni sollevate dal Tribunale  ordinario
di Bergamo il giudice a quo ha premesso di essere stato investito del
ricorso proposto  da  cittadine  africane  titolari  di  permesso  di
soggiorno per motivi familiari correlato al permesso di soggiorno per
lungo-soggiornanti rilasciato ai mariti ed ai figli; 
    che il rimettente ha mostrato di non essersi  posto  il  problema
della eventuale applicabilita', anche solo per  escluderla,  al  caso
delle ricorrenti, della disciplina dettata 
    dall'art. 12 della direttiva 13  dicembre  2011,  n.  2011/98/UE,
che, attraverso il richiamo all'art.  3,  paragrafo  1,  lettera  b),
riconosce lo stesso trattamento riservato ai  cittadini  dello  Stato
membro per quanto concerne i settori  della  sicurezza  sociale  come
definiti dal regolamento (CE) n.  883/2004  «ai  cittadini  di  paesi
terzi che sono stati ammessi in  uno  Stato  membro  a  fini  diversi
dall'attivita'  lavorativa  a  norma  del   diritto   dell'Unione   o
nazionale, ai quali e' consentito lavorare e che sono in possesso  di
un permesso di soggiorno ai sensi del regolamento (CE) n. 1030/2002»; 
    che  questa  Corte  ha  gia'  avuto  modo  di  chiarire  che  «il
rimettente deve espressamente indicare i motivi che osterebbero  alla
non applicazione del diritto interno  in  contrasto  con  il  diritto
dell'Unione europea, venendo altrimenti  meno  la  sufficienza  della
motivazione in ordine alla rilevanza della questione»  (ordinanza  n.
298 del 2011, che richiama le sentenze n. 288 e n. 227 del  2010,  n.
125 del 2009 e n. 284 del 2007); 
    che,  pertanto,  entrambe  le   questioni   sono   manifestamente
inammissibili. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi, 
    dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  delle   questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art. 74 del decreto  legislativo  26
marzo 2001, n. 151 (Testo unico  delle  disposizioni  legislative  in
materia di tutela e sostegno della maternita' e della  paternita',  a
norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n.  53),  sollevate,
in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 31, 38 e 117, primo comma,  della
Costituzione,  quest'ultimo  in  relazione  agli   artt.   14   della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950,  ratificata
e resa esecutiva con legge  4  agosto  1955,  n.  848,  1  del  Primo
Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, 21  della  Carta  dei
diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata  a  Nizza  il  7
dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007,  e  6  del
Trattato sull'Unione  europea,  dal  Tribunale  ordinario  di  Reggio
Calabria,  in  funzione  di  giudice  del  lavoro,  e  dal  Tribunale
ordinario di Bergamo, in funzione  di  giudice  del  lavoro,  con  le
ordinanze indicate in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 marzo 2017. 
 
                                F.to: 
                      Paolo GROSSI, Presidente 
                   Alessandro CRISCUOLO, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 4 maggio 2017. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA