N. 242 SENTENZA 24 ottobre - 20 novembre 2017

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Imposte  e  tasse  -   Agevolazioni   tributarie   previste   per   i
  finanziamenti a medio o lungo termine - Applicabilita' alle  banche
  e non anche agli intermediari finanziari. 
- Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973,  n.  601
  (Disciplina delle agevolazioni tributarie), art. 15, primo comma. 
-   
(GU n.47 del 22-11-2017 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Paolo GROSSI; 
Giudici :Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario
  MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria
  de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Augusto   Antonio   BARBERA,   Giulio
  PROSPERETTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  15  del
decreto del Presidente della Repubblica 29  settembre  1973,  n.  601
(Disciplina delle agevolazioni tributarie), promosso dalla  Corte  di
cassazione, sezioni unite, nel procedimento  vertente  tra  l'Agenzia
del  territorio  e  l'Agenzia  nazionale   per   l'attrazione   degli
investimenti e lo sviluppo d'impresa spa (gia' Sviluppo Italia  spa),
con ordinanza del 3 giugno 2015, iscritta  al  n.  335  del  registro
ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 2, prima serie speciale, dell'anno 2016. 
    Visti  l'atto  di   costituzione   dell'Agenzia   nazionale   per
l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa spa,  nonche'
l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  24  ottobre  2017  il  Giudice
relatore Aldo Carosi; 
    uditi l'avvocato Alessandro Trivoli per l'Agenzia  nazionale  per
l'attrazione  degli  investimenti  e  lo  sviluppo  d'impresa  spa  e
l'avvocato dello  Stato  Gianni  De  Bellis  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 3  giugno  2015  la  Corte  di  cassazione,
sezioni unite, ha sollevato questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 15 (recte: primo comma) del decreto  del  Presidente  della
Repubblica 29 settembre 1973, n. 601 (Disciplina  delle  agevolazioni
tributarie) - nella versione applicabile ratione temporis, in  vigore
anteriormente alle modifiche apportate dalla legge 24 dicembre  2007,
n. 244, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale
e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008)» - in  riferimento
agli artt. 3 e 41 della Costituzione,  nella  parte  in  cui  esclude
l'applicazione dell'agevolazione fiscale ivi prevista alle operazioni
relative ai finanziamenti a medio e lungo  termine  effettuate  dagli
intermediari finanziari. 
    Secondo la disposizione  censurata  «Le  operazioni  relative  ai
finanziamenti a medio e lungo termine e tutti i provvedimenti,  atti,
contratti e formalita' inerenti alle operazioni medesime,  alla  loro
esecuzione, modificazione ed estinzione, alle garanzie  di  qualunque
tipo da  chiunque  e  in  qualsiasi  momento  prestate  e  alle  loro
eventuali  surroghe,  sostituzioni,  postergazioni,  frazionamenti  e
cancellazioni anche parziali, ivi comprese  le  cessioni  di  credito
stipulate in relazione a tali finanziamenti, effettuate da aziende  e
istituti di credito e da loro sezioni o gestioni che  esercitano,  in
conformita' a disposizioni legislative, statutarie o  amministrative,
il credito a medio e  lungo  termine,  sono  esenti  dall'imposta  di
registro, dall'imposta di bollo, dalle imposte ipotecarie e catastali
e dalle tasse sulle concessioni governative». 
    1.1.- Il rimettente riferisce che, ai sensi del  citato  art.  15
del d.P.R. n. 601 del 1973, la societa' d'intermediazione finanziaria
Sviluppo Italia spa - ora Agenzia nazionale  per  l'attrazione  degli
investimenti  e  lo  sviluppo  d'impresa  spa   -   aveva   usufruito
dell'esenzione dall'imposta ipotecaria in relazione ad  un  atto  del
2003 concernente un mutuo  precedentemente  erogato.  Riscontrata  la
mancanza del requisito soggettivo previsto per godere del  beneficio,
l'Agenzia del territorio  aveva  provveduto  a  recuperare  l'imposta
mediante due avvisi di liquidazione,  avverso  i  quali  la  societa'
contribuente aveva  proposto  ricorso,  sostenendo  di  aver  diritto
all'esenzione  in   quanto   «intermediario   finanziario»   iscritto
nell'elenco all'epoca contemplato dall'art. 107, comma 1, del decreto
legislativo 1° settembre 1993, n. 385,  recante  «Testo  unico  delle
leggi in materia bancaria e creditizia»  (TUB),  e  quindi  abilitato
all'attivita' di concessione di  finanziamenti.  L'adita  Commissione
tributaria  provinciale  aveva  accolto  il  ricorso   con   sentenza
confermata in appello dalla Commissione tributaria regionale. Avverso
la decisione di quest'ultima l'Agenzia del territorio aveva  promosso
ricorso per  cassazione.  Con  ordinanza  interlocutoria  la  sezione
tributaria della Corte di cassazione aveva rimesso  al  vaglio  delle
sezioni unite la questione relativa all'applicabilita' del  beneficio
fiscale di cui  all'art.  15  del  d.P.R.  n.  601  del  1973  -  con
conseguente  assoggettamento  all'imposta  sostitutiva  prevista  dal
successivo art. 17 - alle  operazioni  relative  ai  finanziamenti  a
medio  e  lungo  termine  effettuate  dagli  intermediari  finanziari
abilitati alla relativa erogazione, rinvenendo  nella  giurisprudenza
di legittimita' due orientamenti tra loro inconciliabili. Il primo di
essi  esclude  che   il   trattamento   privilegiato   possa   essere
riconosciuto agli intermediari finanziari,  da  un  lato  perche'  la
norma lo riserverebbe esclusivamente  alle  «aziende  e  istituti  di
credito  e  [...]  loro  sezioni  o  gestioni»  e  ora  -  a  seguito
dell'evoluzione della disciplina di settore, di cui il rimettente da'
ampiamente conto  -  alle  «banche»  e,  dall'altro,  in  virtu'  del
principio generale per cui le disposizioni che,  come  nella  specie,
riconoscano agevolazioni e  benefici  fiscali  in  deroga  al  regime
ordinario,   in   quanto   eccezionali,    sarebbero    di    stretta
interpretazione  e  insuscettibili  di  applicazione  analogica.   Il
secondo  orientamento,  espresso  in  un'unica  occasione,  riconosce
l'applicabilita'   del   beneficio   attraverso    un'interpretazione
logico-sistematica e costituzionalmente orientata  dell'art.  15  del
d.P.R.  n.  601  del   1973,   ripercorrendo   l'evoluzione   storica
dell'attivita'  creditizia   -   aperta   anche   agli   intermediari
finanziari, cui l'art. 47 del TUB,  richiamato  dal  successivo  art.
107, comma 7 (ora dall'art.  110,  comma  1),  avrebbe  dischiuso  il
settore del  finanziamento  agevolato  in  piena  equiparazione  alle
banche, anche sul piano della disciplina fiscale  -  ed  ovviando  al
rischio di incoerenze, di dubbia legittimita'  costituzionale,  nella
disciplina di settore. 
    Il rimettente esclude di poter condividere la tesi ermeneutica da
ultimo citata. Anzitutto, nega che l'art. 47  del  TUB  possa  essere
interpretato  nel  senso  propugnato  dall'orientamento  minoritario,
atteso che esso riguarderebbe i soli «finanziamenti agevolati» - vale
a  dire  finalizzati  alla  realizzazione  di  scopi  di  particolare
rilevanza - e il relativo regime, con la conseguenza che il rinvio  a
tale norma disposto  dall'art.  107  (ora  dall'art.  110)  del  TUB,
nell'aprire agli intermediari finanziari il settore dei finanziamenti
agevolati, estenderebbe loro  solo  l'applicazione  della  disciplina
fiscale, tariffaria e procedimentale  a  essi  relativa.  In  secondo
luogo, le sezioni unite della  Corte  di  cassazione  ribadiscono  il
principio per il quale le disposizioni fiscali di  agevolazione  sono
di "stretta interpretazione", ossia inapplicabili a casi o situazioni
non riconducibili al significato letterale del testo normativo.  Cio'
in virtu' sia dell'art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale
premesse al codice civile, trattandosi di deroghe al regime fiscale e
al criterio,  cui  esso  si  informa,  di  correlazione  tra  obbligo
tributario e  capacita'  contributiva  (art.  53  Cost.),  sia  della
circostanza  che   l'ambito   dell'imposizione   e'   tracciato   dal
legislatore -  in  positivo  e,  simmetricamente,  in  negativo  -  a
salvaguardia dell'equilibrio tra gli interessi che si  contrappongono
nel rapporto tributario, ossia la garanzia dei contribuenti (art.  23
Cost.) e le  esigenze  di  bilancio  dell'ente  impositore  (art.  81
Cost.). Di qui l'impossibilita' di un'integrazione  interpretativa  -
ma in ottica non difforme  da  quella  propria  dell'analogia  -  che
trascenda i confini semantici del  dato  normativo  letterale,  quale
sarebbe quella di riportare alla  nozione  di  «banca»,  testualmente
riferibile all'art.  15  del  d.P.R.  n.  601  del  1973,  quella  di
«intermediario  finanziario»,  ontologicamente   eterogenea   e   non
pienamente coincidente sul piano dell'operativita'. Tale  conclusione
troverebbe conforto nel rilievo che, quando il legislatore ha  inteso
estendere l'applicazione dell'agevolazione a situazioni esulanti  dal
dato letterale, vi ha provveduto esplicitamente, come accaduto per le
operazioni di mutuo relative  all'acquisto  di  abitazioni  poste  in
essere da enti, istituti, fondi e casse previdenziali  nei  confronti
dei  propri  dipendenti  e  iscritti  (art.  2,  comma   1-bis,   del
decreto-legge 3 agosto 2004, n. 220, recante «Disposizioni urgenti in
materia di personale del Centro  nazionale  per  l'informatica  nella
pubblica amministrazione (CNIPA), di applicazione delle  imposte  sui
mutui e di agevolazioni per imprese danneggiate da eventi alluvionali
nonche' di personale di pubbliche amministrazioni, di differimento di
termini, di gestione commissariale della associazione italiana  della
Croce Rossa e  di  disciplina  tributaria  concernente  taluni  fondi
immobiliari», convertito, con modificazioni, dalla legge  19  ottobre
2004, n. 257) e per le operazioni di finanziamento  realizzate  dalla
Cassa depositi e prestiti spa (art. 1, comma 32, della legge  n.  244
del 2007). 
    1.2.- Tanto  premesso,  il  rimettente,  anche  alla  luce  delle
considerazioni svolte dalla giurisprudenza non condivisa, ritiene che
l'art. 15  del  d.P.R.  n.  601  del  1973,  interpretato  nel  senso
dell'inapplicabilita' dell'agevolazione agli intermediari finanziari,
violi gli artt. 3 e 41 Cost. 
    Infatti, sebbene morfologicamente e funzionalmente non pienamente
assimilabili alle banche - essendo abilitati solo alla  raccolta  del
«risparmio di rischio» e non  del  risparmio  pubblico  «a  vista»  o
«rimborsabile», cioe' con obbligo di restituzione - gli  intermediari
finanziari,  con  riguardo  all'attivita'  considerata  dalla   norma
censurata, opererebbero con le  medesime  modalita'  e  nello  stesso
mercato degli operatori bancari. Con la conseguenza  che  il  diverso
trattamento provocherebbe un effetto distorsivo sulla concorrenza per
il vantaggio derivante alle  banche  dal  minor  costo  del  prodotto
offerto non per specifici meriti imprenditoriali ma  per  una  scelta
fiscale che non troverebbe giustificazione nelle differenze sul piano
della  costituzione  della   provvista   che   alimenta   l'attivita'
creditizia. Di qui  la  violazione  della  liberta'  di  concorrenza,
coessenziale  alla  liberta'  di   iniziativa   economica   garantita
dall'art.   41   Cost.,   e   dell'art.   3    Cost.    in    ragione
dell'ingiustificata   discriminazione    realizzata    dalla    norma
agevolativa che la consentirebbe. 
    1.3.-  Dopo  aver  escluso  di  poter  definire   altrimenti   la
controversia, il rimettente osserva che, una volta condivisa la  tesi
ermeneutica restrittiva, l'agevolazione  prevista  dall'art.  15  del
d.P.R. n. 601 del 1973 potrebbe essere applicata alla fattispecie  al
suo  esame  solo  in  esito  alla  declaratoria   di   illegittimita'
costituzionale della norma nei termini richiesti, onde  la  rilevanza
della questione. 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  che  la   questione   sollevata   sia   dichiarata
manifestamente infondata. 
    Ad avviso della difesa erariale, banche e intermediari finanziari
costituirebbero  soggetti  non   equiparabili,   in   ragione   delle
differenze  morfologiche  e  funzionali  riconosciute  dallo   stesso
rimettente,  con  la  conseguenza  di   impedire   il   giudizio   di
equiparazione ai sensi dell'art. 3 Cost. 
    La limitazione dell'agevolazione di cui all'art. 15 del d.P.R. n.
601 del 1973 alle sole banche troverebbe  giustificazione  nel  fatto
che solo a esse, e non anche agli  intermediari  finanziari,  sarebbe
concesso di operare la raccolta del risparmio pubblico,  direttamente
tutelato dall'art. 47, primo comma, Cost. Proprio  tale  esigenza  di
tutela fonderebbe quell'effetto ritenuto distorsivo della concorrenza
dal rimettente, con conseguente esclusione del contrasto  con  l'art.
41 Cost. 
    3.-  Si  e'  costituita  in  giudizio   Agenzia   nazionale   per
l'attrazione degli investimenti e lo  sviluppo  d'impresa  spa  (gia'
Sviluppo  Italia  spa),  parte  nel  giudizio  principale,  chiedendo
l'accoglimento  della  questione   di   legittimita'   costituzionale
sollevata o, in subordine, l'adozione di una pronuncia interpretativa
di rigetto. 
    A suo avviso, la ratio  dell'agevolazione  prevista  dalla  norma
censurata  andrebbe  individuata  nel  favore  che   il   legislatore
intenderebbe accordare agli investimenti produttivi, nella previsione
che  essi  possano  creare  nuova   ricchezza,   sulla   quale   piu'
adeguatamente applicare  il  prelievo  fiscale.  Poiche'  tale  ratio
sarebbe condivisa anche dai finanziamenti a  medio  e  lungo  termine
offerti dagli intermediari finanziari, non  sussisterebbero  ostacoli
all'estensione   del   beneficio   in   considerazione,   pena    una
discriminazione che non troverebbe ragionevole giustificazione  negli
elementi  di  diversita'  rispetto  alle  banche  e  uno   svantaggio
competitivo  che  pregiudicherebbe   l'assetto   concorrenziale   del
mercato, con conseguente vulnus, rispettivamente, agli artt. 3  e  41
Cost. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Corte di cassazione, sezioni unite, ha sollevato questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 15 (recte: primo comma)  del
decreto del Presidente della Repubblica 29  settembre  1973,  n.  601
(Disciplina  delle  agevolazioni   tributarie)   -   nella   versione
applicabile ratione temporis, in vigore anteriormente alle  modifiche
apportate dalla legge 24 dicembre 2007, n. 244, recante «Disposizioni
per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale  dello  Stato
(legge finanziaria 2008)» - in riferimento agli artt. 3  e  41  della
Costituzione. 
    La disposizione censurata esenta dalle imposte  di  registro,  di
bollo,  ipotecarie  e  catastali  e  dalle  tasse  sulle  concessioni
governative le operazioni relative ai finanziamenti a medio  e  lungo
termine effettuate da aziende e istituti di credito e da loro sezioni
o gestioni. 
    Ad avviso delle sezioni unite, il regime tributario in  questione
non  sarebbe  applicabile  agli  intermediari  finanziari,  alla  cui
categoria appartiene il contribuente parte del giudizio principale. A
tale conclusione le sezioni unite pervengono dirimendo  il  contrasto
insorto in seno alla  sezione  tributaria  della  medesima  Corte  di
cassazione  tra   due   orientamenti.   Quello   prevalente   esclude
l'applicabilita'  del  trattamento  privilegiato  agli   intermediari
finanziari,  in  quanto  riservato  esclusivamente  alle  «banche»  a
seguito dell'evoluzione  della  disciplina  di  settore,  nonche'  in
virtu' del principio generale per cui le disposizioni eccezionali che
riconoscano benefici fiscali in deroga al regime ordinario  sarebbero
di  stretta  interpretazione   e   insuscettibili   di   applicazione
analogica. Il contrario orientamento, espresso in un'unica occasione,
estende  il  trattamento  di  favore  agli  intermediari   finanziari
attraverso un'interpretazione logico-sistematica. 
    Pur  escludendo  di  poter  condividere   la   tesi   ermeneutica
minoritaria, il giudice a quo ritiene che l'art. 15 del d.P.R. n. 601
del 1973, interpretato in senso restrittivo, violi gli artt. 3  e  41
Cost.  Sebbene  morfologicamente  e  funzionalmente  non  del   tutto
assimilabili alle banche - essendo abilitati solo alla  raccolta  del
«risparmio  di  rischio»  e  non  anche  di  quello   «a   vista»   o
«rimborsabile»  -   gli   intermediari   finanziari,   con   riguardo
all'attivita' considerata dalla norma censurata,  agirebbero  con  le
medesime modalita' e nello stesso mercato  degli  operatori  bancari.
Con la conseguenza che il diverso trattamento normativo provocherebbe
un effetto distorsivo sulla concorrenza per  il  vantaggio  derivante
alle banche dal minor costo del prodotto offerto. Cio' non in ragione
della specificita' imprenditoriale ma per una scelta fiscale, che non
troverebbe   giustificazione   nelle   differenze    inerenti    alla
costituzione della provvista che alimenta l'attivita' creditizia.  Di
qui la violazione della liberta' di concorrenza,  riconducibile  alla
liberta' di iniziativa economica  garantita  dall'art.  41  Cost.,  e
dell'art. 3 Cost. 
    E' intervenuto  in  giudizio  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  chiedendo  che  la  questione  sollevata  sia   dichiarata
manifestamente infondata. Ad avviso della difesa erariale,  banche  e
intermediari  finanziari   non   sarebbero   assimilabili,   con   la
conseguenza di rendere impossibile il giudizio  di  equiparazione  ai
sensi dell'art. 3 Cost. 
    La  limitazione  dell'agevolazione  ai  soli   soggetti   bancari
troverebbe giustificazione nel fatto che  soltanto  ad  essi,  e  non
anche agli intermediari finanziari, sarebbe concesso  di  operare  la
raccolta del risparmio pubblico, direttamente tutelato dall'art.  47,
primo  comma,  Cost.  Proprio  tale  esigenza  di  tutela  fonderebbe
quell'effetto, ritenuto distorsivo della concorrenza dal  rimettente,
con conseguente esclusione del contrasto con l'art. 41 Cost. 
    2.- La questione di legittimita' dell'art. 15, primo  comma,  del
d.P.R. n. 601 del 1973, nella versione in vigore  anteriormente  alle
modifiche apportate dalla legge  n.  244  del  2007,  e'  fondata  in
riferimento a entrambi i parametri evocati. 
    Secondo la disposizione  censurata  «Le  operazioni  relative  ai
finanziamenti a medio e lungo termine e tutti i provvedimenti,  atti,
contratti e formalita' inerenti alle operazioni medesime,  alla  loro
esecuzione, modificazione ed estinzione, alle garanzie  di  qualunque
tipo da  chiunque  e  in  qualsiasi  momento  prestate  e  alle  loro
eventuali  surroghe,  sostituzioni,  postergazioni,  frazionamenti  e
cancellazioni anche parziali, ivi comprese  le  cessioni  di  credito
stipulate in relazione a tali finanziamenti, effettuate da aziende  e
istituti di credito e da loro sezioni o gestioni che  esercitano,  in
conformita' a disposizioni legislative, statutarie o  amministrative,
il credito a medio e  lungo  termine,  sono  esenti  dall'imposta  di
registro, dall'imposta di bollo, dalle imposte ipotecarie e catastali
e dalle tasse sulle concessioni governative». 
    In luogo dei tributi da ultimo menzionati il successivo  art.  17
prevede il pagamento di un'imposta sostitutiva - in seguito  divenuta
opzionale per effetto delle  modifiche  apportate  alla  disposizione
dall'art. 12, comma 4, lettera  b),  del  decreto-legge  23  dicembre
2013, n. 145 (Interventi urgenti di  avvio  del  piano  "Destinazione
Italia", per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas,  per
l'internazionalizzazione, lo sviluppo  e  la  digitalizzazione  delle
imprese, nonche' misure per la realizzazione di  opere  pubbliche  ed
EXPO 2015), convertito, con modificazioni, dalla  legge  21  febbraio
2014, n. 9 - secondo quanto previsto dagli  artt.  da  18  a  20  del
medesimo d.P.R. n. 601 del 1973. 
    Il rimettente muove dal presupposto  ermeneutico  che  il  regime
tributario previsto dalla disposizione  censurata  si  applichi  alle
sole banche, con esclusione, pertanto, degli intermediari finanziari. 
    Correttamente egli  argomenta  che  tale  interpretazione  si  e'
consolidata in diritto vivente poiche' - a parte la  pronunzia  della
Corte di cassazione, quarta sezione civile, sentenza 12  marzo  2014,
n. 5697 - il giudice della legittimita'  ha  costantemente  affermato
che l'agevolazione  in  esame  riguarda  le  sole  banche  (Corte  di
cassazione, prima sezione civile, sentenza 28 novembre 1984, n.  6183
e sentenza 23 maggio 1986,  n.  3454;  Corte  di  cassazione,  quinta
sezione civile, sentenza 9 marzo 2011, n. 5570; Corte di  cassazione,
quinta sezione civile, ordinanza 20 aprile 2012, n. 6234  e  sentenza
12 marzo 2014, n. 5697), soluzione  condivisa  dalle  stesse  sezioni
unite rimettenti. 
    Ritenendo di non potersi discostare da tale  indirizzo  esegetico
ma dubitando della conformita' a Costituzione della norma  in  esame,
il giudice a quo sottopone la stessa a scrutinio di costituzionalita'
(in senso conforme, ex plurimis, sentenza n. 191 del 2016). 
    2.1.- Tanto premesso, nell'esame delle censure  rivolte  all'art.
15, primo comma, del d.P.R. n. 601 del 1973, in riferimento  all'art.
3 Cost., occorre prendere le mosse  dalla  natura  agevolativa  della
norma  censurata.  La  limitazione  agli  istituti  bancari   esclude
automaticamente la sua applicabilita' ad altri  soggetti  in  quanto,
oltre agli espressi destinatari, nessun  altro  e'  riconducibile  al
significato letterale del testo normativo (Corte di cassazione, sesta
sezione  civile,  ordinanza  19  marzo  2014,  n.  6412;   Corte   di
cassazione, quinta sezione civile, sentenza 24 maggio 2013, n. 12928,
ordinanza 20 aprile 2012, n. 6234, sentenza 5 maggio 2011, n. 9903  e
sentenza 11 marzo 2011, n. 5845). 
    E' costante orientamento di questa Corte che «norme di tale tipo,
aventi carattere eccezionale e derogatorio,  costituiscono  esercizio
di un potere discrezionale del legislatore, censurabile solo  per  la
sua eventuale palese arbitrarieta' o irrazionalita' (sentenza n.  292
del 1987; ordinanza n. 174 del 2001); con la conseguenza che la Corte
stessa non puo' estenderne l'ambito di applicazione, se non quando lo
esiga la ratio dei benefici medesimi» (sentenza n. 177 del 2017). 
    Nella fattispecie in  esame,  tuttavia,  le  situazioni  messe  a
confronto dal rimettente appaiono  effettivamente  rispondere  a  una
medesima ratio. Questa va rinvenuta nel  favore  che  il  legislatore
accorda agli investimenti produttivi, in ragione del fatto  che  essi
possono creare nuova ricchezza accrescendo, tra l'altro, il  prelievo
fiscale (ex multis,  Corte  di  cassazione,  sezione  quinta  civile,
sentenza 16 gennaio 2015, n. 695). Viene dunque in rilievo l'elemento
oggettivo  comune  ad  entrambe  le  situazioni  messe  a  confronto,
rappresentato dai finanziamenti a medio e lungo termine. 
    Cio' comporta l'irrilevanza della diversa natura dei soggetti che
pongono in essere tali attivita' poiche', siano essi le banche o  gli
intermediari finanziari - a cio' abilitati dall'art.  106,  comma  1,
del decreto legislativo 1° settembre 1993,  n.  385,  recante  «Testo
unico delle leggi in materia bancaria e creditizia» (TUB) -, non v'e'
ragione per cui gli investimenti  produttivi  siano  discriminati  in
relazione al soggetto finanziante. 
    Se nel momento  dell'introduzione  della  disposizione  censurata
«aziende e istituti di credito», antesignani  delle  odierne  banche,
erano gli unici soggetti attivi sulla scena dei finanziamenti a medio
e lungo termine, attualmente, in  un  contesto  di  pluralita'  degli
operatori abilitati, l'esclusione degli intermediari non  trova  piu'
ragionevole giustificazione. 
    Ne' si puo'  condividere  l'argomento  sostenuto  dall'Avvocatura
dello Stato, che si fonda sulla esclusiva competenza delle  banche  a
raccogliere il risparmio, la cui  tutela,  assicurata  dall'art.  47,
primo  comma,  Cost.,  spiegherebbe  il  diverso   trattamento   loro
riservato dalla norma censurata. 
    La tesi collide con la giurisprudenza di  questa  Corte,  secondo
cui occorre identificare la  ratio  sottesa  al  beneficio  onde  poi
stabilire se sia comune ad entrambe le fattispecie messe a confronto.
Poiche' nel caso in esame essa afferisce al  profilo  dell'erogazione
del credito e non a quello della predisposizione della provvista,  e'
irrilevante la modalita' di apprestamento di quest'ultima, venendo in
rilievo solo il momento del finanziamento. 
    2.2.- Dirimente nel caso in  esame  e'  anche  il  profilo  della
tutela della concorrenza. 
    La discriminazione  nel  conferimento  dell'agevolazione  fiscale
pone obiettivamente in essere un'irragionevole e immotivata deroga al
principio di eguaglianza e una contestuale  violazione  dell'art.  41
Cost. sotto il profilo  della  liberta'  di  concorrenza,  una  delle
manifestazioni  della   liberta'   d'iniziativa   economica   privata
(sentenza n. 94 del 2013). 
    Peraltro, anche il nono "considerando" della direttiva  15  marzo
1993, n. 93/6/CEE (Direttiva del Consiglio  relativa  all'adeguatezza
patrimoniale delle imprese di investimento e degli  enti  creditizi),
afferma che «in un mercato comune finanziario gli enti, a prescindere
dal fatto che siano imprese di investimento o  enti  creditizi,  sono
direttamente concorrenti tra di loro». 
    Essendo di palmare evidenza la coincidenza oggettiva dei prodotti
offerti,  l'esclusivita'  del  beneficio  fiscale   attribuito   alle
operazioni di finanziamento poste in essere dalle banche costituisce,
dunque, una discriminazione a danno degli intermediari  finanziari  e
una distorsione della concorrenza nello specifico settore. 
    Tale beneficio assicura  ai  prodotti  offerti  dalle  banche  un
indebito vantaggio, in termini di appetibilita' finanziaria, rispetto
a quelli degli intermediari, che risultano gravati da maggiori  oneri
fiscali inevitabilmente ricadenti sul cliente e - per cio'  stesso  -
influenzanti le sue scelte. 
    3.- Deve essere dunque dichiarata l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 15, primo comma, del d.P.R. n. 601 del 1973, nella versione
in vigore al momento dell'insorgere della controversia del giudizio a
quo, per contrasto con gli artt. 3 e 41 Cost.,  nella  parte  in  cui
esclude l'applicabilita' dell'agevolazione fiscale ivi prevista  alle
analoghe operazioni effettuate dagli intermediari finanziari. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  15,  primo
comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973,
n. 601 (Disciplina delle agevolazioni tributarie) - nella versione in
vigore anteriormente alle modifiche apportate dalla legge 24 dicembre
2007, n. 244, recante «Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008)»  -  nella
parte in cui esclude l'applicabilita' dell'agevolazione  fiscale  ivi
prevista  alle  analoghe  operazioni  effettuate  dagli  intermediari
finanziari. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 ottobre 2017. 
 
                                F.to: 
                      Paolo GROSSI, Presidente 
                       Aldo CAROSI, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 20 novembre 2017. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA