N. 66 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 febbraio 2017

Ordinanza  del  1°  febbraio  2017   della   Commissione   tributaria
provinciale di Pescara sul ricorso proposto da  Studiocinque  Outdoor
S.r.l. contro Comune di Montesilvano e Soget S.p.a.. 
 
Imposte e tasse - Imposta comunale sulla  pubblicita'  -  Abrogazione
  della facolta', per i Comuni, di aumentare le tariffe - Previsione,
  con   norma   di   interpretazione   autentica,    dell'inefficacia
  dell'abrogazione per gli aumenti deliberati  prima  della  data  di
  entrata in vigore dell'articolo 23, comma 7, del  decreto-legge  22
  giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni,  dalla  legge  7
  agosto 2012, n. 134. 
- Legge 28 dicembre 2015, n. 208 ("Disposizioni per la formazione del
  bilancio annuale e pluriennale dello  Stato  (legge  di  stabilita'
  2016)"), art. 1, comma 739. 
(GU n.20 del 17-5-2017 )
 
          LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI PESCARA 
                             (Sezione 1) 
 
    Riunita con l'intervento dei signori: 
      Scime' Luigi - Presidente e relatore; 
      Papa Roberta Pia Rita - Giudice; 
      Sacco Maurizio - Giudice. 
    Ha  emesso  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  n.   577/2016,
depositato il 14 settembre 2016; avverso RETTIF. AVV.ACC  n.  1003347
pubblicita' 2015, 
    contro:  Comune  di  Montesilvano,  piazza  Diaz  n.  1  -  65016
Montesilvano; 
    avverso RETTIF.AVV.ACC n. 1003347 Pubblicita' 2015, 
    contro: SO.G.E.T. S.p.A., difeso da: Di Lello Lina - via  Venezia
n. 49 - 65121 Pescara; 
    proposto dal ricorrente: Studiocinque  Outdoor  S.r.l.,  via  Per
Gravina S.P. 238, KM 11.700 - 70033 Corato (BA); 
    Difeso da: Di Gifico Carmelina c/o Avv. Sergio Ciccarelli  -  via
Tirino n. 34-6 n. 40 - 65100 Pescara (PE). 
 
          Ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale 
 
    Sul ricorso n. 577/2016 depositato il 14 settembre 2016,  avverso
la cartella di pagamento n. 1003347/2120. 
    Contro: Concessionaria Soget S.p.a. 
    Proposto dal ricorrente: Studiocinque Outdoor S.r.l., in  persona
del legale rappresentante pro tempore. 
    Altre parti coinvolte: Comune di Montesilvano 
    Norma oggetto del giudizio di costituzionalita': 
      - «Art. 1, comma 739, legge Finanziaria n. 208 del 28  dicembre
2015, secondo la quale l'art.  23,  comma  7,  del  decreto-legge  22
giugno 2012, n. 83, convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge  7
agosto 2012 n. 134, nella parte in cui abroga  l'art  11,  comma  10,
della legge 27 dicembre 1997  n.  449,  relativo  alla  facolta'  dei
comuni di aumentare le tariffe dell'imposta comunale di  pubblicita',
ai sensi e per gli effetti dell'art. 1, della legge 27 luglio 2000 n.
212, si interpreta nel senso che l'abrogazione non ha effetto  per  i
comuni che si erano gia' avvalsi di tale facolta' prima della data di
entrata in vigore del predetto art. 23, comma 7, del decreto-legge n.
83 del 2012». 
    Udienza di discussione del 1° febbraio 2017. 
  A) Premessa. 
    A1) L'evoluzione normativa: 
      La «imposta di pubblicita'», che e' da ritenersi quale  imposta
indiretta in quanto colpisce la ricchezza di  colui  che  sfrutta  lo
spazio  pubblicitario  per   ricavarne   vantaggi   in   termini   di
visibilita', e'  attualmente  ancora  disciplinata  dal  capo  I  del
decreto legislativo n. 507/1993, il quale, per quel che interessa, ha
introdotto da un lato una tariffa «base» per tale imposta,  a  carico
delle  imprese  pubblicitarie,  applicandola  variamente  ai  Comuni,
soggetti attivi di tale imposta, che  venivano  suddivisi  in  cinque
classi (art. 2),  a  seconda  del  numero  degli  abitanti,  con  una
suddivisione ispirata al principio di progressivita' dell'imposta  ex
art. 53 Cost. 
    A questa fonte «primaria»  della  imposta  sulla  pubblicita'  si
aggiunge, poi, la potesta' regolamentare dei Comuni, ex art. 117,  6°
comma, Cost.; in particolare, in applicazione di tale normativa, sono
previste una serie  di  maggiorazioni,  rispetto  alle  tariffe  base
applicabili alle cinque fasce di comuni di cui si e' detto: 
      in relazione alle dimensioni  dell'impianto  pubblicitario,  ex
art. 12 del decreto, per cui se l'impianto e' di dimensioni superiori
a  mq.  5,5  o  a  mq.  8,5  sono  stabilite   alcune   maggiorazioni
dell'imposta base; 
      alla stessa maniera, ex art. 7 del decreto,  e'  stabilita  una
maggiorazione per gli impianti illuminati; 
      altra  maggiorazione  e'  stabilita'  in  relazione  al  numero
potenziale dei contatti pubblicitari, per cui ex art. 3 del  decreto,
i Comuni possono stabilire nel proprio regolamento che in relazione a
zone rientranti in categorie cd. speciali, non superiori al  35%  del
territorio, vi possa essere una  maggiorazione  fino  al  150%  della
imposta base; 
      ultima   maggiorazione   stabilita'   e'   poi   quella   della
possibilita' di deliberare maggiorazioni  in  relazione  a  rilevanti
flussi turistici desumibili da oggettivi indici di  ricettivita',  ex
art. art. 3, 6° comma, stesso decreto. 
    Il Comune interessato, quindi, deve effettuare tali  valutazioni,
e  quindi  determinare  l'ammontare   dell'imposta   con   le   varie
maggiorazioni,  entro  il   31   marzo   dell'anno   di   riferimento
dell'imposta, salvo,  in  caso  di  mancata  delibera  per  gli  anni
successivi  al  primo  in  cui  sia  stato   adottato   il   previsto
regolamento, doversi ritenere prorogate quelle  dell'anno  precedente
(cd. ultrattivita' delle tariffe). 
    Questo excursus della normativa base in  materia  di  imposta  di
pubblicita' evidenzia come la  stessa  sia  ispirata  chiaramente  al
principio di adeguare la stessa alla effettiva capacita' contributiva
di cui ai noti principi costituzionali di cui all'art. 53 Cost. 
    Successivamente, con l'art.  11  ,  10°  comma,  della  legge  n.
449/97, (nel testo modificato dall'art. 30, 1°  comma,  n.  388/1999)
era stata poi concessa ai Comuni una successiva facolta' di stabilire
maggiorazioni, prima fino al 20% (a decorrere dal 1° gennaio 1998), e
poi dall'anno 2000 fino al 50%, della imposta come stabilita' in base
alla suindicata normativa, e tanto in considerazione delle differenti
realta'  socio-economiche  del   territorio   di   riferimento;   con
l'inserimento, quindi, di tale facolta', nel comma 1, art. 30,  legge
n. 388/1999, tale facolta' era stata estesa sino ad  un  massimo  del
50% a decorrere dal 1° gennaio 2000. 
    Tale facolta'  veniva  interrotta  dal  legislatore  statale  con
l'approvazione  dell'art.  77-bis,   decreto   legge   n.   112/2008,
convertito con modifiche dalla legge n. 133/2008, con il quale veniva
disposto il cd. «blocco degli aumenti», ovvero la  sospensione  (gia'
prevista dall'art. 1, c. 7 del decreto legge n. 93/2008)  del  potere
delle Regioni e degli Enti locali di deliberare aumenti tra il 2009 e
il 2011, dei tributi, delle addizionali,  delle  maggiorazioni  delle
aliquote di tributi; la  richiamata  sospensione  triennale  trovava,
limitatamente alle tariffe dell'imposta di  pubblicita',  conferma  e
stabilizzazione, dopo una serie di interventi legislativi di conferma
del detto blocco degli aumenti, con l'abrogazione del comma 10,  art.
11, legge n. 449/97, operata con il  piu'  volte  richiamato  decreto
legge n. 83/2012. 
    L'art. 23, comma, 7, del decreto-legge 22  giugno  2012,  n.  83,
convertito, con modificazioni, dalla legge  7  agosto  2012  n.  134,
quindi, come detto, abrogava espressamente gli articoli 9  e  11,  (e
quindi anche il comma 10 del detto articolo) della legge 27  dicembre
1997 n. 449, di cui si e' sopra detto,  relativo  alla  facolta'  dei
comuni di aumentare le tariffe, fino al 50%, dell'imposta comunale di
pubblicita'. 
    In realta' l'art. 23, 7°  comma,  disponeva  che  dalla  data  di
entrata in vigore  del  presente  decreto  legge  erano  abrogate  le
disposizioni di legge  indicate  dall'allegato  1,  ma  faceva  salvo
«quanto previsto  dal  comma  11  del  presente  articolo,  il  quale
prevedeva che i procedimenti avviati in data anteriore  a  quella  di
entrata in vigore del presente decreto  legge  sono  disciplinati  ai
fini della  concessione  e  della  erogazione  delle  agevolazioni  e
comunque fino alla loro definizione, dalle disposizioni di  legge  di
cui all'allegato 1  e  dalle  norme  di  semplificazione  recate  nel
presente decreto-legge». 
    E'  nato  quindi  il   problema   interpretativo   della   esatta
applicazione di tale normativa,  ed  in  particolare  se  le  tariffe
applicate  in  concreto  dai  comuni  che   avessero   applicato   la
maggiorazione prevista dalla legge 27 dicembre 1997 n. 449, aumentata
fino al 50% con la legge n. 388/1999, dall'entrata in vigore di  tale
norma fino al blocco degli aumenti di cui alla legge n. 112/2008, poi
reso definitivo nell'anno  2012,  fossero,  se  applicate  dopo  tale
annualita', da ritenersi legittime o le delibere comunali,  meramente
confermative  delle  precedenti  delibere,  sia  esplicitamente   che
attraverso il rinnovo tacito delle stesse, che avevano applicato tali
tariffe poi abrogate fossero illegittime o  comunque  disapplicabili,
per  gli  anni  successivi   alla   abrogazione   per   legge   delle
maggiorazioni. 
    In particolare, quindi, molti  comuni  intendevano  questa  norma
come clausola di salvaguardia  degli  aumenti  disposti  prima  della
abrogazione prevista dall'art. 23,  7°  comma,  che  quindi  potevano
essere applicati anche dopo il 2012, mentre le imprese di pubblicita'
originavano un notevole contenzioso  finalizzato  a  ripristinare  le
tariffe originarie, ai sensi del capo I del  decreto  legislativo  n.
507/1993, senza quindi  ulteriore  applicazione  delle  maggiorazioni
medio tempore applicate dai comuni e poi abrogate. 
    Si puo' a tal proposito citare la sentenza del Consiglio di Stato
n.  6201/2014  che  ha  stabilito  che  le  delibere   anche   tacite
confermative delle tariffe applicate in base alla  normativa  di  cui
alla legge n. 449/1997, poi abrogata, non fossero legittime, anche se
vi sono stati altri atti, ed in particolare un parere,  n.  368  reso
dal Consiglio di giustizia amministrativa per  la  Regione  siciliana
(R.G. n. 872/2013), che invece e' stato interpretato  dai  comuni  in
senso a loro favorevole, nel senso che fosse stata ritenuta legittima
la interpretazione della detta  norma  abrogativa  per  la  quale  la
stessa, comunque, aveva fatta salva la  ultrattivita'  degli  aumenti
stabiliti  dai  comuni  prima  della  sospensione  temporanea   degli
aumenti, con la successiva abrogazione definitiva della stessa. 
    Si puo' citare anche  la  tesi  di  cui  alla  giurisprudenza  di
merito,  ancorche'  con  pronunce  non  definitive,   relativa   alla
ultrattivita'  degli  aumenti  operati  prima  dell'approvazione  del
decreto legge  n.  83/2012  e  confermati  successivamente  con  atti
deliberativi espressi o, in mancanza, con proroghe  tacite  ai  sensi
dell'art. 3, c. 5, decreto legislativo n. 507/93, che quindi  avevano
accolto la tesi dei Comuni che avevano utilizzato  la  normativa  che
concedeva la facolta' di disporre le maggiorazioni e  che  ritenevano
che tali aumenti potessero essere applicati anche successivamente  al
2012, praticamente prorogando senza alcun limite temporale il  regime
di favore stabilito dalla norme poi abrogate. (cfr. Tar Veneto,  sez.
Venezia, sent. 1001/2015; Tar Abruzzo, Pescara, senta n. 269/2016). 
    E' stata quindi emanata la norma oggetto del presente giudizio di
costituzionalita', come sopra indicata, con il dichiarato intento  di
fornire una interpretazione autentica della norma  abrogatrice  della
facolta' concessa ai comuni di aumentare le tariffe,  nel  senso  che
gli enti comunali che avessero  gia'  stabilito  tale  aumento  prima
della abrogazione di tale facolta', avvenuta  si  ricordi  nel  2012,
potevano continuare a richiedere il pagamento delle tariffe con  tale
maggiorazione  anche  per  gli  anni  successivi  alla   abrogazione,
dovendosi  quindi   ritenere   tacitamente   prorogate   le   tariffe
maggiorate, mentre tale  facolta'  era  inibita  ai  comuni  che  non
avessero deliberato tale aumento, non essendo  questa  facolta'  piu'
concessa dopo l'entrata in vigore della norma di cui all'art. 23,  7°
comma, legge n. 83/2012. 
  A.2. Svolgimento del processo. 
    In  data  17  giugno  2016  la  societa'   Studiocinque   Outdoor
rappresentata e  difesa  come  in  atti,  impugnava  la  cartella  di
pagamento n. 1002620/1676, con la quale veniva richiesto il pagamento
dell'importo di € 15.941,00 a titolo di Imposta  di  Pubblicita'  per
l'anno 2015, sanzioni ed  interessi;  il  ricorso  era  proposto  nei
confronti   della   Soget   S.p.a.,   societa'   concessionaria   per
l'accertamento e riscossione dell'Imposta di pubblicita'  nel  Comune
di Montesilvano, e contro tale comune. 
    Parte  ricorrente  contestava  nel  merito  delle  modalita'   di
accertamento  dell'imposta   diversi   profili   di   illegittimita',
richiedendo, altresi', in via  pregiudiziale,  di  sollevare  innanzi
alla Corte costituzionale la questione di legittimita' del comma 739,
art 1, legge n. 208/2015, quale disposizione di legge  interpretativa
dell'art. 23, comma 7, del  decreto-legge  22  giugno  2012,  n.  83,
convertito, con modificazioni, dalla legge 7  agosto  2012,  n.  134,
nella parte in cui abroga l'art 11, comma 10, della legge 27 dicembre
1997, n. 449, relativo alla  facolta'  dei  comuni  di  aumentare  le
tariffe dell'imposta comunale di pubblicita',  ai  sensi  e  per  gli
effetti dell'art.  1,  della  legge  27  luglio  2000,  n.  212,  per
violazione degli articoli 3, 23, 53, 97,  114,  117,118,  119  e  102
della Costituzione. 
    La  societa'  Concessionaria  Soget  S.p.a.,  parte   resistente,
accoglieva  parzialmente  i  motivi  di  merito  fatti  valere  dalla
ricorrente, in sede di mediazione tributaria, rigettando le eccezioni
inerenti  alla  tariffa  applicabile,  emettendo  un  nuovo  atto  di
accertamento,  qualificandolo  come  atto  di  rettifica  di   quello
precedente, il n. 1003347/2120 del 10 maggio 2016, per un importo  di
€ 10.446,00, comprensivo di sanzioni ed interessi, mentre  con  tutta
evidenzia si trattava di atto sostitutivo del precedente, che infatti
veniva autonomamente impugnato con il ricorso  oggetto  del  presente
procedimento. 
    La ricorrente impugnava quindi  anche  l'ultimo  citato  atto  di
accertamento  (se  pur   effettuando   pagamento   con   riserva   di
ripetizione)  e,  transitando  dalla   procedura   della   mediazione
tributaria, depositava ricorso in data 14 settembre 2016, iscritto al
n. 577/2016, chiedendo  nuovamente,  di  sollevare  la  questione  di
legittimita' costituzionale per le medesime motivazioni espresse  nel
precedente ricorso. 
    La Societa' Concessionaria Soget S.p.A. si costituiva,  chiedendo
il rigetto del ricorso. 
    Il ricorso n. 577/16 R.G.R., quindi, e' stato discusso,  in  sede
di decisione sulla sospensione dell'efficacia dell'atto, in  data  30
novembre 2016 ed  il  collegio,  disposta  la  richiesta  sospensione
dell'efficacia,  rinviava  alla  udienza  del  18  gennaio  2017,  di
trattazione nel merito, e quindi all'odierna udienza, del 1° febbraio
2017, nella quale si riservava per la  decisione  sull'istanza  della
ricorrente di sospendere il ricorso e rimettere gli atti  alla  Corte
costituzionale. 
  B: La rilevanza della questione. 
    Ancor  prima   di   prendere   in   considerazione   la   dedotta
incostituzionalita' delle norme che involgono la questione di cui  e'
causa, deve il collegio pregiudizialmente evidenziare che  l'atto  n.
1003347/2120, contrariamente a quanto dedotto  da  parte  resistente,
debba qualificarsi come un nuovo atto di accertamento che  annulla  e
sostituisce quello precedente n. 1002620/1676, emesso il 19  novembre
2015, per cui deve considerarsi  l'intervenuta  cessata  materia  del
contendere per il ricorso  R.G.  n.  407/2016,  decisa  con  autonoma
sentenza. 
    Di tal guisa, la  questione  di  legittimita'  costituzionale  si
appalesa evidentemente rilevante ai fini della decisione del  ricorso
rubricato al n. di R.G. 577/2016. 
    Infatti, tralasciando il secondo motivo dedotto dalla  ricorrente
che  attiene  all'inapplicabilita'  delle  sanzioni  in  presenza  di
evidente incertezza giuridica  sulla  questione  trattata,  cio'  che
risulta dirimente, per la decisione-finale,  e'  la  questione  della
tariffa  applicabile  ai  fini  della   determinazione   dell'Imposta
Comunale della Pubblicita' per l'anno 2015 sugli impianti oggetto  di
accertamento, tenuto  conto  che  dalla  semplice  lettura  dell'atto
impugnato appare evidente che il Comune di Montesilvano ai fini della
determinazione della tariffa dovuta ha applicato, per l'anno  2015  e
quindi successivamente alla abrogazione della norma  che  legittimava
gli aumenti, le maggiorazioni stabilite dalla normativa di  cui  alla
legge n. 449/97 e successivi interventi legislativi,  di  cui  si  e'
detto,  poi  abrogati,  conformandosi  a  quell'interpretazione   che
riteneva  che  ai  comuni  non  spettasse  solo  la  possibilita'  di
applicare le maggiorazione di cui al decreto legislativo  n.  507/93,
ma anche quelle introdotte successivamente, se pure poi abrogate  dal
decreto legge n. 83/2012, in quanto determinate in  vigenza  di  tale
normativa. 
    Piu' nello  specifico  il  Comune,  che  e'  nella  terza  classe
impositiva (art. 3 del regolamento), ha adottato  il  regolamento  n.
194 del 23 dicembre 2010, con il quale,  all'art.  5,  lett.  a),  ha
fissato, la tariffa di € 18.592,00 per mq annua  per  la  pubblicita'
ordinaria, che infatti  risulta  maggiorata  del  20%  rispetto  alla
tariffa base del decreto legislativo n. 507/93, che in  euro  ammonta
ad €  15,493;  va  anche  chiarito  che  il  regolamento,  all'ultimo
capoverso dell'art.  5  chiarisce  espressamente  che  le  tariffe  e
maggiorazioni ivi previste si intendono prorogate di anno in anno, se
non modificate: di  qui  la  emissione  dell'atto  impugnato,  emesso
applicando, per l'anno 2015, «ultrattivamente» le  tariffe  calcolate
con le maggiorazioni poi abrogate nell'anno 2012. 
    Il  Comune,  quindi,  ha  applicato   il   principio   della   cd
«ultrattivita' delle tariffe» di cui si  e'  detto,  considerando  le
maggiorazioni applicate prima della abrogazione delle  norme  che  le
avevano introdotte applicabili anche in seguito a  tale  abrogazione,
perche' tacitamente prorogate anno per anno. 
    Secondo parte ricorrente, invece,  l'abrogazione  del  comma  10,
art. 11, della legge n. 449/97, avvenuta a seguito  dell'approvazione
del  decreto-legge  22  giugno  2012,  n.  83,  art.  23,  comma   7,
convertito, con modificazioni, dalla legge 7  agosto  2012,  n.  134,
aveva prodotto l'effetto della preclusione per i Comuni, in  sede  di
approvazione annuale delle tariffe  dell'ICP,  di  deliberare,  anche
tacitamente, gli aumenti disciplinati dalla  citata  norma  abrogata,
riportando le tariffe base a quelle stabilite dagli articoli 12,  14,
15, 19, decreto legislativo n. 507/93, e riservando  loro  unicamente
la facolta' di disciplinare, in sede di  regolamento  comunale  e  di
approvazione delle  tariffe  tributarie,  te  maggiorazioni  previste
dall'art. 3, comma 6, ed art. 4, decreto legislativo n. 507/93. 
    La successiva approvazione, al contrario, del comma 739, art.  1,
legge  n.  208/2015  avrebbe  creato  due  diversi  regimi  giuridici
applicabili in materia di approvazione delle tariffe di ICP, per aver
reso possibile l'esercizio della  facolta'  di  aumento  (rectius  di
continuare  ad  applicare  l'aumento  gia'  deliberato),  nei  limiti
stabiliti  dall'abrogato  comma  10,  art.  11,  legge   n.   449/97,
unicamente per quei comuni che si  erano  avvalsi  di  tale  facolta'
prima della data di entrata in vigore del predetto art. 23, comma  7,
decreto-legge n.  83/2012,  mentre  per  i  Comuni  che  non  avevano
usufruito della possibilita' normativa  di  introdurre  maggiorazioni
ulteriori rispetto al testo base sulla ICP vi sarebbe stata, come  e'
ovvio, una preclusione assoluta di introduzione successiva. 
    Tale  dicotomia  posta   in   essere   dalla   contestata   legge
interpretativa, secondo la tesi  della  ricorrente,  si  porrebbe  in
contrasto con i precetti costituzionali di cui agli articoli  3,  23,
53, 97, 114, 117, 118, 119 e 102 Cost. 
    Parte  resistente,  per   converso,   sostiene   che   la   norma
interpretativa  di  cui  si   eccepisce   la   illegittimita'   abbia
semplicemente chiarito quanto risultava immanente nella  disposizione
abrogativa di cui al decreto-legge n. 83/2012 convertito con legge n.
134/2012, ovvero che l'abrogazione non avrebbe potuto creare  effetti
retroattivi con conseguente  legittimita'  da  parte  del  Comune  di
Montesilvano di prorogare di anno in anno, anche  tacitamente,  senza
limiti temporali, le tariffe approvate prima del 2012. 
    Da qui  la  evidente  rilevanza,  ai  fini  della  decisione  del
presente giudizio, della questione  di  legittimita'  costituzionale,
con la necessita' di sottoporre all'attenzione della adita  corte  la
valutazione del profili di compatibilita'  della  norma  ai  precetti
costituzionali sotto indicati. 
    Questo  collegio,  quindi,  investito  dalla   ricorrente   della
questione di legittimita' costituzionale, in merito alla disposizione
interpretativa di cui al  comma  739,  art.  1,  legge  n.  208/2015,
ritiene la stessa rilevante per la  decisione  e  non  manifestamente
infondata, con riferimento agli articoli 3, 23,  53,  97,  114,  117,
119, nonche' all'art. 102 Cost.; ne deriva che la decisione  per  cui
e'   causa   dipende   unicamente    dall'esame    di    legittimita'
costituzionale, da parte di Codesta Ecc.ma  Corte,  sulla  richiamata
disposizione legislativa di cui  al  comma  739,  art.  1,  legge  28
dicembre 2015, n. 208, tenuto conto, si ripete,  che  la  abrogazione
della norma indicata comporterebbe la impossibilita' per il Comune di
Montesilvano di richiedere il pagamento della imposta di  pubblicita'
maggiorata ai sensi delle norme abrogate nel 2012. 
    Va all'uopo chiarito che il  Collegio,  aderendo  alla  tesi  del
Cons. di St., sentenza 22 dicembre 2014, n. 6201, secondo cui la mera
conferma di  una  delibera  di  approvazione  di  tariffe  della  ICP
precedente  alla  abrogazione  in  parola  rappresenta,  ex  se,  una
modificazione delle tariffe, atteso  il  mutamento  della  disciplina
nazionale di riferimento, avrebbe deciso per la disapplicazione della
delibera di proroga delle tariffe dell'ICP comprensiva degli  aumenti
operati ai sensi del comma 10 art 11, legge n. 449/97,  se  il  comma
739, art. 1, legge n. 208/2015, non avesse disciplinato, i  limiti  e
la   portata   della   disposizione   abrogativa,   stabilendone   la
irretroattivita' per i Comuni che  avevano  gia'  deliberato  in  tal
senso in base alla disciplina abrogata. 
  C: La natura della norma oggetto del giudizio di costituzionalita'. 
    Ritiene il Collegio preliminarmente che sia  necessario  chiarire
quale  sia  la  esatta  natura  della  norma  oggetto  del   presente
provvedimento, se cioe' la stessa abbia portata innovativa o essa sia
solo realmente un intervento interpretativo,  senza  nessuna  portata
innovativa, apparendo evidente che solo la prima delle due  soluzioni
potrebbe giustificare un intervento della adita Corte costituzionale. 
    In realta' un prima semplice lettura della norma  del  comma  739
qui riproposto: «...si interpreta nel senso che l'abrogazione non  ha
effetto per i comuni che si erano gia' avvalsi della  facolta'  prima
dell'entrata  in  vigore  del  predetto  art.  23,   comma   7,   del
decreto-legge n.  83  del  2012»  potrebbe  portare  ad  un  giudizio
positivo in ordine alla natura di «disposizione interpretativa» cosi'
come  intesa  dall'  art.  1.  legge  n.   212/2000,   (Statuto   del
contribuente). 
    Ritiene il Collegio che, al contrario, sia del tutto evidente che
il legislatore ha volutamente utilizzato lo strumento della norma  di
«interpretazione autentica» in quanto lo stesso  costituisce  l'unico
caso in cui sia consentita l'attribuzione di efficacia retroattiva ad
una norma tributaria, e  tanto  in  base  al  disposto  di  cui  agli
articoli 1, 2° comma, e 3. 1° comma, dello Statuto del  contribuente,
da applicarsi, peraltro, proprio per la sua natura, quale  intervento
di natura legislativa eccezionale. 
    In virtu' di tale peculiare natura, il citato comma 739  dovrebbe
assegnare  alla   disposizione   interpretata   l'unico   significato
riconoscibile come conforme alla voluntas legis, espungendo tutte  le
interpretazioni diverse da quella preferita dal legislatore,  purche'
tale scelta rientri tra le possibili  varianti  di  senso  del  testo
originario (Corte Cost., sentenze nn. 314/2013, 15/2012, 271/2011)  e
non  contrasti  con  altri  valori  o  interessi   costituzionalmente
protetti (Corte Cost.,  sentenze  nn.  15/2012,  257/2011,  209/2010,
74/2008 e 234/2007). 
    In realta' il Collegio ritiene che non vi sia alcun dubbio che la
norma di interpretazione cd. «autentica»  introduca  in  realta'  una
ipotesi di abrogazione parziale della disposizione interpretata. 
    L'abrogazione deve, infatti, ritenersi non produttiva di  effetti
per i Comuni che si siano avvalsi del potere di aumento delle tariffe
in virtu' del comma 10, art. 11, legge n. 449/97 e, poiche' solo  per
essi quella norma continua ad essere efficace, sono fatti salvi tutti
gli atti che abbiano confermato gli aumenti anche dopo  l'entrata  in
vigore della legge abrogatrice. 
    Cio' che rileva nella circostanza in esame e' la portata novativa
della  disposizione  interpretativa,  surrettiziamente   retroattiva,
stante  l'assenza  delle  «possibili  varianti  di  senso  del  testo
originario»  (Corte  Cost.  sent.   n.   271/2011),   che   postulano
l'intervento interpretativo del legislatore nazionale;  infatti,  non
puo' trascurarsi che la norma «interpretata» non offra alcun appiglio
semantico che  giustifichi  l'interpretazione  riconducibile  ad  una
abrogazione parziale, censurabile, peraltro, sotto il  profilo  della
ragionevolezza,  della  coerenza  dell'intervento  interpretativo   e
nettamente   contrario   ad   una   interpretazione   della    stessa
costituzionalmente   orientata,   cioe'    conforme    ai    principi
costituzionali. 
    L'obiettivo perseguito della  norma  interpretativa  sembrerebbe,
invece,  quello  di  risolvere  il  contenzioso  insorto   e   quello
potenzialmente  producibile,  legittimando  gli  aumenti  di  imposta
reiterati dai Comuni sulla base di una norma ormai abrogata. 
    Sotto  il  profilo   della   ratio   legis   della   disposizione
interpretativa, il  collegio  non  puo'  che  esprimere  dubbi  sulla
ragionevolezza e coerenza della norma in esame  con  la  disposizione
abrogativa   del   2012;   emerge,    infatti,    un    profilo    di
contraddittorieta' e di incoerenza tra le norme  riconnesse  poiche':
l'art. 11, comma 10, legge n. 449/97, per come formulato e per la sua
concomitanza con il blocco degli aumenti  previsto  per  il  triennio
2009/2011,  sembrava  teso  ad  una  stabilizzazione  delle   tariffe
attraverso la definitiva abrogazione di  eccessivi  incrementi  della
tassazione sugli investimenti pubblicitari ai danni  delle  attivita'
produttive e commerciali (e cio', in un contesto storico -  economico
-   congiunturale   caratterizzato   da   una   grave   crisi);   con
l'approvazione del comma 739 in  esame  il  legislatore,  invece,  ha
azzerato la voluntas legis  del  2012,  informata  quest'ultima  agli
scopi   suesposti,   realizzando   un   doppio   regime    impositivo
irragionevole  e  soprattutto  in  contrasto  con   i   principi   di
uguaglianza e parita' di trattamento, espressione,  peraltro,  di  un
uso distorto della discrezionalita' legislativa (Corte. Cost.,  sent.
n. 313/1995). 
    Si e' gia' detto che, in virtu' del combinato disposto  dell'art.
10, comma 11, legge n. 449/97  e  dell'art  30,  comma  1,  legge  n.
388/99,  le  tariffe  dell'imposta  di  pubblicita'  potevano  essere
facoltativamente aumentate da Comuni fino al massimo del 50% rispetto
a  quelle  base  disciplinate  dal  decreto  legislativo  n.  507/93,
procedendo ogni anno a deliberarle ovvero  a  godere  delle  proroghe
previste dal comma 5, art. 3, del decreto legislativo n. 507/93. 
    Tale facolta', in un primo momento  abrogata  con  il  richiamato
decreto-legge n. 83/2012, si e' trasformata in  un  diritto  pieno  e
potenzialmente definitivo, con effetti ex tunc, ma unicamente per una
categoria di Comuni, ossia quelli che in passato  avevano  deliberato
gli aumenti d'imposta; mentre quelli che non avevano esercitato  tale
facolta' non potrebbero piu' accedere  a  tale  «privilegio»  offerto
dalla norma interpretativa del  2015;  da  cio'  appare  evidente  la
natura  di  norma   innovativa   e   non   meramente   interpretativa
dell'articolo  di  legge  oggetto  del  presente   provvedimento   di
rimessione alla Corte costituzionale. 
    Deve peraltro evidenziarsi che dal tenore lessicale della  norma,
ora  citata,  non  si  evince  neppure  se  la  preclusione  di  tale
facoltà-diritto sia  riservata  unicamente  a  quei  Comuni  che  non
abbiano mai operato gli aumenti nel periodo 1998/2000 - 2011,  oppure
anche a quelli che abbiano deliberato gli aumenti per poi  procedere,
per intervenute scelte  di  merito  amministrativo,  a  riportarle  a
quelle base del 1993; sotto tale profilo non puo'  dubitarsi  che  la
disposizione interpretativa sia carente. 
    Cosi',  le  stesse  amministrazioni,  e  di  qui   il   paradosso
normativo, potrebbero anche decidere di  ridurre  la  percentuale  di
incremento stabilita dal combinato disposto della legge n. 449/97 con
la legge n. 338/99, per  poi,  in  un  periodo  d'imposta  successivo
tornare ad operare aumenti, a proprio piacimento, sino ad un  massimo
del 50%. Tale ampia facolta' deriva dalla  locuzione  introdotta  nel
comma 739 «l'abrogazione non ha effetto per i  comuni  che  si  erano
avvalsi di tale facolta'...», possibilita'  del  tutto  legittima  se
avesse efficacia erga omnes, illegittima  poiche'  concessa  solo  ad
alcuni Comuni. 
    In altre parole, l'inefficacia  dell'abrogazione,  stabilita  dal
comma 739, ripristina, solo per una categoria di  Comuni,  il  regime
giuridico preesistente al 26 giugno 2012 e  poiche'  vi  e'  un'altra
categoria di Comuni che  non  potra'  accedere  al  regime  giuridico
circoscritto dal comma 739, non puo' che dubitarsi da un  lato  della
natura effettivamente  interpretativa  della  norma  in  questione  e
dall'altro del pieno rispetto ed aderenza della norma  contestata  ai
principi di cui agli articoli 3, 53, 1° e 2° comma, 102, 117 c. 6,  e
119  Cost.,   sotto   il   profilo   dell'imparzialita'   dell'azione
amministrativa, parita' di condizioni e  di  potesta'  normativa  tra
Enti e di rispetto dei requisiti minimi  di  uniformita'  e  rispetto
delle prerogative  degli  organi  giurisdizionali,  come  di  seguito
meglio esplicato. 
    Va ovviamente precisato che la natura stessa della norma  oggetto
del giudizio di costituzionalita' esclude in radice che  il  Collegio
possa interpretare la stessa in maniera diversa da  quella  indicata,
al  fine  di  rendere  ultroneo  ed  inammissibile,  attraverso   una
interpretazione costituzionalmente orientata della stessa diversa, il
giudizio  di  legittimita'  costituzionale  della   stessa;   l'unica
interpretazione possibile della norma impone che siano ritenuti, come
meglio  di  vedra',  non  manifestamente   infondati   i   dubbi   di
costituzionalita' della stessa. 
    Va,  quindi,  ribadito  che  il  Collegio,  qualora   non   fosse
intervenuto l'intervento legislativo «interpretativo» ma  in  realta'
chiaramente   «innovativo»   avrebbe   certamente    fornito    della
legislazione vigente all'epoca una  interpretazione  coerente  con  i
principi di cui agli articoli 3 e 53  della  Costituzione,  ritenendo
che la abrogazione delle maggiorazioni tariffarie  fosse  applicabile
per tutti i Comuni: il successivo intervento legislativo  di  cui  al
comma 739 citato ha impedito tale  possibilita'  interpretativa,  che
avrebbe reso ultroneo un intervento della  adita  Corte,  e  da  cio'
discende sia il giudizio relativo alla effettiva  natura  innovatrice
della norma, che alla sua evidente incostituzionalita'. 
    Vanno  quindi  di  seguito  esplicitate  le  cd.   eccezioni   di
incostituzionalita',  evidenziando  i  profili  di  contrasto  con  i
principi costituzionali della norma in esame, che, in  realta',  sono
stati ampiamente gia' anticipati nelle soprascritte premesse. 
  D. Le violazioni dei principi costituzionali. 
    D.1: Art. 3 e 53, 1° e 2° comma, 97 della Carta Costituzionale: 
      -  Dalla  norma  discende  una  irragionevole   disparita'   di
trattamento in violazione del principio di uguaglianza tra  cittadini
e di rispetto del principio di proporzionalita'  e  di  contribuzione
alle entrate  dello  Stato  in  relazione  alle  effettive  capacita'
contributive degli stessi e di imparziale  andamento  della  pubblica
amministrazione:  infatti  non  puo'   che   ammettersi   che   dalla
applicazione  della  stessa  consegua   una   duplice   irragionevole
discriminazione: 
        istituzionale, cioe' tra Comuni, consentendosi solo ad alcune
Amministrazioni di vedersi garantite  maggiori  entrate  nelle  casse
comunali; 
        soggettiva,  cioe'  tra  contribuenti,  permettendo  che,   a
seconda del Comune in cui operano,  le  imprese  commerciali  paghino
importi differenti in relazione  a  situazioni  oggettive  del  tutto
identiche, e cio'  senza  alcuna  giustificazione,  se  non  la  mera
irrilevante circostanza che il Comune sia stato  o  meno  «sollecito»
nella applicazione di maggiorazioni poi abrogate. 
    A titolo esemplificativo, si osservi quanto segue: si  faccia  il
caso di un Comune di 310.000 abitanti  (classe  II,  ex  art.  2  del
decreto legislativo n. 507/1993), per il quale la tariffa base per un
cartello pubblicitario ammonta a € 17,56 al mq. (cartello ordinario),
€ 35,12 al mq (cartello con superficie superiore ad 8,5 mq, art.  12,
comma 4), € 61,46 al mq (cartello, come quello precedente,  ricadente
in cat. Speciale con maggiorazione massima del 150%,  art.  4,  comma
1), €. 79,02 al mq (cartello, come  prima,  ma  illuminato,  art.  7,
comma 7). 
    Detto comune non ha mai, dal 1999 al 2012, aumentato  la  tariffa
base di pubblicita'  ai  sensi  dell'art.  11,  comma  10,  legge  n.
449/1997, sicche' oggi, in virtu' della sua abrogazione (non messa in
discussione dal comma 739), non potrebbe piu' farlo;  parallelamente,
si faccia il  caso  di  un  altro  Comune,  per  esempio  di  105.000
abitanti, sempre appartenente alla II classe, che invece,  prima  del
2012, abbia provveduto ad apportare un aumento - ai sensi  del  comma
10, art. 11, della legge del 1997, della tariffa base  (calcolata  ex
art. 12 del decreto legislativo n. 507/93) - nella  misura  del  50%,
per un totale di € 26,34 al mq (cartello ordinario), €  52,68  al  mq
(cartello con sup. superiore a 8,5 mq), € 92,19 al mq (cartello  come
prima, ma ricadente in  cat.  Spec.  con  maggiorazione  massima  del
150%), € 118,53 al mq (cartello come prima, ma illuminato). 
    Oggi, in virtu' del comma  739  della  legge  di  stabilita',  la
tariffa   applicabile,   laddove   confermata    dall'Ente    locale,
espressamente o con proroga tacita, continuerebbe ad  ammontare  alla
somma di € 26,34 al mq., che, con tutte  le  maggiorazioni  ulteriori
riservate al potere regolamentare del Comune, arriverebbe  a  gravare
sui contribuenti in misura considerevolmente  differente,  e  cio'  a
parita' di classe di appartenenza, quale parametro fissato in origine
dal decreto legislativo  n.  507/93,  per  individuare  la  ricchezza
prodotta dall'attivita' pubblicitaria svolta sul territorio. 
    Cio' comporta che, solo per i Comuni per  i  quali  l'abrogazione
non  sarebbe  applicabile,  la  norma  interpretativa  trasforma  gli
aumenti  effettuati  legittimamente  entro  il  26  giugno  2012,  ma
confermati successivamente, in una nuova tariffa  base;  quest'ultima
non piu' calcolata solo ai sensi del decreto legislativo n. 507/1993,
bensi' anche ex art. 11, comma 10, legge  n.  449/1997,  disposizione
che invece presuppone l'esistenza  di  tariffe  base  e,  su  queste,
calcola le maggiorazioni. 
    Infatti, poiche' la norma abrogativa non  va  ad  incidere  sulla
determinazione della tariffa ordinaria dell'imposta  di  pubblicita',
ma abroga  soltanto  la  disposizione  che  ne  prevede  la  aliquota
incrementativa, escludere l'abrogazione  della  norma  che  legittima
l'incremento solo per i Comuni che se  ne  sono  avvalsi  equivale  a
cristallizzare gli aumenti  percentuali,  consolidandoli  all'interno
dell'imposta e convertendo le tariffe maggiorate in tariffe base;  un
consolidamento che rivela l'estensione della norma «autentica» ben al
di la' della norma interpretata, in quanto incidente - almeno  per  i
Comuni per i quali l'abrogazione e' ritenuta inefficace - anche sulla
legge che si pone come fonte primaria dell'intera materia, ovvero  il
decreto legislativo n. 507/1993. 
    In realta' appare appena il caso di chiarire che appare del tutto
irragionevole e discriminatorio stabilire per legge,  (come  il  piu'
volte citato comma 739), che  possano  essere  emessi  provvedimenti,
quali il rinnovo  tacito  delle  tariffe  stabilite  dai  regolamenti
comunali applicativi delle maggiorazioni poi abrogate, senza  che  le
stesse siano legislativamente previste ed anzi siano  state  abrogate
espressamente, e cio' solo perche' alcuni comuni le avevano previste,
rispetto ad altri: occorre  sempre  ribadire  che  anche  il  rinnovo
tacito e'  in  pieno  equiparabile  ad  un  nuovo  provvedimento,  di
conferma delle statuizioni comunali, e la norma in  esame  stabilisce
che tale nuovo provvedimento, se pur tacito, possa essere adottato in
carenza di disposizione legislativa che lo legittimi; appare evidente
la irragionevolezza del trattamento discriminatorio tra contribuenti,
soggetti passivi della imposta in  Comuni  che  siano  stati  solerti
nella adozione delle maggiorazioni rispetto ad altri. 
    Chiaramente se tale  trattamento  legislativo  appare  fortemente
discriminatorio in relazione al  contribuente,  e  contemporaneamente
lesivo  del  principio  del  rispetto   della   effettiva   capacita'
contributiva dello stesso, alla stessa maniera, specularmente, appare
irragionevole e discriminatorio rispetto ai comuni, i quali  potranno
godere  di  maggiori  entrate  rispetto  ad   altri,   senza   alcuna
giustificazione,  sia  di  natura  economica  che  di   altro   tipo,
ancorandosi il diverso trattamento ad un dato del tutto  inconferente
e non dotato di alcuna  significativita',  che  e'  quello  di  avere
adottato in precedenza una delibera, che attualmente non sarebbe piu'
possibile adottare. 
    Aggiungasi,  peraltro,  che  risulta  essere  stato  violato   il
criterio di progressivita' di cui all'art. 53, 2° comma, Cost. cui il
legislatore del 1993 si  era  perfettamente  informato,  individuando
cinque classi di  Comuni  in  base  al  numero  degli  abitanti,  per
stabilire il parametro  di  ricchezza  tassabile;  oggi,  invece,  la
progressivita' si fonda su  un  criterio  iniquo,  ossia  quello  del
diverso regime giuridico stabilito dal comma 739, e  sulla  eventuale
«tempestivita'» di alcuni comuni nell'applicare le maggiorazioni  nel
periodo in cui erano legislativamente  previste,  rispetto  ad  altri
comuni «inerti» che non si rapporta a indici oggettivi  di  ricchezza
prodotta dalla pubblicita', senza  alcun  rispetto  dei  principi  di
imposizione tributaria che  tenga  conto  della  effettiva  capacita'
contributiva  del  privato  contribuente   che   del   principio   di
progressivita' della imposta. 
    Vi e' quindi una  evidente  violazione,  derivante  dal  disposto
normativo oggetto dei giudizio di costituzionalita', del principio di
uguaglianza, di rispetto della effettiva capacita'  contributiva  del
cittadino e di progressivita' delle  imposte  e  della  imparzialita'
della Pubblica amministrazione, con riferimento  ai  Comuni  i  quali
godranno  di  privilegi  diversi  a  seconda  della  loro  precedente
adozione  di  tariffe  maggiorate,   senza   alcuna   giustificazione
economica e violando cosi' apertamente i principi  costituzionali  di
cui ai citati articoli. 
  D.2: art. 119 in combinato disposto con gli  artt.  23  e  117,  6°
comma, Cost. 
    La denunciata disparita' realizzatasi a seguito dell'approvazione
della norma interpretativa - ma in realta'  di  natura  innovativa  -
inferisce, inoltre,  sull'esercizio  dell'autonomia  finanziaria  dei
Comuni; infatti, in  virtu'  del  combinato  disposto  dell'art.  119
Cost., con l'art. 117 comma 6, Cost., e con l'art. 4, comma 4,  legge
n. 131/2003 (legge attuativa della riforma costituzionale del  2001),
la potesta' regolamentare  in  materia  tributaria  dei  Comuni  deve
derivare da una disciplina legislativa dello Stato  centrale  che,  a
sua volta, deve presentare requisiti minimi di  uniformita'  per  gli
amministrati. 
    Tali   requisiti   risultano    oggi    seriamente    compromessi
dall'introduzione della norma interpretativa in  discussione;  a  ben
vedere, tutti gli aumenti tariffari operati a partire dal 1°  gennaio
2009, quando per la prima volta e' stato  disposto  il  blocco  degli
aumenti per il triennio 2011 e fino allo sblocco avvenuto con  l'art.
4, comma 4, decreto-legge n. 16/2012, convertito con  modifica  dalla
legge n. 44/2012, sarebbero da considerarsi contra  legem  in  virtu'
della  illegittimita'  delle  delibere  confermative,   novative,   o
semplicemente delle proroghe previste dal comma 5,  art.  3,  decreto
legislativo n. 507/93, applicate in assenza di copertura legislativa. 
    Con l'approvazione  del  comma  739  si  e'  inteso  operare  una
sanatoria degli aumenti illegittimi sin dalla loro prima adozione, in
aperta  violazione  di  uno  dei   principi   cardine   del   dettato
costituzionale, quello della c.d. «legalita' costituzionale». 
    Il legislatore, nella sua discrezionalita' normativa, ha  violato
il principio di legalita' e di riserva di legge, di cui  all'art.  23
Cost. la cui ratio e' quella  di  assicurare  un  uso  regolato,  non
arbitrario, controllabile e «giustiziabile» del potere  pubblico,  in
quanto la disposizione autentica crea una  copertura  legislativa  ex
post per tutte le operazioni deliberative di  incrementi  di  tariffe
tributarie e anche per quelle illegittimamente adottate  nel  periodo
del «blocco» degli aumenti, in virtu' dell'assenza di distinzioni  da
parte della formulazione letterale del comma 739. 
    Ecco,  quindi,  che  sotto  tale  ulteriore  profilo   la   norma
interpretativa  in  esame  appare  tutt'altro  che   finalizzata   ad
esplicare la volonta' legislativa dell'abrogazione del comma 10, art.
11, legge n. 449/97, quanto piuttosto, a ripristinare,  in  limine  e
con effetto ex tunc, un regime tributario ormai abrogato, violando il
principio  di  imparzialita'  e  di  uguaglianza   costituzionalmente
tutelati, ed incidendo illegittimamente sulla potesta' tributaria dei
Comuni con un intervento legislativo privo dei  requisiti  minimi  di
imparzialita' della azione amministrativa, di parita'  di  condizioni
tra enti e di rispetto dei requisiti minimi  di  uniformita',  tenuto
anche conto che, come sopra evidenziato, non  puo'  tralasciarsi  che
oggi vi siano Amministrazioni Comunali alle  quali  e'  riservata  la
facolta'  di  assicurarsi  maggiori   entrate   tributarie,   potendo
decidere, ad esempio di  aumentare  le  tariffe  sino  al  50%  anche
qualora in passato si siano avvalse di incrementi tributari inferiori
in termini percentuali (ad esempio del 20%),  in  maniera  del  tutto
contraria ai suindicati principi costituzionali. 
  D.3: l'art. 102 Cost. 
    Ai profili di dubbia legittimita'  costituzionale  che  precedono
deve affiancarsi anche quello relativo alla illegittima  interferenza
con la funzione giurisdizionale operata dal legislatore del 2015. 
    Il punto nodale della questione e' da rintracciarsi nel comma  5,
art. 3, decreto legislativo n.  507/93;  secondo  la  tesi  sostenuta
dalla ricorrente e dalle societa' che avevano stimolato  le  pronunce
della magistratura amministrativa, al Comune, compete  l'onere,  ogni
anno, di deliberare ex novo le tariffe dell'imposta  di  pubblicita',
stabilendo, peraltro, le maggiorazioni stabilite dall'art.  3,  comma
6,  ed  art.  4,  comma  1,  nonche',   sino   all'approvazione   del
decreto-legge n. 83/2012 (per tutti i Comuni ed  oggi  solo  per  una
categoria di essi) gli  incrementi  sanciti  dal  combinato  disposto
dell'art 11, comma 10, legge n. 449/97 con l'art. 30, comma 1,  legge
n. 388/99. 
    La persistenza degli indici di  ricchezza  sui  quali  basare  la
politica   tariffaria   consentiva,   secondo   scelte   di    merito
amministrativo, di confermare di anno in anno le tariffe adottate  in
precedenza ovvero accedere all'istituto della proroga confermativa di
anno in anno (comma 5, art. 3, decreto legislativo n. 507/93). 
    Secondo la tesi predetta, la  delibera  confermativa  formalmente
adottata e la manifestazione di volonta'  di  lasciare  invariate  le
tariffe dell'anno precedente lasciando spirare il termine di  cui  al
ridetto  comma  5,  dell'art.  3,  decreto  legislativo  n.   507/93,
rappresentano entrambe espressione  del  potere  deliberativo  -  uno
espresso, l'altro tacito - opponibili innanzi all'A.G. 
    La tesi contraria  dei  Comuni  resistenti  si  basa  invece  sui
principio di ultrattivita' dell'azione amministrativa, in virtu'  del
quale cio' che e' stato deliberato  deve  considerarsi  immune  dagli
interventi legislativi successivi. 
    Questo collegio non condivide la  tesi  dell'ultrattivita'  delle
delibere  comunali  adottate  prima   delle   modifiche   legislative
intervenute in materia di imposta di pubblicita', ritenendo, appunto,
che l'onere di deliberare ogni anno le  tariffe  tributarie,  sia  in
forma tacita sia esplicita, impone al Comune di sottendere la propria
decisione alla norma nazionale di riferimento vigente. 
    Deve  pertanto  concludersi  che,  in  virtu'  dei  principi  che
affondano le radici nel diritto romano, lex posterior derogat  priori
e,  soprattutto,  lex  primaria   derogat   legi   subsidiariae,   il
mantenimento  delle  tariffe  incrementate   negli   anni   d'imposta
successivi  all'abrogazione  della   norma   che   autorizzava   tali
incrementi, siano da considerarsi contra ius. 
    La tesi dell'obbligo di attenersi alla legge dello Stato  vigente
in fase di rituale periodica approvazione delle tariffe della ICP era
stata sostenuta nella sentenza del C.d.S. n. 6201/2014,  secondo  cui
«la modifica normativa intervenuta consente di ritenere che non possa
parlarsi a fronte  di  un  mutamento  della  disciplina  di  un  atto
meramente confermativo. [...]  dalla  caducazione  del  provvedimento
impugnato deriva ex se l'obbligo  dell'amministrazione  di  adempiere
sulla base della trama normativa vigente..». 
    L'interpretazione  del  giudice  amministrativo,  cui  spetta  il
compito di applicatore della fattispecie astratta disciplinata  dalla
legge interpretata, e' stata resa vana da quella del comma  739,  che
per i'  motivi  suesposti  persegue  l'obiettivo  di  realizzare  una
sanatoria a favore dei Comuni promotori di prelievi  tributari  privi
di copertura legislativa, donde, il comma  inserito  nella  legge  di
stabilita' 2016 e'  da  intendersi  di  natura  innovativa  pseudo  -
interpretativa    e    non    puo'    artificiosamente    legittimare
un'interferenza  con  la  funzione  giurisdizionale   (Corte   Cost.,
sentenze nn. 155/1990, 233/1988, 187/1981). 
    Non puo'  sottacersi,  quindi,  che  sul  piano  della  rilevanza
costituzionale  il  vero  naturale  destinatario  di  un   intervento
legislativo di interpretazione autentica e' il giudice,  che  applica
la legge al caso concreto; la circostanza che il Consiglio  di  Stato
si fosse gia' espresso con una interpretazione  conforme  al  dettato
legislativo, per la quale non  poteva  ritenersi  applicabile  alcuna
«ultrattivita'»  delle  maggiorazioni  dell'imposta   medio   tempore
adottate,  e'  sintomatica  della  effettiva  finalita'  della  norma
oggetto del giudizio di  costituzionalita',  che  e'  quella  non  di
interpretare la norma del 2012, quanto di sanare  la  interpretazione
illegittima e contraria ai principi  costituzionale  che  ne  avevano
dato i Comuni, tra  i  quali  quello  di  Montesilvano,  sanando  una
evidente  illegittimita',  con  una  interferenza  con  la   funzione
giurisdizionale del tutto contraria ai  principi  espressi  dall'art.
102 Cost. sopra richiamata. 
    A tal proposito non puo' che nuovamente richiamarsi quanto  sopra
detto in ordine al fatto che il Collegio, ove fosse  stato  investito
della questione prima dell'intervento di cd interpretazione autentica
(o  in  mancanza  dello  stesso)  avrebbe  certamente   fornito   una
interpretazione  della  normativa  del  2012  conforme  ai   principi
costituzionali di cui agli articoli 3 e  97,  per  la  quale  nessuna
maggiorazione sarebbe stata applicabile a partire da tale  anno,  sia
che i Comuni la avessero deliberata  in  precedenza  che  in  ipotesi
contraria, rendendo disapplicabile ogni  rinnovo  sia  esplicito  che
tacito  delle  tariffe  maggiorate  in  base  alla  legislazione  poi
abrogata, mentre l'intervento legislativo ha impedito  tale  doverosa
attivita' del giudicante, con violazione dei principi  costituzionali
di cui al suindicato articolo. 
    La  norma   censurata,   quindi,   incide   negativamente   sulle
attribuzioni costituzionalmente riservate all'autorita'  giudiziaria,
travolgendo gli effetti di pronunce divenute irrevocabili e definendo
sostanzialmente, con atto legislativo, l'esito dei giudizi  in  corso
(Corte Cost., sentenze nn. 209/2010, 311/1995, 155/1990;),  con  cio'
violando apertamente il disposto di  cui  all'art.  102  Cost.  sopra
indicato. 
 
                               P.Q.M. 
 
    La Commissione, vista la legge 11 marzo 1953,  n.  87,  art.  23,
dichiara rilevante e non  manifestamente  infondata,  in  riferimento
agli articoli 3, 23, 53, 97, 114, 117, 119 e 102 Cost., la  questione
di legittimita' costituzionale del comma 739, dell'art. 1,  legge  n.
208, 28 dicembre 2015, nella parte in  cui  non  estende  a  tutti  i
Comuni l'efficacia dell'abrogazione della facolta' di  aumento  delle
tariffe base disciplinata dall'art. 10, comma 11,  legge  n.  449/97,
modificato dall'art. 30, comma 1, legge n. 388 del 1999; 
    Ordina  la  immediata  trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale; 
    Ordina alla Segreteria che la presente ordinanza  sia  notificata
alle parti e al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata al
Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della  Camera
dei Deputati. 
      Cosi' deciso in Pescara, nella camera di consiglio della  prima
sezione, il 1° febbraio 2017 
 
                   Il Presidente estensore: Scime'