N. 186 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 giugno 2017
Ordinanza del 28 giugno 2017 del G.I.P. del Tribunale di Genova nel procedimento penale a carico di G. L., M. R. e V. R.. Impiego pubblico - Rapporto di lavoro - False attestazioni o certificazioni - Trattamento sanzionatorio - Mancata previsione di un'ipotesi attenuata per i casi di minore gravita'. - Decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), art. 55-quinquies.(GU n.1 del 3-1-2018 )
TRIBUNALE DI GENOVA ufficio del giudice per le indagini preliminari Il giudice dell'udienza preliminare, Alessia Solombrino, nel procedimento contro G. L. nata a Genova il , elettivamente domiciliata ex art. 161 codice di procedura penale in Genova, presso lo studio dell'avv. Alessandro Vaccaro; - difesa di fiducia dall'avv. Alessandro Vaccaro del foro di Genova; M. R., nato a Genova il , elettivamente domiciliata ex art. 161 codice di procedura penale in Genova, presso lo studio dell'avv. Emanuele Lamberti; - difeso di fiducia dall'avv. Emanuele Lamberti del foro di Genova; V. R., nato a Genova il elettivamente domiciliato ex art. 161 codice di procedura penale in Genova, presso lo studio dell'avv. Luca Ciurlo; - difeso di fiducia dall'avv. Luca Ciurlo del foro di Genova; Imputati per il delitto di cui agli artt. 110 CP. e 55-quinquies decreto legislativo n. 165/2001, perche', in concorso tra loro giustificavano l'assenza dal servizio di L. G. insegnante presso il liceo statale di Genova, che si trovava in vacanza con il marito R. M. alle Isole Maldive, mediante una certificazione medica redatta dal dott. R. V., falsamente attestante uno stato di malattia della G., verificatosi a Londra (ove V. svolge la professione medica), che le avrebbe impedito di svolgere servizio a scuola nei giorni 7-8-9 gennaio 2015; in particolare, M. richiedeva a V. di redigere il certificato - poi prodotto in sede di procedimento disciplinare - e V. attestava falsamente di avere visitato la G. a Londra in data 7 gennaio 2015, trovandola affetta da «sindrome intestinale di probabile eziologia virale». In Genova, il 18 febbraio 2015. Recidiva specifica ed infraquinquennale per G. Sentite le parti, all'odierna udienza del 28 giugno 2017, all'esito della camera di consiglio, ha pronunciato mediante lettura in udienza la seguente ordinanza sulla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 55-quinquies decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nella parte in cui non prevede un'ipotesi attenuata per i casi di minore gravita', per contrasto con gli artt. 3 e 27 Costituzione. Rilevato: che la vicenda processuale sottoposta all'esame puo' essere agevolmente ricostruita sulla scorta delle risultanze istruttorie allegate a sostegno della richiesta di rinvio a giudizio, nei termini di seguito esposti: - l'imputata G L , docente a tempo determinato per il Liceo Statale « » di Genova, con contratto decorrente dal 6 ottobre 2014, prorogato fino al 25 gennaio 2015 -, poco prima delle festivita' natalizie dell'anno 2014, esponeva al dirigente scolastico l'esigenza di assentarsi dal servizio dopo cinque giorni dalla data del 7 gennaio 2015, prevista per il congedo ordinario, avendo programmato un viaggio all'estero con il marito fino al 12 gennaio 2015, e apprendeva che l'istanza formulata non sarebbe stata accolta per esigenze di servizio; - il successivo 7 gennaio 2015, la predetta ometteva tuttavia di presentarsi presso l'istituto scolastico per riprendere l'attivita' e comunicava telefonicamente alla segreteria del personale un'assenza di due giorni per malattia, risultando altresi' assente in occasione della visita fiscale disposta per le ore 12,10 dello stesso giorno; in tali occasioni, la G. presentava due certificati del proprio medico curante, dott. M. I., che attestava quanto dichiarato dalla paziente circa uno stato di malattia diagnosticato in termini di «enterocolite» e protrattosi fino al 12 gennaio 2015, evidenziando di non avere visitato la donna; - veniva pertanto avviato un procedimento disciplinare, nel corso del quale, in occasione dell'audizione del 18 febbraio 2015, la G. produceva un ulteriore certificato, recante la data del 7 gennaio 2015 e la sottoscrizione del dott. R. V., medico operante in Londra, il quale attestava di avere visitato la donna e di averle diagnosticato una «sindrome intestinale di probabile eziologia virale»; - dalle dichiarazioni successivamente acquisite e dalla piena confessione resa nella fase delle indagini dalla stessa G., emergeva che il dott. V. non aveva mai visitato la G. e si era prestato a redigere e inoltrare il falso certificato su richiesta del coniuge della donna, M. R., dal quale era stato contattato per il tramite di un amico comune soltanto successivamente all'avvio del procedimento disciplinare da parte del dirigente scolastico; che all'odierna udienza gli imputati G. e M. hanno manifestato l'intenzione di accedere all'istituto della messa alla prova, previa riqualificazione dei fatti rispettivamente contestati nell'ipotesi di cui all'art. 481 codice penale, in ragione del limite oggettivo di accesso alla sospensione imposto dal primo comma dell'art. 168-bis codice penale e della forbice edittale prevista dall'art. 55-quinquies decreto legislativo n. 165/2011, che prevede una pena superiore nel massimo a quattro anni; che, avuto riguardo alle risultanze istruttorie dianzi richiamate - in ordine alla dinamica della condotta ascritta agli odierni prevenuti -, deve escludersi che sia ipotizzabile una pronuncia di proscioglimento o di non luogo a procedere nei confronti degli imputati ovvero che siano utilmente esperibili mezzi di prova ulteriori rispetto a quelli gia' assunti in sede di udienza preliminare e utili ai fini di una simile pronuncia; che, in particolare, contrariamente alle allegazioni svolte della difesa degli imputati, a nulla rileva la fase in cui il lavoratore ha prodotto il falso certificato, essendo comunque evidente la finalita' perseguita, coincidente con l'intento di giustificare l'assenza dal servizio; che, del pari, tenuto conto dell'intensita' del dolo desumibile della pervicacia con cui i due coniugi hanno perseguito l'obiettivo, nonostante l'avvio del procedimento disciplinare, nonche' del precedente specifico a carico della G., non si ravvisano i presupposti per una pronuncia di lieve tenuita' del fatto, ai sensi dell'art. 131-bis codice penale; che, in ogni caso, in ragione della natura assai contenuta del danno cagionato alla Pubblica Amministrazione e del ruolo rivestito dai soggetti concorrenti nel reato, oltre che della loro incensuratezza, questo Giudice avrebbe potuto valutare la configurabilita' dei presupposti per una sospensione del procedimento previa predisposizione di un adeguato piano di trattamento di messa alla prova, ad opera dell'UEPE competente; che, pertanto, la questione inerente l'adeguatezza e proporzionalita' del trattamento sanzionatorio contemplato dall'art. 55-quinquies decreto legislativo n. 165/2011, appare senza dubbio rilevante, in ragione dell'incidenza attuale e non meramente eventuale rivestita dalla disposizione normativa indicata, the laddove caratterizzata da limiti edittali contenuti nel massimo fino a 4 anni di reclusione, avrebbe consentito una pronuncia di ammissibilita' dalla richiesta di accesso all'istituto introdotto dalla legge n. 67/2014; che del pari ricorre il presupposto della non manifesta infondatezza della questione, alla luce dei principi costituzionali di ragionevolezza di cui all'art 3 della Costituzione e di colpevolezza e di necessaria finalizzazione rieducativa della pena di cui all'art. 27 Costituzione; che, sul punto, com'e' pacifico, la disposizione censurata prevede al primo comma che «Fermo restando quanto previsto dal codice penale, il lavoratore dipendente di una pubblica amministrazione che attesta falsamente la propria presenza in servizio, mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalita' fraudolente, ovvero giustifica l'assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa a falsamente attestante uno stato di malattia e' punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da € 400,00 ad € 1.600,00. La medesima pena si applica al medico e a chiunque altro concorre nella commissione del delitto». La norma prosegue quindi al secondo e terzo comma, sancendo che «nei casi di cui al comma 1, il lavoratore, ferme la responsabilita' penale e disciplinare e le relative sanzioni, e' obbligato a risarcire il danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione, nonche' il danno all'immagine subiti dall'amministrazione. La sentenza definitiva di condanna o di applicazione della pena per il delitto di cui al comma 1, comporta, per il medico, la sanzione disciplinare della radiazione dall'albo ed altresi', se dipendente da una struttura sanitaria pubblica o se convenzionato con il servizio sanitario nazionale, il licenziamento per giusta causa o la decadenza dalla convenzione, Le medesime sanzioni disciplinari si applicano se il medico, in relazione all'assenza dal servizio, rilascia certificazioni the attestano dati clinici non direttamente constatati ne oggettivamente documentati». Cio' posto, com'e' pacifico, il primo comma della disposizione introduce una fattispecie incriminatrice speciale, un reato proprio del pubblico dipendente, ancorando la responsabilita' penale ad una condotta consistente alternativamente: a) nell'attestare falsamente la presenza in servizio, mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o mediante altre modalita' fraudolente; b) nel giustificare l'assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o falsamente attestante uno stato di malattia. Si comprende subito come la fattispecie di cui al punto sub a) sia caratterizzata dalla presenza di una condotta complessa, integrata dalla falsa rappresentazione della presenza in servizio del lavoratore e dalla circostanza che il soggetto attivo si avvale di modalita' fraudolente, come l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza, per la realizzazione del falso ideologico nell'attestazione delle presenze ovvero il ricorso ad una condotta di falso ideologico. D'altro canto, la clausola che compare in apertura esclude l'esistenza di un rapporto di specialita' o di sussidiarieta' con le disposizioni del codice penale che sanzionano le condotte di falso ideologico e materiale, rendendo possibile la contestazione di una pluralita' di reati in relazione al medesimo fatto. A parere di questo decidente, un'interpretazione della norma esaminata in sintonia con il principio di offensivita' e ragionevolezza della pena deve tendere ad individuarvi condotte caratterizzate dall'elemento materiale del falso ideologico e corroborate da atti decettivi idonei ad impedirne ovvero renderne in qualche modo piu' difficoltoso l'accertamento, secondo un giudizio ex ante, a prescindere dal successivo sviluppo degli eventi: in sostanza, una condotta del tutto omogenea a quella disciplinata dall'art. 640 codice penale, aggravata ai sensi del n. 1 del secondo comma (1) . che, esaminando sotto altro profilo, la ratio della previsione normativa, agevolmente desumibile da una prima lettura della disposizione, non puo' non sottacersi che il particolare rigore sanzionatorio manifestato dal legislatore rispetto alla fattispecie della truffa appare giustificato dalla voluntas sottostante l'intero impianto del c.d. decreto Brunetta, avente ad oggetto una riforma organica della disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti della Pubblica Amministrazione, in risposta ad una sempre piu' pressante richiesta di accrescimento dell'efficienza del lavoro pubblico da parte dei privati cittadini e nell'ottica di una migliore utilizzazione delle risorse umane e di una razionalizzazione del costi. Nei lavori preparatori del decreto legislativo 27 ottobre 2009 n. 150, di attuazione della delega contenuta nella legge 4 marzo 2009 n. 15 (che all'art. 69 ha appunto introdotto l'art. 55-quinquies del decreto legislativo n. 165/2001), e in quest'ottica chiaramente espresso l'intento di modificare la disciplina delle sanzioni disciplinari e della responsabilita' dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, allo scopo di potenziare il livello di efficienza degli uffici pubblici, contrastando i fenomeni di scarsa produttivita' e assenteismo: in quest'ottica, a fronte di una pregressa spersonalizzazione dell'ente pubblico, sono stati ampliati i poteri-doveri di vigilanza e controllo spettanti sia al responsabile della struttura in cui i dipendenti sono inseriti, sia al dirigente eventualmente preposto all'amministrazione generate del personale, proprio per prevenire o contrastare le condotte di lassismo, superficialita' e assenteismo, nell'interesse della funzionalita' dell'ufficio (cfr. parere della Commissione Affari Costituzionali del Senato nella seduta del 23 settembre 2009). Ed e' proprio la pressante esigenza di garantire un sufficiente livello di customer satisfaction e trasparenza che pare giustificare da un lato la definizione di una dettagliata gamma di infrazioni idonee a condurre alla sanzione disciplinare del licenziamento e, d'altro lato, la predisposizione di uno speciale rigore sanzionatorio nei confronti dei protagonisti del desolante quadro di assenteismo e improduttivita' che per anni ha caratterizzato l'apparato pubblico della societa' post industriale, nascondendosi dietro l'inefficienza dei sistemi di controllo e l'inadeguatezza della funzione preventiva propria delle previsioni disciplinari. che, rispetto a tali scelte criminalizzatrici del legislatore, - alla cui discrezionalita' e' evidentemente affidata non soltanto la scelta dei beni/interessi/valori da tutelare e le tecniche di tutela, ma altresi' la commisurazione delle sanzioni -, i limiti concreti alla libera ponderazione politica sono nondimeno quelli derivanti proprio dai criteri di ragionevolezza proporzionalita' - diretta a mitigare il rigore della disciplina positiva di fronte alle peculiarita' del caso concreto - e coerenza, da intendersi come rispondenza logica della norma rispetto al fine perseguito dalla legge ovvero rispetto ai principi generali del sistema. In questo senso, il giudizio di ragionevolezza di una norma giuridica «lungi dal comportare il ricorso a criteri di valutazione assoluti e astrattamente prefissati, si svolge attraverso ponderazioni relative alla proporzionalita' dei mezzi prescelti dal legislatore nella sua insindacabile discrezionalita' rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalita' che intende perseguire, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti» (cfr. Corte Cost., sentenza n. 1130 del 1988); se e vero, infatti, che soltanto il legislatore puo' «individuare i beni da tutelare mediante la sanzione penale e le condotte, lesive di tali beni, da assoggettare a pena, nonche' stabilire qualita' e quantita' dello relative pene edittali» (cfr. Corte costituzionale n. 447/1998), e altrettanto vero che il criterio della rilevanza della lesione ne limita in qualche modo la discrezionalita', richiedendo un rapporto di proporzionalita' fra la gravita' del crimine e l'entita' della sanzione che ad esso si correla. Proprio la Corte costituzionale ha infatti chiarito come il principio di uguaglianza esiga, in primo luogo, «che la pena sia proporzionata al disvalore del fatto illecito commesso, in modo che il sistema sanzionatorio adempia, nel contempo, alla funzione di difesa sociale ed a quella di tutela delle posizioni individuali (cfr. Corte costituzionale n. 409/1989), negando legittimita' alle incriminazioni che, anche se presumibilmente idonee a raggiungere finalita' statali di prevenzione, producono, attraverso la pena, danni ai diritti fondamentali dell'individuo oltre che alla societa' sproporzionatamente maggiori dei vantaggi ottenuti con la tutela dei beni e dei valori offesi dalle predette incriminazioni. In secondo luogo, che vi sia una parita' di trattamento sanzionatorio fra fattispecie sostanzialmente omogenee, al fine di evitare che le scelte incriminatrici «trasmodino nella manifesta ragionevolezza o nell'arbitrio, come avviene a fronte di sperequazioni sanzionatorie tra fattispecie omogenee non sorrette da alcuna ragionevole giustificazione» (cfr. Corte costituzionale 2 febbraio 2007, n. 22; nonche' Corte costituzionale n. 409/1989). che, come supra evidenziato, la disposizione censurata mira a tutelare una vasta gamma di interessi facenti capo alla Pubblica Amministrazione, comprensivi non soltanto di quelli strettamente patrimoniali, ma anche dei beni riconducibili at concetti di onorabilita' e di onore, inerenti le modalita' con, le quali un soggetto giuridico si presenta e viene percepito, con riferimento alla posizione ordinamentale e soprattutto, alle usuali rappresentazioni che del medesimo vengono fatte nella realta' sociale (2) ; ed e proprio l'esigenza di buon funzionamento delle istituzioni pubbliche, avente il proprio fondamento nel principio di cui all'art. 97 Costituzione, in un certo senso giustifica il maggiore rigore sanzionatorio apprestato dal legislatore rispetto all'ipotesi di truffa aggravata ai sensi dell'art. 640, secondo comma, codice penale, nell'ipotesi in cui la condotta ingannatoria sia posta in essere nell'ambito del rapporto con il pubblico dipendente, che, com'e' noto, ha il dovere di tutelare l'immagine pubblica dell'Amministrazione, quale valore di etica pubblica oggettivizzato nei codici di comportamento previsti dall'art. 54 decreto legislativo n. 165/2011, ma gia' previsto nei principi generali in materia di promozione di immagine della Pubblica Amministrazione di cui alla legge 7 giugno 2000, n. 150. Ci si chiede, tuttavia, se tale particolare rigore, consistente nell'approntare una sanzione di carattere generate applicabile a qualsiasi forma di contributo prestato anche da soggetti estranei al sistema amministrativo e a prescindere dal verificarsi di un danno patrimoniale, associata ad un pesante trattamento sotto il profilo disciplinare, sia oggettivamente giustificato nelle ipotesi in cui la condotta illecita del pubblico dipendente non abbia avuto ripercussioni estreme, provocando una lesione del prestigio della Pubblica Amministrazione ovvero non abbia prodotto danni patrimoniali di significativa entita'; nonche' nelle ipotesi in cui detta condotta sia posta in essere da soggetti diversi, che, pur essendo concorrenti nel reato, sono tuttavia svincolati dall'obbligo di tutela dal quale gravato il dipendente pubblico. Vero e' che la previsione di una forbice edittale potrebbe consentire al giudice di valutare le varie modalita' presentate dalle singole attivita' criminose e procedere ad una graduazione delle sanzioni attraverso l'applicazione di alcune circostanze, e in particolare di quelle generiche ex art. 62-bis codice penale, allorche' egli ritenga di diminuire la pena. Resta fermo che, a differenza dell'ipotesi della truffa aggravata in quanto commessa ai danni di un ente pubblico, la fissita' dei limiti edittali precluderebbe comunque non soltanto l'applicazione delle sanzioni sostitutive di cui alla legge n. 689/81, ma altresi' l'accesso ad istituti, quale quello della messa alla prova, caratterizzati dallo scopo di favorire lo sviluppo della revisione critica dell'imputato rispetto all'illecito commesso. In questa prospettiva, la severita' del trattamento sanzionatorio, che colpisce l'intera sfera di diritti personali dell'individuo - la liberta' personale, il patrimonio, l'onorabilita' - e che e' giustificata dalla rilevanza degli interessi tutelati, laddove non sia corredata da una flessibilita' idonea a consentire al giudice di proporzionare sanzione concreta in base agli elementi di cui all'art. 133 codice penale e segnatamente al reale disvalore del fatto ed alla pericolosita' personale del reo, finisce per violare i principi di proporzionalita' e ragionevolezza direttamente derivanti dall'art. 3 Costituzione, «appiattendo» in un'unica ipotesi delittuosa condotte tipiche nettamente differenziate (di pericolo e di evento), precludendo un adeguato bilanciamento tra il sacrificio della liberta' personale del condannato e i vantaggi che derivano in termini di tutela degli interessi previsti dalla norma incriminatrice; e, infine, eccedendo macroscopicamente i livelli di pena previsti da disposizioni assimilabili, giacche' il pubblico dipendente - magari di basso livello economico - che si sia illecitamente assentato dal servizio per un solo giorno finirebbe per essere punito assai pin severamente dell'autore di un abuso d'ufficio dal quale sia scaturita ma rilevante compromissione del prestigio della Pubblica Amministrazione, ovvero dal responsabile di una truffa perpetrata per importi assai significativi ai danni di un ente pubblico, rispetto alla quale sia nondimeno intervenuto il risarcimento del danno, idoneo a giustificare un giudizio di bilanciamento dell'aggravante di cui al secondo comma dell'art. 640 codice penale con le circostanze attenuanti generiche ovvero con l'attenuante di cut all'art. 62 n. 6 codice penale. che, sotto altro profilo, la norma indicata appare in contrasto con il principio di personalita' e di finalita' rieducativa della pena di cui all'art. 27 Costituzione, che non puo' essere garantito laddove, come nella vicenda all'esame, non sia assicurata la «individualizzazione del trattamento sanzionatorio diretta a rendere quanto piu' possibile «personale» la responsabilita' penale e, nello stesso tempo, strumento per una determinazione della pena quanto piu' possibile «finalizzata», nella prospettiva dell'art. 27, terzo comma, Costituzione (cfr. Corte costituzionale, n. 50/1980); in particolare, proprio l'impossibilita' di applicare un trattamento adeguato e proporzionato al singolo caso concreto non soltanto preclude il ricorso a trattamenti finalizzati al recupero e al reinserimento del reo nelle ipotesi in cui quest'ultimo, pur essendosi reso responsabile di una condotta criminosa, non abbia tuttavia manifestato un profilo antisociale o tale da destare particolare allarme sociale, ma aggrava nel reo la percezione di subire una condanna ingiusta, svincolata dal concreto disvalore della propria condotta, impedendogli di comprendere adeguatamente, con piena consapevolezza, il disvalore della propria condotta, in frontale contrasto con la finalita' rieducativa della pena; (1) Il tratto specializzante, rispetto all'ordinarieta', della condotta del dipendente incriminata dall'art. 55-quinques decreto legislativo n. 165/2001, appare delineato nella citata disposizione con il riferimento alle «modalita' fraudolente», espressione a dire il vero non nuova nel lessico del legislatore penale, in quanto in larga misura utilizzata per esprimere in via generate una piu' marcata efficienza offensiva della condotta rispetto al bene interesse tutelato dalla norma incriminatrice. Al riguardo, dinanzi all'esigenza di definire in qualche modo il concetto espresso dal dato letterale utilizzato, a causa dell'evidente vaghezza ed elasticita' del lessico adoperato dal legislatore, si sono scontrati due opposti orientamenti giurisprudenziali che, partendo dalla comune considerazione del significato proprio dell'aggettivo «fraudolento» - evidentemente sintomatico di astuzia o scaltrezza -, sono nondimeno pervenuti a conclusioni diverse, giacche' un primo indirizzo, ai fini della configurabilita' del reato o della circostanza aggravante ha di volta in volta richiesto l'inserimento nella dinamica della condotta di un quid pluris - realmente percettibile sul piano fattuale - rispetto all'attivita' materiale di base inserita nella costruzione della fattispecie; mentre un secondo indirizzo ha incentrato la concretizzazione della fattispecie astratta esclusivamente nell'atteggiamento psicologico del soggetto agente, il quale impronti la propria azione ad astuzia e scaltrezza, diretta ad eludere le cautele e frustrare gli accorgimenti predisposti a garanzia del bene-interesse tutelato. In realta', a parere di questo giudice, al fine di evitare approcci interpretativi eccessivamente rigidi e poco aderenti alla logica del principio di offensivita' cui e' ispirato l'apprezzamento penalistico, l'analisi razionale della norma introdotta dal legislatore dev'essere delineata avuto riguardo al bene-interesse dalla stessa in concreto tutelato, tenuto conto del principio costituzionalmente imposto come limite alla discrezionalita' del legislatore, in materia di previsione di fattispecie penalmente rilevanti (nullum crimen sine offesa) ed operante ininterrottamente, proprio ai sensi dell'art. 25 Costituzione. (2) Tale ultimo aspetto, per quel che riguarda la Pubblica Amministrazione, attiene essenzialmente al rapporto di fiducia con la cittadinanza che, laddove minato, provoca una compromissione della solidita' e dell'integrita' dei principi di legalita', buon andamento, imparzialita', nonche' dei criteri di economicita', efficacia, efficienza e trasparenza, nucleo fondante dell'azione amministrativa. Con un inevitabile onere finanziario per l'intera collettivita', strettamente connesso alla carente utilizzazione delle risorse pubbliche ed ai costi aggiuntivi necessari a correggere gli effetti distorsivi che si riflettono sull'organizzazione della Pubblica Amministrazione in termini di minor credibilita' e reputazione e di diminuzione della potenzialita' concreta.
P.Q.M. Ritenuta la rilevanza nel presente giudizio e la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 55-quinquies decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nella parte in cui non prevede un'ipotesi attenuata per i casi di minore gravita', per asserito contrasto con gli articoli 3 e 27 Costituzione, sospende il presente procedimento a carico di G. L., M. R. e V. R.; Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale affinche', ove ne ravvisi i presupposti, voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 55-quinquies decreto legislativo n. 165/2001, nella parte indicata; Dispone che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Genova, 28 giugno 2017 Il giudice: Solombrino