N. 121 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 maggio 2017

Ordinanza del 23 maggio 2017  del  Consiglio  di  Stato  sul  ricorso
proposto da Comune di Napoli  contro  Presidenza  del  Consiglio  dei
ministri e altri. 
 
Ambiente - Bonifica ambientale e rigenerazione urbana delle  aree  di
  rilevante interesse nazionale del comprensorio  Bagnoli-Coroglio  -
  Procedimento di approvazione del programma di rigenerazione  urbana
  -  Omessa  previsione  di  un'intesa  con  la  Regione  e   di   un
  coinvolgimento procedimentale del Comune - Previsione del pagamento
  dell'importo  dell'indennizzo,  relativo  al  trasferimento   della
  proprieta' delle aree e degli immobili del comprensorio, attraverso
  strumenti finanziari. 
- Decreto-legge  12  settembre  2014,  n.  133  (Misure  urgenti  per
  l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la
  digitalizzazione  del  Paese,   la   semplificazione   burocratica,
  l'emergenza del dissesto  idrogeologico  e  per  la  ripresa  delle
  attivita' produttive), convertito, con modificazioni,  dalla  legge
  11 novembre 2014, n. 164, art. 33, commi 3, 9, 10, 12 e 13. 
(GU n.38 del 20-9-2017 )
 
                        IL CONSIGLIO DI STATO 
                Sede giurisdizionale (Sezione Quarta) 
 
    Ha pronunciato la presente sentenza non  definitiva  sul  ricorso
numero di registro generale 6886 del 2016,  proposto  dal  Comune  di
Napoli, in persona del legale rappresentante  p.t.,  rappresentato  e
difeso dagli avvocati Fabio  Maria  Ferrari,  Anna  Pulcini,  Antonio
Andreottola, Bruno Crimaldi, con domicilio eletto  presso  lo  studio
Nicola Laurenti in Roma, via Francesco Denza, 50/A; 
    Contro   Presidenza  del  Consiglio   dei   ministri,   Ministero
dell'ambiente e della tutela del territorio  e  del  mare,  Ministero
dello  sviluppo  economico,  Ministero  delle  infrastrutture  e  dei
trasporti, in persona dei rispettivi legali rappresentanti in carica,
tutti rappresentati e difesi  per  legge  dalla  Avvocatura  generale
dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi  n.
12, sono domiciliati, costituitisi in giudizio; 
    Commissario straordinario del Governo per la Bonifica  ambientale
e la rigenerazione urbana dell'Area  Bagnoli-Coroglio,  curatela  del
fallimento  della  societa'  Bagnolifutura  in  liquidazione  s.p.a.,
Salvatore Nastasi non costituiti in giudizio; 
    Societa' Invitalia, Agenzia Nazionale Attrazione  Investimenti  e
sviluppo d'impresa s.p.a, in persona del legale rappresentante  p.t.,
rappresentato e difeso dagli avvocati  Fabio  Cintioli,  Giuseppe  Lo
Pinto, con domicilio eletto presso lo studio Fabio Cintioli in  Roma,
via Vittoria Colonna 32; 
    Regione Campania, in  persona  del  legale  rappresentante  p.t.,
rappresentato e difeso dagli avvocati Massimo Lacatena, Maria D'Elia,
Almerina Bove,  con  domicilio  eletto  presso  la  Regione  Campania
Ufficio di Rappresentaza Regione Campania in Roma, via Poli n. 29; 
    Nei  confronti  di  Verdi  Ambiente   e   Societa'   Aps   Onlus,
Associazione Cittadini Per Bagnoli non costituiti in giudizio; 
    Sul ricorso numero di registro generale 8347 del  2016,  proposto
dalla curatela del fallimento della societa' Bagnolifutura s.p.a.  in
liquidazione,   in   persona   del   legale   rappresentante    p.t.,
rappresentato  e  difeso  dall'avvocato  Gennaro   Terracciano,   con
domicilio eletto presso lo studio Gennaro Terracciano in Roma, piazza
S. Bernardo 101; 
    Contro Presidenza del Consiglio  dei  ministri,  in  persona  del
legale rappresentante in carica, rappresentato  e  difeso  per  legge
dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici  in  Roma,
alla via dei  Portoghesi  n.  12,  e'  domiciliato,  costituitosi  in
giudizio; 
    Nei  confronti  di  Societa'  Invitalia  Agenzia  Nazionale   per
l'Attrazone  degli  Investimenti  s.p.a,  in   persona   del   legale
rappresentante p.t., rappresentato  e  difeso  dagli  avvocati  Fabio
Cintioli, Giuseppe Lo Pinto, con domicilio eletto  presso  lo  studio
Fabio Cintioli in Roma, via Vittoria Colonna 32; 
    Comune di Napoli, in  persona  del  legale  rappresentante  p.t.,
rappresentato e difeso dagli avvocati Fabio  Maria  Ferrari,  Antonio
Andreottola, Bruno  Crimaldi,  Anna  Pulcini,  con  domicilio  eletto
presso lo studio Nicola Laurenti in Roma, via Francesco Denza 50/A; 
    Commissario straordinario di Governo per la Bonifica Ambientale e
la Rigenerazione Urbana non costituito in giudizio; 
    Per la riforma quanto al ricorso n. 6886 del 2016: della sentenza
del T.a.r. per la Campania - Sede di Napoli-Sezione I  n.  1471/2016;
quanto al ricorso n. 8347 del 2016: della sentenza del T.a.r. per  la
Campania - Sede di Napoli-Sezione I n. 3754/2016. 
    Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati; 
    Visti gli atti di costituzione in giudizio della  Presidenza  del
Consiglio dei ministri, del Ministero dell'ambiente  e  della  tutela
del territorio e del mare del Ministero dello sviluppo economico  del
Ministero  delle  infrastrutture  e  dei  trasporti  della   societa'
Invitalia,  Agenzia  Nazionale  Attrazione  Investimenti  e  Sviluppo
d'Impresa s.p.a. della Regione Campania e del Comune di Napoli; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza  pubblica  del  giorno  6  aprile  2017  il
consigliere Fabio Taormina e uditi  per  le  parti  l'avvocato  dello
Stato F. Fedeli, e gli avvocati F.M.  Ferrari,  F.  Cintioli,  G.  Lo
Pinto,  R.   Panariello  su  delega  di  Lacatena,  Bove,  D'Elia  G.
Terracciano; 
    Visto l'art. 36, comma 2, del codice del processo amministrativo; 
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue 
 
                                Fatto 
 
Ricorso r.g.n. 6886/2016 proposto avverso la sentenza r.g.n. 1471 del
22 marzo 2016 
    1. Con la sentenza in epigrafe impugnata n.  1471  del  22  marzo
2016 il Tribunale amministrativo regionale per la Campania - Sede  di
Napoli  -  ha  respinto  il  ricorso  proposto  dalla  odierna  parte
appellante comune di  Napoli  teso  ad  ottenere  l'annullamento  dei
decreti del Presidente del Consiglio dei  ministri  del  3  settembre
2015 e del 15 ottobre 2015, rispettivamente di nomina del Commissario
straordinario  di  governo  per   la   bonifica   ambientale   e   la
rigenerazione urbana dell'area di Bagnoli-Coroglio e di  adozione  di
interventi per la  bonifica  ambientale  e  la  rigenerazione  urbana
dell'area di Bagnoli-Coroglio. 
    2.  La  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri,  la   societa'
Invitalia Agenzia nazionale per l'attrazione di  investimenti  s.p.a.
(d'ora  in  poi  Invitalia)  la  Regione  Campania,  il   Commissario
straordinario  del  Governo  per  la   bonifica   ambientale   e   la
rigenerazione dell'area di  Bagnoli,  il  Ministero  dell'ambiente  e
della tutela del territorio, il Ministero dello sviluppo economico  e
del  Ministero  delle  infrastrutture  e  dei  trasporti   si   erano
costituiti in giudizio chiedendo la reiezione del ricorso  in  quanto
inammissibile e comunque infondato; 
    la societa' originaria controinteressata Invitalia  costituendosi
aveva eccepito l'incompetenza territoriale del giudice  adito  e  nel
merito,  l'infondatezza  del  ricorso,   mentre   l'associazione   di
promozione  sociale  denominata  «Verdi,  ambiente  e   societa'»   e
l'associazione denominata «Cittadini per Bagnoli»  erano  intervenute
ad adiuvandum (e  la  controinteressata  Invitalia  aveva  contestato
l'ammissibilita' del detto intervento). 
    3.  Il  T.a.r.,  con  la  sentenza  impugnata  ha  immediatamente
rilevato che: 
        a) con il decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, cosiddetto
«decreto Sblocca - Italia» convertito in legge 11 novembre  2014,  n.
164,  erano  state  adottate  «misure  urgenti  per  l'apertura   dei
cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione
del paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza  del  dissesto
idrogeologico e per la ripresa delle attivita'»  ed  in  particolare,
all'art.  33  del  suddetto   decreto-legge   erano   state   dettate
disposizioni  per  disciplinare   la   bonifica   ambientale   e   la
rigenerazione urbana delle aree di rilevante interesse nazionale, con
particolare riferimento al comprensorio Bagnoli-Coroglio; 
        b) detta normativa era stata modificata dal decreto-legge  19
giugno 2015, n. 78, convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge  6
agosto  2015,  n.  125  ed  in  attuazione  di  essa,  con  specifico
riferimento    all'area    di    rilevante    interesse     nazionale
Bagnoli-Coroglio,  con  decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri in data 3 settembre 2015, era stato nominato il  Commissario
straordinario  del  Governo  per  la   bonifica   ambientale   e   la
rigenerazione urbana di tale area mentre con successivo  decreto  del
Presidente del Consiglio dei ministri in data 15  ottobre  2015,  era
stata disciplinata la cabina di regia di cui al comma 13 dell'art. 33
del decreto-legge richiamato, nominato il soggetto attuatore previsto
ai commi 6 e 12 dello stesso art.  33,  gia'  individuato  per  legge
nell'Agenzia nazionale per l'attrazione degli  investimenti  societa'
per azioni, definiti  i  compiti  del  soggetto  attuatore,  i  primi
interventi e i relativi finanziamenti, i rapporti tra il  commissario
straordinario e il soggetto attuatore  ed  era  stata  trasferita  al
soggetto  attuatore  la  proprieta'  delle  aree  e  degli   immobili
interessati dagli interventi,  precedentemente  in  proprieta'  della
societa' per azioni Bagnoli Futura in fallimento; 
        b1) detto provvedimento, in applicazione  del  comma  12  del
citato art. 33, aveva disciplinato la costituzione  di  una  societa'
per azioni allo scopo della  salvaguardia  e  riqualificazione  delle
aree e degli immobili limitrofi al comprensorio di Bagnoli-Coroglio; 
        c) le censure proposte dall'appellante comune di Napoli erano
volte a sostenere l'illegittimita'  costituzionale  delle  suindicate
disposizioni di legge, da cui sarebbe - in  tesi  - discesa,  in  via
derivata, l'illegittimita' degli atti amministrativi impugnati; 
        d) nelle more della trattazione del ricorso, era  intervenuta
la conversione in legge, con  legge  25  febbraio  2016,  n.  21  del
decreto-legge 30 dicembre 2015, n. 210 recante  «Proroga  di  termini
previsti da disposizioni legislative» e l'art.  11-bis  del  suddetto
decreto-legge, sotto  la  rubrica  «Proroga  di  termini  in  materia
ambientale»,  aveva   apportato   modificazioni   ad   alcune   delle
disposizioni di legge di cui la  parte  originaria  ricorrente  aveva
contestato la legittimita' costituzionale. 
    3.1. Il T.a.r., in via preliminare, ha poi: 
        a) respinto  la  eccezione  di  incompetenza  eccepita  dalla
societa' originaria controinteressata Invitalia; 
        b)  parimenti  disatteso  la  eccezione  di  inammissibilita'
dell'intervento   «ad   adiuvandum»   spiegato   dalle   associazioni
intervenute  nel  processo  sollevata   dalla   societa'   originaria
controinteressata Invitalia. 
    3.2. Nel merito, la sentenza impugnata ha: 
        a)  partitamente  scrutinato  le  questioni  di  legittimita'
costituzionale sollevate nei confronti della normativa costituente la
base   giuridica   dei    provvedimenti    impugnati    dichiarandole
manifestamente  infondate,  non   rilevanti,   ovvero   genericamente
formulate ed in particolare ha: 
          I) respinto -   in  quanto  manifestamente  infondate  - le
composite questioni sollevate nel primo motivo di ricorso  attingente
il decreto-legge in se e per se' considerato e volto a contestare  la
sussistenza  dei  presupposti  per  il  ricorso   alla   decretazione
d'urgenza; 
          II) dichiarato improcedibile la prima  articolazione  della
questione sollevata  nella  seconda  doglianza  ed  incentrata  sulla
supposta violazione del principio costituzionale  di  sussidiarieta',
(art. 118 comma 1 della Costituzione), in quanto era sopravvenuta  la
riscrittura del comma 12 dell'art.  33  da  parte  del  decreto-legge
«mille proroghe» 30 dicembre 2015, n.  210  convertito  in  legge  25
febbraio 2016,  n.  21  e  la  nuova  formulazione  della  legge  non
prevedeva  piu'  il  coinvolgimento  dei  privati  nei  programmi  di
rigenerazione urbana, mediante la partecipazione  al  capitale  della
societa' di scopo in precedenza  prefigurata,  il  che  implicava  il
venir meno dell'interesse alla delibazione della doglianza; 
          II) dichiarato inammissibile la seconda articolazione della
questione sollevata nella seconda doglianza incentrata sulla supposta
violazione delle prerogative regionali (art. 114 della Costituzione),
sostenendo che il Comune non fosse  legittimato  a  dolersi  di  tale
supposta evenienza; 
          III)  del  pari  dichiarato  improcedibile   la   questione
sollevata nella terza doglianza (incentrata sull'asserita  violazione
dell'art. 117 comma 1 della Costituzione e degli articoli  102,  104,
24, 42 della Costituzione da  parte,  specificamente,  del  comma  12
dell'art. 33 con riferimento al  fallimento  della  societa'  Bagnoli
Futura ed alla previsione che  alla  procedura  fallimentare  venisse
riconosciuto, a cura della societa' di scopo costituita dal  soggetto
attuatore, un importo determinato sulla base del  valore  di  mercato
delle aree e degli immobili trasferiti, il cui  rimborso  era  legato
all'incasso delle somme rinvenienti dagli atti di disposizione  delle
aree e degli immobili  trasferiti)  in  quanto  era  sopravvenuta  la
riscrittura del comma 12 dell'art.  33  da  parte  del  decreto-legge
«mille proroghe» 30 dicembre 2015, n.  210  convertito  in  legge  25
febbraio 2016, n. 21; 
          IV)  dichiarato  manifestamente  infondata   la   questione
sollevata nella quarta doglianza, in quanto la specificita'  assoluta
dell'area implicava la ragionevolezza della legge  provvedimento  che
aveva dichiarato il sito di Bagnoli di rilevante interesse nazionale,
al fine del conferimento a un organo statale del potere di bonifica e
rigenerazione urbanistica dell'area; 
          V) evidenziato  che  l'ultimo  argomento  introdotto  dalla
difesa  del  comune,  in  relazione  a  una  pretesa  violazione  del
«giudicato fallimentare» era stato accennato solo genericamente. 
    4. Il Comune di Napoli originario ricorrente rimasto soccombente,
ha impugnato  la  detta  decisione  criticandola  sotto  ogni  angolo
prospettico. Ripercorse le tappe salienti del risalente contenzioso e
richiamata la normativa che - a suo dire  -  collideva  con  le  tesi
esposte nella impugnata decisione ha dedotto che: 
        a) (primo motivo) la declaratoria  di  improcedibilita'  resa
con riferimento ad alcune questioni  di  legittimita'  costituzionale
sollevate, era stata pronunciata dal T.a.r. ex officio senza  che  al
comune originario ricorrente fosse stato dato l' avviso ai sensi  del
comma III dell' art. 73 del c.pa.: la sentenza era pertanto nulla,  e
tale avrebbe avrebbe dovuto essere dichiarata con  rinvio  al  T.a.r.
medesimo, ex art. 105 del c.p.a.; 
        b)  nel  merito,  ha  riproposto  tutte   le   questioni   di
illegittimita' costituzionale disattese dal  T.a.r.,  attualizzandole
rispetto al la motivazione  reiettiva  contenuta  nella  sentenza,  e
segnatamente ha dedotto che: 
          I) (secondo motivo) l'avversato decreto-legge 12  settembre
2014, n. 133 violava l'art. 77  della  Costituzione  (sia  in  quanto
v'era ivi contenuta una congerie di disposizioni disomogenee tali  da
far ritenere che l'art. 33 contestato fosse una «norma  intrusa»  sia
perche' privo dei requisiti di urgenza in quanto vigeva  nel  sistema
una disposizione ad hoc,  rappresentata  dall'art.  252  del  decreto
legislativo n. 152/1996); 
          II) (terzo motivo) del pari risultavano violati l'art. 117,
comma II, lettera M e l'art. 118 della Costituzione che prescrivevano
il rispetto del principio di sussidiarieta'; 
          III) (quarto motivo,erroneamente rubricato n. 2) era  stata
omessa alcuna statuizione (e per cio' solo la sentenza era viziata ex
art. 112 c.p.c.) in ordine alla  censura  concernente  la  violazione
degli artt. 114 e 117  comma  III  della  Costituzione  in  punto  di
rispetto del principio di  leale  collaborazione:  erroneamente,  sul
punto, era stato semplicemente affermato dal T.a.r. che il comune non
aveva legittimazione a sollevare la questione; 
          IV) (quinto motivo, erroneamente rubricato n. 4) il  T.a.r.
erroneamente aveva considerato «generiche»  le  doglianze  incentrate
sulla violazione del precetto di cui  all'art.  6  della  Convenzione
europea dei diritti dell'uomo in relazione agli artt. 102, 104  e  24
della  Costituzione;  la   avversata   disciplina   legislativa   era
intervenuta mentre era gia'  stato  dichiarato  il  fallimento  della
societa'  Bagnolifutura  s.p.a.:  si  era   quindi   retroattivamente
intervenuti, ledendo i diritti di  coloro  i  quali  erano  coinvolti
nella  procedura  fallimentare  (e  tra  essi   il   Comune   odierno
appellante, quale attore in rivendica, nei confronti della  curatela,
di opere di urbanizzazione secondaria realizzate  dalla  Societa'  di
trasformazione    urbana    fallita)    prevedendo    strumenti    di
soddisfacimento del ceto creditorio di incerta natura; 
          V) (sesto motivo, erroneamente rubricato n. 5)  in  ultimo,
il T.a.r aveva respinto con  considerazioni  generiche  (id  est:  la
sussistenza di un grave stato di degrado dell'area)  l'ultimo  motivo
del ricorso di primo grado (incentrato sulla violazione  degli  artt.
3, 24, 97 e 113 con della Costituzione)  mediante  il  quale  si  era
contestato che una legge-provvedimento potesse  considerare  le  aree
comprese nel comprensorio  Bagnoli-Coroglio  di  rilevante  interesse
nazionale  prevedendo  una  regolamentazione  ad  hoc  del   relativo
procedimento di approvazione del Programma di risanamento  ambientale
e  di  rigenerazione  urbana:  il  degrado  del  sito  era  un   dato
«storicizzato» sul quale, in precedenza, le amministrazioni  centrali
erano rimaste inerti  (come  dimostrato  dalla  circostanza  che  gli
Accordi di programma quadro 2003-2007 non erano riusciti a  risolvere
la problematica) e pertanto non poteva costituire il presupposto  per
un intervento normativo di urgenza. 
    5.  In   data   5   settembre   2016   la   societa'   originaria
controinteressata Invitalia si  e'  costituita  depositando  atto  di
stile chiedendo la reiezione dell'appello ed in data 24 febbraio 2017
ha depositato documenti. 
    6. In data 5 settembre  2016  la  Presidenza  del  Consiglio  dei
ministri si e' costituita depositando  atto  di  stile  chiedendo  la
reiezione dell'appello ed in data  24  febbraio  2017  ha  depositato
documenti. 
    7. In data 23 settembre 2016 la Regione Campania si e' costituita
depositando atto di stile chiedendo la reiezione dell'appello. 
    8. In data 6 marzo 2017 la societa' originaria  controinteressata
Invitalia  ha  depositato  una  articolata  memoria,  e  dopo   avere
riepilogato le piu' salienti tappe  della  vicenda  procedimentale  e
giurisdizionale  ha  chiesto  che  il  ricorso  in  appello   venisse
dichiarato inammissibile od infondato. 
    9. In data 6 marzo 2017 la Presidenza del Consiglio dei  ministri
ha  depositato  una  articolata  memoria,  chiedendo   la   reiezione
dell'appello in quanto infondato. 
    10. In data 6 marzo 2017 la Regione Campania  ha  depositato  una
articolata memoria, chiedendo la  reiezione  dell'appello  in  quanto
infondato. 
    11. In data 14 marzo 2017 il Comune di Napoli ha  depositato  una
memoria di replica puntualizzando e ribadendo le proprie difese. 
    11. Alla odierna udienza pubblica del  6  aprile  2017  causa  e'
stata trattenuta in decisione. 
Ricorso r.g.n. 8347/2016 proposto avverso la sentenza r.g.n. 3754 del
20 luglio 2016 
    1. Con la sentenza in epigrafe impugnata n. 3754  del  20  luglio
2016 il Tribunale amministrativo regionale per la Campania - Sede  di
Napoli - ha respinto il ricorso  - corredato  da  motivi  aggiunti  -
proposto dalla  odierna  parte  appellante  Fallimento  Bagnolifutura
s.p.a. in liquidazione, teso ad ottenere l'annullamento  del  decreto
del Presidente del  Consiglio  dei  ministri  del  15  ottobre  2015,
recante l'adozione di interventi per  la  bonifica  ambientale  e  la
rigenerazione urbana dell'area di Bagnoli-Coroglio. 
    2.  La  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri,  la   societa'
Invitalia Agenzia nazionale per l'attrazione di  investimenti  s.p.a.
(d'ora in poi Invitalia) il Commissario straordinario del Governo per
la bonifica ambientale e la rigenerazione dell'area  di  Bagnoli,  si
erano costituiti in giudizio chiedendo la reiezione  del  ricorso  in
quanto inammissibile e comunque infondato; il  comune  di  Napoli  ne
aveva  invece  chiesto  l'accoglimento,  facendo  presente  di  avere
proposto analogo e separato ricorso; 
    la societa' originaria controinteressata Invitalia  costituendosi
aveva eccepito l'incompetenza territoriale del giudice  adito  e  nel
merito,  l'infondatezza  del  ricorso,   mentre   l'associazione   di
promozione  sociale  denominata  «Verdi,  ambiente  e   societa'»   e
l'associazione denominata «Cittadini per Bagnoli»  erano  intervenute
ad adiuvandum (e  la  controinteressata  Invitalia  aveva  contestato
l'ammissibilita' del detto intervento). 
    3. Il T.a.r., con la sentenza impugnata - dopo  avere  dato  atto
che il T.a.r. del Lazio in origine adito aveva declinato  la  propria
competenza ed il ricorso era stato tempestivamente riassunto  innanzi
al T.a.r. della Campania - ha in  via  preliminare  rilevato  che  la
legittimazione  della  societa'  odierna  appellante  a  proporre  il
ricorso era incontestabile, in quanto la predetta societa' per azioni
Bagnolifutura, interamente pubblica e  attualmente  in  liquidazione,
era stata costituita con la partecipazione del comune di  Napoli,  al
90%, della regione Campania, al 7,5% e della provincia di Napoli,  al
2,5%, con finalita' di  trasformazione  urbana;  in  particolare,  lo
scopo della societa' medesima, (costituita nel 2002)  riposava  nella
progettazione e realizzazione di interventi di trasformazione  urbana
da  realizzare  nell'area  industriale  di   Bagnoli-Coroglio,   gia'
appartenente alla Ilva societa' per azioni e  alla  Eternit  societa'
per azioni (detta area era pervenuta in  proprieta'  a  Bagnolifutura
per conferimento da parte del comune di Napoli,  nell'ambito  di  una
complessa procedura per la bonifica  del  sito,  gia'  dichiarato  di
interesse  nazionale);  era  poi  seguita   una   intricata   vicenda
contenziosa in esito alla quale il Tribunale di Napoli, con  sentenza
n. 188 del  2014,  aveva  dichiarato  il  fallimento  della  societa'
Bagnolifutura, nominando un collegio di curatori anche per assicurare
la corretta gestione delle aree di proprieta' della  societa',  ed  i
terreni  di  proprieta'  di  Bagnolifutura,  erano   stati   altresi'
sottoposti a sequestro giudiziario, nel corso di  un'indagine  penale
sulla bonifica mai eseguita. 
    3.1. Il primo  Giudice  ha  quindi  ricostruito  quale  fosse  la
disciplina contestata, nei medesimi termini gia' illustrati prima, in
con riferimento alla sentenza n. 1471 del 22 marzo 2016. 
    3.1. Il T.a.r., con la prima parte  «di  merito»  della  sentenza
impugnata ha: 
        a) scrutinato le  questioni  di  legittimita'  costituzionale
sollevate nei  primi  due  motivi  di  ricorso  nei  confronti  della
normativa costituente la base giuridica dei provvedimenti impugnati e
dichiarato le medesime manifestamente infondate in quanto: 
          I) esse, per  il  tramite  della  asserita  violazione  del
decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001 (testo  unico
sull'espropriazione)  nel  sostenere  la  invalidita'  derivata   del
provvedimento  impugnato  erano  volte  a  denunciare  la  forma   di
espropriazione  «de  facto»  inverata  attraverso  il  meccanismo  di
trasferimento delle proprieta' previsto dal  decreto  del  Presidente
del Consiglio dei ministri (art. 6, comma 1, e 7) attuativo dell'art.
33 del decreto-legge, in quanto lesiva degli interessi dei  creditori
contestandosi la circostanza  che  ivi  non  era  quantificato  alcun
indennizzo a fronte del trasferimento dei  beni,  e  la  aleatorieta'
delle modalita' di rimborso; 
          II)  ma  la  specificita'  della  situazione  del  sito  di
interesse  nazionale  oggetto   del   provvedimento   consentiva   di
dichiarare manifestamente  infondata  la  questione  di  legittimita'
costituzionale  delle  disposizioni  impugnate  in  riferimento  alla
censura di violazione del procedimento dettato dal testo unico  sulle
espropriazioni e alla omessa espressa attribuzione di poteri ablatori
alle autorita' procedenti; 
          III) era stato infatti soddisfatto il  presupposto  formale
scolpito nella Costituzione - che affidava alla legge la possibilita'
di disciplinare le procedure espropriative -; la  deroga  al  normale
procedimento espropriativo dettato dal testo unico  n.  327/2001  non
poteva essere ritenuta in contrasto con la legalita'  costituzionale;
e non risultava violato l'art. uno del  protocollo  addizionale  alla
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo 1952 in quanto si
era al cospetto di una legge che aveva stabilito  l'acquisizione  dei
beni da parte di un organo statale per una causa di pubblica utilita'
(la bonifica degli stessi in vista del  risanamento  ambientale  e  a
tutela della salute  pubblica)  e  la  previsione  di  un  indennizzo
commisurato al valore di mercato dei beni:  l'invocato  articolo  uno
del protocollo addizionale alla Convenzione per la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali  riconosceva  infatti
agli Stati il diritto di emanare leggi  necessarie  per  disciplinare
l'uso dei beni in modo conforme all'interesse generale. 
        b) quanto alla dedotta questione di illegittimita'  riposante
nella  omessa  previsione   dell'indennizzo,   la   decisione   sulla
fondatezza di queste censure doveva dipendere  necessariamente  dalla
valutazione delle sopravvenienze normative. 
    3.2. E proprio con riferimento  a  tale  profilo,  nella  seconda
parte della impugnata decisione, il T.a.r. ha rilevato che: 
        a) il comma 12  dell'art.  33  del  decreto-legge  era  stato
completamente  modificato  dall'art.  11-bis  del  decreto-legge   30
dicembre 2015 n. 210, cosiddetto  decreto  milleproroghe,  convertito
nella  legge  25  febbraio  2016,  n.  21,  e  la  riscrittura  della
disposizione  aveva  determinato  la  completa   soppressione   della
societa' di scopo aperta ai privati,in origine  prevista;  era  stato
altresi'  modificato  il  meccanismo  di  indennizzo  della  curatela
fallimentare di Bagnolifutura; 
        b) in particolare, il novellato comma 12  aveva  riconosciuto
alla procedura fallimentare un importo, corrispondente al  valore  di
mercato  delle  aree  e  degli  immobili  trasferiti,  come  rilevato
dall'Agenzia  del  demanio  alla   data   del   trasferimento   della
proprieta', da versare alla curatela fallimentare mediante  strumenti
finanziari di durata non superiore a 15 anni. 
    3.3. Tenuto conto della  sopravvenuta  modifica  legislativa,  il
T.a.r. ha quindi ritenuto che: 
        a) era venuta  meno  la  procedibilita'  della  questione  di
legittimita' costituzionale contenuta  nel  ricorso  introduttivo  ed
incentrata  sulle   modalita'   di   corresponsione   dell'indennizzo
contenute nel testo originario del decreto-legge 12  settembre  2014,
n. 133; 
        b) erano del pari improcedibili le  questioni  contenute  nei
motivi III e IV del  ricorso  di  primo  grado,  (laddove  era  stato
evocato il parametro di cui all'art. 47 della Costituzione in materia
di tutela del risparmio ed era stata  denunciata  la  violazione  dei
principi  generali  in  materia  di  procedure  di  insolvenza,   con
riferimento a specifici articoli della legge fallimentare, violazione
dell'art. 1376 del codice civile e dei principi generali  in  materia
di costituzione delle societa' per azioni): 
          b1)  cio',  in  quanto  la  determinazione  dell'indennizzo
spettante alla  curatela  fallimentare  avrebbe  dovuto  avvenire  in
attuazione dei criteri introdotti dalla nuova formulazione del  comma
12 del decreto-legge, e pertanto doveva essere  esclusa  l'attualita'
dell'interesse  a  censurare  un  meccanismo   di   rimborso   oramai
impraticabile per legge; 
        c) ha dichiarato manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale evocata  nel  quinto  motivo  di  censura
(laddove era stata sostenuta la violazione degli articoli 3, 97,  24,
113 della Costituzione  da  parte  del  comma  12  dell'art.  33  del
decreto-legge, avendo tale ultima norma azzerato tutti i poteri degli
organi del fallimento) esprimendo il convincimento per  cui  non  era
sostenibile una sorta di immunita' della  massa  attiva  fallimentare
rispetto alla procedura espropriativa. 
    3.4. Nell'ultima  parte  della  impugnata  sentenza,  infine,  il
T.a.r. ha dato atto che la parte odierna appellante aveva proposto un
ricorso per motivi aggiunti in seno al quale: 
        a) aveva sostenuto che la sopravvenuta disciplina legislativa
(art. 11-bis del decreto-legge 30 dicembre 2015  n.  210,  convertito
nella legge 25 febbraio 2016, n. 21) che aveva modificato il comma 12
dell'art. 33 della legge 164 del 2014 non mutava l'attualita'  ed  il
permanente interesse sotteso alle censure gia' proposte  nel  ricorso
introduttivo, in  quanto  non  introduceva  un  nuovo  meccanismo  di
rimborso  in  favore  della  procedura  fallimentare  a  fronte   del
trasferimento coattivo dei beni del fallimento in quanto  l'emissione
di strumenti finanziari era configurata  come  unica  alternativa  di
indennizzo; 
        b) aveva dedotto un nuovo motivo d'illegittimita' del decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri  del  15  ottobre  2015  in
quanto contrastante con la novella di cui al decreto-legge n. 210 del
2015 (che aveva in parte  modificato  le  modalita'  di  liquidazione
dell'indennizzo,  configurate  mediante  strumenti  finanziari  della
durata di 15 anni): il decreto impugnato,  infatti,  prevedeva  quale
modalita' di rimborso  l'attribuzione  di  azioni  da  parte  di  una
societa' di scopo. 
    3.5. Il T.a.r.  anche  di  tali  nuove  questioni  ha  dichiarato
l'infondatezza manifesta, deducendo che: 
        a) da un canto, la modifica del decreto-legge  rafforzava  la
legittimita' costituzionale della normativa in quanto: 
          I) l'eliminazione di ogni riferimento alla costituzione  di
una societa' di scopo,  aperta  a  soggetti  privati,  contribuiva  a
ritenere ravvisabile una legittima espropriazione per legge  di  aree
inquinate per finalita' di bonifica, di  risanamento  ambientale,  di
tutela  della  salute,  riconducibili  ad  un  prevalente   interesse
pubblico; 
          II) la commisurazione dell'indennizzo al valore di  mercato
delle aree corrispondeva pienamente al  paradigma  dettato  dall'art.
42, terzo comma della Costituzione, oltre che ai principi recati  dal
protocollo addizionale alla C.E.D.U.; 
          III) la novella legislativa, prevedendo il versamento  alla
curatela fallimentare di strumenti finanziari rimborsabili  entro  il
termine di 15 anni, consentiva  di  superare  le  perplessita'  sulla
certezza dell'indennizzo e sui tempi della corresponsione di esso; 
        b) per  altro  verso,  ben  a  ragione  la  parte  originaria
ricorrente aveva segnalato la incoerenza del provvedimento  impugnato
con  la  sopravvenuta  modifica   normativa,   laddove   il   decreto
governativo riconosceva alla procedura  fallimentare  un  importo  da
versare mediante azioni o altri strumenti  finanziari  che  avrebbero
dovuto essere emessi dalla societa' di scopo aperta  ai  privati,  ma
detta «nuova censura» era inammissibile per carenza di  interesse  in
quanto: 
          I) l'avvenuta abrogazione  della  norma  che  prevedeva  la
costituzione di tale societa'  di  scopo  determinava  l'inattualita'
delle disposizioni del provvedimento impugnato  destinate  ad  aprire
nuovi sub-procedimenti per la costituzione della societa'  di  scopo,
per il trasferimento a questa societa' dei beni immobili espropriati,
per l'emissione di azioni o altri strumenti finanziari da parte della
societa' di scopo da corrispondere alla curatela fallimentare; 
          II) cio', in quanto, i futuri sub-procedimenti, ancora  non
avviati,  avrebbero  dovuto  necessariamente  conformarsi  al   nuovo
contesto giuridico (ed ove invece, per  avventura  fossero  stati  in
futuro emessi atti esecutivi del provvedimento impugnato in contrasto
con la norma primaria  sopravvenuta,  essi  avrebbero  potuto  essere
impugnati deducendo detto vizio). 
    4. La curatela del fallimento della societa' Bagnolifutura s.p.a.
in  liquidazione,  originaria  ricorrente  rimasta  soccombente,   ha
impugnato la suindicata decisione,  criticandola  sotto  ogni  angolo
prospettico. 
    4.1. Ripercorse le tappe salienti  del  risalente  contenzioso  e
richiamata la normativa che - a suo dire  -  collideva  con  le  tesi
esposte nella impugnata decisione ha fatto innanzitutto presente  che
la declaratoria di improcedibilita' resa con  riferimento  ad  alcune
questioni  di  legittimita'  costituzionale  sollevate,  era  errata,
atteso che la modifica al testo originario del comma 12 dell'art.  33
del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133,  avvenuta  in  corso  di
giudizio merce' l'art. 11-bis del decreto-legge 30 dicembre  2015  n.
210, convertito nella legge 25 febbraio 2016, n. 21  non  elideva  le
censure  prospettate  in  quanto  (considerazioni,  queste,  via  via
reiterate nei singoli motivi di censura e soprattutto  nella  settima
doglianza): 
        I) permaneva la criticita' rappresentata dalla previsione  di
un indennizzo del quale non erano stati definiti i contorni; 
        II) permaneva l'assenza di poteri espropriativi  in  capo  al
soggetto attuatore ed al Commissario; 
        III) permaneva altresi' la «esautorazione» degli  organi  del
fallimento e la minorazione dei diritti di difesa dei creditori. 
    4.2. Nel merito, dopo avere rappresentato che essa non  criticava
il lodevole interesse manifestato dal Governo  a  risolvere  l'annoso
problema dello stato critico in cui versava  l'area  di  Bagnoli,  ma
mirava a tutelare gli interessi della curatela  confliggenti  con  il
concreto «disegno» contenuto nelle disposizioni  legislative  sottese
all'impugnato  decreto,  l'odierna  appellante  ha   proposto   sette
specifiche censure, deducendo che: 
        a) (prime due censure) ne' l'art.  33  del  decreto-legge  12
settembre 2014, n. 133 ne' gli artt. 6 e 7 del contestato decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri,  pur  prevedendo  quest'ultimo
che «L'Agenzia nazionale per l'attrazione degli  investimenti  s.p.a.
e' autorizzata a provvedere alla trascrizione del presente decreto ai
sensi e ai fini di cui all'art. 2644 codice civile» avevano conferito
poteri espropriativi in capo al soggetto attuatore ed al  Commissario
e pertanto: 
          il  decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri
violava gli articoli 1,  8,  9,  10,  11,  12,  13  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 327/2001; 
          II) la legge  ad  esso  sottesa  violava  l'art.  43  della
Costituzione; il  T.a.r.  aveva  disatteso  la  censura  erroneamente
richiamando l'art. 42 della Costituzione; 
          IV) la prescrizione di legge, invece,  violava  proprio  il
terzo  comma  dell'art.  42  suddetto,  e  prevedeva  una  forma   di
indennizzo  «incerto»  in  quanto  non  previamente  quantificato,  e
concerneva beni non rientranti tra quelli indicati dall'art. 43 della
Carta Fondamentale; 
          V) ne risultava stravolta la sequenza-tipo del procedimento
espropriativo (vincolo preordinato  all'esproprio;  dichiarazione  di
pubblica utilita'; decreto di esproprio) in quanto  il  trasferimento
della proprieta' (di regola momento finale e consequenziale a  quelli
prima indicati) precedeva invece ogni altro «passaggio»; 
          VI)  cio'  in  quanto  l'approvazione  del   programma   di
rigenerazione urbana (che  costituiva  variante  e  dichiarazione  di
pubblica utilita') era successivo  alla  trascrizione  del  passaggio
della proprieta' delle aree (art. 33 commi 10 e segg.); 
        b) (terza censura) l'avversato  decreto  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri, (art. 7: «A fronte  del  trasferimento  delle
aree e immobili di cui al precedente art. 3, la societa' di scopo  di
cui al comma 1 riconosce alla procedura  fallimentare  della  Bagnoli
Futura s.p.a. in fallimento un importo  determinato  sulla  base  del
valore di mercato di dette aree e immobili stimato  dall'Agenzia  del
demanio ai sensi del citato comma 12 dell'art. 33  del  decreto-legge
n. 133 del 2014. 3. L'importo determinato ai sensi di quanto previsto
dal comma precedente viene versato alla procedura fallimentare, anche
mediante azioni o altri strumenti finanziari  emessi  dalla  medesima
societa' per azioni di scopo o, anche congiuntamente,  con  l'Agenzia
nazionale per l'attrazione degli investimenti s.p.a.»)  in  punto  di
rimborso era coerente con la precedente stesura del  testo  normativo
(«Alla procedura fallimentare della societa' Bagnoli Futura S.p.A. e'
riconosciuto dalla societa'  costituita  dal  soggetto  attuatore  un
importo determinato sulla base del valore di  mercato  delle  aree  e
degli immobili trasferiti rilevato dall'Agenzia del demanio alla data
del  trasferimento  della  proprieta',  che  potra'  essere   versato
mediante azioni o altri strumenti finanziari emessi  dalla  societa',
il cui rimborso e' legato all'incasso delle  somme  rivenienti  dagli
atti di disposizione delle aree e degli immobili trasferiti,  secondo
le  modalita'  indicate  con  il  decreto  di  nomina  del   soggetto
attuatore») ma non con  la  nuova  versione  dell'art.  33  medesimo,
successivo  al  rimaneggiamento  avvenuto  merce'  il  decreto   c.d.
«milleproroghe» («alla procedura fallimentare della societa'  Bagnoli
Futura Spa e' riconosciuto un importo  corrispondente  al  valore  di
mercato delle aree e degli immobili trasferiti, rilevato dall'Agenzia
del demanio  alla  data  del  trasferimento  della  proprieta'.  Tale
importo e' versato  alla  curatela  fallimentare  mediante  strumenti
finanziari, di durata non superiore a quindici anni decorrenti  dalla
data di entrata in vigore  della  presente  disposizione,  emessi  su
mercati regolamentati  dal  soggetto  attuatore,  anche  al  fine  di
soddisfare   ulteriori   fabbisogni    per    interventi    necessari
all'attuazione del programma di cui al comma 8.») e pertanto: 
          I) l'indennizzo non era «previamente quantificato»  ed  era
aleatorio non soltanto con riferimento alla sua  quantificazione,  ma
anche nel quomodo della sua corresponsione: il concetto di «strumento
finanziario» ex art. 1 del decreto legislativo 24 febbraio 1998 n. 58
era ampio e variegato; 
          II) costituiva ultrapetizione, se non  pura  illazione,  la
affermazione  del  T.a.r.  secondo  cui   tale   termine   «strumento
finanziario» doveva coincidere con quello di «obbligazioni»; 
          III) anche  eventuali  obbligazioni  emesse  dal  Invitalia
s.p.a., in ogni caso, non avrebbero integrato una  forma  di  ristoro
contraddistinta dal carattere della certezza; 
        d) (quarta quinta e sesta censura) il T.a.r non  aveva  colto
l'interesse della curatela a rimarcare che la disciplina  di  cui  al
piu' volte citato art. 33 (anche  nella  versione  novellata)  ledeva
l'art. 47 della Costituzione in quanto si  poneva  in  conflitto  con
plurime disposizioni della legge fallimentare esautorando gli  Organi
della procedura fallimentare (art. 31 e 104 della legge fallimentare)
in quanto: 
          I) la procedura di fallimento, di regola, era  soggetta  ad
una  tempistica  stringente   che   nel   caso   di   specie   veniva
incomprensibilmente dilatata; 
          II)  ne'  il  curatore  ne'  gli  altri  organi  (anche  il
Tribunale) avrebbero potuto spiegare alcuna  attivita'  di  vigilanza
(art.  104  della  legge  fallimentare  in  tema  di   programma   di
liquidazione dell'attivo) a fronte di una previsione per cui  i  beni
erano  espropriati  al  fallimento,   in   «cambio»   di   «strumenti
finanziari» non meglio precisati, da rimborsare solo  in  esito  alla
cessione dei beni; 
    la dinamica prevista dall'art. 33 di  «rimborso»  del  fallimento
(«Tale  importo  e'  versato  alla  curatela  fallimentare   mediante
strumenti  finanziari,  di  durata  non  superiore  a  quindici  anni
decorrenti  dalla  data  di  entrata   in   vigore   della   presente
disposizione, emessi su mercati regolamentati dal soggetto attuatore,
anche al fine  di  soddisfare  ulteriori  fabbisogni  per  interventi
necessari  all'attuazione  del  programma  di  cui  al  comma.»)  era
incompatibile con la gestione della procedura fallimentare; 
    si prevedeva quindi, nella sostanza, che  il  curatore  divenisse
«obbligazionista» od «azionista», ma  la  legge  fallimentare,  salve
limitate eccezioni, non riconosceva al curatore compiti  di  gestione
attiva dei beni del fallito (art. 104  della  legge  fallimentare  in
tema  di  esercizio  provvisorio  dell'impresa,   che   deve   essere
autorizzato dal Giudice); 
    la tempistica era poi imprevedibile (art. 7 comma 4  del  decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri: «4. Le azioni o gli  altri
strumenti finanziari di  cui  al  precedente  comma  potranno  essere
richiesti a rimborso  dai  legittimi  titolari  solo  successivamente
all'incasso delle somme rinvenienti dagli atti di disposizione  delle
aree e degli immobili trasferiti e, comunque,in misura non  superiore
alle  somme  effettivamente  incassate,  secondo  le  modalita'   che
verranno  individuate  con  successivo  decreto  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri.»); 
    inoltre la  tempistica  di  quindici  anni  prevista  nell'ultima
stesura della norma collideva con la  pacifica  applicabilita'  anche
alle procedure fallimentari della legge sulla ragionevole durata  del
processo n. 89/2001, in quanto precipitato dell'art. 6 par.  I  della
Convenzione europea dei diritti dell'uomo: posto che il tempo massimo
stimato per una procedura fallimentare difficoltosa era pari a  sette
anni, era paventabile che allo scadere del settimo anno (sui quindici
previsti quale tetto massimo dalla norma in esame di cui all'art. 33)
sarebbero state presentate richiesta di indennizzo, con  gravi  danni
all'erario; 
    il  trasferimento  dei  beni  senza  immediato  indennizzo  (come
«disegnato» dal Legislatore  nel  caso  di  specie)  in  realta'  era
ipotizzabile soltanto nel caso di  concordato  fallimentare:  sarebbe
stato logico prevedere che il soggetto assuntore presentasse una tale
proposta; 
    la prescrizione di legge  secondo  cui  «dalla  trascrizione  del
decreto di trasferimento e alla consegna dei suddetti titoli, tutti i
diritti relativi alle aree e agli immobili trasferiti,  ivi  compresi
quelli inerenti alla procedura fallimentare  della  societa'  Bagnoli
Futura Spa, sono estinti e le relative  trascrizioni  cancellate  era
incompatibile con il soddisfacimento dei creditori,  anticipando  gli
affetti della chiusura  della  procedura  fallimentare  (condizionata
dall'avvenuto riparto dell'attivo) ad una fase in cui non era neppure
preconizzabile l'an ed il quantum dell'indennizzo; 
          VIII)  ne'  era  comprensibile  la  sorte  delle   ipoteche
iscritte sui beni costituenti la massa attiva e destinati  ad  essere
trasferiti nella titolarita' della societa' Invitalia s.p.a.; 
          IX) ne  risultava  violato  l'art.  2741  codice  civile  e
vulnerato il diritto di difesa dei creditori ipotecari  ad  impugnare
l'atto di cessione dei beni assistiti da garanzia reale; 
          X) e tali circostanze apparivano vieppiu' gravi  in  quanto
ascrivibili ad  una  legge  ad  hoc,  dal  che  si  desumeva  che  la
contestata previsione legislativa violava i  limiti  di  razionalita'
delle c.d. «leggi provvedimento»; 
        e) la modifica del testo originario dell'art. 33 non  elideva
alcuna delle riscontrate criticita'  «genetiche»  ed  applicative  ed
anzi rendeva l'originario decreto del Presidente  del  Consiglio  dei
ministri in parte incoerente con la vigente  disciplina  legislativa,
per  cui  il  T.a.r.  l'avrebbe  dovuto  annullare  il  decreto   del
Presidente del Consiglio dei ministri impugnato tout court, senza che
si  dovesse  attendere  l'emissione  dei  decreti   attuativi   della
«novella». 
    5. In data 7 novembre 2016 il Comune di Napoli si  e'  costituito
depositando atto di stile ed ha chiesto l'accoglimento dell'appello. 
    6.   In   data   8   novembre   2016   la   societa'   originaria
controinteressata Invitalia si  e'  costituita  depositando  atto  di
stile chiedendo la reiezione dell'appello. 
    7. In data 14 novembre  2016  la  Presidenza  del  Consiglio  dei
ministri si e' costituita depositando  atto  di  stile  chiedendo  la
reiezione dell'appello ed in data  24  febbraio  2017  ha  depositato
documenti. 
    8. In data 18 novembre 2016 il Comune di Napoli ha depositato una
articolata memoria deducendo che l'appello  proposto  dalla  curatela
fallimentare  era  fondato   in   quanto,   tra   l'altro,   l'azione
amministrativa impugnata ledeva gli interesse dei creditori della 
    9. In data 26 novembre  2016  la  Presidenza  del  Consiglio  dei
ministri ha depositato  una  articolata  memoria,  nell'ambito  della
quale, dopo avere ripercorso le principali tappe  infraprocedimentali
della risalente vicenda (pagg. 1-24) deducendo che  l'appello  doveva
essere dichiarato inammissibile per genericita', o comunque  respinto
in quanto infondato, sottolineando che peraltro l'are area  era  allo
stato sprovvista di una destinazione urbanistica definitiva, e che si
era in presenza di una dichiarazione di pubblica utilita' «ope legis»
discendente dalla qualificazione  del  comprensorio  quale  «area  di
rilevante interesse nazionale». 
    10.  In  data   28   novembre   2017   la   societa'   originaria
controinteressata Invitalia ha  depositato  una  articolata  memoria,
chiedendo che l'appello venisse respinto. 
    11. Alla camera di consiglio dell'1° dicembre 2016 fissata per la
delibazione della istanza di  sospensione  della  esecutivita'  della
impugnata decisione la trattazione della causa e' stata  rinviata  al
merito. 
    12. In data 22 febbraio 2017 la parte  appellante  ha  depositato
documenti relativi ai fatti di causa. 
    13.  In  data  3  marzo  2017  la  parte  odierna  appellante  ha
depositato una  articolata  memoria  puntualizzando  e  ribadendo  le
proprie difese. 
    14. In data 6 marzo 2017 la societa' originaria controinteressata
Invitalia ha depositato una ulteriore memoria, ribadendo  le  proprie
difese. 
    15. In data  16  marzo  2017  la  Presidenza  del  Consiglio  dei
ministri ha depositato una memoria di replica, facendo presente che a
breve sarebbero state intraprese le  attivita'  di  caratterizzazione
del sito e che le censure appellatorie obliavano la  circostanza  che
il  progettato  intervento  era  l'unico  rimedio  per  potere   fare
riacquistare valore  alle  aree:  la  «data  di  trasferimento  della
proprieta'»  riguardava  il  parametro  -  e  non  i  tempi  -  della
quantificazione dell'indennizzo;  per  altro  verso,  le  prerogative
della  curatela  sarebbero  state  garantite  della  possibilita'  di
impugnare gli atti adottati dal soggetto attuatore. 
    16. Alla odierna udienza pubblica del  6  aprile  2017  causa  e'
stata trattenuta in decisione. 
 
                               Diritto 
 
    1. Entrambi i suindicati ricorsi in appello devono essere riuniti
in quanto, sebbene non volti ad impugnare la medesima sentenza,  essi
sono  inscindibilmente  connessi  sotto  il   profilo   oggettivo   e
soggettivo posto che in primo grado sono  stati  impugnati  da  parti
processuali diverse i medesimi atti e sono state prospettate  censure
in larga parte coincidenti, tanto  che  le  due  suindicate  sentenze
recano motivazioni in piu' parti identiche. 
    1.1. Ritiene il Collegio di anticipare il  proprio  convincimento
secondo il quale: 
        a)  la  particolarita'  dei  riuniti  ricorsi  riposa   nella
circostanza  per  cui  sono  stati  impugnati   atti   amministrativi
deducendo vizi che riposano (in massima parte, e salvo quello che  di
qui a breve si dira')  nella  illegittimita'  derivata  dei  medesimi
discendente dalla incostituzionalita' della norma  di  legge  che  di
tali provvedimenti costituisce la fonte; 
        b)  tutte  le  questioni   di   legittimita'   costituzionale
prospettate sono quindi all'evidenza rilevanti nell'odierno  giudizio
(sul punto si tornera' brevemente di seguito); 
        c) talune  delle  questioni  di  legittimita'  costituzionale
prospettate non appaiono manifestamente infondate, nei sensi  che  di
seguito si chiariranno. 
    1.2. Preliminarmente il Collegio evidenzia che: 
        a) a mente del combinato disposto degli  articoli  91,  92  e
101, comma 1, c.p.a., fara' esclusivo riferimento ai mezzi di gravame
posti a sostegno dei  ricorsi  in  appello,  senza  tenere  conto  di
ulteriori censure sviluppate nelle memorie difensive  successivamente
depositate,  in  quanto  intempestive,  violative  del  principio  di
tassativita' dei mezzi  di  impugnazione  e  della  natura  puramente
illustrativa delle comparse conclusionali  (cfr.  ex  plurimis  Cons.
Stato Sez. V, n. 5865 del 2015); 
        b) le parti concordano in ordine alla ricostruzione  fattuale
e cronologica della  vicenda  infraprocedimentale  siccome  descritta
nella parte in fatto delle decisioni di primo  grado  impugnate,  per
cui, anche al fine di non appesantire il presente  elaborato,  ed  in
ossequio al principio di sinteticita', si fara' integrale riferimento
sul punto alle affermazioni del T.a.r. (art. 64 comma II del c.p.a.):
in particolare non si procedera' ad elencare le molteplici iniziative
pubbliche, anche sfociate in Accordi di programma rimasti  inattuati,
precedenti al fallimento della societa' Bagnolifutura; 
        c) le censure proposte dalle parti appellanti sono in  talune
parti  tra  loro  coincidenti,  per  cui  sara'  possibile  un  esame
congiunto di talune di esse medesime, evidenziando volta per volta le
sfaccettature differenziate e dando partita risposta a queste ultime:
le  parti  odierne  appellanti  hanno  proposto   altresi'   autonome
doglianze che non presentano punti di contatto, e che necessitano  di
esame separato; 
        d) i riuniti appelli sono senz'altro  ammissibili  in  quanto
propongono critiche  dettagliate  e  specifiche  alle  argomentazioni
contenute nelle impugnate decisioni,  il  che  implica  la  reiezione
delle  eccezioni  di  inammissibilita'  dei  medesimi  per   asserita
genericita' sollevate dalla difesa erariale. 
    2. Cio' premesso, e venendo all'esame del merito delle  doglianze
proposte, seguendo la tassonomia propria delle questioni (secondo  le
coordinate ermeneutiche  dettate  dall'Adunanza  plenaria  n.  5  del
2015), e' evidente che in ordine logico e'  prioritario  l'esame  del
primo motivo di doglianza proposto dal Comune di Napoli,  secondo  il
quale la declaratoria (parziale) di improcedibilita' resa dal  T.a.r.
con riferimento ad alcune questioni  di  legittimita'  costituzionale
sollevate,  era  stata  resa  ex  officio  senza  che  all'originario
ricorrente fosse stato dato avviso ex art. 73 comma III  del  c.p.a.:
dal che ne dovrebbe conseguire che la sentenza,  resa  in  violazione
del principio del contraddittorio, andrebbe annullata con  rinvio  al
T.a.r. medesimo, ex art. 105 del c.p.a. 
    2.1. La fragilita' e non favorevole delibabilita' della doglianza
e' evidente sia in punto di fatto che di diritto, in quanto: 
        a) per un verso la difesa erariale, nella propria memoria  di
replica depositata in primo grado il 17 febbraio 2016 alle pagg.  2-5
ha citato la «novella» di cui al decreto-legge 30 dicembre  2015,  n.
210, cosiddetto decreto milleproroghe, poi convertito nella legge  25
febbraio  2016  n.  21  evidenziando  che  cio'   conduceva   ad   un
«superamento» delle  preoccupazioni  paventate  dal  Comune  (e  cio'
implica che la incidenza di detta novella legislativa  sul  permanere
dell'interesse a ricorrere in capo al Comune di Napoli non costituiva
tematica rilevata dal primo Giudice ex officio); 
        b) secondariamente, e piu'  radicalmente,  il  principio  che
regola il processo amministrativo e' quello secondo  il  quale  «iura
novit curia». 
        Nel caso di specie, l'appellante comune di Napoli censurava i
provvedimenti impugnati in quanto affetti da una asserita invalidita'
derivata discendente  dalla  supposta  illegittimita'  costituzionale
della disciplina primaria: e' del tutto evidente  che  ogni  modifica
alla  disciplina  primaria  censurata  dovesse  essere  vagliata  dal
Giudice, e cio' non necessitava di alcun «avviso» od indicazione alle
parti; 
        c) la censura e'  pertanto  intrinsecamente  non  persuasiva,
senza che neppure sia necessario fare riferimento alle  condivisibili
considerazioni con le quali  a  piu'  riprese  la  giurisprudenza  di
legittimita'  ha  perimetrato  il  ricorrere  della  violazione   del
contraddittorio (vedasi Cassazione civile, sez.  trib.,  29  novembre
2016, n. 24199 Cassazione civile, sez.  trib.,  23  maggio  2014,  n.
11453 Cassazione civile sez. III 12 marzo 2010 n. 6051). 
    2.2. Sotto altro profilo, entrambe le parti appellanti non  hanno
un diretto interesse a dolersi della circostanza che - nel  merito  -
il  T.a.r.  abbia  dichiarato  improcedibili  le  doglianze  da  esse
articolate in quanto superate dalla intervenuta modifica, in corso di
giudizio, della avversata normativa  legislativa  sottesa  agli  atti
amministrativi  impugnati:   il   Collegio   infatti   valutera'   il
persistente interesse a proporre l'impugnazione e  la  non  manifesta
infondatezza delle censure di  legittimita'  costituzionale  proposte
facendo riferimento proprio al testo dell'art. 33  del  decreto-legge
12 settembre 2014, n. 133 siccome modificato dal  l'art.  11-bis  del
decreto-legge 30 dicembre 2015 n.  210,  convertito  nella  legge  25
febbraio 2016, n. 21. 
    3.  Sempre  in  via  preliminare  va  immediatamente  evidenziato
l'avviso del Collegio secondo il quale non sara' necessario  immorare
di volta in volta sulla dimostrazione della rilevanza nella  presente
causa delle questioni di  legittimita'  costituzionale  sollevate  in
quanto: 
        a)  come  prima  chiarito  la   particolarita'   dell'odierno
giudizio e' rappresentata dalla circostanza che nei  confronti  degli
atti  amministrativi  impugnati  sono  state  sollevate  in  assoluta
prevalenza  doglianze  di  illegittimita'  derivata  dalla   asserita
incompatibilita'   costituzionale   della    normativa    legislativa
presupposta; 
        b) cio' implica che anche  laddove  una  delle  questioni  di
legittimita'  costituzionale  prospettate   venga   sollevata   -   e
successivamente favorevolmente delibata dal  Giudice  delle  leggi  -
cio' produrrebbe la illegittimita' totale ovvero parziale degli  atti
amministrativi impugnati; 
        c) cio' al contempo, dimostra a monte  il  rilievo  che  tali
questioni assumono nel presente giudizio e (salvo quello che si dira'
con riferimento  a  singole  questioni)  l'interesse  delle  parti  a
prospettarle. 
    4. Il Collegio e' persuaso della circostanza  che  sia  opportuno
esaminare immediatamente taluni argomenti critici che  si  appalesano
certamente non accoglibili, per poi maggiormente  concentrarsi  sulle
prospettazioni che abbisognano di un maggiore approfondimento. 
    4.1. A tale proposito, si evidenzia immediatamente che, ad avviso
del Collegio: 
        a)  la  settima  doglianza  articolata  dalla  curatela   del
Fallimento Bagnolifutura s.p.a. tendente ad ottenere - comunque ed in
ogni caso - la declaratoria di illegittimita' del contestato  decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri del  15  ottobre  2015,  in
quanto collidente con  la  sopravvenuta  modifica  legislativa  della
norma-fonte  del  medesimo  non  appare   favorevolmente   delibabile
(ammesso che la parte  appellante  abbia  un  immediato  interesse  a
dedurla) in quanto: 
          I) il decreto del Presidente  del  Consiglio  dei  ministri
impugnato reso in data  15  ottobre  2015  (ed  anche  quello  del  3
settembre  2015  impugnato   dal   comune   di   Napoli)   e'   stato
effettivamente  emesso  sulla  scorta  di  un  dato  legislativo  (la
primigenia versione dell'art. 33 del decreto-legge 12 settembre 2014,
n. 133)  successivamente  «superato»  dalle  modifiche  apportate  al
medesimo dal decreto-legge 30 dicembre 2015, n. 210, convertito nella
legge 25 febbraio 2016 n. 21; 
          II) il testo dello stesso, pero', non reca disposizioni  in
toto incompatibili con la vigente versione della suindicata norma; 
          III) per il vero nel decreto del Presidente  del  Consiglio
dei ministri si fa riferimento ad una «societa' di scopo» che risulta
ormai soppressa; del pari ivi si ipotizza (art.  7)  un  quomodo  del
rimborso utilizzandosi il termine «anche» che non compare piu'  nella
stesura definitiva della norma primaria; 
          IV) e purtuttavia, quanto alle modalita' del  rimborso,  il
testo del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri  (art.  7
comma 3 «L'importo determinato ai sensi di quanto previsto dal  comma
precedente viene versato alla procedura fallimentare, anche  mediante
azioni o altri strumenti finanziari emessi  dalla  medesima  societa'
per azioni di scopo o, anche congiuntamente, con l'Agenzia  nazionale
per l'attrazione degli investimenti S.p.A.»), che si legava alla voce
verbale  «potra'»  contenuta  nell'originario  testo  del  comma   12
dell'art. 33 («Alla procedura  fallimentare  della  societa'  Bagnoli
Futura S.p.A. e' riconosciuto dalla societa' costituita dal  soggetto
attuatore un importo determinato sulla base  del  valore  di  mercato
delle aree e degli  immobili  trasferiti  rilevato  dall'Agenzia  del
demanio alla data del  trasferimento  della  proprieta',  che  potra'
essere versato mediante azioni o altri  strumenti  finanziari  emessi
dalla societa', il cui rimborso e'  legato  all'incasso  delle  somme
rivenienti dagli atti di disposizione delle  aree  e  degli  immobili
trasferiti, secondo le modalita' indicate con il  decreto  di  nomina
del soggetto attuatore») e' comunque compatibile  con  la  perentoria
prescrizione contenuta  nel  novellato  testo  della  norma  primaria
(comma 12: «alla procedura fallimentare della societa' Bagnoli Futura
Spa e' riconosciuto un importo corrispondente al  valore  di  mercato
delle aree e degli immobili  trasferiti,  rilevato  dall'Agenzia  del
demanio alla data del trasferimento della proprieta'. Tale importo e'
versato alla curatela fallimentare mediante strumenti finanziari,  di
durata non superiore a quindici anni decorrenti dalla data di entrata
in  vigore   della   presente   disposizione,   emessi   su   mercati
regolamentati dal soggetto attuatore, anche  al  fine  di  soddisfare
ulteriori fabbisogni  per  interventi  necessari  all'attuazione  del
programma di cui al comma 8»); per altro verso, il venir  meno  della
societa' di scopo (oltre a «rispondere»  ai  desiderata  delle  parti
appellanti,  che  avevano  insistentemente  rimarcato  l'incongruita'
della  detta  previsione  ormai  soppressa)  implica   un   mutamento
soggettivo che non si riverbera sulla  oggettivita'  della  procedura
delineata  in  quanto   tali   incombenze   sono   state   attribuite
direttamente al soggetto attuatore, ed e' stata elisa la prescrizione
relativa alla costituzione -  da  parte  di  quest'ultimo  -  di  una
societa' di scopo aperta ai privati; 
          V) cio' che piu' giova precisare, pero', e' che entrambe le
suindicate  disposizioni  necessitavano  di  ulteriori  provvedimenti
attuativi, non ancora emanati  per  cui  il  contestato  decreto  del
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  non  ha  prodotto   alcuna
«lesione» e, per quanto di seguito si dira', non potra'  produrne  in
seguito; 
          VI) anche il quarto  comma  dell'art.  7  del  decreto  del
Presidente del Consiglio dei ministri citato («4.  Le  azioni  o  gli
altri strumenti finanziari di cui al precedente comma potranno essere
richiesti a rimborso  dai  legittimi  titolari  solo  successivamente
all'incasso delle somme rinvenienti dagli atti di disposizione  delle
aree e degli immobili trasferiti e, comunque, in misura non superiore
alle  somme  effettivamente  incassate,  secondo  le  modalita'   che
verranno  individuate  con  successivo  decreto  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri») appare inattuale, in quanto «superato» dalla
novella  legislativa  soprariportata  che  fissa  un  termine  finale
(certo, e non subordinato ad alcun evento) per il rimborso, ed  anche
in questo caso (ma sul punto si dovra' nuovamente tornare) si  tratta
dell'elisione di una prescrizione  non  determinante,  e  soprattutto
certamente favorevole per la curatela appellante; 
          il  decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri
impugnato, quindi, ratione temporis era conforme al testo  originario
della norma primaria vigente al momento in cui fu  emanato  (si  vada
Cons. Stato Sez. IV, 21 agosto 2012, n. 4583; Cass. civ. Sez. VI,  22
febbraio 2012, n. 2672), e successivamente e' divenuto incompatibile,
in parte, con la novella legislativa, le cui  disposizioni  implicano
la non permanente attualita' delle prescrizioni contenute nel decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri con essa incompatibili; 
          VIII) la  portata  conformativa  della  sentenza  di  primo
grado, in parte qua pienamente condivisa  dal  Collegio,  implica  la
conseguenza che giammai  le  primigenie  disposizioni  contenute  nel
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri impugnato  reso  in
data 15 ottobre 2015 e divenute  incompatibili  con  la  sopravvenuta
legislazione primaria che del medesimo  decreto  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri costituisce presupposto legittimante  potranno
trovare applicazione (stante la immediata  portata  precettiva  della
modifica legislativa) ed implica altresi' che, in carenza  di  alcuna
attuazione delle sopravvenienze normative (allo stato, come  chiarito
dalla appellata Invitalia s.p.a. nelle proprie memorie difensive  non
e' stata neppure effettuata la  trascrizione  delle  aree)  la  parte
appellante non abbia interesse ad ottenere il  parziale  annullamento
del  decreto  del  Presidente  del   Consiglio   dei   ministri   per
incompatibilita' sopravvenuta con le nuove disposizioni. 
    4.1.1. Va pertanto disattesa la doglianza volta ad  affermare  la
illegittimita' del decreto del Presidente del Consiglio dei  ministri
del 15 ottobre 2015 per sopravvenuta incompatibilita' con la versione
definitiva della normativa di legge allo stesso sottesa. 
    5. Passando quindi alla disamina delle questioni di  legittimita'
costituzionale proposte avverso le disposizioni  normative  di  rango
primario sottese ai provvedimenti  impugnati  si  osserva  quanto  di
seguito. 
    5.1. Il Collegio ritiene che siano manifestamente infondate,  sia
le questioni di legittimita' costituzionale articolate dal Comune  di
Napoli nel primo motivo dell'appello (laddove si contesta il  ricorso
alla decretazione d'urgenza) sia quelle contenute  nel  sesto  motivo
dell'appello   della   curatela   del   fallimento   della   societa'
Bagnolifutura e nell'ultimo motivo dell'appello proposto dal  Comune,
(l'argomento critico e'  connesso  soltanto  «logicamente»  a  quello
prima evocato)  laddove,  in  sostanza,  ci  si  duole  dell'avvenuto
superamento    dei    limiti    di    ammissibilita'    delle    c.d.
«leggi-provvedimento». 
    5.1.1.  Va  in  proposito  premesso  che  nessuna   delle   parti
appellanti si e' spinta a contestare: 
        I) la assoluta particolarita' -  e  forse  irripetibilita'  -
della condizione fattuale e giuridica dell'area di Bagnoli-Coroglio; 
        II) la necessita' che si  proceda  ad  una  urgente  bonifica
ambientale di detta area; 
        III)  la  risalenza  della  problematica,  ed  il  conclamato
insuccesso (che,  addirittura,  l'amministrazione  comunale  «imputa»
alle amministrazioni centrali) di ogni iniziativa  pregressa  tesa  a
bonificare - per poi riqualificare - il sito; 
        IV) la situazione di stallo riscontrabile  al  momento  della
emanazione del contestato decreto-legge anche  con  riferimento  alla
bonifica dell'area. 
    5.1.2. Cio' che l'amministrazione comunale di Napoli contesta  e'
invece il «legame» tra bonifica ambientale e riqualificazione  urbana
contenuto nel  decreto  impugnato,  e  l'uso  della  decretazione  di
urgenza quanto  a  tale  ultimo  profilo;  la  curatela  contesta  le
modalita'  prestabilite  nel  decreto-legge  (e   del   decreto   del
Presidente del Consiglio dei ministri) per raggiungere  un  obiettivo
finale (bonifica e riqualificazione del sito) che essa stessa ritiene
necessario. 
    5.1.3.  Cio'  posto,  ad   avviso   del   Collegio,   l'argomento
dell'amministrazione comunale con il quale  si  contesta  il  ricorso
alla decretazione di urgenza appare intrinsecamente  contraddittorio,
in quanto: 
        a) dapprima ci si duole della circostanza che le disposizioni
di cui all'art. 33 del  contestato  decreto-legge  n.  133  del  2014
abbiano «esteso» il concetto di bonifica, sino a trasmodare  (secondo
paragrafo del Preambolo al decreto-legge) in quello di  rigenerazione
urbana, con previsione ad hoc di strumenti di governo del  territorio
(ai sensi dell'ultimo cpv del  comma  10  dell'art.  33  del  decreto
suddetto); 
        b) indi si sostiene che il previgente art.  252  del  decreto
legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 nulla di tutto cio' prevedesse; 
        c) infine si contesta la ravvisata  urgenza  culminata  nella
scelta  di  procedere  mediante  lo  strumento   della   decretazione
d'urgenza, facendo presente che v'era gia'  uno  strumento  normativo
(appunto il citato art. 252 del decreto  legislativo  n.  152  del  3
aprile 2006) in grado di soddisfare le esigenze ambientali. 
    5.1.3.1. Invero, delle due  l'una:  o  il  citato  art.  252  del
decreto legislativo n. 152/2006 era sovrapponibile alle neointrodotte
disposizioni (e qui  si  sarebbe  potuto  dubitare  dell'urgenza  del
provvedere) ovvero esso non lo era (ed  allora  non  ha  spessore  la
critica in ordine all'an del ricorso alla decretazione d'urgenza). 
    Ora, posto che la semplice lettura della  disposizione  art.  252
del decreto  legislativo  n.  152  del  3  aprile  2006  consente  di
affermare che ivi era disciplinata essenzialmente (verrebbe fatto  di
affermare unicamente) la procedura di bonifica, non pare al  Collegio
che  l'argomento  critico  del  comune  di  Napoli  sia   sul   punto
favorevolmente  delibabile  anche  in   chiave   di   non   manifesta
infondatezza. 
    5.1.4. Ma detta  critica  appare  anche  collidere  con  il  dato
rappresentato dal sicuro degrado dell'area: 
        per l'appellante comune, il  degrado  era  «storicizzato»,  e
cio'  consentiva  di  non  ritenere  urgente  la  previsione  di   un
intervento organico: ma l'emergenza ambientale o e' riscontrabile  (e
cio', si ripete, non e' contestato da alcuno) o non lo e';  e  se  lo
e', allora l'urgenza e' in re ipsa, ed anzi, ogni  ulteriore  ritardo
aggrava la situazione dell'area. 
    In conclusione pare al Collegio  sia  e'  sufficiente  sul  punto
richiamare le argomentazioni contenute nella  decisione  della  Corte
costituzionale, 30 aprile 2015, n. 72 per pervenire ad un giudizio di
manifesta infondatezza del dubbio di costituzionalita' prospettato. 
    5.1.5 Analoga sorte va riservata alla  tesi  dell'amministrazione
comunale volta a criticare la eterogeneita'  delle  misure  contenute
nel decreto-legge, in quanto: 
        a) nuovamente, a tale  proposito,  la  sentenza  della  Corte
costituzionale prima indicata fornisce utili coordinate  ermeneutiche
per la declaratoria di infondatezza manifesta della questione; 
        b) il T.a.r. ha ben chiarito il  legame  che  intercorre  tra
superamento dell'emergenza economica e superamento  delle  situazioni
di degrado ambientale che investono aree estese della penisola; 
        c) a quanto affermato dal primo  Giudice  (e  contestato  dal
Comune solo attraverso l'estrapolazione di opinioni emerse nel  corso
del  dibattito  parlamentare)  puo'   aggiungersi   che   il   legame
teleologico tra il primo ed il secondo preambolo del decreto-legge e'
del tutto evidente, e che  costituisce  (soltanto)  una  rispettabile
opinione non supportata da evidenze di alcun  genere  quella  secondo
cui l'art. 33 sarebbe una norma «intrusa» in quanto prevederebbe  una
connessione tra urbanistica e bonifica non in realta' sussistente; 
        d) l'argomento critico e' in realta' - ad avviso del Collegio
-  frutto  di  una  non  condivisibile  sovrapposizione  di   profili
distinti: se si muove dalla condivisione della evidenza  per  cui  la
bonifica e la riqualificazione di vaste aree del  territorio  possono
concorrere al miglioramento della situazione  economica  complessiva,
tanto basta a confutare l'argomento della «eterogeneita' di  materia»
escludendone la fondatezza: il quomodo di  tale  riqualificazione  e'
argomento  rientrante  nella  lata  discrezionalita'  legislativa  e,
semmai,  il  supposto  «straripamento  di  competenza»   in   materia
urbanistica  dovra'   essere   affrontato   sotto   distinti   angoli
prospettici (come del  resto  ci  si  accinge  a  fare);  ma  rimasto
incontestato  il  legame  intercorrente  tra  risanamento   di   aree
degradate e misure atte a favorire la ripresa economica,  la  censura
incentrata  sulla  eterogeneita'  delle  disposizioni  contenute  nel
decreto-legge e' certamente infondata; 
        e)  infine,  il  preambolo  del  decreto-legge  conteneva  il
riferimento alla tutela  degli  ecosistemi,  e  certo,  appare  arduo
affermare che non sia  questa  (tra  le  altre)  la  finalita'  della
avversata disposizione di legge. 
    5.2. A questo punto della  esposizione  ci  si  puo'  limitare  a
richiamare la giurisprudenza del Giudice delle leggi (muovendo  dalle
fondamentali decisioni n. 29 del 1995 e n. 360 del 1996  che  per  la
prima volta hanno dichiarato incostituzionale una disposizione di  un
decreto-legge per il vizio di reiterazione) laddove si  e'  affermato
che «la preesistenza  di  una  situazione  di  fatto  comportante  la
necessita' e l'urgenza di provvedere tramite l'utilizzazione  di  uno
strumento  eccezionale,  quale  il  decreto-legge,   costituisce   un
requisito di  validita'  costituzionale  dell'adozione  del  predetto
atto, di modo che l'eventuale evidente mancanza di  quel  presupposto
configura in primo luogo un vizio  di  illegittimita'  costituzionale
del decreto-legge  che  risulti  adottato  al  di  fuori  dell'ambito
applicativo costituzionalmente previsto» (sentt. nn. 29  del  1995  e
171 del 2007; peraltro, si e' detto «il difetto  dei  presupposti  di
legittimita' della decretazione d'urgenza, in sede  di  scrutinio  di
costituzionalita'» deve  «risultare  evidente»,  e  tale  difetto  di
presupposti, «una volta intervenuta la conversione, si traduce in  un
vizio in procedendo della relativa legge»). 
    E nel caso di specie, ad avviso del Collegio, v'e' l'evidenza del
contrario:  e'  incontestabile  che   sussistessero   i   presupposti
dell'urgenza e che la norma in esame non sia distonica rispetto  agli
obiettivi della decretazione d'urgenza. 
    5.3. Sotto altro profilo, si e' con  evidenza  al  di  fuori  dal
perimetro applicativo delle affermazioni contenute nella sentenza  n.
220 del 2013 laddove si e' escluso che determinate materie, per  loro
intrinseca natura (in quel caso l'ordinamento  delle  province  e  le
loro circoscrizioni territoriali: artt. 117, comma 2, lett. p);  133,
comma  1;  114,  commi  1-2,  Cost.),  possano  formare  oggetto   di
decretazione  d'urgenza  in  quanto  logicamente   e   giuridicamente
incompatibili  con  la  natura  straordinaria   e   provvisoria   del
provvedimento. 
    5.3.1.  Sara'  infine  permesso   al   Collegio   formulare   una
considerazione, che ben si attaglia agli argomenti sinora esposti, ma
che  per  il  vero  si  manifesta  di  portata  piu'  ampia:   appare
sintomatico  che  nessuna  delle  parti  appellanti  abbia  sollevato
perplessita' sulla disposizione del contestato art.  33  del  decreto
(il comma 11) che puo'  definirsi  la  norma-manifesto  della  citata
disposizione con la quale e' stata  «fotografata»  normativamente  la
condizione di eccezionale problematicita' sotto il profilo ambientale
dell'area  («11.  Considerate  le  condizioni  di   estremo   degrado
ambientale  in  cui  versano  le  aree  comprese   nel   comprensorio
Bagnoli-Coroglio sito nel Comune  di  Napoli,  perimetrate  ai  sensi
dell'art. 36-bis, comma 3, del decreto-legge 22 giugno 2012,  n.  83,
convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, con
decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela  del  territorio  e
del mare 8 agosto 2014, pubblicato nella Gazzetta  Ufficiale  n.  195
del 23 agosto  2014,  le  stesse  sono  dichiarate  con  il  presente
provvedimento aree di rilevante interesse nazionale per  gli  effetti
di cui ai precedenti commi»): cio' ad avviso  del  Collegio  dimostra
vieppiu' che nel merito nessuna parte ha veramente da obiettare sulla
specificita' della situazione presa in esame dal legislatore e  sotto
il profilo logico rende - a monte - non persuasive le  censure  sulle
misure  eccezionali  adottate  e  sul   ricorso   alla   decretazione
d'urgenza. 
    5.4. Si osserva inoltre che in ordine  alla  circostanza  che  le
censurate disposizioni di cui  all'  art.  33  del  decreto-legge  12
settembre  2014,  n.  133   siano   ascrivibili   al   novero   delle
leggi-provvedimento (o «leggi puntuali» come definite da  qualificata
dottrina) non v'e' da dubitare, ad avviso del Collegio. 
    5.4.1. E' ben noto che a piu' riprese la Corte  costituzionale  -
nell'ammettere in via di principio la praticabilita' di tale modo  di
legiferare nel sistema giuridico  italiano  -  ha  stabilito  che  il
limite e' quello della ragionevolezza e  che  (vedasi  le  coordinate
interpretative  tracciate  dalla  Consulta  nelle  decisioni   numeri
376/1995,  282/2005,  103/2007,  267/2007,  241/2008)  con  la  legge
provvedimento non e' possibile esercitare un potere atipico  rispetto
al novero dei poteri amministrativi tipizzati, diretto a incidere  in
via retroattiva e in senso sfavorevole sulle posizioni  consolidatesi
per effetto di decisioni irreversibili». 
    5.4.2.  Ora,  il  sesto  motivo   dell'appello   della   curatela
fallimentare (che neppure labialmente fa riferimento  ad  alcuno  dei
casi di illegittimita' intrinseca delle  leggi-provvedimento  siccome
enucleabili dall'insegnamento della Corte costituzionale) e  l'ultimo
motivo dell'appello del comune contengono in nuce  le  ragioni  della
valutazione di manifesta infondatezza delle questioni ivi prospettate
allorche'  la  stessa   appellante   curatela   fallimentare   (assai
lealmente, e' bene precisarlo) da atto della  anomalia,  e,  verrebbe
fatto   di   dire,   della   straordinarieta'   delle   problematiche
riscontrabili nell'area industriale di Bagnoli-Coroglio, e della  non
riuscita di ogni precedente tentativo di  risolvere  l'emergenza  ivi
creatasi (mentre il Comune sostiene la irrilevanza della circostanza,
trattandosi di dato c.d. «storicizzato»). 
    5.4.3. Se cosi' e', la contestazione mossa allo  strumento  della
legge-provvedimento va dichiarata manifestamente infondata, in quanto
a fronte di una condizione eccezionale appare gia'  prima  facie  non
illogico od arbitrario che il legislatore sia intervenuto con  misure
urgenti ed organiche preordinate a superare  il  risalente  stato  di
pericoloso degrado (nel rispetto, pare al Collegio, del principio  di
ragionevolezza e non  arbitrarieta'  e  sullo  scrutinio  stretto  di
costituzionalita' cui tali leggi sono soggette, v. rispettivamente le
sentenze  numeri  85/2013,  143/1989,  346/1991,  429/1995  e  numeri
85/2013, 20/2012, 137/2009, 241/2008, 267/2007, 2/1997) e recando  le
contestate disposizioni  le  indicazioni  necessarie  ai  fini  della
preliminare valutazione della legittimita' costituzionale dei criteri
posti a base della scelta legislativa e delle relative  modalita'  di
attuazione: sentenze numeri 85/2013, 270/2010, 137/2009,  267/2007  e
492/1995). 
    5.4.4. Tutt'altra -  e  piu'  delicata  -  questione  involve  la
intrinseca compatibilita' costituzionale delle misure ivi  contenute:
queste ultime, pero', o sono illegittime (in  quanto  collidenti  con
valori costituzionali) o non lo sono, e se non  lo  fossero,  sarebbe
illogico che lo divenissero perche' la legge che le ha  previste  era
una legge-provvedimento. 
    Cio' in quanto la assoluta specificita' delle caratteristiche del
degrado insistente sull'area (per estensione, provenienza, risalenza,
etc) rende in se' e per se' non censurabile il ricorso allo strumento
della legge - provvedimento, mentre la valutazione con la quale si e'
- in seno al  contestato  art.  33  del  decreto-legge  -  legata  la
bonifica ambientale alla rigenerazione urbana: 
        rientra nella lata discrezionalita' legislativa; 
        II) e' coerente con il preambolo del  decreto-legge  medesimo
(isposizioni in materia  ambientale,  per  la...  salvaguardia  degli
ecosistemi) e si inquadra altresi' nell'incipit del  contestato  art.
33 del decreto-legge  a  piu'  riprese  richiamato  («attengono  alla
tutela dell'ambiente di cui all'art. 117, secondo comma,  lettera  s)
della Costituzione nonche' ai livelli essenziali delle prestazioni di
cui all'art. 117, secondo comma, lettera  m)  della  Costituzione  le
disposizioni   finalizzate   alla   bonifica   ambientale   e    alla
rigenerazione urbana delle aree di rilevante interesse nazionale»). 
    6. Con riferimento alle  questioni  prospettate  nella  penultima
censura contenuta nell'appello del comune, osserva, poi, il  Collegio
che: 
        a) l'originario terzo  motivo  del  ricorso  di  primo  grado
(pagg. 40-42 dell'atto introduttivo del gravame) invocava la asserita
incompatibilita' dell'art. 33 decreto-legge con l'art.  117  comma  I
della Costituzione, e  dell'art.  6  della  Convenzione  europea  dei
diritti dell'uomo evocando la circostanza che  era  stato  dichiarato
con sentenza il fallimento della societa' Bagnoli  Futura  e  che  il
comune era coinvolto nella procedura quale attore in rivendica; 
        b) il T.a.r. ha correttamente evidenziato  che  non  era  ne'
chiaro ne' specifico il parametro di illegittimita'  indicato  e  che
neppure  era  specificata  la  lesivita'  di   singole   prescrizioni
dell'art. 33 del decreto-legge suddetto; 
        c)  il  Collegio  ritiene  che  la  sentenza  sia  pienamente
condivisibile; 
        d) l'appellante comune ha riproposto la censura, ed  essa  si
lega intimamente ad alcune  di  quelle  sollevate  (con  analitica  e
specifica indicazione) nel riunito appello  proposto  dalla  curatela
del fallimento della societa' Bagnoli Futura,  per  cui  tale  ultima
doglianza verra' scrutinata allorche', di qui a breve, verranno prese
in esame le doglianze contenute nel riunito appello. 
    7. Restano a questo punto da scrutinare  la  terza  e  la  quarta
censura (in realta' la rubrica dei motivi di appello  risente  di  un
errore di scrittura, in quanto la quarta doglianza e' rubricata sotto
il n. 2) proposte dal Comune di Napoli: in ordine alle stesse  -  che
necessitano di un esame congiunto - il Collegio e' persuaso  che  una
articolazione della censura non sia manifestamente infondata e  debba
essere di conseguenza rimessa al vaglio del Giudice delle leggi. 
    Il Collegio chiarira' il  proprio  convincimento  successivamente
alla disamina di  alcune  doglianze  contenute  nel  riunito  appello
proposto dalla curatela. 
    8. Proprio venendo  all'esame  delle  questioni  di  legittimita'
costituzionale prospettate nel riunito ricorso  in  appello  proposto
dalla curatela del fallimento della societa'  Bagnoli  Futura  s.p.a.
ritiene il  Collegio  per  comodita'  espositiva  di  raggruppare  le
tematiche oggetto di approfondimento  in  relazione  ai  versanti  di
censura. 
    8.1. Verranno quindi in primo luogo esaminati tutti gli argomenti
critici  merce'  i  quali  la  appellante  curatela  ha   prospettato
l'illegittimita' delle disposizioni di legge suindicate per contrasto
con  le  prescrizioni  costituzionali  (art.  42  e   43   Cost.)   e
sovranazionali (art. 6 Convenzione per la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre
1950 ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955,  n.  848
ed  art.  1  del  protocollo  addizionale  alla  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,
firmato a Parigi il 20 marzo 1952 per il tramite dell'art. 117  primo
comma, della Costituzione) e con i principi  vigenti  in  materia  di
espropriazione per pubblica utilita'. 
    In  seguito  verra'  esplorata  la  consistenza  degli  argomenti
critici volti a dimostrare  l'illegittimita'  delle  disposizioni  di
legge suindicate per contrasto  con  le  prescrizioni  costituzionali
(art. 24 e 48 Cost.) in tema di diritto di difesa  e  di  tutela  del
risparmio, che si  supportano  nell'affermazione  della  interferenza
delle  disposizioni  in  parola  con  la  procedura   giurisdizionale
fallimentare avviatasi. 
    8.2. Una premessa e' doverosa, con  riferimento  ad  entrambe  le
tematiche oggetto di approfondimento. 
    8.2.1. La parte appellante, che con i motivi  aggiunti  di  primo
grado aveva gia'  ribadito  il  proprio  persistente  interesse  alla
impugnazione anche a seguito delle modifiche introdotte con la  legge
25 febbraio 2016, n. 21 di conversione del decreto-legge 30  dicembre
2015, n. 210 ha riproposto in appello tutti i profili  di  dubbio  di
compatibilita'   costituzionale,   ma   taluni   di   essi   appaiono
effettivamente  privi  di  attualita'  tenuto  conto  proprio   delle
modifiche apportate con la suindicata legge: il  Collegio  esaminera'
pertanto tutte le censure  chiarendo  immediatamente  quali  di  esse
appaiano manifestamente infondate proprio  alla  luce  della  novella
modificatrice. 
    8.3. Quanto al primo dei versanti critici come sopra  individuati
(e cioe' alla «materia espropriativa») si osserva che: 
        a) per costante giurisprudenza di legittimita' e  di  merito,
applicativa degli insegnamenti del Giudice delle  leggi,  il  ristoro
deve essere «certo» e «serio», ma puo' non coincidere con  il  valore
venale  del  bene  (tra  le   tante,   ancora   di   recente,   Corte
costituzionale, 22  aprile  2016,  n.  90:  «l'indennizzo  assicurato
all'espropriato dall'art. 42, comma 3, Cost. non deve costituire  una
integrale o una irrisoria riparazione per la perdita subita, ma  deve
rappresentare un serio ristoro, che abbia un ragionevole  legame  con
il valore di mercato del bene»); 
        b) muovendo da  tale  dato  di  partenza,  tutte  le  censure
incidenti sulla  «certezza»  dell'indennizzo,  e  sulla  aleatorieta'
della  quantificazione  (salvo  quanto  di  seguito  si  dira')  sono
manifestamente infondate in quanto: 
          I) a tutto concedere, il  testo  originario  del  comma  12
dell'art. 33 del decreto-legge citato («alla  procedura  fallimentare
della societa' Bagnoli Futura S.p.A. e' riconosciuto  dalla  societa'
costituita dal soggetto attuatore un importo determinato  sulla  base
del valore di mercato delle aree e degli immobili trasferiti rilevato
dall'Agenzia  del  demanio  alla   data   del   trasferimento   della
proprieta',  che  potra'  essere  versato  mediante  azioni  o  altri
strumenti finanziari emessi dalla societa', il cui rimborso e' legato
all'incasso delle somme rivenienti dagli atti di  disposizione  delle
aree e degli immobili trasferiti, secondo le modalita'  indicate  con
il decreto di  nomina  del  soggetto  attuatore.»)  poteva  sollevare
perplessita'; 
          II) infatti ivi si prevedeva un «importo determinato  sulla
base del valore di mercato delle  aree  e  degli  immobili»  (il  che
comunque di per se' non collideva con  l'autorevole  insegnamento)  e
soprattutto si specificava che il  rimborso  sarebbe  rimasto  legato
«all'incasso delle somme rivenienti dagli atti di disposizione  delle
aree e degli immobili trasferiti, secondo le modalita'  indicate  con
il decreto di nomina del Soggetto attuatore»  il  che  ridondava  sul
requisito della «certezza» del ristoro; 
          III)  la  novellata  disciplina  ha   eliso   entrambe   le
criticita' in quanto il testo vigente della disposizione prevede che:
«alla procedura fallimentare della societa'  Bagnoli  Futura  Spa  e'
riconosciuto un importo corrispondente al  valore  di  mercato  delle
aree e degli immobili trasferiti, rilevato dall'Agenzia  del  demanio
alla data del trasferimento della  proprieta'»:  si  e',  quindi,  al
cospetto   di   una   disposizione   che,   con   riferimento    alla
quantificazione  dell'indennizzo  risponde  in  pieno  al   superiore
insegnamento, ed anzi e' perfino piu' favorevole di  quanto  in  tesi
sarebbe stato possibile disporre,  in  quanto  vi  e'  un  perentorio
riferimento al valore di mercato e quest'ultimo non e' assunto a mero
dato di partenza (Corte costituzionale, 10 giugno 2011, n. 181 «fermo
restando  che  il  legislatore  non  ha  il  dovere  di   commisurare
integralmente l'indennita' di espropriazione al valore di  mercato  e
che non sempre e' garantita dalla Cedu una riparazione  integrale,  e
che  l'esigenza  di  effettuare   una   valutazione   di   congruita'
dell'indennizzo  espropriativo,  determinato   applicando   eventuali
meccanismi  di  correzione  sul  valore  di   mercato,   impone   che
quest'ultimo  sia  assunto   quale   termine   di   riferimento   dal
legislatore,  in  guisa  da  garantire  il  giusto   equilibrio   tra
l'interesse generale e gli imperativi della salvaguardia dei  diritti
fondamentali degli individui. Restano assorbiti gli ulteriori profili
dedotti in riferimento all'art. 3 cost. - sentt. n. 5 del  1980,  223
del 1983, 355 del 1985, 1022, 1165 del 1988, 173 del  1991,  261  del
1997, 348, 349 del 2007, 236 del 2009); 
          IV) per altro verso, la novellata disposizione  ha  escluso
che il rimborso sia (piu') legato ad alcun dato aleatorio ed  incerto
essendosi ivi previsto che «tale importo  e'  versato  alla  curatela
fallimentare mediante strumenti finanziari, di durata non superiore a
quindici anni decorrenti  dalla  data  di  entrata  in  vigore  della
presente disposizione, emessi su mercati regolamentati  dal  soggetto
attuatore, anche al  fine  di  soddisfare  ulteriori  fabbisogni  per
interventi necessari all'attuazione del programma  di  cui  al  comma
8.»: vi e' quindi una tempistica certa, seppur dilatata nel  tempo  e
pari a 15 anni (quest'ultimo profilo  verra'  di  seguito  nuovamente
esaminato) e non  condizionata  ad  alcun  evento  aleatorio  il  che
conduce a scardinare i dubbi sulla «certezza» dell'indennizzo, almeno
quanto al profilo sinora esaminato; 
          V) si rammenta in ultimo che  per  costante  giurisprudenza
(tra le tante Consiglio di Stato, sez. VI, 30/07/2013, n. 4006 ) «non
incide sulla legittimita' del decreto di esproprio la circostanza che
lo  stesso  non   abbia   indicato   la   misura   della   indennita'
espropriativa, dato che la definizione delle questioni connesse  alla
determinazione ed alla liquidazione  della  indennita'  espropriativa
costituisce un posterius rispetto  all'adozione  dell'atto  ablatorio
definitivo, come tale non incidente sulla sua legittimita'.». 
    8.3.1. Le corrispondenti  censure  sono  pertanto  manifestamente
infondate, mentre anticipa il Collegio il  proprio  convincimento  di
non  manifesta  infondatezza  della  connessa   articolazione   della
doglianza   riposante   nell'elemento   (ulteriore)   di   incertezza
dell'indennizzo  discendente  dalla  circostanza  che  l'importo  del
medesimo  e'  destinato  ad  essere  versato  attraverso   «strumenti
finanziari»; tale connesso argomento  formera'  oggetto  di  separata
disamina nella ultima parte del presente provvedimento, con il  quale
verra'  rimesso  alla  Corte   costituzionale   il   giudizio   sulla
compatibilita' costituzionale di detta previsione. 
    8.4. Con altre - e piu' radicali - censure l'appellante  curatela
ipotizza il contrasto della richiamata disposizione (anche nel  testo
novellato) con  l'art.  42  comma  3  della  Costituzione  e  con  il
successivo art. 43 della Costituzione. 
    8.4.1. Il sospetto di incostituzionalita' muove dalla circostanza
per cui: 
        a) i beni contemplati nell'art. 33 citato non  rientrerebbero
tra quelli contemplati nell'art. 43 della Carta Fondamentale; 
        b) la dichiarazione di  pubblica  utilita'  coincide  con  un
momento successivo (vedasi  il  comma  10  del  citato  articolo  «Il
programma di rigenerazione urbana, da attuarsi con le risorse  umane,
strumentali e finanziarie  disponibili  a  legislazione  vigente,  e'
adottato dal Commissario straordinario del Governo, entro  10  giorni
dalla conclusione della conferenza di servizi o  dalla  deliberazione
del Consiglio dei ministri di cui al comma 9,  ed  e'  approvato  con
decreto del Presidente  della  Repubblica  previa  deliberazione  del
Consiglio dei ministri. L'approvazione del  programma  sostituisce  a
tutti gli effetti le autorizzazioni, le concessioni, i  concerti,  le
intese,  i  nulla  osta,  i  pareri  e  gli  assensi  previsti  dalla
legislazione vigente, fermo restando il  riconoscimento  degli  oneri
costruttivi in favore delle amministrazioni interessate.  Costituisce
altresi' variante urbanistica automatica e comporta dichiarazione  di
pubblica utilita' delle opere e di  urgenza  e  indifferibilita'  dei
lavori.   Il   Commissario   straordinario   del    Governo    vigila
sull'attuazione  del  programma  ed  esercita  i  poteri  sostitutivi
previsti dal programma medesimo») rispetto  a  quello  del  passaggio
della titolarita' dei beni (vedasi il comma 10 del citato articolo «:
con decreto del Presidente del Consiglio  dei  ministri,  da  emanare
entro la data del  30  settembre  2015,  e'  trasferita  al  Soggetto
attuatore, con oneri a carico del medesimo, la proprieta' delle  aree
e degli immobili di cui e' attualmente titolare la  societa'  Bagnoli
Futura S.p.A. in stato di fallimento. La trascrizione del decreto  di
trasferimento al  Soggetto  attuatore  produce  gli  effetti  di  cui
all'art. 2644, secondo comma, del codice civile.»); 
        c) non si prevede la apposizione  sui  detti  beni  di  alcun
vincolo preordinato all'esproprio; 
        b) ne' al Soggetto attuatore ne' al  Commissario  di  Governo
sarebbe stato conferito alcun potere espropriativo; 
        c) vi sarebbe una consistente devianza rispetto  alla  schema
classico plurifase del procedimento di espropriazione e cio'  sarebbe
tanto piu' grave se si consideri che l'art. 1 comma 4 del decreto del
Presidente della Repubblica n. 327/2001 prevede  che  «Le  norme  del
presente testo  unico  non  possono  essere  derogate,  modificate  o
abrogate se non per dichiarazione espressa, con specifico riferimento
a singole disposizioni.». 
    8.5. Osserva in proposito il Collegio quanto segue: 
        a) l'art. 43 della Costituzione appare evocato non del  tutto
pertinentemente  in  quanto,  esso  riguarda  la  «riserva»   od   il
«trasferimento» di beni produttivi omogenei, e nella fattispecie  non
ricorre tale evenienza; 
        b) l'art. 42 della Costituzione  e'  invece  il  parametro  -
unico o quantomeno prevalente, ad avviso  del  Collegio  -  cui  fare
riferimento,  unitamente  alle  disposizioni  sovranazionali  di  cui
all'art.  6  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei   diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre
1950 ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955,  n.  848
ed all' art. 1 del protocollo addizionale  alla  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,
firmato a Parigi il 20 marzo 1952 per il tramite dell'art. 117  primo
comma, della Costituzione); 
        c) il Collegio concorda  con  la  tesi  del  T.a.r.  -  fatta
propria anche dalle parti appellanti - secondo  la  quale  merce'  le
avversate disposizioni e' stato disegnato  un  procedimento  speciale
(verrebbe fatto di dire «eccezionale») di  natura  espropriativa  (la
questione e' stata esplorata in  parte,  allorche'  si  e'  esaminato
l'argomento critico incentrato sulla natura di legge -  provvedimento
da attribuire all'art. 33 del contestato decreto-legge); 
        d)  e'  ben  vero  che  nella   fattispecie   in   esame   il
trasferimento della proprieta' precede - e non invece segue, come  di
consueto  -  i  passaggi  che  di  regola  costituiscono  presupposto
essenziale  di  tale  ultimo   segmento   procedimentale   (id   est:
dichiarazione di pubblica utilita'); 
        e) e' altresi' vero pero' che: 
          I) gia' in un recente passato il  Giudice  delle  leggi  ha
esaminato un istituto  che  comportava  uno  sviamento  dallo  schema
canonico del modulo di  esercizio  del  potere  espropriativo  ed  ha
ritenuto che tale particolarita'  non  fosse  di  per  se'  idonea  a
condurre alla declaratoria di incostituzionalita' del medesimo: ci si
riferisce alla sentenza del 30  aprile  2015  n.  71  laddove  l'art.
42-bis del testo unico espropriazione e' stato classificato come  una
«sorta di procedimento espropriativo semplificato, che assorbe in se'
sia  la  dichiarazione  di  pubblica  utilita',  sia  il  decreto  di
esproprio, e quindi sintetizza uno actu  lo  svolgimento  dell'intero
procedimento, in presenza dei presupposti indicati dalla norma»;  nel
respingere le questioni di legittimita' costituzionale  sollevate  in
relazione agli artt. 3, 24, 42, 97, 111, 113 della  Costituzione,  in
detta occasione la Corte costituzionale, ha osservato,  tra  l'altro,
che,  «se  pure  il  presupposto  di  applicazione  della  norma  sia
"l'indebitautilizzazione dell'area"» - ossia  una  situazione  creata
dalla pubblica amministrazione in carenza di potere (per la  mancanza
di una preventiva dichiarazione di pubblica utilita' dell'opera o per
l'annullamento  o  la  perdita  di  efficacia  di  essa)  -  tuttavia
l'adozione dell'atto acquisitivo, con  effetti  non  retroattivi,  e'
certamente espressione di un potere  attribuito  appositamente  dalla
norma impugnata alla stessa pubblica amministrazione. Con  l'adozione
di tale atto,  quest'ultima  riprende  a  muoversi  nell'alveo  della
legalita' amministrativa,  esercitando  una  funzione  amministrativa
ritenuta meritevole di tutela privilegiata, in funzione  degli  scopi
di pubblica utilita' perseguiti, sebbene emersi successivamente  alla
consumazione di un illecito ai danni del privato cittadino»; 
          II) da  cio'  si  ricava  che  la  devianza  rispetto  allo
schema-tipo della espropriazione per pubblica utilita' non e' in se e
per  se  indice  di  illegittimita'  della  disciplina  «anomala»  e,
peraltro, la stessa parte appellante ha la lealta' di  non  sottacere
che sono state nel tempo innumerevoli le  disposizioni  che  si  sono
contraddistinte per un consistente scostamento rispetto  allo  schema
canonico che contraddistingue l'esercizio  del  potere  espropriativo
(ed e' superfluo sottolineare che a piu'  riprese  cio'  e'  avvenuto
senza che vi sia stata deroga espressa alle  disposizioni  del  testo
unico, e che comunque la disposizione di cui l'art.  1  comma  4  del
decreto del  Presidente  della  Repubblica n.  327/2001  non  integra
parametro costituzionale violato); 
          III) nel caso in esame il vincolo all'esproprio e' stato de
facto imposto direttamente con la disposizione di cui all'art. 33 del
decreto-legge,  in  quanto,  all'evidenza,   e'   stato   considerato
condizione per potere  pervenire  alla  bonifica  ed  al  risanamento
dell'area, e parimenti non puo' dirsi che il soggetto  attuatore  sia
privo  del   potere   espropriativo;   rectius:   anche   il   potere
espropriativo discende  ed  e'  stato  esercitato  merce'  la  stessa
previsione di legge; la  dichiarazione  di  pubblica  utilita'  segue
l'apprensione del compendio alla mano pubblica, ma essa  riguarda  il
programma rigenerativo da intraprendere, e segue logicamente la  fase
della bonifica, come si evince in termini  chiari  dalla  distinzione
contenuta nel comma 8 del citato art. 33. 
    8.5.1. Alla stregua  delle  superiori  osservazioni  il  Collegio
ritiene  manifestamente  infondate  anche  tali  articolazioni  delle
censure ed i relativi sospetti di illegittimita' costituzionale delle
disposizioni citate,  non  potendosi  rinvenire  nella  eccentricita'
rispetto allo schema espropriativo canonico alcuna lesione di  valori
costituzionalmente protetti ne' incompatibilita' con le  prescrizioni
di cui agli artt. 42 e 43 della Carta Fondamentale che contemplano il
potere espropriativo in  chiave  funzionalistica  ma  rimettono  alla
legge il compito di disciplinarne la modalita' di esercizio. 
    8.5.2. Una precisazione, in  ultimo,  e'  doverosa:  l'appellante
curatela ha sollevato - in seno alle censure sinora esplorate - anche
un  profilo  critico  che   si   lega   strettamente   al   parametro
costituzionale  di  cui  all'art.  24   della   Carta   Fondamentale,
concernente le conseguenze discendenti dalla  immediata  trascrizione
del decreto di trasferimento dei beni al  soggetto  attuatore  (comma
12: «Con decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  da
emanare entro la  data  del  30  settembre  2015,  e'  trasferita  al
soggetto attuatore, con oneri a carico del  medesimo,  la  proprieta'
delle aree e  degli  immobili  di  cui  e'  attualmente  titolare  la
societa'  Bagnoli  Futura  S.p.A.  in   stato   di   fallimento.   La
trascrizione del  decreto  di  trasferimento  al  Soggetto  attuatore
produce gli effetti di cui all'art. 2644, secondo comma,  del  codice
civile.»): di  esso,  in  quanto  connesso  strettamente  al  secondo
versante  critico  dell'appello  si  sara'  conto  immediatamente  di
seguito. 
    9. Continuando nella disamina dell'appello della curatela restano
a questo punto da esplorare le  questioni  di  costituzionalita'  che
riguardano la interferenza della disciplina  contenuta  nell'art.  33
del  decreto-legge   citato   con   le   disposizioni   della   legge
Fallimentare, e laddove il parametro costituzionale evocato e' quello
di cui all'art. 47 della Costituzione. 
    9.1. Come correttamente posto in luce dalla difesa  del  soggetto
attuatore nella propria memoria, per il vero la  curatela  evoca  una
pluralita'   di   disposizioni   (appunto   contenute   nella   legge
Fallimentare) ed evidenzia che il  decreto  con  esse  interferirebbe
rendendo (piu') difficile e complesso il  compito  degli  Organi  del
Fallimento. 
    9.1.1. L'approccio critico si fonda su una evidenza difficilmente
contestabile: il Collegio non intende schermare la  disamina  con  la
considerazione che, in fondo, le censure non  appaiono  perfettamente
in linea con  il  presupposto  di  fatto  a  piu'  riprese  enunciato
nell'appello secondo cui la curatela ha ben chiara la  eccezionalita'
della condizione del sito, condivide l'esigenza  del  Legislatore  di
agire con urgenza, e ne contesta unicamente le modalita'.  E  ritiene
che le  considerazioni  (di  evidente  buon  senso)  contenute  nelle
memorie  delle  parti  appellate  (secondo  cui,  visto   l'interesse
tutelato  dalla  curatela,  e   considerato   che   la   bonifica   e
rigenerazione dell'area e' l'unica condizione perche'  alle  aree  in
oggetto - costituenti la massa attiva fallimentare -  sia  attribuito
un qualche valore) introducano elementi di puro merito non delibabili
dal Collegio (e tali  sono  anche  quelli  prospettati  invece  dalla
curatela, secondo cui la via piu' corretta sarebbe  stata  quella  di
prevedere una forma di concordato fallimentare,  etc,  non  potendosi
sindacare gli obiettivi del Legislatore) ed a fortiori non valutabili
in sede  di  disamina  della  compatibilita'  costituzionale  di  una
disposizione di legge. 
    9.2. Vale, pero', in proposito, una considerazione: 
        a) costituisce principio immanente dell'ordinamento dal quale
non puo' decamparsi quello per cui l'assetto proprietario di  un'area
non puo' paralizzare l'esercizio di poteri pubblicistici; 
        b) tale principio e' stato in un risalente passato  affermato
dalla giurisprudenza ( si veda ad esempio T.A.R.  Milano,  Lombardia,
11 settembre 1985, n. 676 «il divieto generale statuito dall'art.  51
legge. fall. di inizio e prosecuzione di azioni esecutive individuali
sui  beni  compresi  nel  fallimento  non  incide  sui   procedimenti
autoritativi - quali la procedura di esproprio e di occupazione - che
danno luogo a rapporti non contrattuali che in  nessun  modo  possono
essere ricondotti alla categoria delle azioni esecutive»); 
        c) che il fallimento dichiarato nel corso  di  una  procedura
espropriativa non condizioni lo svolgersi della medesima, e  che,  di
converso,   l'amministrazione   possa   esercitare    detto    potere
pubblicistico anche su beni di pertinenza di soggetti gia' dichiarati
falliti e, quindi, quando la procedura e' gia' in corso,  costituisce
quindi ius receptum del quale non puo' dubitarsi. 
    9.3. Alla stregua di tale considerazione, sfugge al  Collegio  la
interferenza del parametro  costituzionale  evocato  (art.  47  della
Costituzione) in relazione a tutte  le  problematiche  riguardano  il
supposto «esautoramento» degli organi del Fallimento: le modalita' di
gestione della procedura  potranno  forse  divenire  piu'  complicate
(circostanza, questa, recisamente contestata dal soggetto attuatore e
dalla Presidenza del Consiglio dei ministri) ma non si vede  in  qual
modo le disposizioni della  suddetta  legge  violino  il  diritto  al
risparmio  consacrato  nell'art.  47  della  Costituzione:  di   tali
eterogenee censure va affermata la manifesta infondatezza. 
    9.3.1.  Per  chiudere  sul  punto,  con  un   argomento   critico
sapientemente formulato la  curatela  fallimentare  ha  sostenuto  la
fondatezza della questione di  legittimita'  costituzionale  relativa
alla porzione dell'art. 33 comma 12 del decreto-legge nella parte  in
cui si  prevede  che  «alla  procedura  fallimentare  della  societa'
Bagnoli Futura Spa  e'  riconosciuto  un  importo  corrispondente  al
valore di mercato delle aree e degli  immobili  trasferiti,  rilevato
dall'Agenzia  del  demanio  alla   data   del   trasferimento   della
proprieta'.  Tale  importo  e'  versato  alla  curatela  fallimentare
mediante strumenti finanziari, di durata  non  superiore  a  quindici
anni decorrenti dalla  data  di  entrata  in  vigore  della  presente
disposizione, emessi su mercati regolamentati dal soggetto attuatore,
anche al fine  di  soddisfare  ulteriori  fabbisogni  per  interventi
necessari all'attuazione del programma di cui  al  comma  L'emissione
degli strumenti finanziari di cui  al  presente  comma  non  comporta
l'esclusione dai limiti relativi al trattamento  economico  stabiliti
dall'art.  23-bis  del  decreto-legge  6  dicembre  2011,   n.   201,
convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214». 
    9.3.2. Ad  avviso  della  curatela  appellante,  la  disposizione
suindicata  interferirebbe   con   una   prescrizione   della   legge
fallimentare che rimette al Giudice (e soltanto a questi)  il  potere
di autorizzare la continuazione delle attivita' del fallito (art. 104
«Con la sentenza  dichiarativa  del  fallimento,  il  tribunale  puo'
disporre l'esercizio provvisorio dell'impresa, anche limitatamente  a
specifici rami dell'azienda, se dalla interruzione puo'  derivare  un
danno grave, purche' non arrechi pregiudizio ai creditori. 
    Successivamente, su proposta del curatore, il  giudice  delegato,
previo parere favorevole del comitato dei creditori,  autorizza,  con
decreto  motivato,   la   continuazione   temporanea   dell'esercizio
dell'impresa, anche  limitatamente  a  specifici  rami  dell'azienda,
fissandone la durata. 
    Durante il periodo di  esercizio  provvisorio,  il  comitato  dei
creditori e' convocato dal curatore, almeno ogni tre mesi, per essere
informato  sull'andamento   della   gestione   e   per   pronunciarsi
sull'opportunita' di continuare l'esercizio. 
    Se il  comitato  dei  creditori  non  ravvisa  l'opportunita'  di
continuare l'esercizio provvisorio, il giudice delegato ne ordina  la
cessazione. 
    Ogni  semestre,  o  comunque  alla  conclusione  del  periodo  di
esercizio provvisorio, il  curatore  deve  presentare  un  rendiconto
dell'attivita' mediante deposito in  cancelleria.  In  ogni  caso  il
curatore informa senza indugio il giudice delegato e il comitato  dei
creditori di circostanze  sopravvenute  che  possono  influire  sulla
prosecuzione dell'esercizio provvisorio. 
    Il  tribunale  puo'   ordinare   la   cessazione   dell'esercizio
provvisorio in qualsiasi momento laddove ne  ravvisi  l'opportunita',
con decreto in camera di consiglio non soggetto a reclamo sentiti  il
curatore ed il comitato dei creditori. 
    Durante l'esercizio provvisorio i contratti pendenti  proseguono,
salvo  che  il  curatore  non  intenda  sospenderne  l'esecuzione   o
scioglierli. 
    I  crediti  sorti  nel  corso  dell'esercizio  provvisorio   sono
soddisfatti in prededuzione ai sensi dell'art. 111, primo  comma,  n.
1). 
    Al  momento  della  cessazione  dell'esercizio   provvisorio   si
applicano le disposizioni di cui alla sezione IV  del  capo  III  del
titolo II») e  quindi  inciderebbe  sul  giudicato  fallimentare  (ed
anche, si puo' ipotizzare, con gli artt. 101 comma  II  e  104  della
Carta Fondamentale, sebbene tali  parametri  non  siano  stati  dalla
curatela evocati). 
    9.4. Ora, e' ben noto al Collegio che  le  procedure  concorsuali
sono finalizzate alla liquidazione dell'attivo ed  alla  ripartizione
dello  stesso  tra  i  creditori:  ed  in  tale  ottica,  il   potere
discrezionale di autorizzare la gestione  provvisoria  dei  beni  del
fallito (sebbene l'esperienza giudiziaria insegni che vi  si  ricorra
con sempre  maggiore  frequenza)  e'  rimesso  alla  discrezionalita'
giudiziale: ad avviso della difesa della curatela,  una  disposizione
quale quella in parola renderebbe necessaria  ed  indefettibile  tale
autorizzazione, elidendo di fatto il potere discrezionale giudiziale:
e cio' a fronte di una  procedura  gia'  pendente  al  momento  della
entrata in vigore della citata disposizione. 
    9.4.1.  Senonche',  e'  agevole  osservare  che  la   fattispecie
ipotizzata dalla curatela in nulla si differenzia  da  una  evenienza
espressamente normata dal regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 e  succ
mod. in quanto i commi  2  e  3  dell'art.  42  prevedono  che  «sono
compresi nel fallimento  anche  i  beni  che  pervengono  al  fallito
durante  il  fallimento,  dedotte  le   passivita'   incontrate   per
l'acquisto e la conservazione dei beni medesimi. Il curatore,  previa
autorizzazione  del  comitato  dei  creditori,  puo'  rinunciare   ad
acquisire i beni che  pervengono  al  fallito  durante  la  procedura
fallimentare qualora i costi da sostenere per il loro acquisto  e  la
loro conservazione  risultino  superiori  al  presumibile  valore  di
realizzo dei beni stessi». Orbene,  laddove  accada  che  al  fallito
pervengano - successivamente alla dichiarazione di fallimento -  beni
riposanti in strumenti finanziari, si producono esattamente le stesse
conseguenze che la  curatela  attribuisce  alla  norma  di  legge  in
contestazione: non sembra al Collegio che  l'effetto  della  medesima
attinga valori costituzionalmente protetti. 
    9.5. Quanto all'ulteriore argomento  di  supposta  illegittimita'
della contestata disposizione incentrato sulla considerazione secondo
cui  la  immediata  cancellazione  dei  titoli  che  integrano  cause
legittime di prelazione violerebbe il diritto di difesa dei creditori
privilegiati, pare al Collegio che essa muova da  un  fraintendimento
del dato legislativo. 
    9.5.1. Premette il Collegio che la circostanza  che  non  si  sia
proceduto sino a data odierna alla trascrizione del decreto  (evocata
sotto opposti angoli prospettici sia dall'appellante curatela che dal
soggetto attuatore) non riveste alcuna rilevanza,  non  potendosi  da
essa far discendere (come preteso  dalle  parti)  ne'  che  cio'  sia
dimostrativo della esattezza  delle  censure  di  irrazionalita'  del
testo di legge contestato ne', al contrario, della  inverosimiglianza
dei timori paventati dalla curatela. 
    9.5.2. Cio' che giova rilevare, e' che la vigente disposizione di
cui al piu' volte citato  art.  12  dell'art.  33  del  decreto-legge
infatti, richiama il comma secondo dell'art. 2944 del codice  civile,
facendo quindi salve le trascrizioni  antecedenti  alla  trascrizione
del decreto, e stabilisce poi che «dalla trascrizione del decreto  di
trasferimento e alla consegna dei suddetti titoli,  tutti  i  diritti
relativi alle aree e agli immobili trasferiti,  ivi  compresi  quelli
inerenti alla procedura fallimentare della  societa'  Bagnoli  Futura
Spa, sono estinti e le relative trascrizioni  cancellate.»:  soltanto
dalla  consegna  dei  titoli  rappresentativi  del  valore  dei  beni
espropriati,  quindi,   viene   prevista   la   cancellazione   delle
trascrizioni e delle iscrizioni antecedenti a quella del  decreto  di
trasferimento, per cui non sembra al Collegio che  la  norma  collida
con alcuno dei principi costituzionali posti a tutela del  credito  e
del diritto al risparmio, ne' con la salvezza delle  cause  legittime
di prelazione ex art. 2721 del codice civile. 
    10. A questo punto  della  esposizione  restano  inesplorate  due
problematiche  (soltanto  lambite  sinora,  in  quanto  connesse   ad
argomenti critici  che  si  ritiene  di  avere  invece  compiutamente
scrutinato)  «di  confine»  tra  i  versanti  critici  evocati  dalla
curatela. 
    10.1. Si rammenta infatti che, ad avviso di parte appellante: 
    a) non vi sarebbe «certezza» del  ristoro  in  quanto  lo  stesso
sarebbe erogato con «strumenti finanziari» per  natura  aleatori,  il
che inciderebbe su tale  requisito  dell'indennizzo  (art.  42  della
Costituzione); 
    b) la abnorme durata della procedura fallimentare conseguente  al
termine di quindici anni contenuto nel decreto violerebbe il precetto
di cui all'art. 111 della Costituzione ed all'art.  6  par.  I  della
Convenzione europea dei diritti  dell'uomo  in  tema  di  ragionevole
durata  del  processo,  tenuto  conto  della   circostanza   che   la
disposizione di legge ordinaria  che  di  tale  precetto  costituisce
attuazione (la legge n.  89/2009  sarebbe  pacificamente  applicabile
anche alle procedure fallimentari ed e' precipitato dell'art. 6  par.
I della Convenzione europea dei diritti dell'uomo). 
    10.1.2.  Il  Collegio  ha  gia'  anticipato   che   ritiene   non
manifestamente infondato il dubbio di costituzionalita' indicato  sub
a) e che di seguito chiarira' le ragioni del proprio convincimento  e
provvedera'  a   rimettere   la   relativa   questione   alla   Corte
costituzionale. 
    10.2. Quanto all'evocato profilo di cui alla lettera b) si rileva
quanto di seguito: 
        a) a  ragione  la  curatela  fa  presente  che  per  costante
giurisprudenza (tra le tante Cassazione civile, sez. VI, 9/1/2017, n.
221) la procedura fallimentare e' soggetta alle prescrizioni  dettate
in tema di irragionevole durata del processo dalla legge  n.  89  del
2001; 
        b) ed il Collegio e' altresi' consapevole  della  circostanza
che per la consolidata giurisprudenza di legittimita' ( tra le  tante
Cassazione civile, sez. VI,  19  maggio  2015,  n.  10233  Cassazione
civile, sez. VI, 28 maggio 2012, n. 8468) «una procedura fallimentare
deve avere una durata stimata di 5 anni, che puo'  aumentare  fino  a
massimo 7 nel  caso  in  cui  il  procedimento  presenti  particolari
difficolta'; superato questo limite scatta l'equa  riparazione  della
legge Pinto per eccessiva durata», secondo  lo  «standard  ricavabile
dalle pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo»; 
        c) senonche' ritiene il  Collegio  che  la  censura  proposta
appare logicamente  subordinata  rispetto  a  quella  richiamata  sub
lettera a) e sulla quale il Collegio  provvedera'  immediatamente  di
seguito ad investire  dello  scrutinio  la  Corte  costituzionale  in
quanto,  laddove  detta  questione  di  legittimita'   costituzionale
sollevata  dal  Collegio  venisse  accolta,  verrebbe  meno  il  dato
normativo rilevante sotteso alla questione che si sta esaminando; 
        d) la curatela, infatti, ricava dal seguente inciso contenuto
nel comma 12 dell'art. 33 del vigente testo  dell'art.  decreto-legge
12 settembre 2014, n. 133, convertito in legge 11 novembre  2014,  n.
164 «tale importo e'  versato  alla  curatela  fallimentare  mediante
strumenti  finanziari,  di  durata  non  superiore  a  quindici  anni
decorrenti  dalla  data  di  entrata   in   vigore   della   presente
disposizione, emessi su mercati regolamentati dal soggetto attuatore»
la conseguenza che la procedura fallimentare  non  potra'  avere  una
durata inferiore a quindici anni; 
        e)  ma   laddove   venisse   dichiarata   la   illegittimita'
costituzionale  del  detto  inciso,  sotto  il  profilo  rimesso  dal
Collegio di seguito, appare evidente che verrebbe meno (o  quantomeno
dovrebbe  essere  attentamente  riconsiderata,  e  sotto  presupposti
diversi) la  premessa  maggiore  della  questione  di  illegittimita'
evocata dalla curatela (la tempistica del rimborso  a  quindici  anni
sarebbe superiore di ben otto anni rispetto alla durata massima della
procedura fallimentare); 
        f) il Collegio ritiene pertanto che la questione  prospettata
non possa allo stato essere esaminata, in quanto  non  immediatamente
rilevante  nell'odierno  giudizio  perche'  logicamente   subordinata
rispetto a  quella  sollevata  immediatamente  di  seguito  (per  una
fattispecie analoga, si veda Consiglio di Stato, Sezione IV ordinanza
collegiale n. 4765 del 17 novembre 2016, capo 2.2.) 
    11. Puo' adesso essere esaminata la residua parte delle  critiche
proposte dal Comune; come si e' rilevato in precedenza, la terza e la
quarta censura (in realta', si  ripete,  la  rubrica  dei  motivi  di
appello risente di un  errore  di  battitura,  in  quanto  la  quarta
doglianza e' rubricata sotto il n. 2) proposte dal Comune  di  Napoli
devono essere esaminate congiuntamente: ivi si lamenta la  violazione
delle prerogative regionali e comunali in materia di  urbanistica,  e
la violazione del principio di leale collaborazione tra poteri  dello
Stato (soprattutto  con  riferimento  alla  posizione  della  Regione
Campania): il dubbio  di  costituzionalita'  attinge  la  valenza  di
variante urbanistica e di dichiarazione di  pubblica  utilita'  delle
opere e di urgenza e indifferibilita'  dei  lavori,  che  l'art.  33,
comma 10, del decreto-legge n. 133 del 2014, attribuisce al programma
di rigenerazione urbana. 
    11.1. Tutte le censure sono rilevanti  -  per  le  gia'  chiarite
ragioni - ed anche ammissibili. E' ben  vero  infatti  che  -  quanto
all'asserita  lesione  delle  competenze  regionali   -   costituisce
elemento da non trascurare la circostanza che la regione Campania (il
soggetto, in tesi, asseritamente «leso»  nelle  proprie  prerogative)
non soltanto non ha proposto alcun ricorso ma,  anzi,  sia  in  primo
grado che nell'odierno grado di giudizio ha chiesto che  gli  appelli
venissero respinti; purtuttavia, traendo spunto da quanto dalla Corte
Costituzionale affermato in materia di conflitti di attribuzione («la
figura dei conflitti di  attribuzione  non  si  restringe  alla  sola
ipotesi di contestazione circa l'appartenenza  del  medesimo  potere,
che ciascuno dei soggetti  contendenti  rivendichi  per  se',  ma  si
estende a comprendere ogni ipotesi in cui dall'illegittimo  esercizio
di  un  potere  altrui  consegua  la  menomazione  di  una  sfera  di
attribuzioni costituzionalmente assegnate all'altro  soggetto»  -  ex
plurimis, sentt. nn. 195 del 2007, 99 del 1991, 285 del  1990  e  110
del 1970) non pare al Collegio che il comune risenta di alcun  limite
nel sollevare (anche) la detta questione in  via  incidentale  in  un
giudizio pendente. E' ben vero - si ripete - che, nel caso di specie,
il soggetto asseritamente «leso» in via primaria (e cioe' la Regione)
e' presente nel processo e contraddice la tesi dell'appellante comune
che propone la questione di  legittimita'  costituzionale  incentrata
anche  sulla  ipotetica  lesione  delle  prerogative   regionali:   e
purtuttavia, sol che si ponga mente locale alla  circostanza  che  il
Giudice potrebbe sollevare la questione anche d'ufficio,  non  sembra
al Collegio che possa ravvisarsi una limitazione alla  legittimazione
del comune di Napoli a  sollevare  problematiche  di  rispetto  delle
competenze costituzionali spettanti alla Regione; il Collegio ritiene
che il secondo periodo del  capo  12  della  impugnata  sentenza  del
T.a.r. n. 1471 del 2016 esprima considerazioni in  via  di  principio
condivisibili avuto riguardo al concetto di legittimazione attiva che
e' condizione dell'«interesse» a proporre  il  ricorso  nel  processo
amministrativo, ma che non si  attagliano  alla  ipotesi  in  cui  il
soggetto impugnante  prospetti  una  questione  di  costituzionalita'
della  norma  di  legge  sottesa  al   provvedimento   amministrativo
impugnato. 
    11.1. Il Collegio provvedera' pertanto a scrutinare le  questioni
proposte sia con riferimento al parametro di cui all'art. 117,  comma
2, lettera m) e comma 3 della  Costituzione  che  con  riguardo  alla
asserita violazione dell'art. 118, commi 1  e  2  della  Costituzione
(sono  stati  parimenti  evocati  gli  articoli  114  e   120   della
Costituzione). 
    11.2. Il Collegio e' persuaso della  non  manifesta  infondatezza
del dubbio di costituzionalita'  prospettato,  con  riferimento  alla
circostanza che (commi 3, 9 e 13 dell'art.  33  del  decreto-legge  a
piu' riprese citato) l'approvazione del  programma  di  rigenerazione
urbana non e' presidiato dalla previsione della necessaria intesa tra
Stato  e  Regione  nonche'  da  un   piu'   adeguato   coinvolgimento
procedimentale del comune. 
    11.2.1. Invero secondo consolidata giurisprudenza costituzionale,
l'urbanistica e l'edilizia  devono  essere  ricondotte  alla  materia
«governo del territorio», di cui all'art. 117,  terzo  comma,  Cost.,
materia di legislazione concorrente in cui lo Stato ha il  potere  di
fissare i principi fondamentali, spettando alle Regioni il potere  di
emanare la normativa di dettaglio (da ultimo, Corte  cost.  ordinanza
n. 314 del 2012; sentenza n. 309 del 2011, vedi anche sentenze n. 362
e n. 303 del 2003). 
    Per altro verso, la Corte costituzionale  ha  chiarito  da  tempo
risalente che il rispetto delle autonomie comunali deve  armonizzarsi
con la verifica e la protezione di  concorrenti  interessi  generali,
collegati ad una valutazione piu' ampia delle  esigenze  diffuse  nel
territorio: cio' giustifica l'eventuale  emanazione  di  disposizioni
legislative (statali e regionali) che vengano ad incidere su funzioni
gia' assegnate agli enti locali (sent. n. 286/1997).  Dunque  non  e'
precluso alle leggi nazionali ovvero anche regionali di prevedere  la
limitazione  di  alcune  competenze  comunali  in  considerazione  di
«concorrenti interessi generali, collegati ad  una  valutazione  piu'
ampia delle esigenze diffuse nel territorio» (Corte cost. n. 378/2000
cit.). Le leggi regionali sono tenute cioe' a valutare  «la  maggiore
efficienza della gestione a  livello  sovracomunale  degli  interessi
coinvolti» (Corte cost. n. 286/1997).  E'  rimasto  inoltre  chiarito
(sent. n. 478/2002), in relazione ai poteri urbanistici  dei  Comuni,
come  la  legge  nazionale   e   regionale   possa   modificarne   le
caratteristiche o  l'estensione,  ovvero  subordinarli  a  preminenti
interessi pubblici, alla condizione di non annullarli  o  comprimerli
radicalmente, garantendo adeguate forme di partecipazione dei  Comuni
interessati ai procedimenti che ne condizionano l'autonomia  (fra  le
molte, v. le sentenze n.  378/2000,  n.  357/1998,  n.  286/1997,  n.
83/1997 e n. 61/1994). Assai rilevanti in proposito, sono  certamente
le pronunce in merito alle leggi regionali sul cd. «piano casa»  (fra
cui Corte cost.  n.  46/2014,  che  giudica  legittima  l'imposizione
regionale   di   limitazioni   alla   potesta'    ed    all'autonomia
pianificatoria comunale, ove  collegate  a  specifici  presupposti  e
circoscritte entro confini ben determinati). 
    La problematica, come e' agevole riscontrare,  ruota  intorno  ai
concetti  di  necessita'  ed  adeguatezza  (si   veda   anche   Corte
costituzionale, 24 luglio 2015, n. 189» Invero,  questa  Corte  -  ex
plurimis, sentenze n. 278 del 2010, n. 6 del 2004 e n. 303 del 2003 -
ha ritenuto -  fin  dalla  citata  sentenza  n.  303  del  2003  che,
nell'art. 118,  primo  comma,  Cost.,  vada  rinvenuto  un  peculiare
elemento di flessibilita', il quale nel  prevedere  che  le  funzioni
amministrative, generalmente attribuite  ai  Comuni,  possano  essere
allocate ad un livello di governo diverso per assicurarne l'esercizio
unitario, sulla base dei principi di sussidiarieta', differenziazione
ed adeguatezza - introduce un  meccanismo  dinamico  incidente  anche
sulla stessa distribuzione delle  competenze  legislative  -  diretto
appunto  a  superare  l'equazione  tra  titolarita'  delle   funzioni
legislative e titolarita' delle funzioni amministrative.»). 
    Ritiene il Collegio che, manifestamente, in via  teorica  possano
essere  rinvenuti  nella  fattispecie  in  esame  i  presupposti  per
l'accentramento statuale, e che sia vano in  proposito,  il  generico
richiamo del Comune ad una pregressa inerzia degli  Organi  centrali,
che, anche laddove dimostrato, non puo'  essere  considerato  fattore
legittimante il proseguire della inerzia medesima. 
    Senonche', tali presupposti non hanno trovato continuita'  -  nel
disegno  legislativo-attraverso  il  coinvolgimento  pieno  dell'Ente
regionale e la valorizzazione del  ruolo  del  comune  nell'esercizio
della funzione di governo del territorio. 
    11.2.2. Sara' consentito in  proposito  richiamare  uno  stralcio
della motivazione contenuta nella recente decisione  (accoglitiva  in
quel caso, e proprio con riferimento ad una disposizione - l'art. 29,
comma 1 - contenuta nel medesimo decreto-legge 12 settembre 2014,  n.
133 oggetto della  presente  disamina)  della  Corte  costituzionale,
dell'11 dicembre 2015, n. 261. 
    11.2.3. In detta occasione (il ricorso era stato proposto da  una
Regione) sembra significativo che  la  Corte  costituzionale  si  sia
cosi' espressa:  «L'intervento  normativo  in  questione  trova,  per
questo verso, la sua base  di  legittimazione  nel  meccanismo  ormai
comunemente designato come «chiamata in sussidiarieta'»: vale a  dire
nel principio - reiteratamente affermato da questa Corte -  in  forza
del  quale,  allorche'  sia  ravvisabile  un'esigenza  di   esercizio
unitario a livello statale di determinate funzioni amministrative, lo
Stato e' abilitato, oltre che ad  accentrare  siffatto  esercizio  ai
sensi dell'art. 118 Cost., anche a disciplinarlo per  legge,  e  cio'
anche quando quelle stesse funzioni siano riconducibili a materie  di
legislazione concorrente o residuale. In  tal  caso,  i  principi  di
sussidiarieta' e di adeguatezza,  in  forza  dei  quali  si  verifica
l'ascesa della funzione normativa, dal  livello  regionale  a  quello
statale, convivono con il normale riparto di competenze delineato dal
Titolo V della Costituzione e possono giustificarne  una  deroga  (ex
plurimis, sentenze n. 374 e n. 88 del 2007, n. 303 del 2003). 
    Sempre alla  stregua  della  costante  giurisprudenza  di  questa
Corte, tuttavia, affinche' detta deroga possa ritenersi legittima  e'
necessario - stante la rilevanza dei valori in gioco - per un  verso,
che la valutazione dell'interesse unitario sottostante all'assunzione
di funzioni regionali  da  parte  dello  Stato  sia  proporzionata  e
rispondente a ragionevolezza alla stregua di uno  scrutinio  stretto;
per altro verso, che siano previste adeguate forme di  coinvolgimento
delle Regioni interessate nello svolgimento delle  funzioni  allocate
in capo agli organi centrali, in  modo  da  contemperare  le  ragioni
dell'esercizio unitario  di  date  competenze  e  la  garanzia  delle
funzioni  costituzionalmente  attribuite  alle  Regioni  stesse   (ex
plurimis, sentenze n. 179 e n. 163 del 2012, n. 232 del  2011).  Piu'
in particolare, la legislazione statale di questo tipo «puo' aspirare
a superare il vaglio di legittimita' costituzionale solo in  presenza
di una disciplina che prefiguri un iter in  cui  assumano  il  dovuto
risalto le attivita' concertative  e  di  coordinamento  orizzontale,
ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al  principio
di lealta'» (- sentenze n. 278 del 2010, n. 383 del 2005,  n.  6  del
2004 e n. 303 del 2003. -». Ancora, la Corte  ha  precisato  che  «la
sussistenza di un'esigenza di esercizio unitario  della  funzione  di
pianificazione ora indicata, idonea a giustificare la sua  attrazione
a livello  statale,  non  e'  contestata  dalla  Regione  ricorrente.
Quest'ultima si duole, invece, specificamente del fatto che  non  sia
prevista alcuna forma di coinvolgimento delle Regioni nelle procedure
di adozione del piano: aspetto sul quale la norma  censurata  rimane,
in effetti, completamente silente». 
    11.2.2. Ora, se la sussidiarieta' «ascendente» e' ammissibile ove
proporzionata e rispondente a ragionevolezza e  se,  in  tale  ultimo
caso,  e'  legittima  laddove  «siano  previste  adeguate  forme   di
coinvolgimento delle Regioni interessate» e che esse vadano rinvenute
nella intesa, pare al Collegio  che  i  dubbi  sollevati  dal  Comune
abbiano fondamento, in quanto: 
        a) e' ben vero che sono condivisibili le  considerazioni  del
T.a.r. relative alla circostanza che la versione novellata  dell'art.
33 del piu' volte citato decreto-legge  ha  espunto  la  prescrizione
originaria del comma 12  («Il  soggetto  attuatore  costituisce  allo
scopo una societa' per  azioni,  il  cui  capitale  azionario  potra'
essere aperto ad altri soggetti che conferiranno  ulteriori  aree  ed
immobili limitrofi al comprensorio di Bagnoli-Coroglio meritevoli  di
salvaguardia   e   riqualificazione,   previa   autorizzazione    del
Commissario straordinario del Governo») che aveva suscitato (si  veda
il ricorso di primo grado del Comune appellante) in massimo grado  le
critiche della amministrazione comunale originaria ricorrente; 
        b) ed  e'  parimenti  vera  la  circostanza  la  prescrizione
normativa di cui all'art. 33 prevedeva, sin dal momento in cui  venne
convertita dall'art. 1, comma 1, della legge 11 novembre 2014, n. 164
al comma 13 il coinvolgimento della regione e del comune; 
        c) la stesura del  testo  della  citata  disposizione,  venne
successivamente modificata e l'art. 11, comma 16-quater, lettera  c),
del  decreto-legge  19  giugno   2015,   n.   78,   convertito,   con
modificazioni, dalla  legge  6  agosto  2015,  n.  125  potenzio'  il
coinvolgimento delle amministrazioni locali interpolando il comma  13
(«13. Al fine di definire gli indirizzi strategici per l'elaborazione
del programma di risanamento ambientale e  rigenerazione  urbana  del
comprensorio  Bagnoli-Coroglio,  assicurando  il  coinvolgimento  dei
soggetti  interessati,  nonche'  il   coordinamento   con   ulteriori
iniziative di valorizzazione del  predetto  comprensorio,  anche  con
riferimento alla sua dotazione infrastrutturale, e' istituita, presso
la Presidenza del Consiglio dei  ministri,  senza  nuovi  o  maggiori
oneri a carico della finanza pubblica, un'apposita cabina  di  regia,
presieduta dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio
dei  ministri  all'uopo   delegato   e   composta   dal   Commissario
straordinario, da un rappresentante per ciascuno dei Ministeri  dello
sviluppo economico, dell'ambiente e della tutela del territorio e del
mare  e  delle  infrastrutture  e  dei  trasporti,  nonche'   da   un
rappresentante, rispettivamente, della regione Campania e del  comune
di Napoli.  Alle  riunioni  della  cabina  di  regia  possono  essere
invitati a partecipare il Soggetto attuatore, nonche' altri organismi
pubblici  o  privati  operanti  nei  settori  connessi  al   predetto
programma. 13.2. Ai fini della puntuale definizione della proposta di
programma di risanamento ambientale e  di  rigenerazione  urbana,  il
soggetto attuatore, sulla base degli indirizzi di cui  al  comma  13,
acquisisce in fase consultiva le proposte del comune di  Napoli,  con
le modalita' e nei termini stabiliti dal  Commissario  straordinario.
Il soggetto attuatore esamina  le  proposte  del  comune  di  Napoli,
avendo prioritario riguardo alle finalita' del redigendo programma di
rigenerazione urbana e alla sua sostenibilita' economico-finanziaria.
Il comune di Napoli puo' chiedere, nell'ambito  della  conferenza  di
servizi di cui al comma  9,  la  rivalutazione  delle  sue  eventuali
proposte non accolte. In caso di mancato accordo si procede ai  sensi
del terzo periodo del comma 9»); 
        d) successivamente alle modifiche introdotte dal c.d. decreto
milleproproghe tale prescrizione e' rimasta immutata; 
        e) tuttavia, tale coinvolgimento e' limitato alla  previsione
della necessaria presenza del Comune e della Regione in conferenza di
servizi e, successivamente, nella c.d.«cabina di  regia»:  ma  da  un
lato non e' prevista l'intesa dello Stato con la Regione,  dall'altro
il  comune  e'  -  nei  fatti  -  parificato  agli  altri  enti   che
intervengono a vario titolo nel procedimento. 
    11.2.3. Ulteriori indicazioni  utili  che  militano  per  la  non
manifesta  infondatezza  della  questione  si  rinvengono  in   altre
pronunce della Corte costituzionale. 
    Esemplificativamente,  a  tale  proposito,  si  puo'  citare   la
decisione del 22 luglio 2011, n. 232 (che lo stesso comune appellante
richiama  nel   proprio   atto   di   appello)   laddove   e'   stato
significativamente affermato che «la Corte (ex plurimis, sentenze  n.
278 del 2010, n. 6 del 2004 e n. 303 del 2003) ha ritenuto (fin dalla
citata sentenza n. 303 del 2003) che,  nell'art.  118,  primo  comma,
Cost., vada rinvenuto un  peculiare  elemento  di  flessibilita',  il
quale - nel prevedere che le  funzioni  amministrative,  generalmente
attribuite ai Comuni,  possano  essere  allocate  ad  un  livello  di
governo diverso per assicurarne l'esercizio unitario, sulla base  dei
principi  di  sussidiarieta',  differenziazione  ed   adeguatezza   -
introduce  un  meccanismo  dinamico  (incidente  anche  sulla  stessa
distribuzione  delle  competenze  legislative)  diretto   appunto   a
superare l'equazione tra titolarita'  delle  funzioni  legislative  e
titolarita' delle  funzioni  amministrative.  La  Regione  ricorrente
(trascurando di dare rilievo alla compresenza, nella specie,  di  una
molteplicita' di materie che possono essere  incise  dalla  normativa
censurata, le quali ben possono ripartirsi diversamente lungo  l'asse
delle competenze normative di Stato e Regioni)  basa  invece  la  sua
censura sulla acritica e categorica affermazione, di ordine generale,
della insuperabilita' di tale rigida corrispondenza, che questa Corte
ha costantemente negato (fin dalla citata sentenza n. 303 del  2003),
ritenendo coerente con  la  matrice  teorica  e  con  il  significato
pratico della sussidiarieta' il fatto che essa agisca come  subsidium
quando un livello di governo sia inadeguato  alle  finalita'  che  si
intenda raggiungere»; e' ammissibile  che  lo  Stato  possa  allocare
funzioni amministrative nelle materie di cui ai commi terzo e  quarto
dell'art. 117 della Costituzione, avocandole a se stesso,  in  virtu'
dell'art. 118,  primo  comma,  Cost.  -  pur  solo  ove  ricorrano  i
presupposti dell'esercizio unitario  delle  funzioni  amministrative;
per costante affermazione di questa Corte -  poiche'  la  valutazione
della necessita' del conferimento di una funzione  amministrativa  ad
un livello territoriale superiore rispetto  a  quello  comunale  deve
essere effettuata dall'organo legislativo  corrispondente  almeno  al
livello territoriale interessato -,  in  relazione  al  principio  di
legalita' sostanziale (per tutte,  sentenza  n.  6  del  2004),  tale
scelta deve giustificarsi in  base  ai  principi  di  sussidiarieta',
differenziazione ed adeguatezza (ex  plurimis  sentenze  n.  278  del
2010, n. 76 del 2009, n. 165 e n. 88 del 2007, n. 214  del  2006,  n.
151 del 2005). E, dunque, proprio  in  ragione  della  rilevanza  dei
valori coinvolti, una deroga al riparto operato dall'art.  117  Cost.
puo'  essere  giustificata  solo  se  la  valutazione  dell'interesse
unitario sottostante all'assunzione di funzioni  regionali  da  parte
dello   Stato   sia   proporzionata,   non   risulti    affetta    da
irragionevolezza e sia oggetto di un accordo stipulato con la Regione
interessata.». 
    11.3. Il Collegio sottolinea quindi che: 
        a)  non  appare  manifestamente  infondato  il  sospetto   di
incostituzionalita' prospettato dal Comune, sol che si consideri  che
la piu' recente giurisprudenza costituzionale (Corte  costituzionale,
11 febbraio 2016, n. 21) evidenzia che nella ipotesi di intreccio  di
competenza legislativa statale esclusiva (in questo caso  in  materia
di ambiente) e competenza legislativa concorrente (in questo caso  in
materia di  governo  del  territorio)  si  impone  la  previsione  di
procedure  concertative  e  di  coordinamento  orizzontale,  e   tale
omissione  di  «alcuna  forma  di  coinvolgimento   delle   Regioni»,
violerebbe il principio di leale collaborazione; 
        b) nella sentenza suindicata si  afferma  altresi'  che  «una
tale collaborazione puo' dirsi adeguatamente attuata solo mediante la
previa acquisizione dell'intesa nella  Conferenza  permanente  per  i
rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento  e
Bolzano, da considerare luogo di espressione  e  insieme  di  sintesi
degli interessi regionali e statali coinvolti»  (sentt.  nn.  50  del
2005, 50, 168 del 2008, 237 del 2009, 334 del 2010, 80, 171 del 2012,
44 del 2014, 1 del 2016); 
        c) nel caso di specie si e' al cospetto di un  intreccio  tra
la materia ambientale - di competenza esclusiva dello Stato -  (e  si
rammenta che  la  Corte  costituzionale  ha  infatti  avuto  modo  di
precisare in passato che «... Come piu'  volte  precisato  da  questa
Corte, la gestione dei rifiuti  e'  ascrivibile  alla  materia  della
"tutela  dell'ambiente  e  dell'ecosistema"   riservata,   ai   sensi
dell'art. 117, secondo comma, lettera s),  Cost.,  alla  legislazione
esclusiva dello Stato - ex multis, sentenze n. 54 del 2012, n. 244  e
n. 33 del 2011, n. 331 e n. 278 del 2010, n. 61 e n. 10 del 2009. 
    In questo ambito, «non puo' riconoscersi una competenza regionale
in materia di tutela dell'ambiente»,  anche  se  le  Regioni  possono
stabilire  «per  il  raggiungimento  dei  fini  propri   delle   loro
competenze livelli di tutela piu' elevati», pur sempre  nel  rispetto
«della normativa statale di tutela dell'ambiente» -  sentenza  n.  61
del 2009 -. Al contempo, «i poteri regionali "non possono consentire,
sia pure in nome di una protezione piu' rigorosa della  salute  degli
abitanti della Regione medesima, interventi  preclusivi  suscettibili
[...]  di  pregiudicare,  insieme  ad  altri  interessi  di   rilievo
nazionale,  il  medesimo  interesse  della  salute   in   un   ambito
territoriale piu' ampio [...] - sentenza n. 54  del  2012  -  ..."  -
sentenza  2  dicembre  2013,  n.  285»)  e  quella  del  governo  del
territorio; 
        d) la disciplina «generale» contenuta nel citato art. 33  del
decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (si  veda  il  comma  2,  che
costituisce la norma-manifesto «garantendo comunque la partecipazione
degli enti territoriali interessati alle determinazioni in materia di
governo del  territorio,»  ed  il  comma  3  «le  aree  di  rilevante
interesse nazionale alle  quali  si  applicano  le  disposizioni  del
presente articolo sono individuate con  deliberazione  del  Consiglio
dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e  della  tutela
del territorio e del mare e del Ministro delle infrastrutture  e  dei
trasporti, sentita  la  Conferenza  Stato-Regioni.  Alla  seduta  del
Consiglio  dei  ministri  partecipano  i  Presidenti  delle   Regioni
interessate.» ed il comma 9 in punto di deliberazione  in  conferenza
di servizi  e  procedura  di  superamento  del  dissenso  rimessa  al
Consiglio dei ministri con la presenza del Presidente  della  Regione
interessata   ed   il   comma   13,   quanto   al   comprensorio   di
Bagnoli-Coroglio) non garantisce l'adeguato coinvolgimento  dell'Ente
regionale nei termini declinati  dalle  pronunce  del  Giudice  delle
leggi prima menzionate, che richiedono il raggiungimento della intesa
dovendo trovare applicazione  il  principio  generale,  costantemente
ribadito dalla giurisprudenza della Corte (da ultimo, sentenza  n.  1
del 2016), per cui, in ambiti caratterizzati  da  una  pluralita'  di
competenze, qualora non risulti possibile  comporre  il  concorso  di
competenze statali e regionali mediante un  criterio  di  prevalenza,
non e' costituzionalmente illegittimo  l'intervento  del  legislatore
statale,  «purche'  agisca  nel  rispetto  del  principio  di   leale
collaborazione che deve in ogni caso permeare di se' i  rapporti  tra
lo Stato e il sistema delle autonomie (ex plurimis,  sentenze  n.  44
del 2014, n. 237 del 2009, n. 168 e  n.  50  del  2008)  e  che  puo'
ritenersi congruamente attuato mediante  la  previsione  dell'intesa»
(sentenza n. 1 del 2016); 
        e) il principio suindicato  e'  stato  di  recente  ribadito,
infine, nella decisione della Corte Costituzionale, 25 novembre  2016
n. 251. 
    11.4.  Ritiene  in  conclusione   il   Collegio   che   non   sia
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 33 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133,  convertito
in legge 11 novembre 2014, n. 164 e successive modifiche in relazione
all'art. 117, comma 2,  lettera  m)  e  comma  3  della  Costituzione
nonche' in relazione all'art. 118 comma 1  della  costituzione  nella
parte in cui (commi 3, 9 10 e 13 del predetto art. 33) si prevede che
il programma di  rigenerazione  urbana  -  con  gli  effetti  che  ne
derivano in termini di governo del  territorio  -  sia  approvato  in
carenza  di  preventiva  intesa  con  la  regione  Campania  e  senza
specifica valorizzazione del  ruolo  del  comune.  12  Devono  adesso
essere chiarite le ragioni per le quali il Collegio ritiene rilevante
e non manifestamente  infondata  la  questione  della  compatibilita'
costituzionale del seguente inciso contenuto nel comma  12  dell'art.
33 del vigente testo dell'art. decreto-legge 12  settembre  2014,  n.
133, convertito in legge 11 novembre 2014, n. 164  «Tale  importo  e'
versato alla curatela fallimentare mediante strumenti finanziari,  di
durata non superiore a quindici anni decorrenti dalla data di entrata
in  vigore   della   presente   disposizione,   emessi   su   mercati
regolamentati dal soggetto attuatore, anche  al  fine  di  soddisfare
ulteriori fabbisogni  per  interventi  necessari  all'attuazione  del
programma di cui al comma 8. L'emissione degli  strumenti  finanziari
di cui  al  presente  comma  non  comporta  l'esclusione  dai  limiti
relativi al trattamento  economico  stabiliti  dall'art.  23-bis  del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni,
dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214» con riferimento ai parametri di
cui agli artt. 42  della  Costituzione,  117  della  Costituzione  in
relazione all'art.  6  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmata a Roma il  4
novembre 1950 ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955,
n. 848 ed art. 1 del protocollo addizionale alla Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,
firmato a Parigi il 20 marzo 1952 e 101 della Costituzione. 
    12.1. La curatela appellante  (ma  anche  il  comune  di  Napoli,
seppur in termini piu' sfumati e generici) ha fatto presente che tale
formulazione  della  norma  primaria  (anche  nell'ultima   versione,
modificata dal c.d. «decreto millepropreghe») non darebbe  «certezza»
del ristoro in quanto  lo  stesso  e'  destinato  ad  essere  erogato
mediante non meglio precisati «strumenti finanziari», per loro natura
aleatori,  e  cio'  inciderebbe  sull'indefettibile  requisito  della
«serieta' e certezza» dell'indennizzo (art. 42 della Costituzione). 
    12.2. Premette il Collegio che e' ben noto che  per  condivisa  e
costante giurisprudenza (tra le tante Corte conti reg., Sicilia  sez.
giurisd., 4 luglio 2005,  n.  149,  Cassazione  civile,  sez.  I,  28
novembre 2003, n. 18200, Consiglio di Stato, sez. V, 30 ottobre 1997,
n. 1207), sulla falsariga dei fondamentali insegnamenti  della  Corte
costituzionale,  si  e'  costantemente   affermato   che   fra   piu'
interpretazioni   possibili   delle   norme   giuridiche    positive,
l'interprete  deve  privilegiare  solo  quella  piu'  conforme   alla
Costituzione. 
    12.3. Il Collegio condivide tale insegnamento, che fa proprio, ed
e' questa la ragione per la quale non ha ritenuto - ex officio  -  di
sollevare la questione di legittimita' costituzionale  del  comma  12
del citato art. 33 in  riferimento  all'art.  24  della  Costituzione
nella parte in cui esso  prevede  che  «alla  procedura  fallimentare
della  societa'  Bagnoli  Futura  Spa  e'  riconosciuto  un   importo
corrispondente al valore di  mercato  delle  aree  e  degli  immobili
trasferiti,  rilevato  dall'Agenzia  del  demanio   alla   data   del
trasferimento della proprieta'». 
    12.3.1. Infatti, sebbene taluni incisi  contenuti  nelle  memorie
delle parti appellate (nell'affermare che nessuna parte puo'  dolersi
della circostanza che la determinazione del valore sia stata affidata
ad un Organo  della  cui  neutralita'  non  puo'  dubitarsi)  lascino
intendere che  detta  determinazione  dell'Agenzia  del  demanio  sia
definitiva e non sia  contestabile  (con  gli  strumenti  processuali
previsti dal decreto del Presidente  della  Repubblica  n.  327/2001,
art. 54) non e' questa ad avviso del Collegio la interpretazione  che
di detta porzione della norma puo' e deve essere data: il testo della
stessa  e'  compatibile   con   la   circostanza   che   avverso   la
determinazione dell'Agenzia del demanio siano esperibili gli ordinari
rimedi di opposizione alla stima, ed e'  questa  la  (unica)  lettura
«costituzionalmente compatibile» che  della  richiamata  disposizione
deve essere fornita, mentre  una  interpretazione  opposta,  volta  a
sostenere  che  la  detta  determinazione  sia   definitiva   e   non
contestabile giudizialmente integrerebbe un chiaro vulnus al  diritto
di difesa dei titolari delle aree espropriate (si evidenzia  peraltro
che la nota di Invitalia prot. 18357 del 3 novembre  2016  depositata
in atti dal Fallimento Bagnoli Futura preconizza proprio il possibile
esperimento dell'azione ex art. 54 del decreto del  Presidente  della
Repubblica n. 327/2001). 
    12.4. Con riguardo alla questione di legittimita'  costituzionale
incentrata  sulla  erogazione   dell'indennizzo   merce'   «strumenti
finanziari» invece, non v'e' - ad avviso del Collegio -  possibilita'
di   un'interpretazione   costituzionalmente    orientata,    essendo
qualsivoglia approccio esegetico  inibito  dal  carattere  perentorio
della norma, nonche'  dalla  mancanza  nell'ordinamento  di  norme  e
principi, la cui tenuta costituzionale si possa dire certa  al  punto
consentire di colmare le lacune o emendare  le  norme  con  l'ausilio
dell'analogia. 
    12.4.1. Invero  il  T.a.r,  allorche'  ha  disatteso  la  censura
fondata sulla indeterminatezza del concetto di «strumenti finanziari»
contenuto nella disposizione censurata e prima riportato  per  esteso
ha  cercato  di  fornire   una   interpretazione   costituzionalmente
compatibile di detto inciso, attribuendo agli «strumenti  finanziari»
ivi indicati un significato  coincidente  con  quello  di  «strumenti
obbligazionari». 
    12.4.2. Senonche' tale opzione ermeneutica prospettata dal T.a.r.
non appare appagante ed anzi sembra al Collegio non condivisibile. 
    12.4.3. Essa, a ben guardare, puo' trarre conforto unicamente  da
un dato di natura «logica»: la  iniziale  versione  della  richiamata
disposizione di  cui  all'art.  33  comma  12  del  decreto-legge  n.
133/2014 prevedeva che il  controvalore  delle  aree  potesse  essere
corrisposto «mediante azioni  o  altri  strumenti  finanziari»;  tale
dizione, rimasta immutata a seguito della conversione  in  legge  (ed
attualmente cristallizzata nell'impugnato decreto del Presidente  del
Consiglio dei ministri del  15  ottobre  2015)  e'  stata  modificata
dall'art. 11-bis, comma 3, lettera a), del decreto-legge 30  dicembre
2015, n. 210, convertito, con modificazioni, dalla legge 25  febbraio
2016, n. 21 ed e' stato espunto il riferimento alle «azioni». 
    12.4.4. Senonche', tale dato non e' decisivo, e non puo' condurre
all'affermazione secondo cui l'indennizzo sarebbe corrisposto  merce'
la corresponsione di obbligazioni. 
    12.4.5. In disparte la circostanza che la curatela evidenzia  che
anche lo strumento obbligazionario  in  se  considerato  e'  per  sua
stessa   natura   aleatorio   (affermazione   questa,   difficilmente
contestabile e che possiede in verita', portata dirimente) la nozione
di strumento finanziario  si  ricava  testualmente  dall'art.  1  del
decreto legislativo 24 febbraio 1998, n.58 (recante testo unico delle
disposizioni in materia  di  intermediazione  finanziaria,  ai  sensi
degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52)  che  cosi'
testualmente  stabilisce  (nella  parte  di   interesse):   «2.   Per
"strumenti finanziari" si intendono: 
        a) valori mobiliari; 
        b) strumenti del mercato monetario; 
        c) quote di  un  organismo  di  investimento  collettivo  del
risparmio; 
        d) contratti  di  opzione,  contratti  finanziari  a  termine
standardizzati ("future"), "swap", accordi per scambi futuri di tassi
di interesse e altri contratti derivati connessi a valori  mobiliari,
valute, tassi  di  interesse  o  rendimenti,  o  ad  altri  strumenti
derivati, indici finanziari o misure finanziarie che  possono  essere
regolati  con  consegna  fisica  del  sottostante  o  attraverso   il
pagamento di differenziali in contanti; 
        e) contratti  di  opzione,  contratti  finanziari  a  termine
standardizzati ("future"), "swap", accordi per scambi futuri di tassi
di interesse e altri contratti  derivati  connessi  a  merci  il  cui
regolamento avviene  attraverso  il  pagamento  di  differenziali  in
contanti o puo' avvenire in tal  modo  a  discrezione  di  una  delle
parti, con esclusione dei  casi  in  cui  tale  facolta'  consegue  a
inadempimento o ad altro evento  che  determina  la  risoluzione  del
contratto; 
        f) contratti  di  opzione,  contratti  finanziari  a  termine
standardizzati ("future"), "swap" e altri contratti derivati connessi
a merci il cui regolamento puo' avvenire attraverso la  consegna  del
sottostante e che sono negoziati su un mercato regolamentato  e/o  in
un sistema multilaterale di negoziazione; 
        g) contratti  di  opzione,  contratti  finanziari  a  termine
standardizzati ("future"), "swap", contratti a termine ("forward")  e
altri contratti derivati connessi a merci  il  cui  regolamento  puo'
avvenire attraverso la consegna fisica del  sottostante,  diversi  da
quelli indicati alla lettera f) che non hanno  scopi  commerciali,  e
aventi le caratteristiche di  altri  strumenti  finanziari  derivati,
considerando, tra l'altro, se sono compensati ed eseguiti  attraverso
stanze di compensazione riconosciute o se sono  soggetti  a  regolari
richiami di margini; 
        h) strumenti derivati per il  trasferimento  del  rischio  di
credito; 
        i) contratti finanziari differenziali; 
        j) contratti  di  opzione,  contratti  finanziari  a  termine
standardizzati ("future"), "swap",  contratti  a  termine  sui  tassi
d'interesse  e  altri  contratti  derivati   connessi   a   variabili
climatiche, tariffe  di  trasporto,  quote  di  emissione,  tassi  di
inflazione  o  altre  statistiche  economiche   ufficiali,   il   cui
regolamento avviene  attraverso  il  pagamento  di  differenziali  in
contanti o puo' avvenire in tal  modo  a  discrezione  di  una  delle
parti, con esclusione dei  casi  in  cui  tale  facolta'  consegue  a
inadempimento o ad altro evento  che  determina  la  risoluzione  del
contratto, nonche' altri contratti derivati connessi a beni, diritti,
obblighi, indici e misure, diversi da quelli  indicati  alle  lettere
precedenti, aventi le caratteristiche di altri  strumenti  finanziari
derivati, considerando, tra l'altro, se sono negoziati su un  mercato
regolamentato o in un sistema multilaterale di negoziazione, se  sono
compensati   ed   eseguiti   attraverso   stanze   di   compensazione
riconosciute o se sono soggetti a regolari richiami di margini (60). 
    2-bis.  Il  Ministro  dell'economia  e  delle  finanze,  con   il
regolamento di cui all'art. 18, comma 5, individua: 
        a) gli altri contratti derivati di cui al  comma  2,  lettera
g), aventi le caratteristiche di altri strumenti finanziari derivati,
compensati   ed   eseguiti   attraverso   stanze   di   compensazione
riconosciute o soggetti a regolari richiami di margine; 
        b) gli altri contratti derivati di cui al  comma  2,  lettera
j), aventi le caratteristiche di altri strumenti finanziari derivati,
negoziati su un mercato regolamentato o in un  sistema  multilaterale
di  negoziazione,  compensati  ed  eseguiti  attraverso   stanze   di
compensazione riconosciute o soggetti a regolari richiami di  margine
(61). 
    3. Per "strumenti finanziari derivati" si intendono gli strumenti
finanziari previsti dal comma 2, lettere d), e), f), g), h), i) e j),
nonche' gli strumenti finanziari previsti dal  comma  1-bis,  lettera
d)». 
    A  fronte  di  tale  estesa  indicazione  non  sembra   possibile
ricondurre tale  concetto  alla  piu'  limitata  nozione  di  diritto
obbligazionario, nei termini resi dal T.a.r.: il dato legislativo  di
riferimento appare infatti preclusivo di qualsiasi lettura  riduttiva
e perimetrativa. 
    12.4.6. Muovendo da tale punto di partenza,  appare  al  Collegio
che entrambi i versanti di critica prospettati  da  parte  appellante
non siano manifestamente infondati in quanto: 
        a) il concetto  di  indefettibilita'  dell'indennizzo,  e  di
serieta' e certezza dello stesso riguarda  non  soltanto  la  formale
previsione legislativa ed il parametro di quantificazione (che  sotto
tale profilo, come si e' gia' chiarito nella sentenza  non definitiva
prima menzionata appare immune  da  mende,  ed  anzi,  prevedendo  un
indennizzo corrispondente al valore  di  mercato  appare  addirittura
piu' favorevole, per la curatela proprietaria  delle  aree,  rispetto
alle indicazioni fornite dalla giurisprudenza costituzionale  secondo
cui il valore di mercato e' un dato  «tendenziale»  -  tra  le  tante
Corte costituzionale, 10 giugno 2011, n. 181 -) ma la effettivita' di
quest'ultima; 
        b) non sembra assicurare  tali  requisiti  la  previsione  in
parola,  in  quanto  pone  il  soggetto  espropriato  nella  delicata
condizione  di   potere   ricevere   quale   controvalore   dell'area
sottrattagli  strumenti  finanziari  di  natura  aleatoria,  che   se
cartolarmente possono corrispondere al valore  stimato  rischiano  di
subire - sin dal momento della  erogazione  -  oscillazioni  tali  da
ridurne il valore reale; 
        c) simili strumenti finanziari non possono essere  utilizzati
- almeno senza il consenso del  destinatario  -  quale  strumento  di
pagamento: e cio' si ricava dal diritto dei  contratti,  ma  anche  e
soprattutto dal comma 4 del medesimo art. 1 del  decreto  legislativo
24 febbraio 1998, n. 58 «I mezzi  di  pagamento  non  sono  strumenti
finanziari. Sono strumenti finanziari ed, in  particolare,  contratti
finanziari differenziali,  i  contratti  di  acquisto  e  vendita  di
valuta, estranei a transazioni commerciali e regolati per differenza,
anche mediante operazioni di rinnovo automatico  (c.d.  "roll-over").
Sono altresi' strumenti finanziari le ulteriori operazioni su  valute
individuate ai sensi dell'art. 18, comma 5»  e  dalla  giurisprudenza
civile (Cassazione civile, sez. II, 2 dicembre 2011, n. 25837 secondo
cui puo' essere qualificata «moneta» soltanto il mezzo di  pagamento,
universalmente  accettato,  che   e'   espressione   delle   potesta'
pubblicistiche di emissione e di gestione del  valore  economico,  in
conformita' degli obiettivi stabiliti  dall'ordinamento  nazionale  e
sovranazionale, con la conseguenza che la  «moneta  della  Repubblica
della Terra» - denominata «dhana» - non costituisce uno strumento  di
pagamento ex art. 1, comma 4, decreto legislativo 24 febbraio 1998 n.
58, ma si atteggia a prodotto finanziario ovvero  ad  investimento  a
titolo oneroso, riguardante l'offerta al pubblico di azioni  o  quote
di partecipazione, rappresentative di un  valore  economico garantito
da capitali di imprese.) 
    12.5. Se l'indennizzo e' finalizzato a  ristorare  la  parte  che
subisce la espropriazione del pregiudizio subito, e se lo stesso deve
essere (tra gli altri requisiti) «certo», non puo' essere considerato
tale quello che si risolve  nella  corresponsione  di  uno  strumento
aleatorio: ed infatti, non si e' dubitato sinora, ne' in dottrina ne'
in giurisprudenza in ordine alla circostanza che  l'indennizzo  debba
essere erogato in denaro, o comunque con altro mezzo di pagamento. 
    In ipotesi di cessione negoziale  non  potrebbe  dubitarsi  della
libera derogabilita' a tale principio,  rimessa  alla  determinazione
dei paciscenti. 
    Una disposizione imperativa di legge che  cio'  disponga  in  via
autoritativa  pare  collidere  con  il   principio   della   certezza
dell'indennizzo (si veda: Cassazione civile,  sez.  III,  12  gennaio
2012, n. 312, Cass., SS.UU. 18 dicembre 2007 n. 26617) 
    12.6. Per completezza si osserva che  neppure  -  ad  avviso  del
Collegio - potrebbe  utilizzarsi  in  chiave  di  declaratoria  della
manifesta infondatezza della questione sollevata la  circostanza  che
la  giurisprudenza  amministrativa  ha  in  passato  riconosciuto  la
praticabilita'  nel  sistema  di  prescrizioni  di   legge   generale
(regionale, nel caso di specie) che prevedano forme  di  acquisizione
di aree alternative alla espropriazione (c.d. «cessione  perequativa»
e  c.d.  «cessione  compensativa»)  con  la  corresponsione   di   un
corrispettivo (per la cessione) in volumetria (diritto  edificatorio)
o in aree in permuta (anziche' in denaro, come avverrebbe  tanto  nel
caso in cui l'area fosse acquisita bonariamente quanto  nel  caso  in
cui venisse espropriata) : cio' in quanto  e'  evidente  -  e  si  e'
chiarito a piu' riprese nella sentenza non definitiva prima citata  -
che la prescrizione normativa suindicata si pone al di fuori di detto
schema  in  quanto  inserita  in  un  vero  e  proprio   procedimento
espropriativo, seppure «speciale» e semplificato. 
    13. Alla  stregua  delle  superiori  argomentazioni,  si  ritiene
altresi' rilevante e non manifestamente infondata la questione  della
compatibilita' costituzionale del seguente inciso contenuto nel comma
12  dell'art.  33  del  vigente  testo  dell'art.  decreto-legge   12
settembre 2014, n. 133, convertito in legge 11 novembre 2014, n. 164:
«Tale  importo  e'  versato  alla  curatela   fallimentare   mediante
strumenti  finanziari,  di  durata  non  superiore  a  quindici  anni
decorrenti  dalla  data  di  entrata   in   vigore   della   presente
disposizione, emessi su mercati regolamentati dal soggetto attuatore,
anche al fine  di  soddisfare  ulteriori  fabbisogni  per  interventi
necessari all'attuazione del programma di cui al comma 8. L'emissione
degli strumenti finanziari di cui  al  presente  comma  non  comporta
l'esclusione dai limiti relativi al trattamento  economico  stabiliti
dall'art.  23-bis  del  decreto-legge  6  dicembre  2011,   n.   201,
convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214»
con riferimento ai parametri di cui agli artt. 42 della Costituzione,
117 della Costituzione in relazione all'art. 6 della Convenzione  per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali,
firmata a Roma il 4 novembre 1950 ratificata e resa esecutiva con  la
legge 4 agosto 1955, n. 848 ed art 1 del protocollo addizionale  alla
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo 1952 e 101  della
Costituzione. 
    14. Conclusivamente, il  Collegio,  definitivamente  pronunciando
sui riuniti appelli: 
        a) respinge le  eccezioni  di  inammissibilita'  dei  riuniti
appelli per la  asserita  genericita'  delle  censure  ivi  contenute
prospettata dalla difesa erariale della Presidenza del Consiglio  dei
ministri; 
        b) respinge la eccezione di nullita' della sentenza  n.  1471
del 22 marzo 2016 proposta dal comune di Napoli; 
        c) respinge nei sensi di  cui  alla  motivazione  le  censure
incentrate sulla asserita illegittimita' sopravvenuta dei decreti del
Presidente del Consiglio dei ministri del 3 settembre 2015 e  del  15
ottobre 2015, rispettivamente di nomina del Commissario straordinario
di governo per la  bonifica  ambientale  e  la  rigenerazione  urbana
dell'area di Bagnoli-Coroglio e di  adozione  di  interventi  per  la
bonifica  ambientale  e  la   rigenerazione   urbana   dell'area   di
Bagnoli-Coroglio; 
        d)  respinge  la  domanda  cautelare  di  sospensione   della
provvisoria esecutivita' della impugnata decisione  n.  3754  del  20
luglio 2016 avanzata dalla curatela fallimentare  sotto  l'assorbente
profilo della assoluta  carenza  di  periculum  in  mora,  in  quanto
l'unico profilo di sospettata illegittimita' costituzionale da questa
sollevato e rimesso alla Corte costituzionale relativo all'  art.  33
comma 12 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133,  convertito  in
legge 11 novembre 2014, n. 164 concerne una porzione del decreto  del
Presidente del Consiglio dei ministri del  15  ottobre  2015  di  non
immediata  applicazione  e  la  provvisoria  esecutivita'  del  detto
decreto non e' quindi  idonea  ad  arrecare  alcun  pregiudizio  alla
curatela appellante. 
    14.1. Non definitivamente pronunciando sui riuniti appelli: 
        I) respinge, allo stato, per difetto di attuale rilevanza  la
questione  di   costituzionalita'   dell'art.   33   comma   12   del
decreto-legge 12 settembre 2014,  n.  133,  convertito  in  legge  11
novembre 2014, n. 164, in relazione all'art. 111  della  Costituzione
ed all'art. 117 della Costituzione in relazione  all'art.  6  par.  I
della  Convenzione  europea  dei  diritti  dell'uomo   in   tema   di
ragionevole durata del processo; 
        II) dichiara manifestamente infondate tutte le  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 33 comma 12  del  decreto-legge
12 settembre 2014, n. 133, convertito in legge 11 novembre  2014,  n.
164 prospettate nei riuniti appelli, ad eccezione: 
          a) di quella concernente i commi 3, 9 10 e 13  del  vigente
testo dell'art. 33 del  decreto-legge  12  settembre  2014,  n.  133,
convertito in legge 11 novembre 2014, n. 164 nella parte in  cui  non
prevedono che l'approvazione del programma  di  rigenerazione  urbana
quanto al comprensorio Bagnoli-Coroglio sia preceduto (riguardando il
governo del  territorio)  dall'intesa  tra  lo  Stato  e  la  regione
Campania con riferimento ai parametri di cui agli artt. 117, comma 2,
lettera m) e comma 3 della  Costituzione  nonche'  da  una  specifica
valorizzazione del ruolo del  comune  con  riferimento  all'art.  118
comma 1 della Costituzione; 
          b)  di  quella  concernente  l'erogazione   dell'indennizzo
mediante il versamento di «strumenti finanziari» con  riferimento  ai
parametri  di  cui  agli  artt.  42  della  Costituzione,  117  della
Costituzione  in  relazione  all'art.  6  della  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,
firmata a Roma il 4 novembre 1950 ratificata e resa esecutiva con  la
legge 4 agosto 1955, n. 848 ed art 1 del protocollo addizionale  alla
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo 1952 e 101  della
Costituzione. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale  (Sezione  Quarta),
definitivamente  pronunciando  sui  riuniti  ricorsi  in  appello  li
respinge in parte, nei sensi di cui alla motivazione che precede; 
    non definitivamente pronunciando sui riunti ricorsi  in  appello,
come in epigrafe proposti, visti gli artt. 134 Cost.,  art.  1  della
legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, art. 23 della  legge  111
marzo 1953 n. 87: 
        a) dichiara  rilevante  e  non  manifestamente  infondata  la
questione di costituzionalita' dei commi 3, 9 10  e  13  del  vigente
testo dell'art. 33 del decreto-legge 12 settembre 2014,  numero  133,
convertito in legge 11 novembre 2014, numero 164 nella parte  in  cui
non prevedono  che  l'approvazione  del  programma  di  rigenerazione
urbana  quanto  al  comprensorio   Bagnoli-Coroglio   sia   preceduto
dall'intesa tra lo Stato e la regione  Campania  con  riferimento  ai
parametri di cui agli artt. 117, comma 2, lettera m) e comma 3  della
Costituzione e da una specifica valorizzazione del ruolo  del  comune
con riferimento all'art. 118 comma 1 della Costituzione; 
        b) dichiara  rilevante  e  non  manifestamente  infondata  la
questione di costituzionalita'  del  seguente  inciso  contenuto  nel
comma 12 dell'art. 33 del vigente testo  dell'art.  decreto-legge  12
settembre 2014, n. 133, convertito in legge 11 novembre 2014,  numero
164 «tale importo e'  versato  alla  curatela  fallimentare  mediante
strumenti  finanziari,  di  durata  non  superiore  a  quindici  anni
decorrenti  dalla  data  di  entrata   in   vigore   della   presente
disposizione, emessi su mercati regolamentati dal soggetto attuatore,
anche al fine  di  soddisfare  ulteriori  fabbisogni  per  interventi
necessari all'attuazione del programma di cui al comma 8. L'emissione
degli strumenti finanziari di cui  al  presente  comma  non  comporta
l'esclusione dai limiti relativi al trattamento  economico  stabiliti
dall' articolo 23-bis del decreto-legge  6  dicembre  2011,  n.  201,
convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214»
con riferimento ai parametri di cui agli artt. 42 della Costituzione,
117 della Costituzione in relazione all'art. 6 della Convenzione  per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali,
firmata a Roma il 4 novembre 1950 ratificata e resa esecutiva con  la
legge 4 agosto 1955, n. 848 ed art 1 del protocollo addizionale  alla
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo 1952 e 101  della
Costituzione. 
    Dispone  la  sospensione  del  presente  giudizio  e  ordina   la
immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. 
    Ordina che a cura della Segreteria della Quarta Sezione di questo
Consiglio di Stato la presente sentenza non definitiva sia notificata
alle parti in causa ed al  presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
nonche' comunicata ai Presidenti della  Camera  dei  deputati  e  del
Senato della Repubblica. 
    Riserva alla decisione definitiva ogni ulteriore  statuizione  in
rito, nel merito ed in ordine alle spese. 
    Ordina che  la  presente  sentenza  sia  eseguita  dall'autorita'
amministrativa. 
    Cosi' deciso in Roma nella  camera  di  consiglio  del  giorno  6
aprile 2017 con l'intervento dei magistrati: 
     Antonino  Anastasi,  Presidente;  Fabio  Taormina,  consigliere,
estensore;  Luigi  Massimiliano   Tarantino   consigliere;   Giuseppe
Castiglia, consigliere; Luca Lamberti, consigliere. 
 
                       Il Presidente: Anastasi 
 
 
                                                L'estensore: Taormina