N. 265 SENTENZA 22 novembre - 13 dicembre 2017

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Delitto di crollo di costruzioni o altro disastro colposo - Raddoppio
  del termine prescrizionale. 
- Codice penale, art. 157, sesto comma, come sostituito  dall'art.  6
  della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice  penale  e
  alla legge 26  luglio  1975,  n.  354,  in  materia  di  attenuanti
  generiche,  di  recidiva,  di  giudizio   di   comparazione   delle
  circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione). 
-   
(GU n.51 del 20-12-2017 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Paolo GROSSI; 
Giudici :Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario
  MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria
  de PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio  BARBERA,
  Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art.  157,  sesto
comma, del codice penale, promossi  dalla  Corte  di  cassazione  con
ordinanza del 29 aprile 2015, dal Tribunale ordinario di Velletri con
ordinanza del 19 novembre 2015, dal Tribunale ordinario di Torino con
ordinanza del 22 giugno 2015, dal  Giudice  dell'udienza  preliminare
del Tribunale ordinario di Larino con ordinanza del 21 luglio 2016  e
dal Tribunale ordinario di Torino con ordinanza del 7 novembre  2016,
iscritte rispettivamente al n. 237 del registro  ordinanze  2015,  ai
nn. 32, 53 e 241 del registro ordinanze 2016 e al n. 103 del registro
ordinanze 2017 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 46, prima serie speciale, dell'anno 2015, nn. 9, 12  e  48,  prima
serie speciale,  dell'anno  2016  e  n.  34,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2017. 
    Visti gli atti di costituzione di G. R. e di G. Z.,  nonche'  gli
atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 21 novembre 2017 e  nella  camera
di consiglio del 22 novembre 2017 il Giudice relatore Franco Modugno; 
    uditi gli avvocati Fulvio Simoni per G. R., Tullio  Padovani  per
G. Z. e l'avvocato dello Stato Massimo Giannuzzi  per  il  Presidente
del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 29 aprile 2015 (r.o. n. 237 del  2015),  la
Corte  di  cassazione,  quarta  sezione  penale,  ha  sollevato,   in
riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di  legittimita'
costituzionale dell'art. 157, sesto comma, del  codice  penale,  come
sostituito dall'art. 6 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche
al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in  materia  di
attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione  delle
circostanze di reato per i recidivi, di  usura  e  di  prescrizione),
nella parte in cui prevede che il termine di prescrizione  del  reato
di «disastro colposo», di cui all'art. 449, in relazione all'art. 434
cod. pen., e' raddoppiato. 
    1.1.- La Corte  rimettente  riferisce  di  essere  investita  del
ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale
ordinario di Sassari avverso la sentenza del Giudice per le  indagini
preliminari del medesimo  Tribunale  del  6  marzo  2014,  che  aveva
dichiarato non doversi procedere nei  confronti  degli  imputati  per
essere i reati loro contestati estinti per prescrizione. 
    Secondo il ricorrente,  mentre  per  alcuni  reati  la  decisione
sarebbe corretta, per il delitto di cui agli artt.  434  e  449  cod.
pen., indicato nel  capo  h)  dell'imputazione,  il  giudice  avrebbe
errato nel ritenere non applicabile la  disposizione  concernente  il
raddoppio dei termini di prescrizione, di  cui  all'art.  157,  sesto
comma, cod. pen., come sostituito dall'art. 6 della legge n. 251  del
2005. Tale legge e' entrata, infatti, in vigore l'8 dicembre 2005,  e
non nel 2008, come ritenuto nella sentenza impugnata. 
    Il ricorso - ad avviso della Corte rimettente - sarebbe  fondato,
essendo, in effetti, la legge n. 251 del 2005 gia' vigente alla  data
di commissione  del  delitto  in  questione,  indicato  nel  capo  di
imputazione come realizzato «fino al maggio 2006». 
    La novella del 2005 ha  profondamente  modificato  la  disciplina
della prescrizione, stabilendo che essa estingua il reato decorso  il
tempo corrispondente al massimo della pena edittale  stabilita  dalla
legge e, comunque sia, un tempo non inferiore a sei anni se si tratta
di delitto  e  a  quattro  anni  se  si  tratta  di  contravvenzione,
ancorche' puniti con la sola pena pecuniaria (art. 157, primo  comma,
cod. pen., come novellato). In deroga a tale previsione, tuttavia, il
sesto comma dello stesso art.  157  cod.  pen.  stabilisce  che,  per
alcuni reati, il termine di prescrizione risultante dall'applicazione
delle regole ordinarie e' raddoppiato. 
    Tra i reati coinvolti nel regime  del  raddoppio  figurano  anche
quelli previsti dall'art. 449 cod. pen., che al primo  comma  punisce
con la reclusione da uno a cinque anni chiunque «cagiona per colpa un
incendio o un altro disastro  preveduto  dal  capo  primo  di  questo
titolo». Di conseguenza, i reati in parola - che in base alla  regola
generale dell'art. 157, primo comma, cod. pen. si prescriverebbero in
sei anni - risultano assoggettati a un termine prescrizionale di anni
dodici, aumentabile di un quarto, ai  sensi  dell'art.  161,  secondo
comma, cod. pen., nel caso di intervento di atti interruttivi. 
    La sentenza impugnata dovrebbe essere, di conseguenza, annullata,
limitatamente alla statuizione relativa al reato in questione. 
    La  Corte  rimettente  dubita,   tuttavia,   della   legittimita'
costituzionale dell'art. 157, sesto comma, cod. pen., nella parte  in
cui prevede il raddoppio del termine prescrizionale  del  delitto  di
«disastro colposo», di cui al combinato disposto degli  artt.  449  e
434 cod. pen. 
    La  questione  sarebbe  rilevante,  giacche',  in  caso  di   suo
accoglimento, il reato per cui si procede risulterebbe  gia'  estinto
per prescrizione prima della sentenza impugnata. 
    Quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo  osserva
che, in base alla regola generale posta dall'art. 157,  primo  comma,
cod. pen., il  reato  di  disastro  doloso  previsto  dall'art.  434,
secondo comma,  cod.  pen.,  in  quanto  punito  con  la  pena  della
reclusione da tre a dodici anni, si  prescrive  in  dodici  anni.  E'
questa la fattispecie dolosa corrispondente a quella colposa  oggetto
del giudizio a quo, nel quale  si  contesta  agli  imputati  di  aver
cagionato  per  colpa  «un  disastro  ambientale,  consistito   nella
immissione in ambiente delle sostanze pericolose indicate nel capo di
imputazione». Diversamente che per l'ipotesi dolosa - nella quale  il
reato resta integrato, ai sensi del primo comma  dell'art.  434  cod.
pen.,  nel  momento  in  cui  sorge  un  pericolo  per  la   pubblica
incolumita', mentre la verificazione del disastro vale a  configurare
la fattispecie aggravata prevista  dal  secondo  comma  dello  stesso
articolo - per la configurabilita' del delitto colposo e' necessario,
ai sensi dell'art. 449 cod. pen., che l'evento si verifichi. 
    Il termine prescrizionale relativo al disastro  colposo  risulta,
quindi, uguale a quello previsto per il disastro doloso, nel caso  in
cui l'evento si sia verificato. 
    Tale assetto risulterebbe di dubbia compatibilita' con i principi
di uguaglianza e di ragionevolezza sanciti dall'art. 3 Cost. 
    La Corte costituzionale, con la sentenza n. 143 del 2014, ha gia'
dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art.  157,  sesto  comma,
cod. pen., nella parte in cui prevede il  raddoppio  del  termine  di
prescrizione  del  delitto  di  incendio  colposo   (art.   449,   in
riferimento all'art. 423 cod. pen.).  Con  riguardo  a  tale  ipotesi
criminosa, la norma censurata determinava, infatti, una  anomalia  di
ordine  sistematico,  rendendo  il   termine   prescrizionale   della
fattispecie   colposa   addirittura   superiore   a   quello    della
corrispondente figura dolosa, identica sul piano oggettivo. 
    Secondo la Corte rimettente, anche rispetto al delitto  in  esame
la norma denunciata produrrebbe effetti  collidenti  con  i  principi
costituzionali evocati. Risulterebbe, infatti, «scardinata  la  scala
della complessiva gravita' delle due  fattispecie  criminose,  atteso
che l'ipotesi di disastro colposo (ex artt. 449  e  434  cod.  pen.),
meno grave, punita [...] con la pena edittale da uno a  cinque  anni,
viene a prescriversi nel medesimo tempo occorrente per la piu'  grave
ipotesi dolosa, di cui all'art. 434, comma 2, cod. pen.,  punita  con
la reclusione da tre a dodici anni». 
    Non  sarebbe  possibile,  d'altra   parte,   estendere   in   via
interpretativa il «portato demolitorio» della  sentenza  n.  143  del
2014 ad altri disastri colposi, posto che  detta  pronuncia  si  basa
specificamente sull'analisi comparativa delle  cornici  edittali  dei
reati di incendio, colposo e doloso. 
    1.2.- E' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo,  anche  con  successiva  memoria,  che  la  questione  sia
dichiarata non fondata. 
    Secondo l'Avvocatura generale dello  Stato,  l'equiparazione  dei
termini di prescrizione del delitto di disastro, tanto colposo quanto
doloso, lungi dal  determinare  una  irragionevole  sperequazione  di
trattamento, quale quella stigmatizzata dalla  sentenza  n.  143  del
2014 - concernente  la  diversa  fattispecie  dell'incendio  colposo,
sottoposta ad un termine  di  prescrizione  quasi  doppio  di  quello
valevole per l'incendio doloso - sarebbe giustificata  dal  crescente
allarme sociale generato dai delitti  colposi  di  danno  ambientale,
oltre  che  da  ragioni  di   ordine   probatorio,   collegate   alla
complessita' delle indagini e degli accertamenti tecnici necessari ai
fini  del  riconoscimento  della  colpa  in  tutti  i  suoi  elementi
costitutivi. 
    Si  sarebbe,  quindi,  al  cospetto  di  una  scelta  fondata  su
valutazioni discrezionali del legislatore, non censurabili in sede di
sindacato di legittimita' costituzionale. 
    1.3.- Si e' costituito G. R., imputato nel  giudizio  a  quo,  il
quale ha chiesto l'accoglimento della questione. 
    La parte privata sottolinea l'irragionevolezza dell'equiparazione
dei termini di prescrizione di fattispecie  criminose  che,  se  pure
identiche quanto a condotta ed  evento,  risultano  connotate  da  un
disvalore  marcatamente  differenziato  in  ragione   della   diversa
componente psicologica, come  attesta  il  profondo  divario  tra  le
rispettive pene edittali. Posto che, alla luce  della  giurisprudenza
costituzionale, la prescrizione costituisce un  istituto  di  diritto
sostanziale, attinente al trattamento sanzionatorio complessivo degli
illeciti  penali,  l'allineamento  dei  termini  prescrizionali   dei
delitti in discorso infrangerebbe il basilare principio che impone di
reprimere piu' severamente i  fatti  commessi  con  dolo  rispetto  a
quelli realizzati per semplice colpa. 
    Al riguardo, sarebbe significativo il raffronto con la disciplina
antecedente alla legge n. 251 del 2005, che individuava i termini  di
prescrizione correlandoli a "fasce di reati" di gravita' decrescente.
In tale cornice, alla maggiore gravita' del disastro  doloso  di  cui
all'art.  434,  secondo  comma,  cod.   pen.   faceva   correttamente
riscontro, ai sensi del previgente art. 157, primo comma, numero  2),
cod. pen., un termine di prescrizione di  quindici  anni,  largamente
superiore a quello di  dieci  anni  applicabile  alla  corrispondente
fattispecie colposa in forza del numero 3) dello stesso articolo. 
    Analogamente a quanto ritenuto dalla Corte costituzionale con  la
sentenza n. 143 del 2014 riguardo all'incendio, la scelta legislativa
censurata non potrebbe trovare giustificazione ne' in  considerazioni
legate al grado di allarme  sociale,  essendo  insostenibile  che  un
disastro causato  per  colpa  "resista  all'oblio",  nella  coscienza
sociale, tanto quanto lo stesso  disastro  causato  intenzionalmente;
ne' nella complessita' degli oneri probatori che gravano sull'accusa,
la quale risulterebbe maggiore in rapporto alla  fattispecie  dolosa,
non  solo  sotto  il   profilo   dell'individuazione   dei   soggetti
responsabili, ma anche sotto quello della dimostrazione dell'elemento
psicologico. 
    1.4.- La parte privata ha  depositato  memoria,  nella  quale  ha
ulteriormente rilevato come la disciplina della prescrizione  sia  da
sempre ispirata al criterio  della  correlazione  tra  disvalore  del
reato  e   tempo   necessario   a   prescrivere.   Detta   disciplina
rappresenterebbe,  dunque,   una   proiezione   sul   terreno   della
punibilita' del principio - di rango costituzionale -  di  necessaria
proporzionalita'  fra  la  gravita'  del  reato  e  l'entita'   della
sanzione: proporzionalita' che sarebbe stata «scardinata» dalla legge
n. 251 del 2005 in rapporto al delitto in esame, obliterando il  dato
elementare per cui  il  dolo  rappresenta  la  forma  piu'  grave  di
colpevolezza. 
    2.- Con ordinanza del 19 novembre 2015 (r.o. n. 32 del 2016),  il
Tribunale ordinario di Velletri ha sollevato, in riferimento all'art.
3 Cost., questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  157,
sesto comma, cod. pen., «nella parte in cui stabilisce  il  raddoppio
dei termini di prescrizione per il reato di disastro colposo ex  art.
449 c.p. in relazione alla fattispecie dolosa di  cui  all'art.  434,
comma 2, c.p.». 
    2.1.- Il rimettente riferisce di essere  investito  del  processo
penale nei confronti di quattro persone, imputate del delitto di  cui
agli artt. 449, primo comma, e 434 cod. pen., per avere cagionato con
colpa, tramite condotte omissive contrastanti  con  gli  obblighi  di
garanzia connessi alle funzioni da esse  rispettivamente  svolte,  un
disastro ambientale, facendo si'  che  siti  della  Valle  del  Sacco
destinati ad insediamenti abitativi, agricoli e  ad  allevamento  del
bestiame venissero contaminati con agenti inquinanti e nocivi per  la
salute. 
    Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza  della  questione,  il
giudice a quo rileva come la norma censurata sia gia'  stata  oggetto
di declaratoria di illegittimita' costituzionale  parziale  ad  opera
della sentenza n. 143 del 2014,  sia  pure  con  riferimento  ad  una
ipotesi  -  quella   dell'incendio   -   nella   quale   il   termine
prescrizionale della fattispecie  colposa  risultava  piu'  lungo  di
quello della corrispondente fattispecie dolosa (e non gia' uguale  ad
esso).   Tale   circostanza   non   consentirebbe    di    «estendere
automaticamente» la pronuncia al caso in esame, ma non impedirebbe di
riferire ad esso gli argomenti  che  la  sorreggono,  in  quanto  «di
portata generale». 
    Anche con riferimento al disastro - cosi' come per  l'incendio  -
si e' al cospetto di fattispecie delittuose strutturalmente identiche
quanto a condotta ed evento,  e  differenziate  solo  per  l'elemento
soggettivo, che conferisce  loro,  tuttavia,  una  diversa  gravita',
chiaramente  riflessa  nelle  rispettive  pene  edittali:   la   pena
detentiva  massima  della  fattispecie  colposa  (cinque   anni)   e'
inferiore, infatti, alla meta' di  quella  della  fattispecie  dolosa
(dodici anni). 
    A fronte di un simile scarto di disvalore, espresso dallo  stesso
legislatore nella commisurazione  delle  risposte  punitive,  sarebbe
lecito dubitare della ragionevolezza di una norma che  stabilisca  un
termine  di  prescrizione  identico  per  entrambe  le   fattispecie,
sottoponendo, cosi', la fattispecie meno  grave  «ad  un  trattamento
proporzionalmente deteriore  rispetto  a  quella  piu'  grave».  Tale
soluzione normativa non potrebbe essere, in effetti, giustificata con
considerazioni legate al grado di allarme sociale prodotto dal  reato
e alla complessita' delle indagini richieste per il suo accertamento,
posto  che,  sotto  questi   aspetti,   le   due   ipotesi   non   si
differenzierebbero in alcun  modo  (anzi,  sarebbe  semmai  l'ipotesi
dolosa ad avere conseguenze piu'  gravi,  quantomeno  in  termini  di
allarme sociale). 
    La questione sarebbe, altresi', rilevante nel giudizio a quo. 
    Rispetto ad uno degli imputati,  la  posizione  di  garanzia  che
fonda l'addebito di responsabilita' colposa e' cessata - come  emerge
dal capo di  imputazione  -  il  31  maggio  2005  e,  dunque,  prima
dell'entrata in vigore della legge n.  251  del  2005  (avvenuta  l'8
dicembre 2005). In base alla disciplina anteriore a detta  legge,  il
termine massimo di prescrizione  del  reato  contestato  risulterebbe
pari a quindici anni (dieci anni quale termine  ordinario,  aumentato
fino alla meta' per effetto degli atti di  interruzione  intervenuti,
ai sensi dell'originario  art.  160,  terzo  comma,  cod.  pen.).  La
situazione non sarebbe mutata con la legge n. 251 del 2005:  in  base
all'attuale normativa, il termine  di  prescrizione  massimo  sarebbe
sempre di quindici  anni,  sebbene  diversamente  articolato  (dodici
anni, quale termine di base ai sensi della norma censurata, aumentato
fino a un quarto a seguito degli atti interruttivi). Di contro, se la
disposizione   denunciata   fosse    dichiarata    costituzionalmente
illegittima, il termine prescrizionale massimo si ridurrebbe a  sette
anni e  mezzo  (sei  anni,  piu'  l'aumento  di  un  quarto)  e  tale
disciplina sarebbe applicabile anche  ai  fatti  pregressi  ai  sensi
dell'art. 10, comma 3, della legge n. 251 del 2005,  in  quanto  piu'
favorevole al reo: con la conseguenza  che  la  prescrizione  sarebbe
gia' maturata. 
    Ma la questione risulterebbe rilevante  anche  in  rapporto  agli
altri tre imputati, rispetto ai quali il reato e' indicato  nel  capo
di imputazione come commesso «fino  al  dicembre  2008»,  data  degli
ultimi campionamenti che hanno riscontrato  la  presenza  dell'agente
inquinante  nelle  acque  del  fiume  Sacco.  L'esattezza   di   tale
indicazione  andrebbe,  infatti,  verificata  alla  luce  della  piu'
recente giurisprudenza della Corte di cassazione, secondo la quale il
disastro ambientale  costituisce  un  reato  istantaneo  con  effetti
permanenti, che si consuma nel momento in cui e' posta in  essere  la
condotta che determina la prima immissione inquinante  nell'ambiente:
cio', sebbene nel caso di specie il reato sia contestato nella  forma
colposa omissiva, cosi' che lo stesso  potrebbe  anche  avere  natura
permanente, nella misura in cui l'omissione contestata  si  protragga
fino all'adozione delle necessarie cautele e continui  a  determinare
l'immissione  dell'agente  nocivo  nell'ambiente.   Si   tratterebbe,
peraltro, di un punto quantomeno incerto, onde sarebbe ben  possibile
che,   all'esito   dell'istruzione   dibattimentale,   la   data   di
consumazione del reato venga retrodatata ad un periodo non successivo
al maggio 2008: ipotesi nella quale il dimezzamento a  sette  anni  e
mezzo del tempo massimo di prescrizione conseguente  all'accoglimento
della questione farebbe si' che la prescrizione stessa  risulti  gia'
maturata alla data dell'ordinanza di rimessione (19  novembre  2015),
imponendo, quindi, l'immediato  proscioglimento  degli  imputati  per
avvenuta estinzione del reato.  Peraltro,  anche  qualora  risultasse
corretta la data di consumazione indicata nel  decreto  di  rinvio  a
giudizio (dicembre 2008), l'accoglimento della questione  influirebbe
sullo  svolgimento  successivo  del  dibattimento,  condizionando  le
cadenze temporali della complessa istruttoria  da  svolgere.  In  tal
caso, infatti, il  termine  prescrizionale  di  sette  anni  e  mezzo
spirerebbe  dopo  circa  sei  mesi  dalla  data   dell'ordinanza   di
rimessione, con la conseguenza che l'attivita'  istruttoria  dovrebbe
esaurirsi in tale ristretto arco temporale affinche' possa  giungersi
ad una decisione sul merito. 
    2.2.- E' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale
ha chiesto, anche  con  successiva  memoria,  che  la  questione  sia
dichiarata non fondata sulla base di considerazioni analoghe a quelle
prospettate in rapporto all'ordinanza r.o. n. 237 del 2015. 
    2.3.- Si e'  costituito  G.  Z,  imputato  nel  giudizio  a  quo,
instando per l'accoglimento della questione. 
    Ad ulteriore riprova del fatto che la  disciplina  censurata  non
costituisca frutto di «meditata e legittima scelta discrezionale,  ma
travalichi nell'arbitrio», la parte privata rileva che,  per  effetto
della riforma introdotta dalla legge  n.  251  del  2005,  mentre  il
termine  prescrizionale  del  reato  di  disastro  colposo  e'  stato
aumentato (passando dai precedenti dieci anni agli  attuali  dodici),
quello dell'omologa fattispecie dolosa e' stato viceversa ridotto (da
quindici a dodici anni). 
    2.4.- La parte privata ha depositato memoria,  con  la  quale  ha
contestato la tesi dell'Avvocatura generale dello Stato, secondo  cui
la norma  censurata  si  spiegherebbe  alla  luce  della  particolare
complessita'  dell'attivita'   investigativa   necessaria   ai   fini
dell'accertamento dei fatti di reato previsti dall'art. 449 cod. pen. 
    Secondo la parte privata,  la  complessita'  delle  indagini  non
potrebbe essere considerata un elemento  indistintamente  connaturato
ai delitti contro l'incolumita' pubblica, giacche', se  cosi'  fosse,
non si comprenderebbe per quale  ragione  il  raddoppio  del  termine
prescrizionale non sia stato esteso anche al delitto di avvelenamento
colposo di acque e sostanze alimentari (artt. 439 e 452  cod.  pen.):
delitto anch'esso contestato agli imputati nel giudizio a quo e  gia'
dichiarato estinto per prescrizione. 
    Ancora  piu'  a  monte,  peraltro,  dovrebbe  escludersi  che  la
complessita'  delle  indagini  rappresenti  un  parametro  idoneo   a
giustificare la dilatazione del termine  di  prescrizione  di  taluni
reati. Si tratterebbe, infatti, di parametro eccentrico  rispetto  al
fondamento dell'istituto della prescrizione, che  andrebbe  ricercato
«nella prospettiva teleologica della pena», e segnatamente nella  sua
funzione  di  prevenzione  generale,  connettendosi  al   progressivo
affievolimento, con il decorso del tempo, dell'allarme  generato  dal
reato nella coscienza comune. In questa prospettiva, la  correlazione
tra il tempo sufficiente a  prescrivere  e  l'astratta  gravita'  del
reato, espressa dalla pena  edittale,  costituirebbe  un  coerente  e
necessario  precipitato  della  ratio  dell'istituto,  salvo  che  il
legislatore, nella sua  «meditata  discrezionalita'»,  opti  per  una
soluzione estensiva, allorche' l'allarme sociale generato  da  alcuni
tipi  di  reato  implichi  una  «resistenza   all'oblio»   piu'   che
proporzionale all'energia della risposta sanzionatoria. L'ampliamento
del  termine  prescrizionale  non  potrebbe  essere,  per   converso,
impropriamente collegato a un fattore di tipo processuale  del  tutto
estraneo all'anzidetta  «prospettiva  teleologica»,  quale,  appunto,
l'asserita complessita' delle  indagini:  tanto  piu'  che  l'effetto
estintivo conseguente al decorso del termine prescrizionale prescinde
dalla instaurazione o meno di un procedimento penale. 
    3.- Con ordinanza del 22 giugno 2015 (r.o. n. 53  del  2016),  il
Tribunale ordinario di Torino ha sollevato, in riferimento all'art. 3
Cost., questione di legittimita' costituzionale dell'art. 157,  sesto
comma, cod. pen., «nella parte in  cui  prevede  che  il  termine  di
prescrizione e' raddoppiato per il reato di cui all'art. 449 c.p.  in
relazione all'art. 434 c.p. (crollo colposo)». 
    3.1.- Il giudice a quo  procede  nei  confronti  di  due  persone
imputate del delitto di cui agli artt. 434 e 449 cod. pen., per  aver
cagionato con colpa, nelle loro rispettive qualita' di direttore  dei
lavori per la costruzione di un refettorio scolastico e  di  preposto
presso il cantiere dell'impresa edile, il crollo di una  parte  della
copertura dell'edificio. 
    Quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente rileva che,
per effetto della norma censurata, il  termine  di  prescrizione  del
delitto di crollo colposo risulta identico a quello  del  delitto  di
crollo doloso, nel caso in cui l'evento si verifichi (dodici anni). 
    Un  simile  assetto  violerebbe  l'art.  3  Cost.  Posto  che  la
prescrizione  costituisce  un  istituto   di   diritto   sostanziale,
attinente al trattamento  sanzionatorio  complessivo  degli  illeciti
penali,  contrasterebbe  con  i  principi   di   uguaglianza   e   di
ragionevolezza che due fattispecie poste a tutela dello  stesso  bene
giuridico, ma punite con pene sensibilmente diverse a  seconda  della
componente psicologica, vengano trattate esattamente allo stesso modo
dal punto di vista della prescrizione. 
    La  declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale  pronunciata
dalla sentenza n. 143 del 2014, d'altra parte,  non  potrebbe  essere
estesa alla fattispecie  in  esame  in  via  ermeneutica,  in  quanto
espressamente circoscritta al delitto di incendio colposo e basata su
valutazioni non riferibili al crollo colposo. 
    La questione sarebbe altresi' rilevante, giacche', in caso di suo
accoglimento, il reato per cui si procede,  commesso  il  9  novembre
2007, risulterebbe gia' prescritto. 
    3.2.- E' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata sulla  base  di
argomenti similari a quelli addotti in rapporto all'ordinanza r.o. n.
237 del 2015 e, in particolare, in base alla considerazione che,  per
comune  esperienza,  l'accertamento  dei   fatti   riconducibili   al
paradigma punitivo del crollo colposo  richiede  lunghe  e  complesse
attivita' di indagine, che  comportano  un  fisiologico  allungamento
della durata del processo. 
    4.- Anche  il  Giudice  dell'udienza  preliminare  del  Tribunale
ordinario di Larino, con ordinanza del 21 luglio 2016  (r.o.  n.  241
del 2016), dubita della legittimita'  costituzionale  dell'art.  157,
sesto comma, cod. pen., nella parte in cui prevede che il termine  di
prescrizione del reato di «disastro colposo» (art. 449 in riferimento
all'art. 434 cod. pen.) e' raddoppiato. 
    4.1.- Il giudice  a  quo  riferisce  di  essere  investito  della
richiesta di rinvio a giudizio di una persona imputata del delitto di
cui agli artt. 434 e 449 cod. pen., per aver provocato  colposamente,
quale legale  rappresentante  di  una  societa'  in  nome  collettivo
incaricata dei lavori di ristrutturazione di uno stabile,  il  crollo
di una costruzione adiacente, effettuando  scavi  in  prossimita'  di
questa  senza  adottare  le  cautele  necessarie   per   evitare   la
compromissione della sua statica. 
    La questione sarebbe rilevante, in quanto i fatti risalgono al 30
agosto  2007,  onde  solo  il  censurato  meccanismo  del   raddoppio
impedirebbe di ritenere il reato estinto per prescrizione. 
    Quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente ritiene che
la parificazione del termine di prescrizione  del  crollo  colposo  a
quello della corrispondente ipotesi dolosa, assai piu' grave, violi i
principi di uguaglianza e di  ragionevolezza.  Cio',  alla  luce  del
principio affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n.  143
del 2014, con riferimento all'incendio colposo, secondo il  quale  la
discrezionalita' legislativa in materia di  disciplina  dell'istituto
della  prescrizione,  di  natura  sostanziale,  deve  essere   sempre
esercitata nel rispetto del principio di ragionevolezza  e,  comunque
sia, in  modo  da  non  determinare  disparita'  di  trattamento  fra
fattispecie omogenee. 
    4.2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri,  intervenuto  nel
giudizio a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, ha chiesto che
la questione sia dichiarata non fondata. 
    L'Avvocatura  generale  dello  Stato  osserva   che   la   scelta
legislativa censurata deve ritenersi giustificata  da  considerazioni
legate all'allarme sociale generato dal delitto di cui si  discute  e
alla   complessita'   delle   indagini   necessarie   ai   fini   del
riconoscimento della colpa. 
    La circostanza che la fattispecie colposa sia assoggettata ad  un
trattamento sanzionatorio meno grave di quella dolosa non renderebbe,
di  per  se',  irragionevole  la   parificazione   del   termine   di
prescrizione. La sanzione penale - che ha  funzioni  retributive,  di
emenda e di prevenzione - risponde, infatti, ad una ratio diversa  da
quella dell'istituto della prescrizione, la quale si  radica  -  alla
luce  delle  indicazioni  della   giurisprudenza   costituzionale   -
nell'«interesse generale di non piu' perseguire i reati  rispetto  ai
quali il lungo tempo decorso dopo la  loro  commissione  abbia  fatto
venir meno, o notevolmente attenuato [...] l'allarme della  coscienza
comune», nonche' nel «"diritto all'oblio"  dei  cittadini  quando  il
reato non sia cosi' grave da escludere tale tutela». 
    5.- Con una ulteriore ordinanza di rimessione del 7 novembre 2016
(r.o. n. 103 del 2017), il Tribunale ordinario di Torino ha sollevato
questione di legittimita' costituzionale,  in  relazione  all'art.  3
Cost., dell'art. 157, sesto comma, cod.  pen.,  nella  parte  in  cui
prevede il raddoppio del  termine  di  prescrizione  del  delitto  di
«crollo colposo». 
    5.1.- Il giudice a quo premette  di  essere  investito,  in  sede
dibattimentale,  del  processo  nei  confronti  di   varie   persone,
imputate, tra l'altro, del delitto di cui all'art. 449, in  relazione
all'art. 434, secondo comma, cod.  pen.,  per  avere  cagionato,  con
colpa,  il  crollo  parziale  di  un  edificio,  provocando   lesioni
personali gravi a piu' soggetti. 
    Il rimettente rileva come  l'istituto  della  prescrizione  abbia
carattere  sostanziale,   implicando   una   rinuncia   dello   Stato
all'esercizio della potesta' punitiva.  Il  termine  di  prescrizione
costituisce,  a   sua   volta,   una   componente   del   trattamento
sanzionatorio  complessivo  del  reato,  tanto  che,   per   costante
giurisprudenza di legittimita',  deve  tenersi  conto  di  esso  ogni
qualvolta occorra individuare la disciplina piu' favorevole  al  reo.
In questa cornice, l'equiparazione dei termini  di  prescrizione  dei
delitti di crollo, colposo e doloso, prodotta dalla norma  censurata,
violerebbe i principi di uguaglianza e di ragionevolezza,  omologando
fattispecie poste a tutela dello stesso bene giuridico, ma punite  in
modo  sensibilmente  diverso  in  ragione  del  differente   elemento
psicologico. 
    Anche in questo caso, il giudice a quo esclude che sia  possibile
estendere in via interpretativa al  delitto  in  esame  la  pronuncia
parzialmente ablativa della norma censurata relativa  al  delitto  di
incendio  colposo  (sentenza  n.   143   del   2014).   Il   percorso
argomentativo che sorregge  tale  pronuncia  risulterebbe,  tuttavia,
valevole anche in rapporto al reato  in  discussione,  posto  che  la
censurata equiparazione  del  termine  prescrizionale  scardinerebbe,
comunque  sia,  «la  scala  della  complessiva  gravita'  delle   due
fattispecie criminose», colposa e dolosa. 
    La questione sarebbe, altresi', rilevante nel giudizio a quo.  Il
reato per cui si procede e' stato infatti commesso, secondo l'ipotesi
accusatoria, il 30 marzo 2009: solo in  caso  di  accoglimento  della
questione esso risulterebbe, pertanto, prescritto. 
    5.2.- E' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata,  sulla  scorta
di rilievi similari a quelli prospettati  in  rapporto  all'ordinanza
r.o. n. 53 del 2016. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Corte di cassazione (r.o. n. 237 del 2015),  il  Tribunale
ordinario di Velletri (r.o. n. 32 del 2016), il  Tribunale  ordinario
di Torino (r.o. n. 53 del 2016 e  n.  103  del  2017)  e  il  Giudice
dell'udienza preliminare del Tribunale ordinario di Larino  (r.o.  n.
241 del 2016) dubitano della  legittimita'  costituzionale  dell'art.
157, sesto comma, del codice  penale,  come  sostituito  dall'art.  6
della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche  al  codice  penale  e
alla  legge  26  luglio  1975,  n.  354,  in  materia  di  attenuanti
generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze
di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte  in
cui prevede che il termine di prescrizione del delitto di  crollo  di
costruzioni o  altro  disastro  colposo  (art.  449,  in  riferimento
all'art.  434  cod.  pen.)  e'  raddoppiato.  Alcune   ordinanze   di
rimessione riferiscono il dubbio di costituzionalita' alla figura del
«disastro colposo» (r.o. n. 237 del 2015, n. 32 e n. 241  del  2016),
altre a quella del «crollo colposo» (r.o. n. 53 del 2016 e n. 103 del
2017), senza, peraltro, che ai diversi  nomina  iuris  impiegati  dai
rimettenti appaia corrispondere  l'intento  di  limitare  l'auspicata
declaratoria di illegittimita' costituzionale a  una  parte  soltanto
dei fatti repressi dal combinato disposto dei richiamati artt. 449  e
434 cod. pen. 
    Ad avviso dei giudici a quibus,  la  norma  censurata  violerebbe
l'art.  3  della  Costituzione,  per  contrasto  con  i  principi  di
uguaglianza  e  di  ragionevolezza,  giacche',  in  conseguenza   del
censurato raddoppio,  il  termine  di  prescrizione  del  delitto  in
questione risulta uguale a quello  della  corrispondente  fattispecie
dolosa (art. 434, secondo  comma,  cod.  pen.),  identica  sul  piano
oggettivo, ma di disvalore  sensibilmente  maggiore  in  rapporto  al
diverso coefficiente di  partecipazione  psicologica  del  reo,  come
attesta  l'ampio  scarto  tra  le  rispettive  cornici  sanzionatorie
edittali. 
    2.- Le ordinanze di rimessione sollevano  questioni  identiche  o
analoghe relative alla medesima norma,  sicche'  i  relativi  giudizi
vanno riuniti per essere definiti con unica decisione. 
    3.- Sul piano  dell'ammissibilita',  va  rilevato  come  tutti  i
giudici rimettenti  abbiano  motivato  congruamente  in  ordine  alla
rilevanza della questione, ponendo in evidenza che - alla luce  della
data di commissione dei reati per cui si procede e tenendo pure conto
dell'aumento massimo conseguente agli atti interruttivi effettuati  -
il termine di prescrizione dei reati stessi risulterebbe spirato solo
ove venisse rimossa la censurata regola del raddoppio. 
    Cio' vale anche  in  rapporto  all'ordinanza  di  rimessione  del
Tribunale ordinario di Velletri (r.o. n. 32  del  2016),  almeno  per
quanto concerne uno dei quattro imputati nel giudizio a  quo  (quello
la cui posizione di garanzia,  rilevante  ai  fini  dell'addebito  di
responsabilita' colposa, risulterebbe cessata il 31 maggio 2005 e che
-  secondo   quanto   rilevato   dal   rimettente   -   beneficerebbe
dell'accoglimento  della  questione  in  quanto  atto  a  rendere  la
disciplina introdotta dalla legge n. 251 del 2005 piu' favorevole  di
quella  vigente  alla  data  del  fatto).  Tanto  basta   a   rendere
ammissibile  la  questione   sollevata,   a   prescindere   da   ogni
considerazione riguardo alla sua effettiva  rilevanza  rispetto  agli
altri imputati, che il  rimettente  ricollega  invece  ad  un  evento
puramente ipotetico (quale l'eventuale «retrodatazione» della data di
commissione del reato all'esito dell'istruzione dibattimentale), o  a
generici effetti di condizionamento delle future cadenze temporali di
tale istruzione. 
    4.- Nel merito, le questioni non sono fondate. 
    Giova ricordare come, nel disegno originario del  codice  penale,
il tempo di prescrizione dei reati fosse determinato tramite la  loro
ripartizione in sei "fasce di gravita'"  decrescente,  in  base  alla
pena edittale  massima,  a  ciascuna  delle  quali  corrispondeva  un
termine prescrizionale via via piu' ridotto. 
    Nel riformare l'istituto della prescrizione, la legge n. 251  del
2005 ha profondamente innovato tale assetto, sostituendo al  criterio
"per fasce" una regola unitaria. In base ad essa, il tempo necessario
a prescrivere e' pari al massimo  della  pena  edittale  dei  singoli
reati, salva la previsione di una soglia minima,  intesa  ad  evitare
una troppo rapida prescrizione dei reati meno gravemente puniti, pari
a sei anni per i delitti e a  quattro  anni  per  le  contravvenzioni
(art. 157, primo comma, cod. pen., come novellato). 
    Il legislatore ha ritenuto,  tuttavia,  di  dover  introdurre  un
correttivo agli  effetti  prodotti  dalla  modifica  (alla  quale  e'
conseguita una sensibile  e  generalizzata  contrazione  dei  termini
prescrizionali relativi ai reati di media  gravita').  Ha  stabilito,
cioe', che per alcune figure criminose  -  ritenute,  secondo  quanto
emerge dai lavori parlamentari, di particolare allarme sociale e tali
da  richiedere  complesse  indagini  probatorie  -  il   termine   di
prescrizione  risultante  dall'applicazione  della  regola   generale
dianzi ricordata (oltre che di quelle enunciate dai successivi  commi
dello stesso art. 157 cod. pen.)  e'  raddoppiato  (nuovo  art.  157,
sesto comma, cod. pen., norma oggi censurata). 
    Nell'elenco dei reati coinvolti nel regime del raddoppio - elenco
successivamente ampliato da plurime novelle legislative  -  figurano,
in prima  fila,  i  delitti  colposi  di  danno  contro  la  pubblica
incolumita' previsti dall'art. 449  cod.  pen.  (cosiddetti  disastri
colposi).  Tale  disposizione  punisce,  al  primo  comma,   con   la
reclusione da uno a cinque anni «chiunque, al di fuori delle  ipotesi
previste nel secondo comma dell'articolo 423-bis, cagiona  per  colpa
un incendio o un altro disastro preveduto dal capo  primo  di  questo
titolo» (ossia dal capo I del titolo VI del libro secondo del  codice
penale, relativo ai «delitti di comune pericolo mediante  violenza»).
La previsione punitiva viene, quindi, a coniugarsi alle diverse norme
incriminatrici  presenti  nella  partizione   normativa   richiamata,
rendendo punibile la forma colposa dei delitti da esse contemplati. 
    In questo  modo,  si  e'  venuta,  peraltro,  a  determinare  una
anomalia: e, cioe', che per taluni fra  i  delitti  in  questione  il
termine di prescrizione della fattispecie colposa  e'  divenuto  piu'
lungo di quello della corrispondente  ipotesi  dolosa  (assolutamente
identica sul piano della condotta e dell'evento, stante la tecnica di
descrizione della fattispecie mediante mero  rinvio,  utilizzata  dal
citato art. 449 cod. pen.). 
    Il fenomeno si manifestava in modo  particolarmente  vistoso  con
riguardo al delitto di incendio (previsto, quanto all'ipotesi dolosa,
dall'art. 423 cod. pen. e da questo punito con la reclusione da tre a
sette anni). Se commesso  con  dolo,  tale  delitto  si  prescriveva,
infatti, in sette anni (tempo corrispondente al  massimo  della  pena
edittale, ai  sensi  dell'art.  157,  primo  comma,  cod.  pen.);  se
commesso con colpa, in un tempo  largamente  superiore,  e  cioe'  in
dodici anni: il termine minimo di prescrizione dei delitti (sei anni)
- operante  nella  specie,  trattandosi  di  reato  punito  con  pena
detentiva massima inferiore a tale  soglia  (cinque  anni,  ai  sensi
dell'art.  449,  primo  comma,  cod.  pen.)  -  risultava,   infatti,
raddoppiato in forza della norma censurata. 
    5.- Con la sentenza n. 143 del  2014  -  richiamata  da  tutti  i
rimettenti a sostegno delle loro censure - questa Corte  ha  ritenuto
l'anomalia ora indicata contrastante con l'art. 3 Cost., dichiarando,
di conseguenza,  costituzionalmente  illegittimo  l'art.  157,  sesto
comma, cod. pen., nella parte  in  cui  prevedeva  il  raddoppio  del
termine di prescrizione del delitto di incendio colposo (art. 449, in
riferimento all'art. 423 cod. pen.). 
    Al riguardo, si e' rilevato  che  la  prescrizione,  pur  potendo
assumere una valenza anche processuale,  in  rapporto  alla  garanzia
della ragionevole durata  del  processo  (art.  111,  secondo  comma,
Cost.), costituisce, nel vigente ordinamento, un istituto  di  natura
sostanziale (ex plurimis, sentenze n. 324 del 2008 e n. 393 del 2006,
nonche', piu' di recente, ordinanza n. 24 del 2017): istituto la  cui
ratio  «si  collega  preminentemente,  da  un  lato,   all'"interesse
generale di non piu' perseguire i reati rispetto ai  quali  il  lungo
tempo decorso dopo la loro commissione  abbia  fatto  venir  meno,  o
notevolmente  attenuato,  [...]  l'allarme  della  coscienza  comune"
(sentenze n. 393 del 2006 e n. 202 del 1971,  ordinanza  n.  337  del
1999); dall'altro, "al 'diritto all'oblio' dei cittadini,  quando  il
reato non sia cosi' grave da escludere tale tutela" (sentenza  n.  23
del 2013)» (sentenza n. 143 del 2014). Tali finalita'  si  riflettono
nella tradizionale correlazione del tempo necessario a prescrivere al
livello della pena edittale, indicativo della gravita'  astratta  del
reato e del  suo  disvalore  nella  coscienza  sociale:  correlazione
divenuta, peraltro, ancor piu' stretta  e  diretta  a  seguito  della
legge n. 251 del 2005. 
    La regola generale di computo congegnata in questa chiave non e',
di certo, inderogabile da parte del legislatore, «non potendo in essa
scorgersi un "momento necessario di attuazione - o di salvaguardia  -
dei principi costituzionali" (sentenza n. 455 del 1998, ordinanza  n.
288 del 1999)». Soluzioni  ampliative  dei  termini  di  prescrizione
ordinari possono essere giustificate, in specie, «sia dal particolare
allarme sociale generato da alcuni tipi di reato, il  quale  comporti
una  "resistenza  all'oblio"  nella   coscienza   comune   piu'   che
proporzionale all'energia della  risposta  sanzionatoria;  sia  dalla
speciale  complessita'  delle  indagini   richieste   per   il   loro
accertamento  e  dalla  laboriosita'  della   verifica   dell'ipotesi
accusatoria in  sede  processuale,  cui  corrisponde  un  fisiologico
allungamento  dei  tempi  necessari  per  pervenire   alla   sentenza
definitiva» (sentenza n. 143 del 2014). 
    La  discrezionalita'   legislativa   in   materia   deve   essere
esercitata, tuttavia, nel rispetto del principio di ragionevolezza  e
in modo tale da non  determinare  ingiustificabili  sperequazioni  di
trattamento tra fattispecie omogenee, come invece  era  avvenuto  nel
caso dell'incendio. Con riguardo a questo, a  fronte  di  fattispecie
identiche sul piano oggettivo, il legislatore aveva infatti ribaltato
la «scala di  gravita'»  espressa  dalle  comminatorie  di  pena,  in
coerenza con il rapporto sistematico che intercorre tra il dolo e  la
colpa, prevedendo  per  l'ipotesi  meno  grave  (quella  colposa)  un
termine di prescrizione quasi doppio di quello valevole per l'omologa
ipotesi dolosa. 
    Un  simile  regime  non  poteva  essere  giustificato   ne'   con
considerazioni  legate  all'allarme  sociale,   essendo   palesemente
contrario a logica che un incendio causato  per  colpa  -  ossia  per
imprudenza, imperizia o inosservanza di regole cautelari  -  "resista
all'oblio", nella coscienza sociale, molto piu' a lungo del  medesimo
incendio  causato  intenzionalmente;  ne'  con  ragioni   di   ordine
probatorio, essendo parimente insostenibile che provocare un incendio
per  colpa,  anziche'  con   dolo,   innalzi   verticalmente,   nella
generalita' dei  casi,  il  tasso  di  complessita'  della  indagini.
L'esigenza di avvalersi di periti -  evocata  nel  corso  dei  lavori
parlamentari relativi alla legge n. 251 del 2005 - e' infatti  comune
alle due ipotesi, e se  pure,  nel  caso  dell'incendio  colposo,  la
perizia puo' risultare necessaria anche ai  fini  di  individuare  la
regola cautelare violata, nel caso dell'incendio doloso occorre  fare
i  conti  con  le  maggiori  difficolta'  che   usualmente   incontra
l'identificazione dei soggetti responsabili. 
    6.- Ad avviso degli odierni rimettenti, analoga  declaratoria  di
illegittimita' costituzionale si  imporrebbe  anche  in  rapporto  al
delitto di crollo di costruzioni o altro disastro colposo, risultante
dal combinato disposto degli artt. 449 e 434 cod. pen. 
    L'art. 434 cod. pen., al primo comma, punisce con  la  reclusione
da uno a cinque  anni  «chiunque,  fuori  dei  casi  preveduti  dagli
articoli precedenti, commette un fatto diretto a cagionare il  crollo
di una costruzione o di una parte di essa ovvero  un  altro  disastro
[...], se dal fatto deriva  pericolo  per  la  pubblica  incolumita'»
(fattispecie di pericolo). Una pena maggiore - reclusione  da  tre  a
dodici anni - e' prevista dal  secondo  comma  «se  il  crollo  o  il
disastro avviene» (fattispecie di danno). 
    La fattispecie di pericolo prevista dal primo comma dell'art. 434
cod. pen. non trova, peraltro, un suo corrispondente colposo.  L'art.
449, primo comma, cod. pen. esige, infatti, ai fini della punibilita'
per colpa dei fatti da esso richiamati, che il disastro si verifichi,
evocando, percio', esclusivamente la fattispecie  di  danno  prevista
dal secondo comma dell'art. 434 cod. pen. 
    Cio' posto, i giudici a quibus si mostrano pienamente consapevoli
del fatto che il caso oggi  in  esame  presenta  un  evidente  tratto
differenziale rispetto a quello scrutinato dalla sentenza n. 143  del
2014. Nella specie, infatti, il meccanismo  del  raddoppio  rende  il
termine  di  prescrizione  della  fattispecie  colposa  -  non   gia'
(nettamente) piu' lungo di quello della fattispecie dolosa, come  nel
caso dell'incendio - ma esattamente uguale ad esso. 
    Il reato di crollo o  altro  disastro  doloso  con  verificazione
dell'evento si prescrive,  infatti,  in  base  alla  regola  generale
dell'art. 157, primo  comma,  cod.  pen.,  in  dodici  anni  (massimo
edittale della pena comminata  dall'art.  434,  secondo  comma,  cod.
pen.).  Anche  volendo  ritenere  -   in   conformita'   all'opinione
prevalente, peraltro recentemente disattesa dalla  giurisprudenza  di
legittimita' - che l'ipotesi prevista dal secondo comma dell'art. 434
cod.  pen.  abbia  natura  di  circostanza  aggravante,  e   non   di
fattispecie autonoma di reato, essa entra, comunque sia, nel  computo
del termine prescrizionale ai sensi  dell'art.  157,  secondo  comma,
cod. pen., trattandosi di aggravante ad effetto speciale. 
    Il  medesimo  tempo  di  dodici  anni  occorre   anche   per   la
prescrizione del delitto di  crollo  o  altro  disastro  colposo.  Il
termine ordinario di prescrizione, pari a sei anni (termine minimo di
prescrizione dei delitti,  applicabile  in  quanto  la  pena  massima
prevista dall'art. 449 cod. pen. e' al di sotto di tale  soglia),  e'
infatti raddoppiato dal sesto comma dell'art. 157 cod. pen. 
    Secondo i giudici a quibus, l'elemento differenziale ora indicato
non varrebbe a mutare la conclusione. Sarebbe, infatti, irragionevole
e lesivo del principio di uguaglianza  che  due  fatti  identici  sul
piano   oggettivo,   ma   di   diversa    gravita'    in    relazione
all'atteggiamento psicologico del loro autore - e per  questo  puniti
dallo stesso legislatore con pene detentive nettamente  divaricate  -
siano trattati poi esattamente allo stesso modo con riguardo ai tempi
di prescrizione. 
    7.- La tesi non puo' essere condivisa. 
    Nella sentenza n. 143 del 2014 questa Corte non ha affermato, ne'
in alcun  modo  adombrato,  che  vi  sia  una  inderogabile  esigenza
costituzionale di  scaglionare  i  termini  prescrizionali  in  senso
inverso rispetto a quanto la legge n. 251 del 2005  aveva  fatto  con
riguardo al delitto  di  incendio:  nel  senso,  cioe',  che  occorra
stabilire, senza possibilita' di eccezioni, per l'ipotesi colposa  un
termine diverso e piu' breve  di  quello  valevole  per  la  versione
dolosa del medesimo reato. 
    Al riguardo, occorre considerare come l'assoggettamento delle due
forme di realizzazione dello stesso delitto - dolosa e colposa  -  ad
un  eguale  termine  di  prescrizione  non  rappresenti  affatto  una
anomalia introdotta per la prima volta dalla legge n. 251  del  2005.
Al contrario,  il  fenomeno  era  gia'  ampiamente  noto  al  sistema
anteriore. L'originario criterio di  determinazione  del  termine  di
prescrizione per "fasce di gravita'" dei reati  comportava,  infatti,
che quante volte le pene edittali massime del delitto  doloso  e  del
suo corrispondente colposo  -  benche'  diversificate  -  ricadessero
entrambe nell'ambito della medesima "fascia", il tempo  necessario  a
prescrivere risultava identico nei due casi. Come  si  ricorda  nella
stessa sentenza n. 143 del 2014, cio' avveniva anche  e  proprio  nel
caso dell'incendio. In quanto puniti con pene massime comprese tra  i
cinque e i dieci anni di reclusione - cinque anni l'incendio colposo,
sette il doloso - corrispondenti alla "fascia" di cui  al  numero  3)
dell'originario art. 157, primo comma, cod. pen., ambedue  i  delitti
si prescrivevano, prima della legge n. 251 del 2005, in dieci anni. 
    Peraltro, anche dopo l'abbandono  del  criterio  "per  fasce"  da
parte della  legge  n.  251  del  2005,  permane  nell'ordinamento  -
indipendentemente  dal  censurato  meccanismo  del  raddoppio  -   un
ragguardevole  numero  di  casi  di   equiparazione.   Cio'   avviene
segnatamente per effetto della soglia dei  sei  anni,  quale  termine
minimo di prescrizione dei  delitti  (art.  157,  primo  comma,  cod.
pen.). Figure delittuose quali - tanto per addurre qualche esempio  -
la rivelazione di segreti d'ufficio (art. 326, primo e secondo comma,
cod. pen.), l'inadempimento di contratti di pubbliche forniture (art.
355, primo e terzo comma, cod. pen.) o le lesioni personali  semplici
(artt. 582  e  590  cod.  pen.),  essendo  punite  con  pene  massime
sensibilmente differenziate, ma, comunque sia, non  superiori  a  sei
anni tanto se realizzate con dolo quanto se commesse  con  colpa,  si
prescrivono in  entrambi  i  casi  nello  stesso  termine  (sei  anni
appunto). 
    Ed e' particolarmente significativo che il fenomeno si  riscontri
anche nello stesso ambito dei delitti contro la pubblica incolumita',
tra i quali si colloca la figura criminosa che al presente interessa.
Ad esempio, il delitto di omissione colposa  di  cautele  contro  gli
infortuni sul lavoro (art. 451 cod. pen.) si prescrive in  sei  anni,
allo stesso modo della corrispondente fattispecie  dolosa  (art.  437
cod. pen.), e parimente un sessennio e' richiesto per la prescrizione
del delitto di «adulterazione o contraffazione di altre cose in danno
della salute pubblica», sia  esso  doloso  (art.  441  cod.  pen.)  o
colposo (art. 452, secondo comma, cod. pen.). 
    8.- Cio' posto, al fine di ritenere che il  fenomeno  considerato
confligga  con  l'art.  3  Cost.  non  giova  richiamare  la   natura
sostanziale dell'istituto della prescrizione, in uno all'esigenza  di
diversificare il trattamento di situazioni obiettivamente  dissimili.
A differenziare la fattispecie dolosa da quella colposa,  assicurando
la proporzionalita' del trattamento sanzionatorio  al  disvalore  del
fatto, provvede la pena. Non e', per  converso,  imprescindibile  che
alla diversificazione delle risposte punitive - pure prefigurata  dal
legislatore - si aggiunga, sempre e comunque sia, quella dei  termini
di prescrizione. Come nota anche l'Avvocatura generale  dello  Stato,
la natura sostanziale dell'istituto della prescrizione  -  in  quanto
implicante una rinuncia dello Stato alla pretesa punitiva - non  vale
certamente a cancellare l'eterogeneita' della sua funzione rispetto a
quella della pena. 
    Al legislatore non e', in effetti, precluso  di  ritenere,  nella
sua discrezionalita', che in rapporto a determinati  delitti  colposi
la "resistenza all'oblio" nella coscienza sociale e  la  complessita'
dell'accertamento  dei  fatti  siano  omologabili  a   quelle   della
corrispondente  ipotesi   dolosa,   giustificando,   con   cio',   la
sottoposizione di entrambi ad un identico termine  prescrizionale.  E
tale apprezzamento puo' legittimamente esprimersi anche attraverso la
introduzione di deroghe alla disciplina generale. 
    Al riguardo, non puo' non ribadirsi quanto gia'  affermato  nella
sentenza n. 143 del 2014: e, cioe', che simili soluzioni  derogatorie
possono essere giustificate da entrambi gli elementi sopra indicati -
livello  dell'allarme  sociale   e   laboriosita'   delle   attivita'
accertative dell'illecito - e non gia' soltanto dal  primo  di  essi,
come  invece  sostiene  la  parte  privata  costituita  nel  giudizio
promosso  dal  Tribunale  ordinario   di   Velletri,   facendo   leva
sull'asserita eccentricita' di un fattore di tipo processuale,  quale
la complessita' delle indagini, rispetto al fondamento  dell'istituto
della prescrizione. E' ben vero che, come rileva la parte privata, la
prescrizione decorre  anche  se  il  procedimento  penale  non  viene
instaurato. Cio' nondimeno, e'  ragionevole  che  il  legislatore  si
faccia  carico  dell'eventualita'  che  il  termine  di  prescrizione
risultante dall'applicazione delle  regole  ordinarie  non  permetta,
anche quando il procedimento penale prenda tempestivamente avvio,  di
pervenire alla pronuncia definitiva prima dell'estinzione del reato. 
    9.- Il discorso vale in modo particolare proprio con riguardo  al
delitto cui si riferisce l'odierno scrutinio. 
    E' noto, infatti, come,  prima  della  recente  introduzione  dei
nuovi  delitti  in  materia  di   ambiente,   la   giurisprudenza   -
valorizzando l'ampia comprensivita' del concetto di «altro  disastro»
(cosiddetto disastro innominato), cui fa riferimento l'art. 434  cod.
pen. - abbia ripetutamente  ricondotto  a  tale  paradigma  punitivo,
anche e soprattutto nell'ipotesi colposa delineata dall'art. 449 cod.
pen., fatti di cosiddetto disastro ambientale. Proprio fatti  di  tal
genere formano, del resto, oggetto di due  degli  odierni  giudizi  a
quibus. Si tratta di una soluzione interpretativa  che  la  legge  22
maggio 2015,  n.  68  (Disposizioni  in  materia  di  delitti  contro
l'ambiente) ha  inteso  convalidare  e  preservare,  inserendo  nella
formula  descrittiva  della  nuova  fattispecie  tipica  di  disastro
ambientale delineata dall'art.  452-quater  cod.  pen.  una  clausola
volta espressamente a far salvi «i casi previsti dall'articolo 434». 
    E' dato di comune esperienza, altresi', come si sia  al  cospetto
di vicende che -sebbene risultino  ascrivibili  a  colpa  -  generano
nell'attuale  momento  storico  un  allarme  sociale  particolarmente
intenso e i cui effetti si manifestano spesso a notevole distanza  di
tempo, richiedendo nella generalita' dei casi accertamenti  complessi
tanto nella fase delle indagini quanto in quella  processuale  (anche
per il numero dei soggetti usualmente coinvolti). 
    In quest'ottica, il legislatore della legge n. 251  del  2005  ha
inteso  quindi  evitare  che,  per  effetto  della  nuova  regola  di
determinazione del tempo necessario a prescrivere, si determinasse un
drastico abbattimento del termine  prescrizionale  della  fattispecie
colposa in questione (il quale sarebbe  rimasto,  in  pratica,  quasi
dimezzato, passando da dieci a sei anni): esito che avrebbe impedito,
in una larga percentuale di  casi,  di  definire  il  processo  prima
dell'estinzione del reato. 
    Tale preoccupazione si e', d'altro canto, nel frangente  tradotta
nella previsione  di  un  regime  che  resta  entro  il  confine  del
legittimo esercizio della discrezionalita'  legislativa  in  materia,
proprio perche' implica la semplice equiparazione  di  detto  termine
prescrizionale a quello della fattispecie dolosa, e non gia'  -  come
per  l'incendio  -  lo  "scavalcamento"  di  quest'ultimo  (soluzione
costituzionalmente ingiustificabile, per le  ragioni  indicate  nella
sentenza n. 143 del 2014). 
    La  circostanza  -  denunciata  anch'essa  dalla  parte   privata
costituita nel giudizio promosso dal Tribunale ordinario di  Velletri
- che la legge n. 251 del 2005 abbia,  per  un  verso,  aumentato  il
termine prescrizionale del disastro innominato colposo, e per l'altro
ridotto quello del disastro doloso (e cio' diversamente da quanto  e'
avvenuto con la successiva legge n. 68 del 2015, che ha  assoggettato
al raddoppio  tanto  l'ipotesi  dolosa,  quanto  quella  colposa  del
neointrodotto  delitto   di   disastro   ambientale),   puo'   essere
eventualmente motivo di critica sul piano politico-criminale, ma  non
vale,  di  per  se',  a  rendere  costituzionalmente  illegittima  la
soluzione adottata. Mentre il fatto  -  dedotto  dalla  stessa  parte
privata - che  il  legislatore  non  abbia  avvertito  l'esigenza  di
coinvolgere nel regime del raddoppio  anche  altri  delitti  colposi,
distinti da quello di cui si  discute,  quali  i  delitti  contro  la
salute  pubblica  (art.  452  cod.  pen.),  resta  nell'ambito  degli
apprezzamenti discrezionali, insuscettibili di sindacato da parte  di
questa Corte. 
    10.- Le questioni vanno dichiarate, pertanto, non fondate. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi, 
    dichiara non fondate le questioni di legittimita'  costituzionale
dell'art. 157,  sesto  comma,  del  codice  penale,  come  sostituito
dall'art. 6 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al  codice
penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di  attenuanti
generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze
di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione),  sollevate,  in
riferimento all'art. 3 della Costituzione, dalla Corte di cassazione,
dal Tribunale ordinario  di  Velletri,  dal  Tribunale  ordinario  di
Torino e dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale ordinario
di Larino con le ordinanze indicate in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 novembre 2017. 
 
                                F.to: 
                      Paolo GROSSI, Presidente 
                      Franco MODUGNO, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 13 dicembre 2017. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA