N. 116 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 maggio 2017

Ordinanza del 2 maggio 2017 del Magistrato di sorveglianza di  Napoli
nel giudizio di responsabilita' amministrativa promosso dalla V.P.. 
 
Misure  di  sicurezza  -  Liberta'  vigilata  -  Trasgressione  degli
  obblighi imposti - Competenza del magistrato di sorveglianza. 
- Codice penale, art. 231, comma secondo; codice di procedura penale,
  artt. 676, comma 1, e 679, comma 1. 
(GU n.37 del 13-9-2017 )
 
                  UFFICIO DI SORVEGLIANZA DI NAPOLI 
                    il magistrato di sorveglianza 
 
    Visto la proposta  di  aggravamento  per  trasgressione  obblighi
misura di sicurezza ex art. 231 c.p., relativa a V. P., nato a ......
il ...... 
    Rilevato che con ordinanza  del  Magistrato  di  sorveglianza  di
Spoleto del 24 febbraio 2015,  il  predetto  veniva  sottoposto  alla
liberta' vigilata per anni  tre,  in  riferimento  alla  sent.  Corte
D'Appello Napoli del 15 luglio 2011, confluita in cumulo PG NA del 12
novembre 2014, con esecuzione dal 13 luglio  2015  e  riesame  al  13
luglio 2018; 
    Considerato   che   all'odierna   udienza   veniva   fissato   il
procedimento per l'eventuale aggravamento della misura di  sicurezza,
ai sensi dell'art. 231 c.p.; 
    Ritenuto  che  ai  sensi  dell'art.  203  c.p.   e'   socialmente
pericolosa la persona che ha commesso un fatto previsto  dalla  legge
come reato ed e' probabile che ne commetta di nuovi; tale qualita' si
desume dalle circostanze indicate nell'art. 133 c.p.,  vale  a  dire:
gravita' del reato commesso, intensita' del dolo, motivi a delinquere
precedenti penali  e  giudiziari;  condotta  del  reo  antecedente  e
susseguente  al  reato,  condizioni  di  vita  familiare  e  sociale;
nell'ambito del giudizio di riesame  all'esito  della  sottoposizione
alla misura di sicurezza, acquista particolare rilevanza la  condotta
osservata dal reo ed il rispetto degli obblighi imposti; 
    Rilevato che dall'espletata istruttoria e' emerso che il predetto
annovera a suo carico numerosi precedenti per detenzione illegale  di
armi e munizioni continuato del 1991 e 1998; appropriazione  indebita
del 1990; ricettazione 1991: 416-bis dal  1994  al  2008  e  che  non
risultano precedenti penali pendenti; 
    Preso atto che dalle informazioni  in  atti  risultano  reiterate
violazioni della misura  di  sicurezza  della  liberta'  vigilata  in
numerose occasioni non ottemperava  all'obbligo  di  firma,  fornendo
asserite certificazioni mediche non comprovate (la  piu'  recente  in
data 11 aprile 2017); piu' volte  controllato  con  pregiudicati  (15
febbraio 2017; 28 dicembre 2016; 19 maggio 2016; 16  maggio  2016;  4
aprile 2016); 
    Rilevato che a seguito delle molteplici violazioni il  V.  veniva
diffidato al puntuale rispetto delle  prescrizioni  sia  in  data  18
settembre 2015 che in data 2 dicembre 2015; 
    Atteso che dall'istruttoria espletata emerge che  il  V.  risulta
essere  persona  di  pessima  condotta  morale   e   civile,   solito
accompagnarsi a pregiudicati,  persistendo  nell'inottemperanza  alle
prescrizioni e agli obblighi derivanti dalla misura di sicurezza  cui
e'  sottoposto  e  che  non  svolge  alcuna   attivita'   lavorativa,
circostanza questa, che fa presumere che il predetto  tragga  il  suo
sostentamento dalla commissione dei reati. 
    Ancora  che  il  V.   continui   a   mantenere:   «una   condotta
antigiuridica senza mostrare alcun senno di  ravvedimento,  piuttosto
dando  segni  di  una  radicata  inclinazione  a  delinquere   ed   a
frequentare ambienti malavitosi strettamente legati alla criminalita'
organizzata operante su questo rione Sanita'». (Cfr. P.S.  San  Carlo
Arena del 19 maggio 2016). 
    Rilevato che nel procedimento per l'aggravamento della misura  di
sicurezza  della  liberta'  vigilata  ex  art.  231   c.p.,   fissato
all'udienza odierna nei  confronti  di  V.  P.,  la  difesa  chiedeva
l'applicazione della misura di sicurezza patrimoniale della  confisca
in sostituzione della misura di sicurezza  detentiva  della  casa  di
lavoro. 
    La  domanda  non  puo'  trovare  accoglimento  alla  luce   della
normativa vigente. 
    L'art. 231 c.p. testualmente prescrive che «... quando la persona
in stato di liberta' vigilata trasgredisce agli obblighi imposti,  il
giudice puo' aggiungere alla liberta' vigilata la cauzione  di  buona
condotta. 
    Avuto riguardo alla particolare gravita' della trasgressione o al
ripetersi della medesima, ovvero qualora il trasgressore  non  presti
la  cauzione  il  giudice  puo'  sostituire  alla  liberta'  vigilata
l'assegnazione a una colonia  agricola  o  ad  una  casa  di  lavoro,
ovvero, se si tratta di un minore, il  ricovero  in  un  riformatorio
giudiziario». 
    Il giudice di cui all'articolo e' il Magistrato  di  sorveglianza
che, alla luce della normativa vigente, ha  competenza  su  tutte  le
misure di sicurezza, eccetto la confisca. 
    E' evidente che  gli  aggravamenti  indicati  nella  disposizione
normativa non conseguono necessariamente alle trasgressioni  commesse
in costanza della liberta' vigilata,  attesa  la  necessita'  di  una
circostanziata valutazione della gravita' della violazione, ma  resta
altrettanto evidente che, laddove ritenuta la  «particolare  gravita'
della trasgressione o  il  ripetersi  della  medesima»,  sussista  la
obbligatorieta' dell'applicazione della misura restrittiva, stante la
discrezionalita'  vincolata  che  caratterizza  la  giurisdizione  di
sorveglianza. 
    Doveroso appare un brevissimo cenno storico. 
    Tutto ha inizio dalla relazione del Guardasigilli Rocco del  1929
al Progetto preliminare del Codice di procedura penale: «Posto che il
Progetto  del  Codice  penale  esige  che  l'esecuzione  della   pena
detentiva sia vigilata  dal  giudice,  il  quale  delibera  circa  le
modalita' dell'isolamento diurno, l'ammissione al lavoro  all'aperto,
l'assegnazione a  determinati  stabilimenti  di  pena  e  da'  parere
sull'ammissione  alla  liberazione   condizionale,   era   necessario
stabilire quale debba essere questo giudice. Ora,  tenuto  conto  che
molte volte i condannati a pena detentiva non  espiano  la  pena  nel
luogo in cui fu pronunziata la sentenza di condanna, non si  potevano
affidare le predette funzioni al giudice dell'esecuzione. Ho  pensato
percio' di istituire presso ciascun tribunale, e negli  altri  luoghi
designati con decreto del Ministro della  giustizia,  un  giudice  di
sorveglianza,  coadiuvato,  ove  occorra,  da  uno  o  piu'   giudice
aggiunti, ai quali  tutti  sia  riconosciuta  particolare  cultura  e
attitudine alle materie penali. E cio' e' tanto piu'  necessario,  in
quanto il nuovo codice penale affida al giudice non solo le  funzioni
sopra indicate, altresi' quelle relative alle misure di sicurezza». 
    Dal 1930 il giudice di sorveglianza ha competenza sulle misure di
sicurezza. 
    Il progetto preliminare  al  Codice  penale  del  1930  prevedeva
all'art. 245 la confisca speciale quale profitto  del  reato,  sempre
obbligatoria. 
    A sua volta, il  progetto  preliminare  al  Codice  di  procedura
penale del 1930 prevedeva all'art. 666 la pronuncia del provvedimento
di confisca anche dopo il  passaggio  in  giudicato  della  sentenza,
qualora la confisca  non  fosse  stata  disposta  nella  sentenza  di
condanna o di proscioglimento:  in  tal  caso  si  poteva  provvedere
d'urgenza al  sequestro  delle  cose  da  confiscare,  con  sequestro
disposto quindi dopo la sentenza di condanna. Tale norma, in effetti,
corrispondeva, anche se non del tutto, a quella dettata dall'art. 612
del c.p.p. del 1913; la novita'  e'  quella  del  sequestro  dopo  la
sentenza di condanna. 
    Nella relazione al progetto preliminare del Codice  di  procedura
penale  il  presidente  spiegava  che  la  confisca  speciale  «viene
ordinata   normalmente   nell'istruzione   (con   la   sentenza    di
proscioglimento) o nel giudizio (con la sentenza  di  condanna  o  di
proscioglimento);  ma  se  tale  ordine  sia  stato  omesso  si  deve
provvedere in sede di esecuzione e, in tale caso, la competenza  deve
spettare, ancorche' si tratti di una misura di sicurezza, al  giudice
dell'esecuzione  (e  non  al  giudice  di  sorveglianza)  perche'  il
provvedimento ha carattere meramente oggettivo e perche' di regola le
cose da confiscare si trovano nella sede di quel giudice». 
    Quindi nel lontano 1930 si derogava alla competenza  del  giudice
di  sorveglianza  sia  per  il  carattere  meramente  oggettivo   del
provvedimento sia per motivi di economia  processuale:  la  materiale
ubicazione delle cose oggetto del sequestro, che di regola si trovano
nella sede del giudice  della  condanna,  attrae  la  competenza  del
giudice dell'esecuzione. 
    Da qui, la scaturigine dell'art. 240 del  c.p.  e  del  combinato
disposto degli artt. 635 e 655 c.p.p.; per cui, ex art. 635 c.p.p. «i
provvedimenti con  i  quali  fuori  dal  giudizio  si  applicano,  si
modificano, sostituiscono o si revocano le misure di sicurezza...sono
di competenza del  giudice  di  sorveglianza...quando  la  legge  non
stabilisce la competenza di altro  giudice»  e  ex  art.  655  c.p.p.
«quando non si e'  provveduto  con  la  sentenza  di  condanna  o  di
proscioglimento   alla   confisca...provvede   il    giudice    della
esecuzione..». Tutto cio' fino al 1988. 
    In evoluzione, dopo  il  1988,  si  legge,  all'art.  679,  comma
1 c.p.p., che «Quando una misura di sicurezza diversa dalla  confisca
e'  stata  ordinata  con  sentenza   ....o   deve   essere   ordinata
successivamente, il  magistrato  di  sorveglianza  su  richiesta  del
pubblico ministero o di ufficio, accetta se l'interessato e'  persona
socialmente pericolosa e adotta i provvedimenti conseguenti..». 
    Sulla  scia,   l'art.   676   c.p.p.   attribuisce   al   giudice
dell'esecuzione la competenza a decidere in ordine  alla  confisca  o
alla restituzione delle cose sequestrate: «Il giudice dell'esecuzione
e' competente a decidere in ordine all'estinzione del reato  dopo  la
condanna...alla confisca....». 
    Sul versante dell'ordinamento penitenziario,  d'altro  canto,  si
ritrova che fino al 1975 il magistrato di sorveglianza  svolge  tutte
le funzioni attribuite dal Codice penale e  di  procedura  penale  al
giudice di sorveglianza. 
    Nel 1975, con la legge 354/1975, il magistrato di sorveglianza ex
art. 69 «...sovraintende all'esecuzione  delle  misure  di  sicurezza
personali non detentive». 
    Nel 1986, con la legge 11. novembre 1986, la legge  Gozzini,  nel
nuovo art. 69, fermo il comma 3 quanto alla competenza sulla gestione
delle misure di sicurezza personali, al comma  4,  si  legge  che  il
Magistrato  di  sorveglianza   «...   provvede   al   riesame   della
pericolosita' ...nonche' all'applicazione, esecuzione, trasformazione
e revoca delle misure di sicurezza». 
    Una formulazione generica e  ampia,  che  lascia  spazio  ad  una
interpretazione estesa a tutte le misure di sicurezza, sia  detentive
che non detentive, sia personali che patrimoniali. 
    Resta, pero', sempre in vigore l'art. 679, comma  1  c.p.p.,  che
riserva la confisca al giudice della esecuzione. 
    Tutte le innovazioni legislative intervenute dal 1930 ad oggi non
hanno apportato alcuna modifica sull'argomento che  qui  rileva,  non
hanno mai attenzionato il settore  «competenza»,  neppure  sul  piano
delle motivazioni; nulla che emerga dai lavori preparatori, nulla che
si rilevi dalla dottrina o dalla giurisprudenza. 
    La   normativa   indicata   e'   rimasta   invariata   nonostante
l'evoluzione culturale e giurisdizionale che ha  interessato  sia  la
figura del magistrato di sorveglianza  sia  la  misura  di  sicurezza
patrimoniale della confisca. 
    Quanto  al   magistrato   di   sorveglianza   la   giurisprudenza
costituzionale prima e il legislatore  poi  hanno  individuato  nello
stesso la figura di unico garante dei diritti del  condannato,  sulla
strada maestra indicata da una parte, in primis dalla  sent.  26/1999
Corte  cost.,  dall'altra  dalla  legge  Simeone-Saraceni,  la  legge
165/1998. 
    Quanto alla confisca, misura di sicurezza patrimoniale, cosi come
regolamentata dall'art. 240  c.p.,  essa  va  delineata  nelle  varie
accezioni che le successive modifiche normative e  la  giurisprudenza
costante hanno dato alla stessa. 
    Infatti, negli anni piu' recenti e' stata sempre piu'  nettamente
sottolineata  la  diretta  correlazione  tra  beni   confiscabili   e
attivita' delittuosa del  soggetto,  riconoscendo  che  ha  ritrovato
consolidato  orientamento  giurisprudenziale  una  concezione   della
confisca caratterizzata da una forte spinta alla valorizzazione della
funzione, preventiva-repressiva dell'istituto, come  tale  protesa  a
dilatare  gli  ambiti  applicativi   risultanti   dalle   valutazioni
legalmente tipizzate della  pericolosita'  sociale  indotta  nel  reo
dalla perdurante disponibilita' dei beni  astrattamente  suscettibili
di confisca; confisca dei beni del  condannato  perche'  sempre  piu'
strumento e  fine  della  continuita'  criminosa  delinquenziale,  da
quegli stessi beni assicurata, per cui si  aggredisce  il  patrimonio
del soggetto per neutralizzare la sua capacita' criminale in una alla
sua pericolosita' sociale. (ex multis, Corte cost. sentenza n. 68 del
2017; Corte cass.pen. sez. 2, sent. n. 32273/2010). 
    Sembra  abbastanza  sbiadito  se  non  proprio   evanescente   il
carattere della oggettivita' del provvedimento  della  confisca,  che
aveva motivato il dettato dell'art. 655 c.p.p. del 1930. 
    E questo a  non  dire  dell'altra  circostanza,  che  aveva  dato
origine all'art. 655 c.p.p. del 1930, ossia la  materiale  ubicazione
delle cose da confiscare presso la sede del giudice della condanna. 
    Ne', peraltro, puo' ritenersi  la  lettera  attuale  della  legge
sistemica ad un impianto normativo nettamente distinto tra misure  di
sicurezza patrimoniali e  misure  sicurezza  personali,  da  cui  far
derivare la riserva al magistrato di sorveglianza della competenza  a
decidere  sulle  misure  di  sicurezza  personali   con   preclusione
all'accesso alle misure  di  sicurezza  patrimoniali,  come  pur  nei
desiderata di qualcuno. 
    Osta a tale configurazione la lettera dell'art. 231 c.p. che,  al
comma 1, dispone: «...quando la persona in stato di liberta' vigilata
trasgredisce agii obblighi  imposti,  giudice  puo'  aggiungere  alla
liberta' vigilata la cauzione di buona condotta». 
    Il giudice indicato e' sempre il magistrato di sorveglianza e  la
cauzione di buona condotta e' pur sempre,  ai  sensi  dell'art.  236,
comma 1 n. 1, una misura di sicurezza patrimoniale. 
    Razionalita' giuridica e esigenze di ordine sistemico-procedurale
avrebbero voluto che, conseguenzialmente, in  caso  di  ripetitivita'
delle trasgressioni o di trasgressione particolarmente  grave  ovvero
nel caso di mancata prestazione della cauzione,  ai  sensi  dell'art.
231, comma 2, c.p.p.. fosse lo stesso magistrato di  sorveglianza  ad
aggravare la misura con l'applicazione della confisca. 
    In caso di una  violazione  o  di  violazione  di  non  rilevante
gravita', si puo' applicare la cauzione di buona condotta;  nel  caso
di piu' violazioni o violazione di  rilevante  gravita'  si  dovrebbe
poter  applicare  la  confisca,  misura  di  sicurezza   patrimoniale
succedanea alla cauzione di buona condotta in ordine di gravita'. 
    Appare      ragionevolmente      discutibile      un      sistema
penal-processuale-penitenziario, in cui il magistrato di sorveglianza
si ritrova ad  aver  competenza  su  tutte  le  misure  di  sicurezza
detentive e non  detentive,  personali  e  patrimoniali,  eccetto  la
confisca. 
    Ed  invece,  se  tale  e'  la   normativa   richiamata   e   tale
l'interpretazione   delle   norme,   che   ne'   la    giurisprudenza
costituzionale, ne' quella di legittimita' hanno mai  intaccato,  nel
caso in esame, ex art.  231,  comma  2,  c.p.,  in  presenza  di  una
trasgressione  di  indubbia  rilevante  gravita',   o   di   ripetute
trasgressioni, non e' possibile sottrarsi al  dettato  normativo  che
impone l'aggravamento della  misura  della  liberta'  vigilata  nella
misura  di  sicurezza  detentiva  della  casa  di  lavoro  o  colonia
agricola. 
    Si   ritiene,   pertanto,   doveroso   sollevare   eccezione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 231, comma 2, c.p.,  alla  luce
del disposto degli artt. 676, comma 1, c.p.p. e 679, comma 1, c.p.p.,
per contrasto con gli artt. 3, 13, commi 1 e 2 , e  24  Cost.,  nella
parte in cui la disciplina di legge  ancora  la  scelta  del  giudice
all'applicare la misura di sicurezza detentiva della casa di  lavoro,
stante la impossibilita'  dell'adozione  della  misura  di  sicurezza
patrimoniale della confisca, per carenza di competenza. 
    La rigidita' dei criteri di cui all'art. 231, contrita  2,  c.p.,
imposti dalla legge  per  l'assegnazione  alla  misura  di  sicurezza
detentiva della casa di lavoro e  la  conseguente  impossibilita'  di
ricorrere ad altre misure, come la confisca, verosimilmente di pari o
superiore efficacia, rappresenta una scelta non confortata  da  alcun
supporto scientifico ne' logico, non sistemica e gratuitamente lesiva
della liberta' personale. 
    Siamo  in  presenza,  ancora  una  volta,   di   una   disciplina
assolutamente inadeguata e apparentemente irragionevole  nel  momento
in cui, superata la necessaria «attualizzazione» della  pericolosita'
sociale alla  luce  della  gravita'  della  trasgressione,  impedisce
l'adozione di misure non detentive, pur esistenti nell'ordinamento, e
di per se' idonee a difendere la collettivita' e insieme  contrastare
la  pericolosita'  sociale  del  prevenuto,   imponendo   la   misura
totalitaria dell'assegnazione ad una casa di lavoro. 
    L'obbligatorieta' del ricorso alla misura di sicurezza  detentiva
della casa di lavoro o della colonia agricola e' sufficiente a metter
in dubbio la legittimita' costituzionale di una disciplina  normativa
oggettivamente e soggettivamente obsoleta. 
    E' pur vero che la pericolosita' sociale emergente dalle ripetute
trasgressioni della  liberta'  vigilata,  o  dalla  trasgressione  di
particolare gravita', richiede misure atte a contenere tale specifica
manifestazione e a tutelare la collettivita'  da  ulteriori  condotte
pregiudizievoli, ma e' altrettanto  vero  che  l'obbligatorieta'  del
ricorso a misure detentive appare  del  tutto  sproporzionata  e  non
giustificabile, in presenza di misure altrettanto idonee alla  tutela
della collettivita' e  tali  da  non  arrecare  danni  alla  liberta'
personale,  quali  la  confisca,  certamente  meno  invasiva  e   non
segregante, che solo  per  motivi  non  sufficientemente  idonei  ne'
ragionevolmente rilevabili, resta preclusa nella sua applicazione  al
magistrato di sorveglianza. 
    Assolutamente non superfluo appare richiamare  l'art.  13,  primo
comma, Cost., quale referente fondamentale del regime ordinario delle
misure cautelari privative della liberta' personale, alla luce  della
costante interpretazione costituzionale. 
    Il principio di inviolabilita' della  liberta'  personale  trova,
infatti, da sempre  assoluta  tutela  nella  costante  giurisprudenza
costituzionale, (ex multis, sent. 265/2010 Corte cost.) 
    Mutatis Mutandis, resta  sempre  valido,  seppur  in  materia  di
misure di sicurezza,  che  «Ulteriore  indefettibile  corollario  dei
principi costituzionali di riferimento e'  che  la  disciplina  della
materia debba essere ispirata  al  criterio  del  «minore  sacrificio
necessario»: la compressione della liberta' personale  va  contenuta,
cioe', entro i limiti minimi indispensabili a soddisfare le  esigenze
(della tutela della collettivita') riconoscibili nel caso concreto. 
    Sul versante della «qualita'» delle misure, ne  consegue  che  il
ricorso alle forme di restrizione piu' intense - e particolarmente  a
quella «massima» della detenzione - deve  ritenersi  consentito  solo
quando le esigenze processuali o extraprocessuali non possano  essere
soddisfatte tramite misure di minore incisivita'. Questo principio e'
stato affermato in  termini  netti  anche  dalla  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo, secondo la quale, in riferimento  alla  previsione
dell'art. 5, paragrafo 3,  della  Convenzione,  la  detenzione  «deve
apparire come  la  soluzione  estrema  che  si  giustifica  solamente
allorche'  tutte   le   altre   opzioni   disponibili   si   rivelino
insufficienti, (sentenze 2 luglio 2009, Vafiadis contro Grecia,  e  8
novembre 2007, Lelievre contro Belgio). 
    Il criterio del «minore sacrificio necessario»  impegna,  dunque,
in linea di massima, il legislatore, da una parte, a  strutturare  il
sistema secondo il modello della «pluralita' graduata», predisponendo
una gamma alternativa di misure, connotate  da  differenti  gradi  di
incidenza  sulla  liberta'  personale;  dall'altra,   a   prefigurare
meccanismi   «individualizzati»   di   selezione   del   trattamento,
parametrati sulle esigenze configurabili  nelle  singole  fattispecie
concrete." 
    E' di tutta evidenza come proprio nel rispetto  del  criterio  di
adeguatezza, correlato alla  «gamma»  graduata  delle  misure,  trovi
espressione il principio - implicato  dal  quadro  costituzionale  di
riferimento  -  del  «minore   sacrificio   necessario»:   entro   il
«ventaglio» delle alternative prefigurate  dalla  legge,  il  giudice
deve infatti  prescegliere  la  misura  meno  afflittiva  tra  quelle
astrattamente idonee  a  tutelare  le  esigenze  cautelari  nel  caso
concreto, in modo da ridurre al minimo  indispensabile  la  lesivita'
determinata   dalla   coercizione   endoprocedimentale    ed    extra
procedimentale. 
    Si tratta, invero, di riprendere i  principi  ispiratori  cardini
della Carta Costituzionale, nonche'  della  Convenzione  europea  dei
diritti dell'uomo  ed  applicarli  anche  in  materia  di  misure  di
sicurezza, riaffermando la natura  residuale-eceezionale,  ovvero  di
extrema ratio, della misura di sicurezza detentiva,  allorche',  come
nel caso in esame, venga imposta dalla normativa vigente in dispregio
del  paradigma  costituzionale  preclusivo  di  qualunque  forma   di
automatismo e presunzione legale. 
    A determinare i rilevati vulnera e', infatti, carattere  assoluto
della disposizione, che implica una indiscriminata e totale negazione
di rilievo al principio del «minore sacrificio necessario». 
    Non si richiede, nel caso in esame, la semplice  eliminazione  di
una misura di sicurezza per indubbi requisiti di incostituzionalita'. 
    La posta in gioco riguarda la denuncia del  rigido  «automatismo»
della regola legale che impone al giudice, nel caso di  trasgressione
degli obblighi della liberta' vigilata,  di  ordinare  l'assegnazione
del prevenuto ad una casa di lavoro o colonia agricola per il periodo
minimo di anni uno, o due, se trattasi di delinquente abituale, senza
consentirgli di disporre, in  alternativa,  di  misure  di  sicurezza
diverse, pur quando in concreto, tali misure restrittive e segreganti
appaiano non adeguate al caso in esame. 
    E questo  a  non  voler  considerare  che,  anche  se  oggi  dopo
l'entrata in vigore del d.l. 52 del 2014 tutte le misure di sicurezza
detentive hanno una durata massima, resta pur vero che la  misura  di
sicurezza della casa di lavoro non ha una durata  predeterminata,  ma
dipende  dal  perdurare  della  pericolosita'  dell'internato,   come
ricordato nella sentenza recente della Corte Costituzionale n. 83 del
2017; nel caso di specie in caso di interruzione colpevole, la misura
di sicurezza della casa di lavoro ricomincia a decorrere ex novo,  ai
sensi dell'art. 214, comma 1, c.p. 
    L'incostituzionalita' travolge vincolo rigido imposto al  giudice
di  sorveglianza  di  disporre  comunque  la  misura   di   sicurezza
detentiva, casa di lavoro o colonia agricola, anche quando una misura
meno drastica e non segregante, come la confisca, appaia  capace,  in
concreto, di soddisfare contemporaneamente le esigenze  di  controllo
della  sua  pericolosita'  sociale  ed  insieme   di   tutela   della
collettivita' e della liberta' personale della persona interessata. 
    La legge impone un'unica scelta, l'applicazione della  misura  di
sicurezza detentiva, in concreto  certamente  lesiva  della  liberta'
personale della persona interessata, su cui si viene ad  incidere  in
maniera assolutamente gratuita, irragionevole e in contrasto  con  il
principio del necessario equilibrio tra le diverse esigenze, che deve
caratterizzare questo tipo di fattispecie. 
    La Corte ha, inoltre, piu' volte rilevato  che,  l'individuazione
della misura  da  applicare  puo'  essere  effettuata  anche  in  via
astratta dal legislatore purche' «nel rispetto  della  ragionevolezza
della scelta e del corretto bilanciamento dei  valori  costituzionali
coinvolti». 
    Non  sono  poche,  invero,  le  ipotesi  nelle  quali  la   Corte
Costituzionale  e'  dovuta  intervenire  a  correggere  od  eliminare
automatismi di tal genere, nelle quali l'apprezzamento da  parte  del
giudice della situazione concreta e la possibilita'  per  il  giudice
stesso  di  adottare   diverse   determinazioni   nell'ambito   delle
previsioni  legali,  e'  apparso  l'unico  modo  per  realizzare   il
bilanciamento di diverse esigenze costituzionali (cfr. sentenze Corte
Costituzionale n. 253 del 2003, n. 306 del 1993, n. 186 del 1995...). 
    L'automatismo, una volta accertata la particolare gravita'  della
trasgressione  o  la  ripetitivita'  della  stessa,  di  una   misura
segregante e totale, come la misura di sicurezza detentiva della casa
di lavoro o della colonia agricola,  imposta  pur  quando  appaia  in
concreto   inadatta,   infrange    l'equilibrio    costituzionalmente
necessario e viola esigenze essenziali di ragionevolezza e protezione
dei diritti della persona, nella specie  del  diritto  alla  liberta'
personale, di cui agli artt. 3 e 13 della Costituzione. 
    Si richiede, per  gli  effetti,  a  codesta  Corte  di  eliminare
l'accennato   automatismo,   consentendo   che   il   magistrato   di
sorveglianza possa adottare, fra le misure che l'ordinamento prevede,
anche la confisca, misura che in concreto  appare  piu'  idonea,  nel
caso di specie, a soddisfare le esigenze  di  tutela  della  liberta'
personale dell'interessato, da un lato, e di contenimento e controllo
della sua pericolosita' sociale, dall'altro lato. 
    E tutto questo a non dire del vulnus apportato al diritto difesa,
di cui all'art. 24 Cost., alla  luce  della  inutilita'  di  azionare
qualunque strumento difensivo quanto alla individuazione della misura
di sicurezza da applicare, una volta  attualizzata  la  pericolosita'
sociale a seguito alla gravita' della trasgressione commessa. 
    Quanto alla rilevanza della questione essa  non  puo'  trarsi  in
dubbio alla luce della evidente  differenza  tra  le  due  misure  di
sicurezza  richiamate,  l'una  patrimoniale,  l'altra   personale   e
l'indiscutibile  ostacolo  normativo,  che  vieta  di  accogliere  la
domanda dell'interessato. 
    Ne' appare possibile addivenire a diversa  risoluzione  all'esito
combinato dell'interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente
orientata,  in  presenza  di  un  dettato  legislativo  inequivoco  e
ineludibile. 
    Come ribadito dalla Corte Costituzionale nella sentenza ultima n.
83 del 2017: « ...  l'obbligo  di  addivenire  ad  un'interpretazione
conforme  alla  Costituzione   cede   il   passo   all'incidente   di
legittimita' costituzionale ogni qual volta  essa  sia  incompatibile
con il disposto letterale della disposizione e si  rilevi  del  tutto
eccentrica e bizzarra, anche alla luce del contesto normativo ove  la
disposizione si colloca ...L'interpretazione secondo Costituzione  e'
doverosa ed ha un'indubbia priorita' su ogni altra  ...ma  appartiene
pur  sempre  alla  famiglia  delle  tecniche  esegetiche,   poste   a
disposizione    del    giudice    nell'esercizio    della    funzione
giurisdizionale, che  hanno  carattere  dichiarativo.  Ove,  percio',
sulla  base  di  tali  tecniche,  non  sia  possibile  trarre   dalla
disposizione alcuna norma conforme alla  Costituzione..il  dubbio  di
costituzionalita' non potra' essere risolto in via ermeneutica». 
    Rebus sic stantibus, va tratta la  doverosa  conseguenza  che  le
norme censurate violino gli artt. 3, 13 e 24 della Costituzione. 
    In  conclusione,  pertanto,  questo  giudice   ritiene   doveroso
eccepire la illegittimita' costituzionale  dell'art.  231,  comma  2,
c.p., alla luce del disposto degli art. 676, comma 1, c.p.p.  e  679,
comma 1, c.p.p., per contrasto con gli artt. 3, 13, commi 1 e 2, e 24
Cost. nella parte in cui, in caso  di  trasgressioni  degli  obblighi
imposti dalla  liberta'  vigilata,  non  consente  al  magistrato  di
sorveglianza di applicare la misura di sicurezza  patrimoniale  della
confisca imponendo, invece, l'applicazione della misura di  sicurezza
detentiva con assegnazione a una casa di  lavoro  o  ad  una  colonia
agricola. 
    Sentito il conforme parere del PM; 
 
                              P. Q. M. 
 
    Letti gli artt. 134 Cost., 23 e segg. legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata per  violazione
degli artt. 3, 13, comma 1 e 2, e 24, comma 2, Cost. la questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 231, comma 2,  c.p.  alla  luce
del disposto degli artt. 676, comma 1, c.p.p. e 679, comma 1, c.p.p.,
nella parte in cui non  consentono  l'applicazione  della  misura  di
sicurezza patrimoniale della confisca in sede di  aggravamento  della
misura di sicurezza  personale  della  liberta'  vigilata,  imponendo
l'applicazione della misura di  sicurezza  detentiva  della  casa  di
lavoro o della colonia agricola, per carenza di competenza. 
    Sospende la procedura e ordina la trasmissione  degli  atti  alla
Corte Costituzionale. 
    Ordina che a cura della Cancelleria  la  presente  ordinanza  sia
notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e sia  comunicata
ai  Presidenti  del  Senato  della  Repubblica  e  della  Camera  dei
deputati. 
    Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di rito. 
      Napoli, 5 aprile 2017 
 
             Il Magistrato di sorveglianza: Di Giovanni