N. 96 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 febbraio 2017

Ordinanza  del  7  febbraio  2017  del  Tribunale   di   Napoli   nel
procedimento civile promosso da Antares scrl contro Regione Campania. 
 
Procedimento civile - Opposizione all'ingiunzione  per  il  pagamento
  delle entrate patrimoniali dello Stato e degli altri enti  pubblici
  -    Ordinanza    di    sospensione    dell'efficacia     esecutiva
  dell'ingiunzione - Previsione di non impugnabilita' dell'ordinanza. 
- Decreto  legislativo  1°  settembre  2011,  n.  150   (Disposizioni
  complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione
  e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione,  ai  sensi
  dell'articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69), art. 5,  comma
  1, come richiamato dall'art. 32 del medesimo decreto legislativo. 
(GU n.28 del 12-7-2017 )
 
                         TRIBUNALE DI NAPOLI 
                          X Sezione civile 
 
    Il Tribunale, in composizione collegiale, in persona dei giudici: 
        dott. Michele Magliulo, Presidente; 
        dott.ssa Giovanna Ascione, giudice rel.; 
        dott. Ulisse Forziati, giudice; 
riunito in Camera di consiglio, ha emesso la  seguente  ordinanza  ex
art. 669-terdecies C.P.C. nel procedimento n. 33205/16  R.G.,  avente
ad oggetto reclamo avvero l'ordinanza di rigetto della sospensione di
ingiunzione ex regio decreto n. 639/1910 emessa dal  G.U.  presso  il
Tribunale di Napoli, in  data  27  ottobre  2016,  riservato  per  la
decisione all'udienza camerale dell'11 gennaio 2017 e vertente tra: 
        Antares S.C. R.L, in persona del legale  rappresentante  p.t,
elettivamente domiciliata in Napoli, alla via Melisurgo, n. 4, presso
lo studio dell'avv. Andrea Abbamonte, dal quale  e'  rappresentata  e
difesa in virtu' di procura in atti, reclamante; 
        e Regione Campania,  in  persona  del  legale  rappresentante
p.t., elettivamente domiciliata in  Napoli,  via  S.  Lucia,  n.  81,
rappresentata e difesa dagli avv.ti Giuseppe Testa e Elena  Lauritano
dell'avvocatura regionale in virtu' di procura in atti, reclamata; 
 
                           Fatto e diritto 
 
    Con ingiunzione di pagamento prot. 244777 dell'11 aprile 2016  la
Regione Campania ha ingiunto dall'art. 2 del regio decreto n. 639 del
1910 alla Societa' Consortile Antares a r.l. di pagare la complessiva
somma di euro  249.559,46,  di  cui  euro  232.094,00,  a  titolo  di
«restituzione degli importi erogati e  non  dovuti  a  seguito  della
revoca del contributo disposta con decreto dirigenziale n. 578/AGC 12
del 3 ottobre 2012», ed il restante importo a titolo di interessi. 
    La societa' Antares a r.l. ha proposto  opposizione  avverso,  la
suddetta ingiunzione amministrativa, chiedendo  al  giudice,  in  via
preliminare, di sospenderne gli effetti esecutivi e, nel  merito,  di
accertare  che  nulla  era  dovuto  alla  Regione  Campania,   stante
l'insussistenza dei presupposti per la revoca del contributo. 
    Con ordinanza, resa all'udienza del 27 ottobre 2016, il  G.U.  ha
rigettato la richiesta di sospensione «in carenza dei presupposti». 
    Avverso la suddetta ordinanza, la  Antares  a  r.l.  ha  proposto
reclamo, con atto depositato in data 11 novembre 2016, insistendo per
la  sospensione  dell'esecutivita'  dell'ingiunzione   amministrativa
impugnata, ribadendo le proprie difese in punto  di  sussistenza  del
 fumus bonis iuris e del periculum in mora e sottolineando l'assoluta
carenza di motivazione dell'ordinanza di rigetto. 
    All'udienza del  14  dicembre  2016,  il  collegio  ha  sollevato
d'ufficio la questione dell'inammissibilita' del  reclamo  alla  luce
della lettera dell'art. 5 del decreto legislativo n.  150  del  2011,
che definisce «non impugnabile» l'ordinanza che  decide  sull'istanza
di sospensione e, dopo il deposito delle note autorizzate  -  con  le
quali la Antares a r.l., oltre a suggerire una lettura della norma in
armonia  con  quanto  previsto  dalla  legge  delega,  ha   sollevato
questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  5  del  decreto
legislativo n. 150 del 2011, per violazione degli  articoli  3  e  76
della Costituzione, all'udienza dell'11 gennaio 2017, si e' riservata
la decisione. 
    Tanto  premesso  si  osserva:  la   questione   di   legittimita'
costituzionale e' rilevante e non appare manifestamente infondata per
i motivi di seguito esposti. 
    Come e' noto, il giudizio di opposizione all'ingiunzione prevista
dall'art. 2  del  regio  decreto  n.  639  del  1910  e'  attualmente
disciplinato dall'art. 32 del decreto legislativo n. 150 del  2011  -
«Disposizioni complementari al codice di procedura civile in  materia
di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di  cognizione
ai sensi dell'art. 54 della legge 18 giugno 2009 n. 69». 
    Il suddetto articolo prevede l'applicazione del rito ordinario e,
al comma 3, il potere del giudice di sospendere l'efficacia esecutiva
del provvedimento impugnato, secondo quanto previsto  dal  precedente
art. 5. 
    Il  potere  dell'autorita'  giudiziaria   adita   di   sospendere
l'efficacia esecutiva dell'ingiunzione era gia' previsto dall'art. 3,
commi 2 e 3, del regio decreto n. 639 del 1910. 
    Il  legislatore  delegato  e'  intervenuto   sulla   sospensione,
dettando una disciplina del  relativo  sub-procedimento  comune  agli
altri casi in cui il decreto legislativo n. 150 del 2011  prevede  la
possibilita' di sospendere il provvedimento oggetto di opposizione. 
    Il citato art. 5, al comma 1, stabilisce che il Giudice  provvede
sulla sospensione con ordinanza non  impugnabile,  «quando  ricorrono
gravi  e  circostanziate  ragioni   esplicitamente   indicate   nella
motivazione». 
    Al secondo  comma  e'  prevista  la  possibilita'  di  sospendere
l'efficacia  esecutiva  con  decreto  inaudita   altera   parte   (da
confermare nella prima udienza successiva con l'ordinanza di  cui  al
comma 1), in presenza di un «pericolo imminente di un danno  grave  e
irreparabile». 
    Il  collegio  ritiene  che  il  provvedimento  che  decide  sulla
sospensione abbia natura e struttura cautelare. 
    Ed invero, la dottrina che ha affrontato l'argomento  non  dubita
di tale natura,  mettendo  in  evidenza  che  il  sintagma  «gravi  e
circostanziate ragioni» consente  la  sospensione  solo  in  presenza
dell'apparente  fondatezza  dell'opposizione  e  di  un   consistente
pregiudizio in capo all'opponente. 
    La natura cautelare del provvedimento  e'  data  per  presupposta
anche nella relazione di accompagnamento del decreto  legislativo  n.
150 del 2011, che individua i  presupposti  della  sospensione  nella
«ragionevole fondatezza dei motivi su cui si fonda  l'opposizione»  e
nel «pericolo di un grave pregiudizio derivante dal tempo  occorrente
per la decisione dell'opposizione». 
    Ancora,  il  rilievo  dato  dal  secondo  comma  dell'art.  5  al
«pericolo imminente di un danno  grave  e  irreparabile»  costituisce
conferma della natura cautelare dell'ordinanza de qua, atteso che  la
funzione di neutralizzare un pregiudizio ai danni dell'opponente  non
puo' non essere comune ad entrambi i  provvedimenti,  soprattutto  in
considerazione del fatto che il decreto va confermato con l'ordinanza
di cui al comma 1. 
    Come evidenziato dalla dottrina, la differenza tra i  presupposti
dei due  provvedimenti  va  ravvisata  nel  fatto  che  le  «gravi  e
circostanziate ragioni» sottintendono un periculum in mora piu' lieve
rispetto a quello correlato alla dimostrazione di un danno  grave  ed
irreparabile. 
    L'art. 5 definisce «non impugnabile» l'ordinanza che decide sulla
sospensione. 
    Con tale espressione, il legislatore delegato ha  inteso  privare
le parti della possibilita' di impugnare la decisione interinale  del
giudice. 
    La lettera della  legge  non  lascia  margini  interpretativi  al
riguardo,   come   gia'   sottolineato   dalla   dottrina   e   della
giurisprudenza di merito (cfr. Tribunale  di  Torino,  sezione  terza
civile, ordinanza collegiale del 20 dicembre 2013). 
    Inoltre, l'art. 5 costituisce norma speciale entrata in vigore in
epoca successiva alla disciplina del  rito  cautelare  uniforme,  con
conseguente deroga a quanto previsto dagli articoli  669-terdecies  e
quaterdecies codice di procedura civile. 
    A  chiusura  del   presente   paragrafo   introduttivo,   occorre
richiamare la costante giurisprudenza dalla Corte  di  cassazione  in
punto di natura dell'ingiunzione ex art. 2 del regio decreto  n.  639
del 1910. 
    Secondo il giudice di legittimita', la c.d.  ingiunzione  fiscale
e' un atto amministrativo che «cumula in  se'  la  duplice  natura  e
funzione di titolo esecutivo, unilateralmente formato dalla  pubblica
amministrazione  nell'esercizio   del   suo   peculiare   potere   di
autoaccertamento e di autotutela, e di precetto» (cfr. Cass. n.  8335
del 2003, Cass. n. 24449 del 2006, Cass. n. 12263 del 2007). 
    Inoltre, il detto potere di  accertamento  non  implica  che  nel
giudizio  di  opposizione  l'ingiunzione   sia   assistita   da   una
presunzione di verita', dovendo piuttosto ritenersi che la  posizione
di vantaggio riconosciuta alla P.A. sia  limitata  al  momento  della
formazione unilaterale  del  titolo  esecutivo,  restando  escluso  -
perche' del tutto ingiustificato in riferimento a dati testuali e  ad
un'esegesi costituzionalmente orientata  in  relazione  all'art.  111
Cost.  -  che  essa  possa  permanere  anche  nella  successiva  fase
contenziosa, in seno alla  quale  il  rapporto  deve  essere  provato
secondo le regole ordinarie dall'amministrazione opposta (cfr.  Cass.
n. 9989 del 2016). 
    Da quanto sino ad ora esposto, risulta evidente per quale  motivo
la questione di legittimita' costituzionale che si intende  sollevare
con la presente ordinanza  e'  rilevante  ai  fini  della  decisione:
previsione  della  non  impugnabilita'  dell'ordinanza  impedisce  al
collegio di affrontare il merito del gravame proposto dalla  CGS,  in
quanto,    in    applicazione    della    norma     sospettata     di
incostituzionalita', il reclamo andrebbe dichiarato inammissibile. 
    La  questione   di   legittimita'   costituzionale   non   appare
manifestamente  infondata  sotto  il  profilo  della  violazione  dei
principi e dei criteri direttivi della legge delega  ossia  dell'art.
54 della legge n. 69 del 2009. 
    La delega conferita al Governo aveva come scopo principale quello
di  ridurre  e  semplificare  i  procedimenti  civili  di  cognizione
rientranti   nella   giurisdizione   ordinaria   e   regolati   dalla
legislazione speciale. 
    A tal fine, il comma 4 dell'art. 54 della legge n. 69  del  2009,
prevedeva i seguenti principi e criteri direttivi: 
        «a) restano fermi i criteri di competenza, nonche' i  criteri
di composizione dell'organo giudicante, previsti  dalla  legislazione
vigente; 
        b) i procedimenti civili di natura contenziosa  autonomamente
regolati dalla legislazione  speciale  sono  ricondotti  ad  uno  dei
seguenti modelli processuali previsti dal codice di procedura civile: 
          1) i procedimenti  in  cui  sono  prevalenti  caratteri  di
concentrazione processuale, ovvero di  officiosita'  dell'istruzione,
sono ricondotti al rito disciplinato dal libro  secondo,  titolo  IV,
capo I, del codice di procedura civile; 
          2) i procedimenti, anche se in Camera di consiglio, in  cui
sono prevalenti caratteri  di  semplificazione  della  trattazione  o
dell'istruzione della causa, sono ricondotti al procedimento sommario
di cognizione di cui al libro quarto, titolo  I,  capo  III-bis,  del
codice di  procedura  civile,  come  introdotto  dall'art.  51  della
presente legge, restando tuttavia esclusa per  tali  procedimenti  la
possibilita' di conversione nel rito ordinario; 
          3) tutti gli altri procedimenti sono ricondotti al rito  di
cui al libro secondo, titoli I e III, ovvero titolo II, del codice di
procedura civile; 
        c) la riconduzione ad uno dei riti di cui ai numeri 1), 2)  e
3) della lettera b) non  comporta  l'abrogazione  delle  disposizioni
previste dalla legislazione speciale  che  attribuiscono  al  giudice
poteri officiosi, ovvero di quelle finalizzate a produrre effetti che
non  possono  conseguirsi  con  le  norme  contenute  nel  codice  di
procedura civile; 
        d) restano in ogni caso ferme le disposizioni processuali  in
materia di procedure  concorsuali,  di  famiglia  e  minori,  nonche'
quelle contenute nel regio decreto 14 dicembre  1933,  n.  1669,  nel
regio decreto 21 dicembre 1933, n. 1736, nella legge 20 maggio  1970,
n. 300, nel codice della proprieta' industriale  di  cui  al  decreto
legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, e nel codice del consumo di  cui
al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206». 
    Come si puo' agevolmente notare, la  delega  nulla  prevedeva  in
tema di disciplina cautelare, tanto che la  normativa  contenuta  nel
capo III del titolo I del libro IV del codice di procedura civile non
risulta in alcun modo richiamata. 
    Certo, la lettera c) del comma 4  escludeva  l'abrogazione  delle
«disposizioni previste dalla legislazione speciale [...]  finalizzate
a produrre effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute
nel codice di procedura civile», e in tale  previsione  e'  possibile
rinvenire la necessita' di conservare le disposizioni che prevedevano
la  possibilita'  di  sospendere  l'atto  amministrativo   impugnato.
Tuttavia, non vi sono elementi testuali per  poter  ritenere  che  il
legislatore delegato potesse incidere  sulla  disciplina  previgente,
modificandola. 
    Ebbene,  l'art.  3  del  regio  decreto  n.  610  del  1939   non
qualificava  come  non  impugnabile  l'ordinanza  che  disponeva   la
sospensione del procedimento coattivo. 
    Nella relazione  al  decreto  legislativo  n.  150  del  2011  si
giustifica la scelta di prevedere e disciplinare il  sub-procedimento
di  sospensione  con  la  necessita'   di   coordinare   le   diverse
disposizioni delle leggi speciali in tema di  poteri  di  sospensione
del giudice, ma l'esigenza di effettuare il necessario  coordinamento
con le altre disposizioni vigenti, esigenza richiamata  dal  comma  2
dell'art. 54, se correttamente intesa, avrebbe imposto l'applicazione
del rito cautelare  uniforme  piuttosto  che  l'introduzione  di  una
disciplina in deroga ad esso, in assenza di un qualsivoglia principio
o criterio direttivo in tal senso e in violazione, come si  vedra'  a
breve, di quanto previsto dall'art. 3 Cost.. 
    Dunque, ricapitolando quanto sinora esposto, l'eccesso di delega,
con conseguente violazione dell'art.  76  Cost.,  si  ravvisa  per  i
seguenti motivi: a) i principi e i criteri direttivi non riguardavano
il  rito  cautelare,  ne'  giustificavano   l'introduzione   di   una
disciplina speciale per  i  provvedimenti  cautelari  previsti  dalla
legislazione speciale  oggetto  del  riordino  previsto  dalla  legge
delega; b) il  legislatore  delegato  non  poteva  introdurre  alcuna
innovazione in ordine alle «disposizioni previste dalla  legislazione
speciale  [...]  finalizzate  a  produrre  effetti  che  non  possono
conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile»  e
quindi non poteva introdurre alcuna previsione di non  impugnabilita'
in precedenza non prevista; c) il necessario  coordinamento  imponeva
di estendere  il  rito  cautelare  uniforme  anche  ai  provvedimenti
cautelari previsti dalla legislazione speciale. 
    Occorre ora spiegare per quali motivi  la  previsione  della  non
impugnabilita'  dell'ordinanza  prevista  dall'art.  5  del   decreto
legislativo n. 150 del 2011 violi l'art. 3 della Costituzione. 
    Ad avviso del collegio, il  legislatore  delegato  ha  introdotto
un'irragionevole  disparita'   di   trattamento   tra   provvedimenti
cautelari. 
    A differenza di tutti gli  altri  casi  di  provvedimenti  aventi
natura e struttura cautelare, l'ordinanza in esame non e' impugnabile
mediante  il  reclamo  previsto  dall'art.  669-terdecies  codice  di
procedura civile. 
    Tale speciale mezzo di impugnazione e', infatti, esteso dall'art.
669-quaterdecies codice di procedura civile agli altri  provvedimenti
cautelari previsti dal codice civile e dalle leggi speciali. 
    Orbene, non vi e' alcun motivo per  ritenere  che  le  parti  che
agiscono ex art. 32 del decreto legislativo n. 150 del  2011  debbano
essere private di un mezzo per ottenere una revisione della decisione
cautelare resa dal giudice monocratico e cio' anche in considerazione
delle gravi  conseguenze  che  possono  derivare  dall'esecuzione  di
ingiunzioni di pagamento  aventi  ad  oggetto  rilevanti  importi  di
denaro (nel caso di specie, l'importo ammonta a euro 232.094,00). 
    Siamo in presenza  di  «un'incoerenza  interna»  alla  disciplina
della tutelare cautelare che la Corte costituzionale ha gia' ritenuto
sufficiente per dichiarare costituzionalmente illegittimo il disposto
degli articoli 669-quaterdecies e 695 del codice di procedura civile,
nella  parte  in  cui   non   prevedevano   la   reclamabilita'   del
provvedimento di rigetto dell'istanza per l'assunzione preventiva dei
mezzi di prova di cui agli articoli 692 e  696  dello  stesso  codice
(cfr. sentenza n. 144 del 2008). 
    La discrasia  e'  ancora  piu'  evidente  se  si  considera  che,
rispetto  agli  altri  titoli  esecutivi  di  natura  stragiudiziale,
l'ordinanza  che,  in  sede  di   opposizione   pre-esecutiva   (c.d.
opposizione a  precetto),  decide  sulla  sospensione  dell'efficacia
esecutiva del titolo, oggi prevista dall'art. 615, comma 1, codice di
procedura civile, e' reclamabile ai sensi  dell'art.  624,  comma  2,
codice di procedura civile. 
    Ed invero, come messo in  evidenza  da  autorevole  dottrina,  il
legislatore del 2005 ha introdotto uno specifico strumento di  natura
cautelare   volto   ad   inibire   l'esecuzione   del   pignoramento,
sussistendone «gravi motivi». 
    Sulla scia di tale ricostruzione, la piu' attenta  giurisprudenza
di merito  considera  ammissibile  il  reclamo  avverso  la  suddetta
ordinanza, in quanto: a) e' un provvedimento di natura cautelare;  b)
e' ad essa applicabile il disposto dell'art. 624, comma 2, codice  di
procedura civile, che non distingue tra ordinanza resa ai  sensi  del
primo comma e ordinanza resa ai sensi del secondo comma dell'art. 615
codice  di  procedura  civile;  c)  manca  una  previsione   di   non
impugnabilita'  (per  un   riepilogo   delle   decisioni   favorevoli
all'ammissibilita' del reclamo, cfr. Tribunale di  Latina,  ordinanza
collegiale del 21 novembre 2016). 
    Appare poi irragionevole che la possibilita' di proporre  reclamo
sia accordata con riferimento ad istanze di  sospensione  relative  a
titoli  esecutivi  giudiziali,  mentre  sia  negata  con  riferimento
all'ingiunzione   amministrativa,    avente    natura    di    titolo
stragiudiziale e come tale dotata di una portata di accertamento  del
diritto in contestazione di gran lunga inferiore, se  non  nulla  (si
richiama al riguardo la gia' citata Cass. n. 9989 del 2016). 
    Infine, la dottrina ha sottolineato come la previsione della  non
impugnabilita'  da  parte  dell'art.  5  crei   una   disparita'   di
trattamento anche  con  quanto  previsto  dall'art.  62  del  decreto
legislativo n. 109 del 2010 (Codice del processo amministrativo). 
    La norma da ultimo richiamata prevede che contro i  provvedimenti
cautelari resi dal Tribunale amministrativo  regionale  e'  possibile
proporre appello al Consiglio di Stato. 
    Dunque, confrontando le due discipline si giunge alla conclusione
che rispetto ad  alcuni  provvedimenti  amministrativi  e'  possibile
ottenere, sempre in sede cautelare, la revisione della decisione  del
primo giudice, mentre  per  i  provvedimenti  amministrativi  la  cui
opposizione e' regolata dal decreto legislativo n. 150 del  2011  non
e' riconosciuta tale facolta' alle parti:  se  si  considera  che  il
decreto  legislativo  n.  109  del  2010  regola  pure  i   casi   di
giurisdizione esclusiva, appare evidente la disparita' di trattamento
tra ingiunzioni rimesse alla giurisdizione del giudice  ordinario  ed
ingiunzioni rientranti  nella  giurisdizione  esclusiva  del  giudice
amministrativo. 
    In conclusione, ad avviso del  collegio,  l'art.  5  del  decreto
legislativo n.  150  del  2011,  come  richiamato  dall'art.  32  del
medesimo provvedimento legislativo, viola l'art. 3 della Costituzione
nella parte in cui qualifica come  non  impugnabile  l'ordinanza  che
decide sull'istanza di  sospensione,  sottraendola  in  tal  modo  al
disposto  degli  articoli  669-terdecies  e  quaterdecies  codice  di
procedura civile. 
    In conclusione, per i motivi in precedenza esposti,  il  collegio
solleva questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  5  del
decreto legislativo n. 150 del 2011, come richiamato  dal  successivo
art. 32, nella parte in cui non consente la proposizione del  reclamo
ex art. 669-terdecies codice di procedura civile avverso  l'ordinanza
che    decide    sulla    sospensione    dell'efficacia     esecutiva
dell'ingiunzione emessa ex art. 2 del regio decreto n. 639 del  1910,
per violazione degli articoli 76 e 3 della Costituzione. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visti gli articoli 134 e 137 Cost., 1 della legge  costituzionale
n. 1 del 1948 e 23 della legge n. 87 del 1953, dichiara  rilevante  e
non   manifestamente   infondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 5,  comma  1,  del  decreto  legislativo  1°
settembre 2011, n. 150, come richiamato dal successivo art. 32, nella
parte in cui  non  consente  la  proposizione  del  reclamo  ex  art.
669-terdecies codice di  procedura  civile  avverso  l'ordinanza  che
decide sulla sospensione  dell'efficacia  esecutiva  dell'ingiunzione
amministrativa prevista dall'art. 2 del  regio  decreto  n.  639  del
1910, per contrasto con gli articoli 76 e 3 della Costituzione. 
    Ordina che il presente provvedimento, a cura  della  cancelleria,
sia notificato alle parti in causa e al Presidente del Consiglio  dei
ministri nonche' comunicato al Presidente del Senato e al  Presidente
della Camera dei deputati e,  all'esito,  sia  trasmesso  alla  Corte
costituzionale insieme al fascicolo processuale e con la prova  delle
avvenute regolari predette notificazioni e comunicazioni. 
    Sospende il presente procedimento di reclamo. 
 
        Cosi' deciso in Napoli,  nella  Camera  di  consiglio  del  2
febbraio 2017. 
 
                       Il Presidente: Magliulo 
 
 
                                        Il giudice estensore: Ascione