N. 232 SENTENZA 26 settembre - 8 novembre 2017

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Disposizioni di recepimento del Testo Unico sull'edilizia (estensione
  del regime di edilizia libera ad interventi su impianti  alimentati
  da fonti di energia rinnovabili; avvio di interventi  in  parchi  e
  aree protette decorsi trenta giorni dalla presentazione della SCIA;
  permesso in  sanatoria  per  interventi  conformi  alla  disciplina
  urbanistica ed edilizia vigente al solo momento della presentazione
  della domanda e introduzione del silenzio-assenso per  decorso  del
  termine di novanta giorni dalla richiesta;  interventi  edilizi  in
  localita'  sismiche  in  assenza   di   preventiva   autorizzazione
  dell'ufficio del Genio civile;  individuazione  di  "opere  minori"
  sottratte all'autorizzazione scritta preventiva). 
- Legge della Regione siciliana 10 agosto 2016,  n.  16  (Recepimento
  del Testo Unico delle disposizioni legislative e  regolamentari  in
  materia  edilizia  approvato  con  decreto  del  Presidente   della
  Repubblica 6 giugno 2001, n. 380), artt. 3, comma  2,  lettera  f);
  11, comma 4; 14, commi 1 e 3, e 16, commi 1 e 3. 
(GU n.46 del 15-11-2017 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Paolo GROSSI; 
Giudici :Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario
  MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria
  de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Augusto   Antonio   BARBERA,   Giulio
  PROSPERETTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 3,  comma
2, lettera f); 11, comma 4;  14  e  16,  della  legge  della  Regione
siciliana 10 agosto 2016, n. 16 (Recepimento del  Testo  Unico  delle
disposizioni  legislative  e  regolamentari   in   materia   edilizia
approvato con decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno  2001,
n. 380), promosso dal Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  con
ricorso notificato il 18-20 ottobre 2016, depositato  in  cancelleria
il 25 ottobre 2016 e iscritto al n. 66 del registro ricorsi 2016. 
    Udito nella udienza pubblica del 26  settembre  2017  il  Giudice
relatore Silvana Sciarra; 
    udito  l'avvocato  dello  Stato  Gianfranco  Pignatone   per   il
Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 18-20 ottobre 2016 e depositato  il
successivo 25 ottobre, il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha
promosso questione di legittimita' costituzionale, in via principale,
degli artt. 3, comma 2, lettera f); 11, comma 4; 14 e 16 della  legge
della Regione siciliana 10 agosto 2016, n. 16 (Recepimento del  Testo
Unico delle  disposizioni  legislative  e  regolamentari  in  materia
edilizia approvato con decreto  del  Presidente  della  Repubblica  6
giugno 2001, n. 380), in riferimento all'art. 14  del  Regio  decreto
legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto  della
Regione siciliana), convertito in legge  costituzionale  26  febbraio
1948, n. 2, e agli artt. 3, 117, primo comma, secondo comma,  lettere
a), l) e s), e terzo comma, della Costituzione. 
    2.- Il ricorrente premette che lo statuto della Regione siciliana
attribuisce alla medesima Regione,  all'art.  14,  primo  comma,  una
competenza legislativa esclusiva  in  materia  di  «urbanistica»,  da
esercitarsi «nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato» e nel
rispetto delle «c.d. norme di grande riforma economico-sociale». 
    Inoltre,  viene  ricordato   che,   secondo   la   giurisprudenza
costituzionale in materia di «tutela  dell'ambiente»,  la  disciplina
unitaria e complessiva del bene  ambiente,  dettata  dal  legislatore
statale, in quanto volta a garantire tutela a un  interesse  pubblico
di valore costituzionale primario, deve prevalere rispetto  a  quella
posta dalle Regioni e Province autonome, salvo che queste ultime  non
intervengano in modo piu' rigoroso. 
    Quanto, poi, alla  materia  «protezione  civile»,  il  ricorrente
osserva che la relativa  disciplina  spetta  alla  Regione  siciliana
nell'esercizio della competenza legislativa  concorrente  di  cui  al
terzo comma dell'art. 117 Cost., in virtu' della cosiddetta  clausola
di maggior favore di cui all'art. 10 della  legge  costituzionale  18
ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte  seconda  della
Costituzione), dal  momento  che  lo  statuto  non  la  annovera  ne'
all'art. 14, fra  le  materie  di  competenza  legislativa  regionale
esclusiva, ne' all'art. 17, fra quelle  per  le  quali  alla  Regione
spetta adottare  leggi  entro  i  limiti  dei  principi  e  interessi
generali cui si informa la legislazione dello Stato. 
    3.- Tanto premesso, la difesa statale impugna, anzitutto,  l'art.
3, comma 2, lettera f), della legge regionale n. 16 del  2016,  nella
parte in cui consente di realizzare, senza alcun titolo  abilitativo,
tutti gli impianti ad energia rinnovabile di cui agli artt. 5 e 6 del
d.lgs. 3 marzo 2011, n. 28  (Attuazione  della  direttiva  2009/28/CE
sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili,  recante
modifica  e  successiva  abrogazione  delle  direttive  2001/77/CE  e
2003/30/CE.), fatte salve le prescrizioni indicate nel comma  1  -  e
cioe'  quelle  relative  alle  «norme  antisismiche,  di   sicurezza,
antincendio, igienico-sanitarie, di  quelle  relative  all'efficienza
energetica,  di  tutela  dal  rischio  idrogeologico  nonche'   delle
disposizioni contenute nel decreto legislativo 22  gennaio  2004,  n.
42, della vigente normativa regionale  sui  parchi  e  sulle  riserve
naturali e della normativa relativa alle zone pSIC, SIC,  ZSC  e  ZPS
[...]» - fra le quali non vi e'  alcun  riferimento  alla  disciplina
prevista dal decreto legislativo 3 aprile  2006,  n.  152  (Norme  in
materia ambientale), concernente la Valutazione di Impatto Ambientale
(VIA). 
    La  disposizione   impugnata,   nel   prevedere,   genericamente,
l'assoggettamento ad attivita' edilizia libera di tutti gli  impianti
da   fonti   rinnovabili,   li   sottrarrebbe   alla   verifica    di
assoggettabilita' a VIA. stabilita dalla normativa statale in materia
di tutela  dell'ambiente  e,  quindi,  eccederebbe  dalle  competenze
legislative esclusive riconosciute alla Regione  siciliana  dall'art.
14, secondo comma, dello statuto in materia di urbanistica. 
    Il ricorrente segnala che, infatti, l'art. 5 del d.lgs. n. 28 del
2011 assoggetta  la  costruzione  e  l'esercizio  degli  impianti  di
produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili  alla
procedura per il rilascio dell'autorizzazione unica di  cui  all'art.
12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della
direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia  elettrica
prodotta dalle fonti  energetiche  rinnovabili  nel  mercato  interno
dell'elettricita') che fa  salvo,  qualora  previsto,  l'espletamento
della verifica di assoggettabilita' a VIA, disciplinato dall'art.  20
del d.lgs. n. 152 del 2006. 
    4.- E' inoltre impugnato l'art. 11, comma 4, della medesima legge
regionale n. 16 del 2016, nella parte  in  cui  consente  di  avviare
alcuni interventi edilizi, ricadenti nei siti di «Natura 2000» e  nei
parchi, decorsi semplicemente trenta giorni dalla presentazione della
segnalazione certificata di inizio di  attivita'  (SCIA),  senza  una
preventiva valutazione delle  possibili  incidenze  significative  di
detti interventi sul sito stesso. 
    Piu' precisamente tale norma, secondo la difesa statale, la' dove
consente l'avvio dei lavori in assenza della comunicazione  da  parte
dello  sportello  unico  dell'avvenuta  acquisizione  degli  atti  di
assenso, necessari per l'intervento edilizio anche nei  casi  in  cui
sia necessario acquisire preventivamente la Valutazione di Incidenza,
configurerebbe una  modalita'  di  superamento  dei  pareri  mediante
silenzio-assenso, in  contrasto  sia  con  gli  obblighi  di  origine
comunitaria di cui alla direttiva 92/43/CEE (Direttiva 92/43/CEE  del
Consiglio, del 21 maggio  1992,  relativa  alla  conservazione  degli
habitat  naturali  e  seminaturali  e  della  flora  e  della   fauna
selvatiche), sia con  la  normativa  statale  in  materia  di  tutela
dell'ambiente di cui all'art. 5, comma  6,  del  d.P.R.  8  settembre
1997,  n.  357  (Regolamento  recante  attuazione   della   direttiva
92/43/CEE  relativa  alla  conservazione  degli  habitat  naturali  e
seminaturali, nonche' della flora e della fauna selvatiche), e quindi
al di la' delle  competenze  legislative  riconosciute  alla  Regione
siciliana dall'art. 14 dello statuto. 
    5.-  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha   promosso
questione di  legittimita'  costituzionale  anche  dell'art.  14  (in
specie dei commi 1 e 3) della medesima  legge  regionale  n.  16  del
2016, nella parte in cui, in tema di "accertamento  di  conformita'",
stabilisce, al comma 1, che  «[...]  il  responsabile  dell'abuso,  o
l'attuale proprietario dell'immobile, possono ottenere il permesso in
sanatoria  se   l'intervento   risulti   conforme   alla   disciplina
urbanistica ed edilizia vigente al momento della presentazione  della
domanda» e, al comma 3, che «[i]n presenza della documentazione e dei
pareri  previsti,  sulla  richiesta  di  permesso  in  sanatoria   il
dirigente o  il  responsabile  del  competente  ufficio  comunale  si
pronuncia con adeguata motivazione, entro novanta  giorni  decorsi  i
quali la richiesta si intende assentita». 
    Tali disposizioni, inserite nell'art. 14, volto a recepire l'art.
36 del testo unico dell'edilizia (da ora in poi t.u. edilizia) di cui
al d.P.R. 6 giugno 2001,  n.  380  (Testo  unico  delle  disposizioni
legislative  e  regolamentari  in  materia  edilizia   -   Testo   A)
nell'ordinamento regionale, si porrebbero, infatti, in contrasto  con
quest'ultimo, che invece richiede, ai fini del  rilascio  del  titolo
abilitativo in sanatoria, la  conformita'  dell'intervento  sia  alla
disciplina  urbanistica  ed  edilizia  vigente   al   momento   della
realizzazione dello stesso, sia a quella  vigente  al  momento  della
presentazione della  domanda  del  titolo  in  sanatoria  (cosiddetta
doppia conformita') e dispone, altresi', che, in caso di richiesta di
permesso in sanatoria,  ove  non  intervenga  provvedimento  motivato
entro sessanta giorni, la richiesta si intende rifiutata. 
    Secondo  il  ricorrente,  la  norma  regionale   impugnata,   con
particolare riguardo a quanto disposto al comma 1, introdurrebbe  una
surrettizia forma di condono edilizio, sia in relazione a  interventi
abusivi realizzati prima dell'entrata in vigore della legge regionale
n. 16 del 2016, sia,  a  regime,  con  riferimento  a  interventi  in
ipotesi abusivi, effettuati dopo l'entrata in  vigore  della  stessa,
sanabili a seguito di ulteriori modifiche alla disciplina urbanistica
e  edilizia.  In  tal  modo,  essa  travalicherebbe   la   competenza
legislativa  esclusiva  attribuita  alla  Regione   in   materia   di
urbanistica dall'art. 14,  primo  comma  lettera  f),  dello  statuto
speciale e invaderebbe la competenza esclusiva statale in materia  di
«ordinamento penale», di cui all'art. 117, secondo comma, lettera l),
Cost. 
    La medesima norma, nella parte in cui, al comma 3,  introduce  un
meccanismo di silenzio-assenso che  discende  dal  mero  decorso  del
termine di novanta giorni, in contrasto  con  la  normativa  statale,
determinerebbe un effetto estintivo delle contravvenzioni contemplate
dall'art. 44  del  t.u.  dell'edilizia,  incidendo  sulla  competenza
esclusiva del legislatore statale di cui all'art. 117, secondo comma,
lettera l), Cost. 
    Il ricorrente ravvisa, inoltre, il contrasto  del  medesimo  art.
14, commi 1 e 3, della citata legge regionale n.  16  del  2016,  con
l'art.  3  Cost.,   in   quanto   detta   norma   introdurrebbe   una
discriminazione ingiustificata, a parita'  di  comportamento  tenuto,
fra soggetti operanti in diverse Regioni, in una materia  soggetta  a
misure sanzionatorie previste da leggi dello Stato. 
    6.- E', infine, impugnato l'art. 16 della citata legge  regionale
n. 16 del 2016, nella parte in cui, al comma 1, consente l'inizio dei
lavori edilizi nelle localita' sismiche  senza  la  necessita'  della
previa autorizzazione scritta, prescritta  dall'art.  94  del  citato
t.u. edilizia. Il ricorrente ricorda che il  principio  della  previa
autorizzazione scritta all'inizio dei lavori edilizi nelle  localita'
sismiche, con eccezione di quelle a  bassa  sismicita',  costituisce,
secondo  la   giurisprudenza   costituzionale   costante,   principio
fondamentale  in  materia   di   «protezione   civile»,   in   quanto
«palesemente  orientato  ad  esigere  una  vigilanza  assidua   sulle
costruzioni riguardo al rischio sismico, attesa la rilevanza del bene
protetto,  che  trascende  anche  l'ambito   della   disciplina   del
territorio,  per  attingere  a  valori  di  tutela   dell'incolumita'
pubblica che fanno capo alla materia della protezione civile, in  cui
ugualmente  compete  allo  Stato  la  determinazione   dei   principi
fondamentali» (sentenza n. 182 del 2006). Pertanto,  la  disposizione
regionale impugnata eccederebbe dalle  competenze  regionali  di  cui
all'art. 14 dello statuto speciale e si porrebbe in contrasto con  un
principio fondamentale posto dal legislatore  statale  nella  materia
della «protezione civile», di cui all'art. 117, terzo  comma,  Cost.,
assegnata  alla  competenza  legislativa  concorrente  della  Regione
siciliana in virtu' della cosiddetta. clausola di  maggor  favore  di
cui all'art. 10 della legge Cost. n. 3 del 2001. 
    Anche il comma 3 del predetto art. 16 sarebbe  costituzionalmente
illegittimo, nella parte in cui stabilisce che «[p]er lo  snellimento
delle procedure di denuncia dei progetti ad essi relativi,  non  sono
assoggettati alla preventiva autorizzazione  scritta  del  competente
ufficio del Genio civile le opere minori ai fini della sicurezza  per
le costruzioni in zona sismica, gli interventi privi di rilevanza per
la pubblica incolumita' ai  fini  sismici  e  le  varianti  in  corso
d'opera, riguardanti parti strutturali che  non  rivestono  carattere
sostanziale, in quanto definiti e ricompresi in  un  apposito  elenco
approvato con deliberazione  della  Giunta  regionale»  e  che  «[i]l
progetto di tali interventi, da redigere secondo le norme del D.M. 14
gennaio 2008 e successive modifiche ed integrazioni, e' depositato al
competente ufficio del Genio civile  prima  del  deposito  presso  il
comune del certificato di agibilita'». 
    Secondo il ricorrente, esso, infatti, introdurrebbe una categoria
di lavori (definiti "minori"  dal  legislatore  siciliano),  estranea
alla sistematica normativa  statale,  in  violazione  dell'art.  117,
terzo  comma,  Cost.,  in  quanto  in  contrasto   con   i   principi
fondamentali  della  normativa  statale   vigente   in   materia   di
«protezione civile», desumibili dagli artt. 94,  93  e  65  del  t.u.
edilizia, che impongono anche di dare comunicazione delle opere prima
del loro inizio. 
    7.- All'udienza pubblica la difesa statale ha insistito chiedendo
l'accoglimento delle conclusioni svolte nel ricorso introduttivo. 
    8.- La Regione siciliana non si e' costituita. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha   promosso
questione di  legittimita'  costituzionale,  in  via  principale,  di
svariate disposizioni della legge della Regione siciliana  10  agosto
2016,  n.  16  (Recepimento  del  Testo  unico   delle   disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia approvato con decreto
del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380),  con  cui  la
citata Regione ha  provveduto  a  recepire  talune  disposizioni  del
cosiddetto testo unico dell'edilizia (da ora in poi  t.u.  edilizia),
approvato con decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno  2001,
n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia edilizia - Testo A), apportandovi modifiche. 
    2.- In particolare, il ricorrente ha impugnato, anzitutto, l'art.
3, comma 2, lettera f), della predetta legge regionale,  nella  parte
in cui consente di realizzare, senza alcun  titolo  abilitativo,  gli
impianti di energia da fonti rinnovabili e in  tal  modo  li  sottrae
alla  verifica  di  assoggettabilita'  a   Valutazione   di   Impatto
Ambientale (VIA), prescritta dalla normativa statale  in  materia  di
«tutela dell'ambiente». Secondo la ricorrente, una simile  previsione
eccederebbe dalle competenze legislative esclusive riconosciute  alla
Regione siciliana dall'art. 14, secondo comma, dello statuto speciale
in materia di «urbanistica» e  invaderebbe  la  sfera  di  competenza
statale esclusiva in materia di «tutela dell'ambiente». 
    2.1.  -  In  linea  preliminare,  non  si  riscontrano   ostacoli
all'esame nel merito delle censure promosse. 
    2.1.1.- Occorre, infatti, rilevare che ne' le modifiche frattanto
apportate all'art. 6 del citato t.u. edilizia, oggetto di recepimento
da parte della norma regionale impugnata, ad opera  dell'art.  3  del
decreto legislativo 25  novembre  2016,  n.  222  (Individuazione  di
procedimenti oggetto di autorizzazione, segnalazione  certificata  di
inizio di attivita' - SCIA - silenzio assenso e  comunicazione  e  di
definizione  dei  regimi  amministrativi  applicabili  a  determinate
attivita' e procedimenti, ai sensi  dell'articolo  5  della  legge  7
agosto 2015, n. 124), ne' quelle introdotte dall'art. 9, comma 1, del
decreto  legislativo  16  giugno  2017,  n.  104  (Attuazione   della
direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio,  del  16
aprile 2014, che modifica la  direttiva  2011/92/UE,  concernente  la
valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti  pubblici
e privati, ai sensi degli articoli 1 e 14 della legge 9 luglio  2015,
n. 114),  che  hanno  inciso  sul  testo  dell'art.  20  del  decreto
legislativo 3 aprile 2006, n.  152  (Norme  in  materia  ambientale),
invocato dal ricorrente in quanto recante la  disciplina  statale  in
tema di verifica di assoggettabilita' a VIA degli interventi edilizi,
ivi compresi quelli corrispondenti ad impianti di  energia  da  fonti
rinnovabili, influiscono sulla questione proposta. 
    Infatti, le richiamate novelle statali - che, peraltro, hanno  un
diverso  ambito  di  applicazione   temporale   (come   espressamente
indicato, ad esempio, all'art. 23 del d.lgs. n. 104 del 2017)  -  non
sono tali da aver determinato il sopravvenuto difetto di interesse al
ricorso (sentenze n. 252 del 2016, n. 17 del 2014 e n. 32 del  2012).
In un caso, il nuovo art. 6 del t.u. edilizia introduce al  comma  1,
lettera e-quater il  regime  di  edilizia  libera  non  per  l'intera
categoria degli impianti di energia da fonti rinnovabili, come fa  la
norma regionale, ma solo per  una  ristretta  e  specifica  categoria
degli stessi («i pannelli  solari,  fotovoltaici,  a  servizio  degli
edifici, da realizzare al di fuori della zona A di cui al decreto del
Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n.  1444»).  Nell'altro
caso, le modifiche apportate dall'art. 9, comma 1, del d.lgs. n.  104
del 2017 al d.lgs. n. 152 del 2006, e in specie all'art. 20, adottate
in attuazione della direttiva del Parlamento europeo e del  Consiglio
2014/52/U.E.  del  16  aprile   2017   concernente   la   valutazione
dell'impatto ambientale di determinati progetti  pubblici  e  privati
(Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 aprile 2017,
che modifica la direttiva  2011/92/U.E.  concernente  la  valutazione
dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e  privati),
volta a «garantire un elevato livello di protezione  dell'ambiente  e
della salute umana grazie alla definizione di requisiti minimi per la
valutazione  dell'impatto  ambientale  dei  progetti»   (considerando
numero  41),  la  riduzione  della  complessita'   amministrativa   e
l'aumento  dell'efficienza  economica,   non   hanno   eliminato   la
valutazione di assoggettabilita' a VIA,  che  oggi  e'  disciplinata,
invece che dall'art. 20, dal precedente art. 19 del  medesimo  d.lgs.
n. 152 del 2006,  ma  hanno  semplicemente  riordinato  le  scansioni
procedurali gia' previste. 
    2.1.2.- Nessun rilievo mostra, inoltre, la circostanza che, nella
delibera   di   promovimento   della   questione   di    legittimita'
costituzionale,  non  sia  esplicitamente  richiamato  il   parametro
dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.,  viceversa  indicato
nel ricorso introduttivo. 
    Considerato  che,  secondo   la   giurisprudenza   costituzionale
costante, solo «l'omissione di  qualsiasi  accenno  ad  un  parametro
costituzionale  nella  delibera  di  autorizzazione  all'impugnazione
dell'organo  politico,  comporta  l'esclusione  della  volonta'   del
ricorrente di promuovere la questione al  riguardo,  con  conseguente
inammissibilita' della questione che,  sul  medesimo  parametro,  sia
stata proposta dalla difesa nel ricorso» (sentenza n. 239  del  2016;
nello stesso senso, sentenze n. 46 del 2015 e n. 298 del 2013), nella
specie non ricorrono tali condizioni. 
    Pur in assenza del riferimento (numerico) espresso all'art.  117,
secondo comma, lettera s), Cost.,  e'  evidente  che  il  ricorrente,
sostenendo che la norma regionale vada  al  di  la'  della  sfera  di
competenza  esclusiva  in  materia  di  urbanistica  e  si  ponga  in
contrasto  con  la  normativa   statale   in   materia   di   «tutela
dell'ambiente», denuncia  la  lesione  della  competenza  legislativa
esclusiva statale in questa materia, competenza che, peraltro, in tal
caso,  rileva  solo  in  quanto  delimita  la  competenza   regionale
esclusiva in materia di urbanistica  assegnata  dall'art.  14,  primo
comma, lettera f), dello statuto, espressamente richiamato. 
    2.2. - Nel merito, la questione e' fondata. 
    La disposizione impugnata e' contenuta nell'art.  3  della  legge
regionale n.  16  del  2016,  rubricato  «Recepimento  con  modifiche
dell'articolo  6  "Attivita'  edilizia  libera"   del   decreto   del
Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380». 
    Essa estende,  espressamente,  il  predetto  regime  di  edilizia
libera  anche  agli  interventi  inerenti  alla  realizzazione  degli
impianti alimentati da fonti  di  energia  rinnovabile  di  cui  agli
articoli  5  e  6  del  decreto  legislativo  3  marzo  2011,  n.  28
(Attuazione della  direttiva  2009/28/CE  sulla  promozione  dell'uso
dell'energia da fonti  rinnovabili,  recante  modifica  e  successiva
abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE) in contrasto con
la medesima normativa statale richiamata. 
    Infatti, l'art. 5 del citato d.lgs. n.  28  del  2011  -  che  ha
provveduto  a  dare  attuazione  alla  direttiva   2009/28/CE   sulla
promozione dell'uso  dell'energia  da  fonti  rinnovabili  (Direttiva
2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile  2009
sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili,  recante
modifica  e  successiva  abrogazione  delle  direttive  2001/77/CE  e
2003/30/CE) - assoggetta, al comma 1, «la costruzione  e  l'esercizio
degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti
rinnovabili, le opere connesse  e  le  infrastrutture  indispensabili
alla costruzione e all'esercizio degli impianti, nonche' le modifiche
sostanziali degli impianti stessi [...] all'autorizzazione  unica  di
cui all'articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n.  387
come modificato dal presente articolo [...]». Quest'ultima norma, che
costituisce, a sua  volta,  recepimento  della  precedente  direttiva
2001/77/CE  (Direttiva  2001/77/CE  del  Parlamento  europeo  e   del
Consiglio  del  27  settembre  2001  sulla  promozione   dell'energia
elettrica prodotta  da  fonti  energetiche  rinnovabili  nel  mercato
interno   dell'elettricita'),    stabilisce,    nel    segno    della
semplificazione amministrativa, la sottoposizione della realizzazione
degli impianti ad energia rinnovabile all'autorizzazione unica, ma fa
espressamente salvo «il previo espletamento, qualora prevista,  della
verifica  di  assoggettabilita'  sul  progetto  preliminare,  di  cui
all'articolo 20 del decreto legislativo 3  aprile  2006,  n.  152,  e
successive modificazioni » (comma 4). 
    La norma regionale impugnata, nella parte in cui dispone che  gli
interventi inerenti agli «impianti ad energia rinnovabile di cui agli
articoli 5 e 6 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28»  (lettera
f  del  comma  2)  «possono  essere  eseguiti  senza   alcun   titolo
abilitativo» (primo periodo del comma 2), «previa comunicazione anche
per via telematica dell'inizio dei lavori», facendo  salve  solo  «le
prescrizioni delle norme  antisismiche,  di  sicurezza,  antincendio,
igienico-sanitarie, di quelle relative all'efficienza energetica,  di
tutela dal rischio idrogeologico nonche' delle disposizioni contenute
nel decreto  legislativo  22  gennaio  2004,  n.  42,  della  vigente
normativa regionale sui parchi  e  sulle  riserve  naturali  e  della
normativa relativa alle zone pSIC, SIC, ZSC e ZPS,  ivi  compresa  la
fascia esterna di influenza per una larghezza di  200  metri»  (primo
periodo del comma 1), senza alcun  riferimento  alle  «autorizzazioni
eventualmente obbligatorie  ai  sensi  delle  normative  di  settore»
(richiamate, invece, dall'art.  6  del  t.u.  edilizia),  esclude  la
realizzazione di siffatti impianti (genericamente e  complessivamente
identificati) da  ogni  verifica  preventiva  inerente  all'eventuale
incidenza dannosa sull'ambiente, in contrasto con  quanto  prescritto
dal legislatore statale. 
    Questa Corte gia' in altre occasioni ha affermato che  «l'obbligo
di sottoporre il progetto alla procedura di VIA o, nei casi previsti,
alla preliminare verifica di assoggettabilita' a VIA,  rientra  nella
materia della "tutela ambientale"» (sentenza n. 215 del  2005;  nello
stesso senso, ex plurimis, sentenze n. 234 e n. 225 del 2009).  E  ha
precisato che esso rappresenta «nella disciplina  statale,  anche  in
attuazione  degli  obblighi  comunitari,  un  livello  di  protezione
uniforme che si impone sull'intero territorio  nazionale,  pur  nella
concorrenza di altre materie di competenza regionale (tra  le  altre,
sentenze n. 120 del 2010, n. 249 del 2009 e n. 62 del 2008), comprese
la  "produzione",  il  "trasporto"  e  la  "distribuzione   nazionale
dell'energia" (sentenza n. 88 del 2009)» (sentenza n. 215 del 2015). 
    Con specifico riguardo, poi, alla realizzazione  di  impianti  di
energia da fonti rinnovabili, si e' pure rilevata la  concorrenza  di
vari interessi, costituzionalmente rilevanti, per certi versi interni
alla medesima materia della «tutela dell'ambiente», che  si  realizza
«attraverso l'incrocio di  diverse  tipologie  di  verifica,  il  cui
coordinamento e la cui acquisizione sincronica, essendo necessari per
l'autorizzazione    unica    finale,    non    tollerano    ulteriori
differenziazioni su base regionale» (sentenza n. 267  del  2016).  In
altri termini, attraverso distinti sub-procedimenti,  il  legislatore
statale ha operato il  bilanciamento  tra  l'intrinseca  utilita'  di
simili impianti, che producono energia senza inquinare l'ambiente,  e
il principio di precauzione attuato mediante la separata verifica che
gli stessi impianti non danneggino in altro modo il medesimo ambiente
(in tal senso, sentenza n. 267 del 2016). 
    Posto  che   la   disciplina   statale   relativa   alla   tutela
dell'ambiente «viene a funzionare come un limite alla disciplina  che
le Regioni e le Province autonome dettano in altre  materie  di  loro
competenza» (sentenza n. 67 del 2010),  appare  evidente  che,  nella
specie, il legislatore regionale ha  oltrepassato  tale  limite  alla
propria competenza in materia di «urbanistica» e ha invaso  la  sfera
di competenza esclusiva del legislatore statale, nella parte  in  cui
ha escluso le previe verifiche dell'impatto ambientale degli impianti
ad energia rinnovabile, che il legislatore  statale  ha  ritenuto  di
garantire  attraverso  la  complessa  disciplina   del   procedimento
inerente  alla  realizzazione  degli  impianti,   in   un'ottica   di
ragionevole bilanciamento dei contrapposti interessi coinvolti. 
    Deve,  pertanto,  dichiararsi   l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 3, comma 2, lettera f), nella  parte  in  cui  consente  di
realizzare, in assenza di titolo abilitativo,  tutti  gli  interventi
inerenti agli impianti ad energia rinnovabile di cui agli artt. 5 e 6
del d.lgs. n. 28 del 2011, senza fare salvo  il  previo  espletamento
della verifica di assoggettabilita' a VIA sul  progetto  preliminare,
qualora prevista. 
    3.- Il Presidente del Consiglio dei ministri  promuove,  inoltre,
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 4, della
medesima legge regionale n.  16  del  2016  -  nella  parte  in  cui,
disponendo il recepimento con modifiche dell'articolo 23-bis del  t.u
edilizia, consente di avviare alcuni  interventi  edilizi,  ricadenti
nei siti di «Natura 2000» e nei parchi, decorsi trenta  giorni  dalla
presentazione della segnalazione certificata di inizio  di  attivita'
(SCIA), in mancanza della  comunicazione  da  parte  dello  sportello
unico dell'avvenuta acquisizione  degli  eventuali  atti  di  assenso
preventivi, anche nei casi in cui l'intervento debba essere preceduto
dalla Valutazione di Incidenza (VINCA), prescritta dall'art. 5, comma
6,  del  d.P.R.  8  settembre  1997,  n.  357  (Regolamento   recante
attuazione della  direttiva  92/43/CEE  relativa  alla  conservazione
degli habitat naturali e seminaturali, nonche' della  flora  e  della
fauna selvatiche), in attuazione della direttiva 92/43/CEE (Direttiva
92/43/CEE  del  Consiglio,  del  21  maggio   1992,   relativa   alla
Conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della  flora  e
della fauna selvatiche), con particolare riguardo al suo art. 6. 
    La  norma  impugnata,  eccedendo  dalle  competenze   legislative
riconosciute  alla  Regione  dall'art.  14  dello  statuto  speciale,
configurerebbe una  modalita'  di  superamento  dei  pareri  mediante
silenzio-assenso, in palese  contrasto  con  gli  obblighi  derivanti
dalla direttiva 92/43/CEE, oltre che  con  la  normativa  statale  in
materia di tutela dell'ambiente, di cui al citato art.  5,  comma  6,
d.P.R. n. 357 del 1997, e all'art. 20, comma 3, del d.P.R. n. 380 del
2001. 
    3.1.  -  Occorre,  preliminarmente,  rilevare  che  i   mutamenti
sopravvenuti del quadro normativo di riferimento sono ininfluenti  ai
fini dello scrutinio delle questioni di  legittimita'  costituzionale
ora in esame. 
    Infatti, sia le modifiche  apportate  all'art.  23-bis  del  t.u.
edilizia, oggetto di recepimento, ad  opera  dell'art.  3,  comma  1,
lettera h), del d.lgs. n. 222 del 2016, sia quelle che  hanno  inciso
sulla formulazione dell'art. 20 del medesimo Testo unico,  richiamato
tanto  dall'art.  23-bis  citato.,  che  dall'art.  11  della   legge
regionale n. 16 del 2016, e che sono  state  introdotte  per  effetto
dell'art. 3, comma 1, lettera d), del d.lgs. n.  222  del  2016,  non
incidono ne' sono strettamente connesse con le  disposizioni  oggetto
di contestazione. 
    3.2. - Ancora in via preliminare, va dichiarata inammissibile  la
censura  relativa  alla  violazione  dell'art.  117,  secondo  comma,
lettera a), Cost. 
    Nella parte introduttiva del ricorso  e'  evocata  congiuntamente
«la violazione dell'art. 14 dello statuto speciale e  dell'art.  117,
primo comma e secondo comma, lettera a),  Cost.,  in  relazione  alle
disposizioni della  direttiva  92/43/CEE  (con  particolare  riguardo
all'articolo 6 di essa) ed all'art. 5 comma 6 del d.P.R. 8/9/1997, n.
357». A tale affermazione, tuttavia, non segue alcuna motivazione  in
ordine alla pretesa violazione della competenza esclusiva statale  in
materia di «rapporti dello Stato con l'Unione europea», di  cui  alla
lettera a), del secondo comma dell'art. 117 Cost. Dopo aver  rilevato
il contrasto della norma regionale con  la  norma  statale  attuativa
della direttiva europea, il ricorrente si limita, infatti, a rilevare
che la norma regionale in esame,  «ponendosi  in  contrasto  con  gli
obblighi di origine comunitaria di cui alla direttiva 92/43/CEE e con
la normativa statale di cui all'articolo 5, comma 6,  d.P.R.  n.  357
del  1997,  eccede  dalle  competenze  statutarie  riconosciute  alla
Regione siciliana dallo statuto speciale di autonomia». 
    Risulta del tutto evidente, in proposito, non solo l'assertivita'
della censura, ma anche l'inconferenza del  parametro  evocato,  «che
non  puo'  essere  considerato  un  diverso  ed  ulteriore  presidio,
rispetto agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost.,  del  rispetto  dei
vincoli comunitari» (sentenza n. 185 del 2011). 
    3.3.- Non  sussistono,  viceversa,  ragioni  che  impediscano  di
esaminare nel merito le censure di violazione  dell'art.  117,  primo
comma e secondo comma,  lettera  s),  Cost.,  nonostante  il  mancato
richiamo testuale nella delibera di promovimento della  questione  di
legittimita' costituzionale di tali parametri, alla luce dei medesimi
argomenti svolti supra al punto 2.1.2. Anche in  tal  caso,  infatti,
risulta agevole desumere dalla denunciata violazione  degli  obblighi
di natura comunitaria e della normativa statale in materia di  tutela
dell'ambiente la  dedotta  lesione  sia  della  competenza  esclusiva
statale in materia di «tutela dell'ambiente»  di  cui  all'art.  117,
secondo comma, lettera s), sia dell'art. 117, primo comma, Cost. 
    3.4.- Occorre, allora, passare allo scrutinio  della  censura  di
violazione dell'art.117, secondo comma, lettera s), Cost., mossa  nei
confronti della norma regionale in esame. 
    Il ricorrente ritiene che  quest'ultima  vada  al  di  la'  della
competenza legislativa  regionale  esclusiva  prevista  dall'art.  14
dello statuto speciale in materia di  «urbanistica»  e  si  ponga  in
contrasto  con  la  normativa   statale   in   materia   di   «tutela
dell'ambiente»,  nella  parte  in  cui  consente  di  avviare  alcuni
interventi edilizi, ricadenti nei siti di «Natura 2000» e nei parchi,
decorsi  semplicemente  trenta  giorni  dalla   presentazione   della
segnalazione certificata di inizio di attivita' (SCIA),  in  mancanza
della comunicazione da  parte  dello  sportello  unico  dell'avvenuta
acquisizione  degli  atti  di  assenso,  anche  nei   casi   in   cui
l'intervento  abbia  necessita'  di  acquisire   preventivamente   la
Valutazione di Incidenza (VINCA). 
    3.4.1. - La questione non e'  fondata,  nei  termini  di  seguito
precisati. 
    La disposizione impugnata e' contenuta nell'art. 11  della  legge
regionale n. 16  del  2016,  intitolato  «Recepimento  con  modifiche
dell'articolo 23-bis "Autorizzazioni  preliminari  alla  segnalazione
certificata di inizio attivita' e alla comunicazione dell'inizio  dei
lavori" del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n.
380». 
    Tale articolo dispone, al comma 1, con una formulazione  identica
a quella di cui al  comma  1  dell'art.  23-bis  del  t.u.  edilizia,
oggetto di  recepimento,  che  «l'interessato  puo'  richiedere  allo
sportello unico di provvedere all'acquisizione di tutti gli  atti  di
assenso, comunque denominati, necessari per l'intervento edilizio,  o
presentare istanza di  acquisizione  dei  medesimi  atti  di  assenso
contestualmente  alla  segnalazione.  Lo  sportello  unico   comunica
tempestivamente all'interessato l'avvenuta acquisizione degli atti di
assenso. Se tali atti non sono acquisiti  entro  il  termine  di  cui
all'articolo 20, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica
6 giugno 2001, n. 380, come introdotto dall'articolo  1,  si  applica
quanto previsto dal comma 5-bis del medesimo articolo».  Entrambe  le
norme, regionale e statale, dispongono (al comma 2) che «[i]n caso di
presentazione contestuale della segnalazione  certificata  di  inizio
attivita' e  dell'istanza  di  acquisizione  di  tutti  gli  atti  di
assenso, comunque denominati, necessari  per  l'intervento  edilizio,
l'interessato puo' dare inizio ai lavori solo dopo  la  comunicazione
da  parte  dello  sportello  unico  dell'avvenuta  acquisizione   dei
medesimi atti di assenso o dell'esito positivo  della  conferenza  di
servizi». 
    Al comma 4,  l'art.  23-bis  del  t.u.  edilizia  statuisce  che,
«[a]ll'interno delle zone omogenee A) di cui al decreto del  Ministro
dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, e in quelle  equipollenti
secondo  l'eventuale  diversa  denominazione  adottata  dalle   leggi
regionali [...] gli interventi cui  e'  applicabile  la  segnalazione
certificata di inizio attivita' non possono in ogni caso avere inizio
prima che siano decorsi trenta giorni  dalla  data  di  presentazione
della segnalazione». 
    Nel recepire tale previsione, il legislatore regionale  siciliano
ha provveduto,  con  la  norma  impugnata,  a  individuare  le  «aree
equipollenti» (di cui all'art. 23-bis del t.u. edilizia)  alle  «zone
omogenee A) di cui al decreto del  Ministro  dei  lavori  pubblici  2
aprile 1968, n. 1444» --  all'interno  delle  quali  gli  interventi,
soggetti a SCIA, non possono avere inizio  prima  che  siano  decorsi
trenta  giorni  dalla  data  di  presentazione   della   segnalazione
certificata di inizio di attivita' - negli  «immobili  sottoposti  ai
vincoli del decreto legislativo 22 gennaio 2004,  n.  42,  ovvero  su
immobili ricadenti all'interno di parchi e riserve naturali o in aree
protette dalla normativa relativa alle zone pSIC, SIC, ZSC e ZPS, ivi
compresa la fascia esterna di influenza  per  una  larghezza  di  200
metri». 
    Una simile elencazione ricomprende siti  che  fanno  parte  della
cosiddetta  Rete  «Natura  2000»,  che  include  siti  di   interesse
comunitario (SIC), zone speciali di conservazione  (ZSC)  e  zone  di
protezione speciale (ZPS), in attuazione  della  direttiva  92/43/CEE
del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione  degli
habitat  naturali  e  seminaturali  e  della  flora  e  della   fauna
selvatiche (cosiddetta direttiva Habitat),  nonche'  della  direttiva
79/409/CEE  del  Consiglio,  del  2  aprile   1979   concernente   la
conservazione degli uccelli selvatici (cosiddetta direttiva Uccelli).
Tale rete e' volta a garantire il mantenimento a lungo termine  degli
habitat naturali e delle specie di flora e fauna minacciati a livello
comunitario. In questa prospettiva, l'art. 6 della  citata  direttiva
92/43/CEE ha imposto agli Stati membri l'adozione di  misure  atte  a
evitare nelle zone speciali di conservazione il degrado degli habitat
naturali e degli habitat di specie  nonche'  la  perturbazione  delle
specie per cui le  zone  sono  state  designate,  fra  le  quali,  in
particolare, la valutazione di incidenza. Al comma 3 dell'art.  6  si
dispone infatti che «[q]ualsiasi piano o  progetto  non  direttamente
connesso e necessario alla gestione  del  sito  ma  che  possa  avere
incidenze significative su tale sito, singolarmente o  congiuntamente
ad altri piani e progetti, forma oggetto di una opportuna valutazione
dell'incidenza che ha sul sito,  tenendo  conto  degli  obiettivi  di
conservazione del medesimo [...]». Si e', inoltre, precisato che  «le
autorita' nazionali competenti danno il loro accordo su tale piano  o
progetto  soltanto  dopo  aver  avuto  la  certezza  che   esso   non
pregiudichera' l'integrita' del sito in causa e, se del caso,  previo
parere dell'opinione pubblica». 
    In attuazione di tale disposto e' stato  adottato  l'art.  5  del
d.P.R. n. 357 del 1997,  che  prescrive  la  previa  «valutazione  di
incidenza» di tutti i piani territoriali, urbanistici  e  di  settore
incidenti sui proposti siti di importanza comunitaria,  sui  siti  di
importanza comunitaria, sulle zone speciali di conservazione, e anche
di tutti gli «interventi non direttamente  connessi  e  necessari  al
mantenimento in uno stato di conservazione soddisfacente delle specie
e degli habitat presenti nel sito, ma  che  possono  avere  incidenze
significative sul sito  stesso,  singolarmente  o  congiuntamente  ad
altri interventi» (comma 3). 
    Da tempo questa Corte ha affermato - e di recente ha  ribadito  -
che «la disciplina della valutazione di incidenza ambientale  (VINCA)
sulle aree protette ai sensi di "Natura 2000", contenuta nell'art.  5
del regolamento di cui al d.P.R. n.  357  del  1997,  deve  ritenersi
ricompresa nella "tutela dell'ambiente e dell'ecosistema", rientrante
nella competenza esclusiva  statale»  (sentenza  n.  195  del  2017).
Considerato anche che «[l]a legislazione statale [...]  attua  quanto
disposto dalla normativa dell'Unione, in base alla quale VIA e  VINCA
debbono precedere l'avvio dell'attivita'» sentenza n. 117  del  2015,
non residua «alcuno spazio  per  il  legislatore  regionale  che  gli
permetta di apportare deroghe alla natura preventiva di tali istituti
(sentenze n. 28 del 2013 e n. 227 del 2011)»  (sentenza  n.  117  del
2015). 
    Cio' vale anche per le Regioni ad autonomia speciale,  che  siano
titolari di competenze legislative  statutarie  esclusive,  come  nel
caso della Regione siciliana. Esse sono, infatti, comunque  tenute  a
rispettare la disciplina statale  in  materia,  che  costituisce  «un
limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome  dettano
in altre materie di loro competenza» (sentenza n. 67 del 2010), anche
ove si tratti, appunto, di competenze esclusive. 
    Nella specie, tuttavia, la Regione siciliana non ha varcato  tale
limite. Si deve, infatti, intendere - peraltro in  linea  con  l'art.
23-bis del t.u. edilizia oggetto di recepimento e secondo una lettura
sistematica e coerente delle disposizioni di cui si compone lo stesso
art. 11 della legge regionale n. 16 del 2016 - che la previsione  del
comma  4,  in  base  alla  quale,   decorsi   trenta   giorni   dalla
presentazione della SCIA, possono essere iniziati i lavori anche  nei
siti «Natura 2000» e nei  parchi,  implichi  il  rispetto  di  quanto
prescritto dai commi 1 e 2, e cioe' che o siano stati  gia'  adottati
gli atti di assenso (e quindi sia stata gia' effettuata positivamente
la Valutazione di Incidenza  per  gli  interventi  nei  siti  «Natura
2000») o che, ove quest'ultima sia richiesta contestualmente  con  la
presentazione della SCIA, debba comunque attendersi, per l'avvio  dei
lavori, la comunicazione preventiva da parte  dello  sportello  unico
dell'avvenuta acquisizione dei medesimi atti di assenso, alla stregua
di quanto statuito al comma 2 del medesimo art. 11 della l.  reg.  n.
16 del 2016. 
    Cosi' interpretata, la disposizione regionale  censurata  non  si
prefigura alcun superamento dei pareri mediante silenzio-assenso,  in
contrasto con la normativa statale  di  recepimento  della  normativa
europea, e dunque la dedotta violazione degli artt. 14 dello  statuto
speciale e 117, secondo comma, lettera s),  Cost.  risulta  priva  di
fondamento. 
    3.5.- Sulla base di analoghi argomenti,  si  rivela  non  fondata
anche la questione proposta in riferimento all'art. 117, primo comma,
Cost., in relazione all'art.  6  della  citata  direttiva  92/43/CEE,
cosiddetta direttiva Habitat. 
    Una volta appurato, infatti, che la norma regionale impugnata non
esclude,  ma  anzi  presuppone  la  previa  acquisizione   dell'esito
positivo della Valutazione di Incidenza degli  interventi  realizzati
nei siti «Natura 2000», - valutazione prescritta,  come  si  e'  gia'
ricordato, dall'art. 6 della suddetta direttiva, recepito con  l'art.
5 del d.P.R. n. 357 del 1997 -, si rivela priva di  fondamento  anche
la dedotta violazione  del  corrispondente  obbligo  derivante  dalla
normativa europea. 
    4.-  Viene,  poi,  impugnato  l'art.  14  della  medesima   legge
regionale  n.  16  del  2016,   in   specie   la'   dove,   recependo
nell'ordinamento regionale l'art. 36 del t.u. edilizia in materia  di
"accertamento di conformita'", stabilisce, al comma 1, che «[...]  il
responsabile  dell'abuso,  o  l'attuale  proprietario  dell'immobile,
possono ottenere il permesso in  sanatoria  se  l'intervento  risulti
conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente  al  momento
della presentazione della domanda» e, al comma 3, che «[i]n  presenza
della documentazione  e  dei  pareri  previsti,  sulla  richiesta  di
permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile  del  competente
ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro novanta
giorni decorsi i quali la richiesta si intende assentita». 
    Tali previsioni sarebbero entrambe costituzionalmente illegittime
per violazione dell'art. 14, primo comma, lettera f),  dello  statuto
speciale e dell'art. 117, secondo comma, lettera l),  Cost.  Infatti,
la prima (il comma 1) introdurrebbe una surrettizia forma di  condono
edilizio  e  con  cio'  eccederebbe  dalla   competenza   legislativa
esclusiva attribuita alla Regione in materia di urbanistica dall'art.
14, primo comma, lettera f), dello statuto, con conseguente invasione
della  sfera  di  competenza  esclusiva   statale   in   materia   di
«ordinamento penale» di cui all'art. 117, secondo comma, lettera  l),
Cost. 
    Quanto alla seconda (il comma 3  del  medesimo  art.  14),  essa,
nella parte in cui introduce un  meccanismo  di  silenzio-assenso  ai
fini del rilascio del permesso in sanatoria, che  discende  dal  mero
decorso del termine di novanta giorni, in contrasto con la  normativa
statale, determinerebbe un effetto  estintivo  delle  contravvenzioni
contemplate dall'art. 44 del t.u. edilizia, incidendo, anche  in  tal
caso, sulla competenza  esclusiva  del  legislatore  statale  di  cui
all'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. 
    L'art. 14, commi 1 e 3, si porrebbe in contrasto anche con l'art.
3  Cost.  in  quanto,  secondo  il  ricorrente,   introdurrebbe   una
discriminazione  ingiustificata  fra  soggetti  operanti  in  diverse
Regioni, a parita' di comportamento tenuto. 
    4.1.- Le questioni promosse nei confronti dell'art. 14, commi 1 e
3, della legge regionale n. 16 del 2016, in  riferimento  agli  artt.
14, primo comma, lettera f ), dello statuto speciale e  117,  secondo
comma, lettera l ), Cost., sono fondate. 
    Le disposizioni impugnate sono contenute nell'art. 14 della legge
regionale n. 16  del  2016,  intitolato  «Recepimento  con  modifiche
dell'articolo  36  "Accertamento  di  conformita'"  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380». 
    Come si evince dalla stessa intitolazione, l'art. 36  del  d.P.R.
n. 380 del 2001 disciplina  l'accertamento  di  conformita'  e  cioe'
quello strumento attraverso cui si consente la sanatoria di manufatti
o opere, realizzati in assenza di titolo edilizio. 
    Al fine del rilascio del permesso in sanatoria, la norma  statale
prescrive che gli interventi abusivi siano conformi  alla  disciplina
urbanistica ed edilizia vigente  sia  al  tempo  della  realizzazione
dell'opera, sia al momento della presentazione della istanza  di  cui
all'art. 36 (cosiddetta doppia conformita').  Come  confermato  dalla
giurisprudenza di legittimita' (di recente Cass., sez terza, n. 26425
del 2016; Cass., sez. terza, n.  35872  del  2016)  e  dalla  recente
giurisprudenza amministrativa (Consiglio di  Stato,  sez.  sesta,  n.
3194 del 2016), il rilascio del permesso  in  sanatoria  estingue  il
reato di cui all'art. 44 del Testo unico  dell'edilizia,  sempre  che
«ricorrano tutte le condizioni espressamente  indicate  dall'art.  36
della normativa e precisamente, la  doppia  conformita'  delle  opere
alla  disciplina   urbanistica   vigente   sia   al   momento   della
realizzazione del manufatto, sia al momento della presentazione della
domanda di sanatoria,  dovendo  escludersi  la  possibilita'  di  una
legittimazione postuma di opere  originariamente  abusive  che,  solo
successivamente,    in    applicazione    della    c.d.     sanatoria
giurisprudenziale, o impropria, siano divenute  conformi  alle  norme
edilizie ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica» (Cass.,
sez  terza,  n.  26425  del  2016).  L'art.  36  del  t.u.   edilizia
stabilisce, inoltre, che, trascorsi  60  giorni  dalla  presentazione
dell'istanza senza che l'ufficio competente si  sia  pronunciato,  si
formi il cosiddetto silenzio rigetto, che pertanto esclude  l'effetto
estintivo del reato. 
    Questa  Corte  si  e'   piu'   volte   occupata   del   principio
dell'accertamento di conformita' di cui all'art. 36 t.u.edilizia e ha
affermato che esso, che  costituisce  «principio  fondamentale  nella
materia governo del territorio»  (da  ultimo,  sentenza  n.  107  del
2017),  e'  «finalizzato  a  garantire  l'assoluto   rispetto   della
disciplina urbanistica ed edilizia  durante  tutto  l'arco  temporale
compreso  tra  la  realizzazione  dell'opera   e   la   presentazione
dell'istanza  volta  ad  ottenere  l'accertamento   di   conformita'»
(sentenza n. 101 del 2013). Tale istituto si  distingue  dal  condono
edilizio, in quanto «fa riferimento alla possibilita' di sanare opere
che, sebbene sostanzialmente conformi alla disciplina urbanistica  ed
edilizia, sono state realizzate in assenza del titolo stesso,  ovvero
con varianti essenziali»,  laddove  il  condono  edilizio  «ha  quale
effetto  la  sanatoria  non  solo  formale   ma   anche   sostanziale
dell'abuso, a prescindere dalla conformita'  delle  opere  realizzate
alla disciplina urbanistica ed edilizia» (sentenza n. 50 del 2017). 
    Anche a prescindere da tali  classificazioni,  occorre  ricordare
che, sebbene  questa  Corte  abbia  riconosciuto  che  la  disciplina
dell'accertamento di conformita' attiene al governo  del  territorio,
ha comunque precisato che spetta al  legislatore  statale  la  scelta
sull'an, sul  quando  e  sul  quantum  della  sanatoria,  potendo  il
legislatore  regionale   intervenire   solo   per   quanto   riguarda
l'articolazione e la specificazione di tali disposizioni (sentenza n.
233 del 2015). Quanto alle Regioni ad  autonomia  speciale,  ove  nei
rispettivi  statuti  si  prevedano  competenze  legislative  di  tipo
primario,  si  e'  puntualizzato  che  esse  devono,  in  ogni  caso,
rispettare  il  limite  della  materia  penale  e   di   «quanto   e'
immediatamente  riferibile   ai   principi   di   questo   intervento
eccezionale di grande riforma», come nel caso del titolo  abilitativo
edilizio in sanatoria (sentenza n. 196 del 2004). 
    Nel caso di specie, la  norma  regionale  impugnata  consente  il
rilascio del permesso in sanatoria nel caso di intervento edilizio di
cui sia attestata  la  conformita'  alla  disciplina  urbanistica  ed
edilizia vigente al solo momento della presentazione della domanda  e
non anche a quello della realizzazione dello stesso,  in  difformita'
dall'art. 36 del t.u. edilizia (comma 1). La stessa norma  (comma  3)
introduce anche l'istituto del silenzio assenso, in luogo  di  quello
del silenzio rigetto, previsto dal  citato  art.  36.  Sennonche'  la
scelta della  qualificazione  giuridica  del  comportamento  omissivo
dell'amministrazione  costituisce  espressione  di   una   norma   di
principio, condizionando - come nel caso  di  specie  -  fra  l'altro
l'effetto estintivo delle contravvenzioni  contemplate  dall'art.  44
del tu. edilizia. Queste disposizioni finiscono con il configurare un
surrettizio condono edilizio e  comunque  travalicano  la  competenza
legislativa  esclusiva  attribuita  alla  Regione   in   materia   di
urbanistica  dall'art.  14,  comma  1,  lettera  f),  dello   statuto
speciale, invadendo la competenza esclusiva  statale  in  materia  di
«ordinamento penale» di cui all'art. 117, secondo comma, lettera  l),
Cost., con riguardo alla sanatoria di abusi edilizi. 
    Ne' alcun rilievo assume la presunta coerenza delle  disposizioni
impugnate  con  gli  approdi  di  una  parte   della   giurisprudenza
amministrativa  (sulla   cosiddetta   sanatoria   giurisprudenziale),
peraltro contraddetta da orientamenti consolidati, espressi anche  di
recente (Consiglio di Stato, sez. sesta, n. 3194 del 2016),  «perche'
un suo eventuale riconoscimento normativo non potrebbe che  provenire
dal legislatore statale» (sentenza n. 233 del 2015). 
    Deve, pertanto, essere dichiarata l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 14, commi 1 e  3,  nella  parte  in  cui,  rispettivamente,
prevedono  che  «[...]  il  responsabile  dell'abuso,   o   l'attuale
proprietario dell'immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria
se l'intervento  risulti  conforme  alla  disciplina  urbanistica  ed
edilizia vigente al momento della presentazione della domanda» (comma
1) e non anche  a  quella  vigente  al  momento  della  realizzazione
dell'intervento; e nella parte in  cui  si  pone  «un  meccanismo  di
silenzio-assenso che discende dal mero decorso del termine di novanta
giorni» (comma  3)  dalla  presentazione  dell'istanza  al  fine  del
rilascio del permesso in sanatoria. 
    4.2.- Resta assorbita l'ulteriore  censura  rivolta  alle  stesse
disposizioni in riferimento all'art. 3 Cost. 
    5.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri  dubita,  inoltre,
della legittimita' costituzionale dell'art. 16, comma 1, della  legge
regionale n. 16 del 2016, nella parte in cui  consente  l'inizio  dei
lavori edilizi nelle localita' sismiche, senza  la  necessita'  della
previa  autorizzazione  scritta.  Tale   norma   determinerebbe   una
violazione dell'art. 14 dello statuto speciale e dell'art. 117, terzo
comma, Cost., in quanto si porrebbe in  contrasto  con  il  principio
della previa autorizzazione scritta  all'inizio  dei  lavori  edilizi
nelle localita' sismiche, contenuto  nell'art.  94  del  Testo  unico
dell'edilizia e qualificato come principio fondamentale in materia di
protezione civile, materia di competenza concorrente. 
    5.1.- La questione e' fondata. 
    La disposizione impugnata e' contenuta nell'art.  16,  intitolato
«Recepimento  con  modifiche  dell'articolo  94  "Autorizzazione  per
l'inizio dei lavori" del decreto del Presidente  della  Repubblica  6
giugno 2001, n. 380». Il comma 1 del predetto  art.  16  testualmente
recita:   «Fermo   restando   l'obbligo   del   titolo    abilitativo
all'intervento edilizio, nelle  localita'  sismiche,  il  richiedente
puo' applicare le procedure previste  dall'articolo  32  della  legge
regionale 19 maggio 2003,  n.7».  Tale  art.  32  delinea  un  regime
relativo alla realizzazione di opere  in  zone  sismiche  secondo  il
quale  «non  si  rende  necessaria  l'autorizzazione  all'inizio  dei
lavori», che «possono essere comunque avviati, dopo l'attestazione di
avvenuta presentazione del progetto rilasciata dall'Ufficio del Genio
civile». 
    L'art. 94 del Testo unico dell'edilizia, oggetto di  recepimento,
e' volto, come risulta dalla medesima intitolazione,  a  disciplinare
l'«autorizzazione per l'inizio dei lavori» e prescrive, al  comma  1,
che «nelle  localita'  sismiche,  ad  eccezione  di  quelle  a  bassa
sismicita' all'uopo indicate nei decreti di cui all'articolo 83,  non
si possono iniziare lavori senza  preventiva  autorizzazione  scritta
del competente ufficio tecnico della regione». 
    Come ripetutamente affermato  da  questa  Corte,  tale  principio
costituisce  espressione  evidente  «dell'intento   unificatore   che
informa la  legislazione  statale,  palesemente  orientata  [...]  ad
esigere una vigilanza assidua sulle costruzioni riguardo  al  rischio
sismico, attesa la rilevanza del bene protetto, che  trascende  anche
l'ambito della disciplina del territorio, per attingere a  valori  di
tutela dell'incolumita' pubblica che fanno capo  alla  materia  della
protezione  civile,  in  cui  ugualmente  compete   allo   Stato   la
determinazione dei principi fondamentali (cosi' la citata sentenza n.
182 del 2006)» (sentenza n. 60 del 2017). 
    La  disposizione  regionale  impugnata,  pertanto,  deve   essere
ricondotta alla materia  della  «protezione  civile»,  rispetto  alla
quale lo statuto speciale non  assegna  alcuna  specifica  competenza
alla Regione siciliana, cosicche', in virtu' dell'art. 10 della legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche  al  titolo  V  della
parte seconda della Costituzione),  deve  applicarsi  anche  ad  essa
quanto previsto dall'art. 117, terzo comma, Cost. L'art. 16, comma 1,
della legge regionale n. 16 del 2016, di conseguenza, nella parte  in
cui consente l'avvio dei lavori nelle zone sismiche in assenza  della
previa autorizzazione scritta del competente  ufficio  tecnico  della
Regione, contrasta con il principio fondamentale  espresso  dall'art.
94 del Testo unico dell'edilizia, secondo cui, nelle  zone  sismiche,
«l'autorizzazione  scritta  del  competente  ufficio  tecnico   della
Regione condiziona l'effettivo inizio di tutti i  lavori,  nel  senso
che  in  mancanza  di  essa  il   soggetto   interessato   non   puo'
intraprendere alcuna opera, pur se in possesso del prescritto  titolo
abilitativo  edilizio»  (sentenza  n.  272  del  2016).  Si   tratta,
peraltro, di un principio che «riveste una posizione  "fondante"  del
settore dell'ordinamento al quale pertiene, attesa la  rilevanza  del
bene  protetto»,  costituito  dall'incolumita'  pubblica,  che   «non
tollera alcuna differenziazione  collegata  ad  ambiti  territoriali»
(sentenza n. 272 del 2016). 
    Va,   pertanto,   dichiarata   l'illegittimita'    costituzionale
dell'art. 16, comma 1, della legge regionale n. 16 del 2016. 
    6.- Sulla base dei  medesimi  argomenti  e  in  riferimento  agli
stessi parametri, e',  infine,  promossa  questione  di  legittimita'
costituzionale nei confronti del comma 3 dello stesso art.  16  della
citata legge regionale, nella parte in cui stabilisce che  «[p]er  lo
snellimento  delle  procedure  di  denuncia  dei  progetti  ad   essi
relativi,  non  sono  assoggettati  alla  preventiva   autorizzazione
scritta del competente ufficio del Genio civile le  opere  minori  ai
fini  della  sicurezza  per  le  costruzioni  in  zona  sismica,  gli
interventi privi di rilevanza per la  pubblica  incolumita'  ai  fini
sismici e le varianti in corso d'opera, riguardanti parti strutturali
che  non  rivestono  carattere  sostanziale,  in  quanto  definiti  e
ricompresi in un apposito elenco approvato  con  deliberazione  della
Giunta regionale»  e  che  «[i]l  progetto  di  tali  interventi,  da
redigere secondo le norme del  D.M.  14  gennaio  2008  e  successive
modifiche ed integrazioni, e' depositato al  competente  ufficio  del
Genio civile prima del deposito presso il comune del  certificato  di
agibilita'». 
    Il ricorrente sostiene  che  tali  disposizioni  introducano  una
categoria di lavori  ("minori"  secondo  il  legislatore  siciliano),
sottratti    all'autorizzazione    scritta    preventiva,    estranei
all'orizzonte  della  disciplina  statale  e  quindi  in   violazione
dell'art. 117, terzo comma, Cost.,  in  quanto  in  contrasto  con  i
principi fondamentali della normativa statale vigente in  materia  di
protezione civile, desumibili dagli  artt.  94,  93  e  65  del  t.u.
edilizia, che impongono anche di dare comunicazione delle opere prima
del loro inizio. 
    6.1. - La questione e' fondata sulla base dei medesimi  argomenti
svolti nel paragrafo 5.1. 
    Anche in tal caso si tratta di  disposizioni  riconducibili  alla
materia della «protezione civile», di cui la necessita' della  previa
autorizzazione scritta costituisce principio fondamentale,  al  quale
sono  strettamente  e  strumentalmente  connessi  gli   obblighi   di
preventiva «[d]enuncia dei lavori e  presentazione  dei  progetti  di
costruzioni  in  zone  sismiche»,  nonche'  di  generale   preventiva
denuncia dei lavori allo sportello unico, di cui agli artt. 93  e  65
del medesimo t.u. edilizia. 
    Le  disposizioni  regionali   impugnate,   pertanto,   la'   dove
sottraggono alla autorizzazione scritta le "opere minori", escludendo
peraltro ogni  forma  di  comunicazione  dei  relativi  progetti,  si
pongono in contrasto  con  il  principio  fondamentale  della  previa
autorizzazione scritta, contemplato dall'art. 94 del  t.u.  edilizia,
in materia di «protezione civile»,  e  con  i  connessi  principi  di
previa comunicazione dei relativi progetti. 
    Con  riguardo  ad  analoghe  norme  regionali,  questa  Corte  ha
dichiarato che nessun rilievo riveste la  circostanza  che  la  norma
regionale esenterebbe dalla previa  autorizzazione  sismica  le  sole
opere   "minori",   rispetto   alle   quali    sarebbe    sufficiente
l'autocertificazione del tecnico sul  rispetto  della  disciplina  di
settore (sentenza n. 272 del 2016). Per un verso, gli interventi  sul
patrimonio  edilizio  esistente  (alcuni  dei  quali  possono   anche
presentare rilevante impatto edilizio) sono ricompresi  nell'ampio  e
trasversale concetto di opera  edilizia  rilevante  per  la  pubblica
incolumita' utilizzato dalla normativa statale (artt.  83  e  94  del
t.u. edilizia) con riguardo alle zone dichiarate sismiche, e ricadono
quindi nell'ambito di applicazione dello stesso art.  94.  Per  altro
verso, l'autorizzazione preventiva costituisce «uno strumento tecnico
idoneo  ad  assicurare  un  livello  di  protezione  dell'incolumita'
pubblica indubbiamente piu' forte e capillare» (sentenza n.  272  del
2016). 
    Deve, pertanto, essere dichiarata l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 16, comma 3, della legge regionale n. 16 del 2016. 
      
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 2,
lettera f), della legge della Regione siciliana 10 agosto 2016, n. 16
(Recepimento  del  Testo  Unico  delle  disposizioni  legislative   e
regolamentari  in  materia  edilizia  approvato   con   decreto   del
Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380),  nella  parte  in
cui consente di realizzare, senza alcun titolo abilitativo, tutti gli
interventi inerenti agli impianti ad energia rinnovabile di cui  agli
artt. 5 e 6 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n.  28  (Attuazione
della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia  da
fonti rinnovabili, recante modifica e  successiva  abrogazione  delle
direttive  2001/77/CE  e  2003/30/CE)  senza  fare  salvo  il  previo
espletamento della verifica di assoggettabilita' a VIA  sul  progetto
preliminare, qualora prevista; 
    2) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 14, commi 1
e 3, della legge della Regione siciliana n. 16 del 2016, nella  parte
in  cui,  rispettivamente,  prevedono  che  «[...]  il   responsabile
dell'abuso, o l'attuale proprietario dell'immobile, possono  ottenere
il permesso  in  sanatoria  se  l'intervento  risulti  conforme  alla
disciplina  urbanistica  ed  edilizia  vigente   al   momento   della
presentazione della domanda» (comma 1) e non anche a  quella  vigente
al momento della realizzazione dell'intervento; e nella parte in  cui
si pone «un meccanismo di  silenzio-assenso  che  discende  dal  mero
decorso del termine di novanta giorni» (comma 3) dalla  presentazione
dell'istanza al fine del rilascio del permesso in sanatoria; 
    3) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 16, commi 1
e 3, della legge della Regione siciliana n. 16 del 2016; 
    4)  dichiara   inammissibile   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 11,  comma  4,  della  legge  della  Regione
siciliana n. 16 del 2016,  promossa,  in  riferimento  all'art.  117,
secondo comma, lettera a), Cost. dal  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, con il ricorso indicato in epigrafe; 
    5)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 11,  comma  4,  della  legge  della  Regione
siciliana n. 16 del 2016,  promosse,  in  riferimento  all'art.  117,
primo e secondo comma, lettera s), Cost.,  in  relazione  all'art.  6
della direttiva 92/43/CEE (Direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del  21
maggio 1992, relativa alla Conservazione  degli  habitat  naturali  e
seminaturali e della flora e della fauna selvatiche), dal  Presidente
del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il giorno 26 settembre 2017. 
 
                                F.to: 
                      Paolo GROSSI, Presidente 
                     Silvana SCIARRA, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria l'8 novembre 2017. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA