N. 119 SENTENZA 5 aprile - 22 maggio 2017

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Esecuzione penale - Sospensione della esecuzione delle pene detentive
  brevi - Esclusione in caso di condanna per furto pluriaggravato. 
- Codice di procedura penale, art. 656, comma  9,  lettera  a),  come
  modificato dall'art. 2, comma 1, lettera m), del  decreto-legge  23
  maggio  2008,  n.  92  (Misure  urgenti  in  materia  di  sicurezza
  pubblica), convertito, con modificazioni,  dalla  legge  24  luglio
  2008, n. 125. 
-   
(GU n.21 del 24-5-2017 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Paolo GROSSI; 
Giudici :Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario
  MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria
  de PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio  BARBERA,
  Giulio PROSPERETTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 656,  comma
9, lettera a),  del  codice  di  procedura  penale,  come  modificato
dall'art. 2, comma 1, lettera m), del decreto-legge 23  maggio  2008,
n. 92 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica),  convertito,
con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125,  promosso  dal
Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale ordinario di  Firenze,
nel procedimento penale a carico di  N.  S.,  con  ordinanza  del  14
ottobre 2015, iscritta  al  n.  16  del  registro  ordinanze  2016  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica  n.  6,  prima
serie speciale, dell'anno 2016. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  5  aprile  2017  il  Giudice
relatore Giorgio Lattanzi. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Giudice dell'udienza preliminare del  Tribunale  ordinario
di Firenze, in funzione di giudice dell'esecuzione, con ordinanza del
14 ottobre 2015 (r.o. n. 16 del 2016), ha sollevato,  in  riferimento
agli artt. 3 e 27 della Costituzione, una questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 656, comma 9,  lettera  a),  del  codice  di
procedura penale, come modificato dall'art. 2, comma 1,  lettera  m),
del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92 (Misure urgenti in materia di
sicurezza pubblica), convertito, con modificazioni,  dalla  legge  24
luglio 2008, n. 125, nella parte in cui stabilisce che la sospensione
dell'esecuzione, anche qualora la pena detentiva non sia superiore  a
tre anni, non puo' essere disposta nei confronti dei  condannati  per
il delitto di cui all'art. 624 del codice  penale,  quando  ricorrono
due o piu' circostanze tra quelle indicate dall'art. 625 dello stesso
codice. 
    Il rimettente premette che, con sentenza del Giudice dell'udienza
preliminare del Tribunale ordinario di Firenze, emessa il  17  maggio
2011 e passata in giudicato il 16  ottobre  2012,  N.  S.  era  stato
condannato alla pena di tre anni di reclusione e 3.000 euro di multa,
per i reati di cui agli artt. 416, 624, 625, primo comma, numeri 2) e
5), e 61, numero 5), cod. pen. 
    Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario  di
Firenze - prosegue il giudice a quo - aveva emesso a carico di N.  S.
l'ordine di esecuzione, senza  disporre  la  sospensione  perche'  il
reato oggetto della condanna non lo permetteva. 
    I difensori del  condannato  avevano  proposto  un  incidente  di
esecuzione, chiedendo al giudice a quo di sollevare una questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 656, comma 9, lettera a),  cod.
proc. pen., per l'esclusione della  sospensione  dell'esecuzione  nel
caso di condanna per il delitto di furto  aggravato  da  due  o  piu'
circostanze tra  quelle  indicate  dall'art.  625  cod.  pen.,  e  di
disporre  medio  tempore  la   sospensione   dell'esecuzione   e   la
scarcerazione del condannato. 
    Con ordinanza del 29 novembre 2012 (r.o.  n.  71  del  2013),  il
giudice  a  quo  aveva  sollevato  la   questione   di   legittimita'
costituzionale prospettata dal condannato. 
    La Corte costituzionale, con ordinanza  n.  75  del  2014,  aveva
restituito  gli  atti  al  giudice  rimettente  per  valutare  se  la
questione  continuava  ad  essere  rilevante  e  non   manifestamente
infondata, visto che era entrato in vigore il decreto-legge 1° luglio
2013, n. 78 (Disposizioni urgenti  in  materia  di  esecuzione  della
pena), convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto  2013,  n.
94, il quale aveva escluso il delitto di furto  aggravato  da  due  o
piu'  circostanze  tra  quelle  indicate  dall'art.  625  cod.   pen.
dall'elenco dei reati per i  quali  l'esecuzione  non  poteva  essere
sospesa. 
    Ad avviso del  giudice  rimettente  la  questione  continuava  ad
essere  rilevante  e  non  manifestamente  infondata.  Nonostante  il
condannato avesse ottenuto dal magistrato  di  sorveglianza,  in  via
d'urgenza, l'applicazione della misura dell'affidamento in  prova  al
servizio sociale, l'incidente di esecuzione non avrebbe potuto essere
definito  indipendentemente   dalla   risoluzione   della   questione
sollevata, perche' se «la norma  richiamata  fosse  [stata]  ritenuta
costituzionalmente illegittima il Pubblico Ministero  avrebbe  dovuto
sospendere l'esecuzione non sussistendo, nel  caso  in  esame,  altro
motivo ostativo». 
    La questione sarebbe, pertanto,  rilevante  nel  giudizio  a  quo
«stante la futura incidenza dell'eventuale  pronuncia  favorevole  ai
fini del riconoscimento della riparazione per  l'ingiusta  detenzione
subita dal  condannato  in  attesa  della  concessione  della  misura
alternativa, per circa un mese». Si  tratterebbe,  infatti,  «di  una
situazione che si e' determinata  in  applicazione  della  precedente
formulazione  dell'art.  656  c.p.p.  e  che  ha  avuto  termine  con
l'applicazione della nuova normativa». 
    Percio'  «l'accertamento  dell'illegittimita'  della   norma   in
questione [sarebbe] determinante ai fini dell'affermazione  circa  la
liceita' o meno  dell'applicazione  della  misura  restrittiva  della
liberta' personale subita dal condannato». 
    Sarebbe  applicabile  -  prosegue  il  giudice   a   quo   -   la
giurisprudenza  costituzionale  che  afferma  «la  persistenza  della
rilevanza, anche nel caso in cui la norma sottoposta a scrutinio  sia
stata dichiarata incostituzionale o  sostituita  da  una  successiva,
perche', ove un determinato provvedimento sia  stato  adottato  sulla
base di  una  norma  poi  abrogata  o  dichiarata  costituzionalmente
illegittima, "la legittimita' dell'atto  deve  essere  esaminata,  in
virtu' del principio tempus regit actum, con riguardo alla situazione
di fatto e di  diritto  esistente  al  momento  della  sua  adozione"
(sentenze n. 78 del 2013, n. 177 del 2012, n. 321 del  2011,  n.  209
del 2010, n. 391 del 2008, n. 509 del 2000)». 
    Cio' posto, il giudice rimettente  ritiene  che  con  riferimento
all'art. 3 Cost.  la  questione  non  sia  manifestamente  infondata:
«l'irragionevolezza della scelta legislativa operata con  riferimento
all'art. 656 del c.p.p. si concretizz[erebbe]  nel  paragone  tra  le
ipotesi di furti pluriaggravati [...] per i quali non e' prevista  la
sospensione dell'esecuzione e altre  fattispecie  delittuose  per  le
quali, sempre in presenza di una sentenza di  condanna  ad  una  pena
detentiva  non  superiore  ai   tre   anni,   tale   sospensione   e'
obbligatoria». L'irragionevolezza della norma emergerebbe  anche  dal
«paragone  tra  le  ipotesi  di  furti  pluriaggravati  e  le   altre
fattispecie previste dallo stesso nono comma dell'art. 656 del c.p.p.
come ostative alla sospensione esprimendo  esse  una  presunzione  di
pericolosita' del condannato». 
    La questione  non  sarebbe  manifestamente  infondata  anche  con
riferimento all'art. 27 Cost., perche' la possibilita' di  sospendere
l'esecuzione «funge da necessario complemento all[a] previsione delle
misure alternative alla detenzione carceraria, scongiurando l'effetto
desocializzante e criminogeno  correlato  al  "passaggio  diretto  in
carcere" del reo nei casi in cui  lo  stesso  avrebbe  avuto  diritto
(previa valutazione nel merito rimessa al Tribunale di  Sorveglianza)
alla misura alternativa». 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  e  ha  eccepito   l'inammissibilita'   della   questione   di
legittimita' costituzionale «in ragione della  sua  irrilevanza,  dal
momento   che   la   norma   denunciata,   essendo   stata    espunta
dall'ordinamento giuridico, non e' piu' applicabile  nel  giudizio  a
quo avente ad oggetto esclusivamente il  diritto  del  condannato  ad
ottenere la sospensione dell'esecuzione». 
    L'eventuale  interesse  del  condannato  ad  una   pronuncia   di
illegittimita'  costituzionale  della  norma   censurata   «varrebbe,
tutt'al piu', a legittimare il giudice civile eventualmente richiesto
da parte del condannato della  somministrazione  di  una  tutela  per
l'ingiusta detenzione  subita  [...]  in  forza  dell'esecuzione  non
sospesa per effetto della passata vigenza della norma in questione ad
adire la Corte costituzionale». 
    La questione sarebbe «inammissibile anche  con  riferimento  alla
censura di irragionevolezza  della  sottostante  scelta  legislativa,
fondata sull'art. 3 della Costituzione in  ragione  della  diversita'
delle fattispecie  per  le  quali  e'  prevista  la  possibilita'  di
sospendere l'esecuzione rispetto a  quelle  contemplate  dalla  norma
censurata». 
    Infine, con riferimento all'art. 27 Cost., la  questione  sarebbe
infondata, perche' la preclusione dell'accesso del condannato  a  una
misura alternativa alla detenzione non e' sufficiente a far  ritenere
incostituzionale la norma censurata. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Giudice dell'udienza preliminare del  Tribunale  ordinario
di Firenze, in funzione di giudice dell'esecuzione, con ordinanza del
14 ottobre 2015, dubita, in riferimento  agli  artt.  3  e  27  della
Costituzione, della legittimita' costituzionale dell'art. 656,  comma
9, lettera a),  del  codice  di  procedura  penale,  come  modificato
dall'art. 2, comma 1, lettera m), del decreto-legge 23  maggio  2008,
n. 92 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica),  convertito,
con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, nella parte in
cui stabilisce che la sospensione dell'esecuzione, anche  qualora  la
pena detentiva non sia superiore a tre anni, non puo' essere disposta
nei confronti dei condannati per il delitto di cui all'art.  624  del
codice penale, quando ricorrono due o  piu'  circostanze  tra  quelle
indicate dall'art. 625 dello stesso codice. 
    L'Avvocatura generale dello Stato ha eccepito  l'inammissibilita'
della questione «in ragione della sua irrilevanza, dal momento che la
norma denunciata, essendo stata espunta  dall'ordinamento  giuridico,
non e'  piu'  applicabile  nel  giudizio  a  quo  avente  ad  oggetto
esclusivamente il diritto del condannato ad ottenere  la  sospensione
dell'esecuzione». 
    2.- L'eccezione e' fondata. 
    L'art. 656 cod. proc. pen. prevede  due  distinti  provvedimenti,
l'ordine di esecuzione, con il quale il pubblico  ministero  «dispone
la carcerazione»  del  condannato  non  detenuto,  e  il  decreto  di
sospensione,  con  il  quale,  sussistendo  le  condizioni   previste
dall'art. 656, comma 5, cod. proc. pen., lo  stesso  organo  sospende
l'esecuzione  per  consentire,  ancor  prima  del  suo   inizio,   al
condannato di chiedere (e al tribunale di sorveglianza  eventualmente
di applicare) una misura alternativa alla detenzione. 
    L'esecuzione in questione riguarda  una  persona  condannata  per
furto aggravato da due circostanze previste dall'art. 625 cod.  pen.,
e all'epoca questa fattispecie criminosa, che  rientrava  nell'ambito
dell'art. 656, comma 9, lettera a), cod. proc. pen.,  non  consentiva
la sospensione dell'esecuzione. 
    E' per questa ragione che il pubblico ministero, dopo aver emesso
l'ordine di esecuzione, non  aveva  disposto  la  sospensione,  e  il
condannato per ottenerla si era rivolto al  giudice  dell'esecuzione.
Questo, a  sua  volta,  per  rimuovere  l'ostacolo  normativo,  aveva
sollevato la questione di legittimita' costituzionale. 
    Successivamente,  il  decreto-legge  1°  luglio   2013,   n.   78
(Disposizioni  urgenti  in  materia  di   esecuzione   della   pena),
convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n.  94,  ha
escluso il delitto di furto aggravato da due o piu'  circostanze  tra
quelle indicate dall'art. 625 cod. pen. dall'elenco dei reati  per  i
quali l'esecuzione della condanna non puo' essere sospesa. 
    Oggi percio' la preclusione non esiste piu'. Cio' nonostante,  il
giudice rimettente ritiene che, per la  decisione  dell'incidente  di
esecuzione di cui e' stato  investito,  dovrebbe  continuare  a  fare
applicazione della norma in  vigore  al  momento  dell'emissione  del
provvedimento del pubblico ministero,  sulla  cui  legittimita'  egli
percio' sarebbe tuttora chiamato a pronunciarsi. 
    A sostegno della sua tesi, il  giudice  rimettente  richiama  una
giurisprudenza  di  questa  Corte  secondo  cui   «"la   legittimita'
dell'atto deve essere esaminata, in virtu' del principio tempus regit
actum, con riguardo alla situazione di fatto e di  diritto  esistente
al momento della sua adozione" (sentenze n. 78 del 2013, n.  177  del
2012, n. 321 del 2011, n. 209 del 2010, n. 391 del 2008, n.  509  del
2000)». Questa giurisprudenza - aggiunge il rimettente - attiene alla
materia amministrativa,  ma  si  deve  ritenere  rilevante  anche  in
materia penale. 
    Il riferimento alla giurisprudenza di  questa  Corte  in  materia
amministrativa e' pero' incongruo, perche' riguarda il caso in cui il
giudizio amministrativo concerne un provvedimento di cui si  contesta
la legittimita', ed e' quindi il provvedimento, e correlativamente la
sua legittimita' al momento dell'adozione, a  formare  oggetto  della
cognizione del giudice. Il procedimento di esecuzione invece concerne
direttamente l'esistenza, la validita', l'efficacia  e  il  contenuto
del titolo, del quale il giudice, sulla base delle richieste che  gli
vengono rivolte, deve regolare  l'esecuzione,  e  rispetto  alla  sua
decisione la cognizione dell'eventuale provvedimento  costituisce  un
mero antecedente logico. 
    Nel procedimento a quo  il  giudice  dell'esecuzione  era  ed  e'
ancora chiamato  a  decidere  se  al  condannato  spetti  o  meno  la
sospensione dell'esecuzione e questa decisione non  puo'  che  essere
emessa  con  riferimento  alla  situazione  di  fatto  e  di  diritto
esistente al momento della pronuncia. Percio' la norma che il giudice
e' chiamato ad applicare non e' quella in vigore al momento in cui il
pubblico ministero ha emesso l'ordine di  esecuzione,  ma  quella  in
vigore al momento della decisione; norma che non prevede piu'  tra  i
reati ostativi alla sospensione il furto  aggravato  da  due  o  piu'
circostanze tra quelle indicate dall'art. 625 cod. pen. 
    E' da aggiungere che dopo circa un mese il condannato ha ottenuto
la misura alternativa dell'affidamento in prova al servizio sociale e
che l'esecuzione della pena detentiva e' ormai da tempo cessata. 
    Percio' la questione  di  legittimita'  costituzionale  e'  ormai
priva  di  rilevanza,  sia  perche',  essendo  cessata  l'esecuzione,
nessuna decisione deve piu' essere presa sulla sua  sospensione,  sia
perche', se una decisione in proposito dovesse ancora  essere  presa,
il giudice dovrebbe fare applicazione della norma attualmente vigente
e non di quella censurata. 
    3.- Secondo il  giudice  rimettente  la  questione  continuerebbe
pero'  ad  essere  rilevante   anche   per   la   «futura   incidenza
dell'eventuale pronuncia favorevole ai fini del riconoscimento  della
riparazione per l'ingiusta detenzione subita dal condannato in attesa
della concessione della misura alternativa, per circa un mese». 
    Insomma vi sarebbe ancora  un  interesse  del  condannato  a  far
accertare che l'esecuzione andava sospesa e che,  in  mancanza  della
sospensione, egli avrebbe subito un periodo di detenzione ingiusta  e
avrebbe percio' diritto a un'equa riparazione, a norma dell'art.  314
cod. proc. pen. 
    Il  giudice  rimettente  non  considera  pero'  che  secondo   la
giurisprudenza della Corte di cassazione il  caso  in  questione  non
potrebbe dar luogo a una riparazione per ingiusta detenzione. 
    E' vero, infatti, che con la sentenza  n.  310  del  1996  questa
Corte ha dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  314
cod. proc. pen., «nella parte in cui non prevede il diritto  all'equa
riparazione anche per la detenzione ingiustamente patita a  causa  di
erroneo ordine di esecuzione», e ha ampliato cosi' il rimedio che  il
legislatore  aveva  riservato   solo   alle   persone   ingiustamente
sottoposte alla custodia cautelare, ma e' altrettanto vero che questo
ampliamento non  puo'  comportare  una  pronuncia  di  illegittimita'
costituzionale. 
    L'erroneita'  dell'ordine  di  esecuzione  e  la   mancanza   del
provvedimento di sospensione danno luogo a situazioni  diverse,  che,
ai fini della riparazione  per  l'ingiusta  detenzione,  non  possono
ricevere un uguale trattamento. E' stato infatti ritenuto dalla Corte
di cassazione che, quando e' negata  la  sospensione  dell'esecuzione
della pena, «l'ordine di esecuzione  e'  del  tutto  legittimo  e  la
detenzione patita non puo' certo divenire ingiusta  solo  perche'  il
condannato non e' messo in condizione  di  usufruire  di  una  misura
alternativa» (Corte di cassazione, sezione prima, 19  novembre  2002,
n. 42903), e inoltre che la tardiva sospensione dell'esecuzione della
pena  legittimamente  disposta  non  determina  l'ingiustizia   della
detenzione  sofferta   fino   all'adozione   del   provvedimento   di
sospensione e pertanto non  costituisce  titolo  per  la  domanda  di
riparazione (Corte di cassazione, sezione quarta, 29 gennaio 2009, n.
7091). 
    Lo stesso dovrebbe dirsi nel caso  in  esame,  in  cui,  dopo  un
periodo di detenzione in base a un ordine di carcerazione  legittimo,
alla mancata sospensione  ha  fatto  seguito  l'applicazione  di  una
misura alternativa. 
    In  contrasto  con  la  ricordata  giurisprudenza  il  rimettente
ritiene invece che la mancata emissione del decreto  di  sospensione,
che ha determinato  un  periodo  di  circa  un  mese  di  detenzione,
potrebbe giustificare una domanda di equa riparazione in  favore  del
condannato. Pero' l'opinione del giudice  rimettente  e'  immotivata,
non considera l'opposta conclusione cui e' giunta sul punto la  Corte
di cassazione e non enuncia  le  ragioni  che  potrebbero  indurre  a
disattenderla. 
    Percio'  l'ordinanza  di  rimessione  e'  contraddistinta  da  un
difetto di motivazione sull'applicabilita' della norma censurata, che
si risolve in un difetto di  motivazione  sulla  rilevanza,  e  anche
sotto questo aspetto la questione di  legittimita'  proposta  risulta
inammissibile. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara   inammissibile    la    questione    di    legittimita'
costituzionale dell'art. 656, comma 9,  lettera  a),  del  codice  di
procedura penale, come modificato dall'art. 2, comma 1,  lettera  m),
del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92 (Misure urgenti in materia di
sicurezza pubblica), convertito, con modificazioni,  dalla  legge  24
luglio 2008, n. 125, sollevata, in riferimento  agli  artt.  3  e  27
della  Costituzione,  dal  Giudice   dell'udienza   preliminare   del
Tribunale ordinario di Firenze, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 aprile 2017. 
 
                                F.to: 
                      Paolo GROSSI, Presidente 
                     Giorgio LATTANZI, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 22 maggio 2017. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA