N. 186 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 giugno 2017

Ordinanza del 28 giugno 2017 del G.I.P. del Tribunale di  Genova  nel
procedimento penale a carico di G. L., M. R. e V. R.. 
 
Impiego  pubblico  -  Rapporto  di  lavoro  -  False  attestazioni  o
  certificazioni - Trattamento sanzionatorio - Mancata previsione  di
  un'ipotesi attenuata per i casi di minore gravita'. 
- Decreto  legislativo  30  marzo  2001,  n.  165   (Norme   generali
  sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze  delle  amministrazioni
  pubbliche), art. 55-quinquies. 
(GU n.1 del 3-1-2018 )
 
                         TRIBUNALE DI GENOVA 
           ufficio del giudice per le indagini preliminari 
 
    Il giudice  dell'udienza  preliminare,  Alessia  Solombrino,  nel
procedimento  contro  G.  L.  nata  a  Genova  il   ,   elettivamente
domiciliata ex art. 161 codice di procedura penale in Genova,  presso
lo studio dell'avv. Alessandro Vaccaro; 
      - difesa di fiducia dall'avv. Alessandro Vaccaro  del  foro  di
Genova; 
    M. R., nato a Genova il , elettivamente domiciliata ex  art.  161
codice di procedura penale in  Genova,  presso  lo  studio  dell'avv.
Emanuele Lamberti; 
      - difeso di fiducia dall'avv. Emanuele  Lamberti  del  foro  di
Genova; 
    V. R., nato a Genova il elettivamente  domiciliato  ex  art.  161
codice di procedura penale in Genova, presso lo studio dell'avv. Luca
Ciurlo; 
      - difeso di fiducia dall'avv. Luca Ciurlo del foro di Genova; 
    Imputati per il delitto di cui agli artt. 110 CP. e  55-quinquies
decreto legislativo  n.  165/2001,  perche',  in  concorso  tra  loro
giustificavano l'assenza dal servizio di L. G. insegnante  presso  il
liceo statale di Genova, che si trovava in vacanza con il  marito  R.
M. alle Isole Maldive, mediante una certificazione medica redatta dal
dott. R. V., falsamente attestante uno stato di  malattia  della  G.,
verificatosi a Londra (ove V. svolge la professione medica),  che  le
avrebbe impedito di svolgere  servizio  a  scuola  nei  giorni  7-8-9
gennaio 2015; in particolare, M.  richiedeva  a  V.  di  redigere  il
certificato - poi prodotto in sede di procedimento disciplinare  -  e
V. attestava falsamente di avere visitato la G. a Londra  in  data  7
gennaio  2015,  trovandola  affetta  da  «sindrome   intestinale   di
probabile eziologia virale». 
    In Genova, il 18 febbraio 2015. 
    Recidiva specifica ed infraquinquennale per G. 
    Sentite  le  parti,  all'odierna  udienza  del  28  giugno  2017,
all'esito della camera di consiglio, ha pronunciato mediante  lettura
in udienza la seguente  ordinanza  sulla  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 55-quinquies decreto  legislativo  30  marzo
2001, n. 165, nella parte in cui non prevede un'ipotesi attenuata per
i casi di minore gravita',  per  contrasto  con  gli  artt.  3  e  27
Costituzione. 
 
                              Rilevato: 
 
        che la vicenda processuale sottoposta all'esame  puo'  essere
agevolmente ricostruita sulla  scorta  delle  risultanze  istruttorie
allegate a sostegno della richiesta di rinvio a giudizio, nei termini
di seguito esposti: 
        - l'imputata G L , docente a tempo determinato per  il  Liceo
Statale « » di Genova, con contratto decorrente dal 6  ottobre  2014,
prorogato fino al 25 gennaio 2015  -,  poco  prima  delle  festivita'
natalizie dell'anno 2014, esponeva al dirigente scolastico l'esigenza
di assentarsi dal servizio  dopo  cinque  giorni  dalla  data  del  7
gennaio 2015, prevista per il congedo ordinario,  avendo  programmato
un viaggio all'estero con il  marito  fino  al  12  gennaio  2015,  e
apprendeva che l'istanza formulata  non  sarebbe  stata  accolta  per
esigenze di servizio; 
        - il successivo 7 gennaio 2015, la predetta ometteva tuttavia
di  presentarsi   presso   l'istituto   scolastico   per   riprendere
l'attivita'  e  comunicava  telefonicamente   alla   segreteria   del
personale un'assenza di due giorni per malattia, risultando  altresi'
assente in occasione della visita fiscale disposta per le  ore  12,10
dello  stesso  giorno;  in  tali  occasioni,  la  G.  presentava  due
certificati del proprio medico curante, dott. M.  I.,  che  attestava
quanto  dichiarato  dalla  paziente  circa  uno  stato  di   malattia
diagnosticato in termini di «enterocolite» e protrattosi fino  al  12
gennaio 2015, evidenziando di non avere visitato la donna; 
        - veniva pertanto avviato un procedimento  disciplinare,  nel
corso del quale, in occasione dell'audizione del 18 febbraio 2015, la
G. produceva un ulteriore certificato, recante la data del 7  gennaio
2015 e la sottoscrizione del dott. R. V., medico operante in  Londra,
il  quale  attestava  di  avere  visitato  la  donna  e   di   averle
diagnosticato  una  «sindrome  intestinale  di  probabile   eziologia
virale»; 
        - dalle dichiarazioni successivamente acquisite e dalla piena
confessione resa nella fase delle indagini dalla stessa G.,  emergeva
che il dott. V. non aveva mai visitato la G.  e  si  era  prestato  a
redigere e inoltrare il falso certificato su  richiesta  del  coniuge
della donna, M. R., dal quale era stato contattato per il tramite  di
un amico comune soltanto successivamente all'avvio  del  procedimento
disciplinare da parte del dirigente scolastico; 
        che  all'odierna  udienza  gli  imputati  G.   e   M.   hanno
manifestato l'intenzione di accedere all'istituto  della  messa  alla
prova, previa riqualificazione dei fatti  rispettivamente  contestati
nell'ipotesi di cui all'art. 481 codice penale, in ragione del limite
oggettivo  di  accesso  alla  sospensione  imposto  dal  primo  comma
dell'art. 168-bis codice penale e  della  forbice  edittale  prevista
dall'art. 55-quinquies decreto legislativo n. 165/2011,  che  prevede
una pena superiore nel massimo a quattro anni; 
        che,  avuto  riguardo  alle  risultanze  istruttorie   dianzi
richiamate - in ordine alla dinamica  della  condotta  ascritta  agli
odierni  prevenuti  -,  deve  escludersi  che  sia  ipotizzabile  una
pronuncia di proscioglimento o di non luogo a procedere nei confronti
degli imputati ovvero che siano utilmente esperibili mezzi  di  prova
ulteriori  rispetto  a  quelli  gia'  assunti  in  sede  di   udienza
preliminare e  utili  ai  fini  di  una  simile  pronuncia;  che,  in
particolare, contrariamente  alle  allegazioni  svolte  della  difesa
degli imputati, a nulla rileva  la  fase  in  cui  il  lavoratore  ha
prodotto il falso certificato, essendo comunque evidente la finalita'
perseguita, coincidente con l'intento di giustificare  l'assenza  dal
servizio; che,  del  pari,  tenuto  conto  dell'intensita'  del  dolo
desumibile della pervicacia con cui i due  coniugi  hanno  perseguito
l'obiettivo,  nonostante  l'avvio  del   procedimento   disciplinare,
nonche' del precedente specifico a carico della G., non si  ravvisano
i presupposti per una pronuncia di lieve tenuita' del fatto, ai sensi
dell'art. 131-bis codice penale; che, in ogni caso, in ragione  della
natura  assai   contenuta   del   danno   cagionato   alla   Pubblica
Amministrazione e del ruolo rivestito dai  soggetti  concorrenti  nel
reato, oltre che della loro incensuratezza,  questo  Giudice  avrebbe
potuto  valutare  la  configurabilita'  dei   presupposti   per   una
sospensione del procedimento previa predisposizione  di  un  adeguato
piano  di  trattamento  di  messa  alla  prova,  ad  opera  dell'UEPE
competente; 
        che,  pertanto,  la  questione   inerente   l'adeguatezza   e
proporzionalita' del trattamento sanzionatorio contemplato  dall'art.
55-quinquies decreto legislativo n.  165/2011,  appare  senza  dubbio
rilevante,  in  ragione  dell'incidenza  attuale  e   non   meramente
eventuale  rivestita  dalla  disposizione  normativa  indicata,   the
laddove caratterizzata da limiti edittali contenuti nel massimo  fino
a  4  anni  di  reclusione,  avrebbe  consentito  una  pronuncia   di
ammissibilita' dalla richiesta  di  accesso  all'istituto  introdotto
dalla legge n. 67/2014; 
        che del pari  ricorre  il  presupposto  della  non  manifesta
infondatezza della questione, alla luce dei  principi  costituzionali
di  ragionevolezza  di  cui  all'art  3  della  Costituzione   e   di
colpevolezza e di necessaria finalizzazione rieducativa della pena di
cui all'art. 27 Costituzione; 
        che, sul punto, com'e' pacifico,  la  disposizione  censurata
prevede al primo comma che «Fermo restando quanto previsto dal codice
penale, il lavoratore dipendente di una pubblica amministrazione  che
attesta  falsamente  la  propria  presenza  in   servizio,   mediante
l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o  con  altre
modalita'  fraudolente,  ovvero  giustifica  l'assenza  dal  servizio
mediante una certificazione medica falsa a falsamente attestante  uno
stato di malattia e' punito con la reclusione da uno a cinque anni  e
con la multa da € 400,00 ad € 1.600,00. La medesima pena  si  applica
al medico e a chiunque altro concorre nella commissione del delitto». 
    La norma prosegue quindi al secondo e terzo comma,  sancendo  che
«nei casi di cui al comma 1, il lavoratore, ferme la  responsabilita'
penale  e  disciplinare  e  le  relative  sanzioni,  e'  obbligato  a
risarcire il danno  patrimoniale,  pari  al  compenso  corrisposto  a
titolo di retribuzione nei periodi  per  i  quali  sia  accertata  la
mancata   prestazione,   nonche'   il   danno   all'immagine   subiti
dall'amministrazione.  La  sentenza  definitiva  di  condanna  o   di
applicazione della pena per il delitto di cui al comma  1,  comporta,
per il medico, la sanzione disciplinare della radiazione dall'albo ed
altresi', se dipendente da una  struttura  sanitaria  pubblica  o  se
convenzionato con il servizio sanitario nazionale,  il  licenziamento
per giusta causa  o  la  decadenza  dalla  convenzione,  Le  medesime
sanzioni  disciplinari  si  applicano  se  il  medico,  in  relazione
all'assenza dal servizio, rilascia certificazioni the attestano  dati
clinici non direttamente constatati ne oggettivamente documentati». 
    Cio' posto, com'e' pacifico, il primo  comma  della  disposizione
introduce una fattispecie incriminatrice speciale, un  reato  proprio
del pubblico dipendente, ancorando la responsabilita' penale  ad  una
condotta consistente alternativamente: 
        a)  nell'attestare  falsamente  la  presenza   in   servizio,
mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento  della  presenza  o
mediante altre modalita' fraudolente; 
        b) nel  giustificare  l'assenza  dal  servizio  mediante  una
certificazione medica falsa o  falsamente  attestante  uno  stato  di
malattia. 
    Si comprende subito come la fattispecie di cui al  punto  sub  a)
sia  caratterizzata  dalla  presenza  di  una   condotta   complessa,
integrata dalla falsa rappresentazione della presenza in servizio del
lavoratore e dalla circostanza che il soggetto attivo  si  avvale  di
modalita' fraudolente, come l'alterazione dei sistemi di  rilevamento
della  presenza,  per   la   realizzazione   del   falso   ideologico
nell'attestazione delle presenze ovvero il ricorso ad una condotta di
falso ideologico. 
    D'altro canto,  la  clausola  che  compare  in  apertura  esclude
l'esistenza di un rapporto di specialita' o di sussidiarieta' con  le
disposizioni del codice penale che sanzionano le  condotte  di  falso
ideologico e materiale, rendendo possibile la  contestazione  di  una
pluralita' di reati in relazione al medesimo fatto. 
    A parere di  questo  decidente,  un'interpretazione  della  norma
esaminata  in  sintonia  con   il   principio   di   offensivita'   e
ragionevolezza della  pena  deve  tendere  ad  individuarvi  condotte
caratterizzate  dall'elemento  materiale  del  falso   ideologico   e
corroborate da atti decettivi idonei ad impedirne ovvero renderne  in
qualche modo piu' difficoltoso l'accertamento, secondo un giudizio ex
ante,  a  prescindere  dal  successivo  sviluppo  degli  eventi:   in
sostanza, una condotta  del  tutto  omogenea  a  quella  disciplinata
dall'art. 640 codice penale, aggravata ai sensi del n. 1 del  secondo
comma (1) . 
        che,  esaminando  sotto  altro  profilo,   la   ratio   della
previsione normativa, agevolmente desumibile  da  una  prima  lettura
della disposizione, non puo' non sottacersi che il particolare rigore
sanzionatorio manifestato dal legislatore rispetto  alla  fattispecie
della truffa appare giustificato dalla voluntas sottostante  l'intero
impianto del c.d. decreto Brunetta, avente  ad  oggetto  una  riforma
organica della disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti della
Pubblica Amministrazione, in risposta ad una  sempre  piu'  pressante
richiesta di accrescimento dell'efficienza  del  lavoro  pubblico  da
parte  dei  privati  cittadini  e   nell'ottica   di   una   migliore
utilizzazione delle risorse umane  e  di  una  razionalizzazione  del
costi. 
    Nei lavori preparatori del decreto legislativo 27 ottobre 2009 n.
150, di attuazione della delega contenuta nella legge 4 marzo 2009 n.
15 (che all'art. 69 ha appunto  introdotto  l'art.  55-quinquies  del
decreto legislativo  n.  165/2001),  e  in  quest'ottica  chiaramente
espresso  l'intento  di  modificare  la  disciplina  delle   sanzioni
disciplinari   e   della   responsabilita'   dei   dipendenti   delle
amministrazioni pubbliche, allo scopo di  potenziare  il  livello  di
efficienza degli uffici pubblici, contrastando i fenomeni  di  scarsa
produttivita'  e  assenteismo:  in  quest'ottica,  a  fronte  di  una
pregressa spersonalizzazione dell'ente pubblico, sono stati  ampliati
i  poteri-doveri  di  vigilanza  e   controllo   spettanti   sia   al
responsabile della struttura in cui i dipendenti sono  inseriti,  sia
al dirigente eventualmente preposto all'amministrazione generate  del
personale,  proprio  per  prevenire  o  contrastare  le  condotte  di
lassismo,  superficialita'  e   assenteismo,   nell'interesse   della
funzionalita' dell'ufficio  (cfr.  parere  della  Commissione  Affari
Costituzionali del Senato nella seduta del 23 settembre 2009). 
    Ed e' proprio la pressante esigenza di garantire  un  sufficiente
livello di customer satisfaction e trasparenza che pare  giustificare
da un lato la definizione di  una  dettagliata  gamma  di  infrazioni
idonee a condurre alla sanzione  disciplinare  del  licenziamento  e,
d'altro lato, la predisposizione di uno speciale rigore sanzionatorio
nei confronti dei protagonisti del desolante quadro di assenteismo  e
improduttivita' che per anni ha  caratterizzato  l'apparato  pubblico
della societa' post industriale, nascondendosi dietro  l'inefficienza
dei sistemi di controllo e l'inadeguatezza della funzione  preventiva
propria delle previsioni disciplinari. 
        che,   rispetto   a   tali   scelte   criminalizzatrici   del
legislatore, - alla cui discrezionalita'  e'  evidentemente  affidata
non soltanto la scelta dei beni/interessi/valori  da  tutelare  e  le
tecniche di tutela, ma altresi' la commisurazione delle sanzioni -, i
limiti concreti alla  libera  ponderazione  politica  sono  nondimeno
quelli   derivanti   proprio   dai    criteri    di    ragionevolezza
proporzionalita' - diretta a  mitigare  il  rigore  della  disciplina
positiva di fronte alle peculiarita' del caso concreto - e  coerenza,
da intendersi come rispondenza logica della norma  rispetto  al  fine
perseguito dalla legge  ovvero  rispetto  ai  principi  generali  del
sistema. 
    In questo senso, il  giudizio  di  ragionevolezza  di  una  norma
giuridica «lungi dal comportare il ricorso a criteri  di  valutazione
assoluti   e   astrattamente   prefissati,   si   svolge   attraverso
ponderazioni relative alla proporzionalita' dei mezzi  prescelti  dal
legislatore nella sua insindacabile  discrezionalita'  rispetto  alle
esigenze  obiettive  da  soddisfare  o  alle  finalita'  che  intende
perseguire,  tenuto  conto  delle  circostanze  e  delle  limitazioni
concretamente sussistenti» (cfr. Corte Cost., sentenza  n.  1130  del
1988);  se  e  vero,  infatti,  che  soltanto  il  legislatore   puo'
«individuare i beni da tutelare mediante  la  sanzione  penale  e  le
condotte, lesive di  tali  beni,  da  assoggettare  a  pena,  nonche'
stabilire qualita' e quantita' dello relative  pene  edittali»  (cfr.
Corte costituzionale n. 447/1998), e altrettanto vero che il criterio
della  rilevanza  della  lesione  ne  limita  in  qualche   modo   la
discrezionalita', richiedendo un rapporto di proporzionalita' fra  la
gravita' del crimine e  l'entita'  della  sanzione  che  ad  esso  si
correla. 
    Proprio la Corte  costituzionale  ha  infatti  chiarito  come  il
principio di uguaglianza esiga, in primo  luogo,  «che  la  pena  sia
proporzionata al disvalore del fatto illecito commesso, in  modo  che
il sistema sanzionatorio adempia,  nel  contempo,  alla  funzione  di
difesa sociale ed a quella  di  tutela  delle  posizioni  individuali
(cfr. Corte costituzionale n. 409/1989),  negando  legittimita'  alle
incriminazioni che, anche se  presumibilmente  idonee  a  raggiungere
finalita' statali di  prevenzione,  producono,  attraverso  la  pena,
danni ai diritti fondamentali dell'individuo oltre che alla  societa'
sproporzionatamente maggiori dei vantaggi ottenuti con la tutela  dei
beni e dei valori offesi dalle predette  incriminazioni.  In  secondo
luogo, che vi  sia  una  parita'  di  trattamento  sanzionatorio  fra
fattispecie sostanzialmente omogenee,  al  fine  di  evitare  che  le
scelte incriminatrici «trasmodino nella  manifesta  ragionevolezza  o
nell'arbitrio, come avviene a fronte di  sperequazioni  sanzionatorie
tra  fattispecie  omogenee  non  sorrette   da   alcuna   ragionevole
giustificazione» (cfr. Corte costituzionale 2 febbraio 2007,  n.  22;
nonche' Corte costituzionale n. 409/1989). 
        che, come supra evidenziato, la disposizione censurata mira a
tutelare una vasta gamma di  interessi  facenti  capo  alla  Pubblica
Amministrazione, comprensivi  non  soltanto  di  quelli  strettamente
patrimoniali,  ma  anche  dei  beni  riconducibili  at  concetti   di
onorabilita' e di onore, inerenti  le  modalita'  con,  le  quali  un
soggetto giuridico si presenta e  viene  percepito,  con  riferimento
alla   posizione   ordinamentale   e   soprattutto,    alle    usuali
rappresentazioni che del medesimo vengono fatte nella realta' sociale
(2) ; ed e proprio l'esigenza di buon funzionamento delle istituzioni
pubbliche, avente il proprio fondamento nel principio di cui all'art.
97 Costituzione, in un certo  senso  giustifica  il  maggiore  rigore
sanzionatorio apprestato  dal  legislatore  rispetto  all'ipotesi  di
truffa aggravata  ai  sensi  dell'art.  640,  secondo  comma,  codice
penale, nell'ipotesi in cui la condotta  ingannatoria  sia  posta  in
essere nell'ambito del rapporto  con  il  pubblico  dipendente,  che,
com'e'  noto,  ha  il  dovere   di   tutelare   l'immagine   pubblica
dell'Amministrazione, quale valore di etica  pubblica  oggettivizzato
nei codici di comportamento previsti dall'art. 54 decreto legislativo
n. 165/2011, ma gia' previsto nei principi  generali  in  materia  di
promozione di immagine della Pubblica  Amministrazione  di  cui  alla
legge 7 giugno 2000, n. 150. 
    Ci si chiede, tuttavia, se tale particolare  rigore,  consistente
nell'approntare una sanzione  di  carattere  generate  applicabile  a
qualsiasi forma di contributo prestato anche da soggetti estranei  al
sistema amministrativo e a prescindere dal verificarsi  di  un  danno
patrimoniale, associata ad un pesante trattamento  sotto  il  profilo
disciplinare, sia oggettivamente giustificato nelle ipotesi in cui la
condotta  illecita  del   pubblico   dipendente   non   abbia   avuto
ripercussioni estreme, provocando una  lesione  del  prestigio  della
Pubblica Amministrazione ovvero non abbia prodotto danni patrimoniali
di significativa entita'; nonche' nelle ipotesi in cui detta condotta
sia posta in essere da soggetti diversi, che, pur essendo concorrenti
nel reato, sono tuttavia svincolati dall'obbligo di tutela dal  quale
gravato il dipendente pubblico. 
    Vero e' che  la  previsione  di  una  forbice  edittale  potrebbe
consentire al giudice di valutare le varie modalita' presentate dalle
singole attivita' criminose e  procedere  ad  una  graduazione  delle
sanzioni  attraverso  l'applicazione  di  alcune  circostanze,  e  in
particolare  di  quelle  generiche  ex  art.  62-bis  codice  penale,
allorche' egli ritenga di diminuire la pena. 
    Resta fermo che, a differenza dell'ipotesi della truffa aggravata
in quanto commessa ai danni di un  ente  pubblico,  la  fissita'  dei
limiti edittali precluderebbe comunque  non  soltanto  l'applicazione
delle sanzioni sostitutive di cui alla legge n. 689/81,  ma  altresi'
l'accesso  ad  istituti,  quale  quello  della  messa   alla   prova,
caratterizzati dallo scopo di favorire lo  sviluppo  della  revisione
critica dell'imputato rispetto all'illecito commesso. 
    In   questa   prospettiva,   la   severita'    del    trattamento
sanzionatorio, che  colpisce  l'intera  sfera  di  diritti  personali
dell'individuo - la liberta' personale, il patrimonio, l'onorabilita'
- e che e' giustificata dalla  rilevanza  degli  interessi  tutelati,
laddove non sia corredata da una flessibilita' idonea a consentire al
giudice di proporzionare sanzione concreta in base agli  elementi  di
cui all'art. 133 codice penale e segnatamente al reale disvalore  del
fatto ed alla pericolosita' personale del reo, finisce per violare  i
principi di proporzionalita' e ragionevolezza direttamente  derivanti
dall'art.  3  Costituzione,   «appiattendo»   in   un'unica   ipotesi
delittuosa condotte tipiche nettamente differenziate (di  pericolo  e
di evento), precludendo un adeguato bilanciamento tra  il  sacrificio
della liberta' personale del condannato e i vantaggi che derivano  in
termini   di   tutela   degli   interessi   previsti   dalla    norma
incriminatrice; e, infine, eccedendo macroscopicamente i  livelli  di
pena previsti da  disposizioni  assimilabili,  giacche'  il  pubblico
dipendente  -  magari  di  basso  livello  economico  -  che  si  sia
illecitamente assentato dal servizio per un solo giorno finirebbe per
essere punito assai pin severamente dell'autore di un abuso d'ufficio
dal quale sia scaturita ma  rilevante  compromissione  del  prestigio
della Pubblica Amministrazione, ovvero dal responsabile di una truffa
perpetrata per importi  assai  significativi  ai  danni  di  un  ente
pubblico,  rispetto  alla  quale   sia   nondimeno   intervenuto   il
risarcimento  del  danno,  idoneo  a  giustificare  un  giudizio   di
bilanciamento dell'aggravante di cui al secondo comma  dell'art.  640
codice penale con le  circostanze  attenuanti  generiche  ovvero  con
l'attenuante di cut all'art. 62 n. 6 codice penale. 
        che,  sotto  altro  profilo,  la  norma  indicata  appare  in
contrasto con il principio di personalita' e di finalita' rieducativa
della pena di cui all'art.  27  Costituzione,  che  non  puo'  essere
garantito laddove, come nella vicenda all'esame, non  sia  assicurata
la  «individualizzazione  del  trattamento  sanzionatorio  diretta  a
rendere quanto piu' possibile «personale» la  responsabilita'  penale
e, nello stesso tempo, strumento per una  determinazione  della  pena
quanto piu' possibile «finalizzata», nella prospettiva dell'art.  27,
terzo comma, Costituzione (cfr. Corte costituzionale, n. 50/1980); in
particolare, proprio l'impossibilita'  di  applicare  un  trattamento
adeguato e  proporzionato  al  singolo  caso  concreto  non  soltanto
preclude il ricorso  a  trattamenti  finalizzati  al  recupero  e  al
reinserimento  del  reo  nelle  ipotesi  in  cui  quest'ultimo,   pur
essendosi reso responsabile di  una  condotta  criminosa,  non  abbia
tuttavia  manifestato  un  profilo  antisociale  o  tale  da  destare
particolare allarme sociale, ma aggrava  nel  reo  la  percezione  di
subire una condanna ingiusta, svincolata dal concreto disvalore della
propria condotta,  impedendogli  di  comprendere  adeguatamente,  con
piena  consapevolezza,  il  disvalore  della  propria  condotta,   in
frontale contrasto con la finalita' rieducativa della pena; 

(1) Il  tratto  specializzante,  rispetto   all'ordinarieta',   della
    condotta del dipendente incriminata dall'art. 55-quinques decreto
    legislativo  n.   165/2001,   appare   delineato   nella   citata
    disposizione con il  riferimento  alle  «modalita'  fraudolente»,
    espressione a dire il vero non nuova nel lessico del  legislatore
    penale, in quanto in larga misura utilizzata per esprimere in via
    generate una piu' marcata  efficienza  offensiva  della  condotta
    rispetto al bene interesse tutelato dalla  norma  incriminatrice.
    Al riguardo, dinanzi all'esigenza di definire in qualche modo  il
    concetto  espresso  dal  dato  letterale  utilizzato,   a   causa
    dell'evidente vaghezza ed elasticita' del lessico  adoperato  dal
    legislatore,  si  sono   scontrati   due   opposti   orientamenti
    giurisprudenziali che, partendo dalla comune  considerazione  del
    significato proprio dell'aggettivo «fraudolento» -  evidentemente
    sintomatico di astuzia o scaltrezza -, sono nondimeno pervenuti a
    conclusioni diverse, giacche' un primo indirizzo, ai  fini  della
    configurabilita' del reato o della circostanza aggravante  ha  di
    volta in  volta  richiesto  l'inserimento  nella  dinamica  della
    condotta di un quid pluris -  realmente  percettibile  sul  piano
    fattuale - rispetto  all'attivita'  materiale  di  base  inserita
    nella costruzione della fattispecie; mentre un secondo  indirizzo
    ha incentrato  la  concretizzazione  della  fattispecie  astratta
    esclusivamente  nell'atteggiamento   psicologico   del   soggetto
    agente,  il  quale  impronti  la  propria  azione  ad  astuzia  e
    scaltrezza,  diretta  ad  eludere  le  cautele  e  frustrare  gli
    accorgimenti predisposti a garanzia del bene-interesse  tutelato.
    In realta', a parere  di  questo  giudice,  al  fine  di  evitare
    approcci interpretativi eccessivamente  rigidi  e  poco  aderenti
    alla  logica  del  principio  di  offensivita'  cui  e'  ispirato
    l'apprezzamento  penalistico,  l'analisi  razionale  della  norma
    introdotta dal legislatore dev'essere delineata avuto riguardo al
    bene-interesse dalla stessa in concreto  tutelato,  tenuto  conto
    del  principio  costituzionalmente  imposto  come   limite   alla
    discrezionalita' del legislatore, in  materia  di  previsione  di
    fattispecie penalmente rilevanti (nullum crimen sine  offesa)  ed
    operante  ininterrottamente,  proprio  ai  sensi   dell'art.   25
    Costituzione. 

(2) Tale  ultimo  aspetto,  per  quel  che   riguarda   la   Pubblica
    Amministrazione, attiene essenzialmente al  rapporto  di  fiducia
    con  la   cittadinanza   che,   laddove   minato,   provoca   una
    compromissione della solidita' e dell'integrita' dei principi  di
    legalita', buon andamento, imparzialita', nonche' dei criteri  di
    economicita',  efficacia,  efficienza   e   trasparenza,   nucleo
    fondante dell'azione amministrativa.  Con  un  inevitabile  onere
    finanziario per  l'intera  collettivita',  strettamente  connesso
    alla carente utilizzazione delle risorse pubbliche  ed  ai  costi
    aggiuntivi necessari a correggere gli effetti distorsivi  che  si
    riflettono sull'organizzazione della Pubblica Amministrazione  in
    termini di minor credibilita'  e  reputazione  e  di  diminuzione
    della potenzialita' concreta. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Ritenuta la rilevanza nel presente giudizio e  la  non  manifesta
infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art.
55-quinquies decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165,  nella  parte
in cui  non  prevede  un'ipotesi  attenuata  per  i  casi  di  minore
gravita',  per  asserito  contrasto  con  gli   articoli   3   e   27
Costituzione, sospende il presente procedimento a carico di G. L., M.
R. e V. R.; 
    Dispone la trasmissione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale
affinche',  ove  ne  ravvisi   i   presupposti,   voglia   dichiarare
l'illegittimita'  costituzionale   dell'art.   55-quinquies   decreto
legislativo n. 165/2001, nella parte indicata; 
    Dispone che la presente ordinanza sia  notificata  al  Presidente
del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti  delle  due
Camere del Parlamento. 
        Genova, 28 giugno 2017 
 
                       Il giudice: Solombrino