N. 41 SENTENZA 6 febbraio - 2 marzo 2018

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Esecuzione penale - Sospensione dell'ordine di esecuzione della  pena
  detentiva, anche residua, non superiore a tre anni. 
- Codice di procedura penale, art. 656, comma 5. 
-   
(GU n.10 del 7-3-2018 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
  Giovanni AMOROSO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 656,  comma
5, del codice di  procedura  penale,  promosso  dal  Giudice  per  le
indagini  preliminari  del   Tribunale   ordinario   di   Lecce   nel
procedimento penale a carico di A. S., con  ordinanza  del  13  marzo
2017, iscritta al n. 109 del registro  ordinanze  2017  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  35,  prima   serie
speciale, dell'anno 2017. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  A.  S.  nonche'  l'atto   di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  6  febbraio  2018  il  Giudice
relatore Giorgio Lattanzi; 
    uditi gli avvocati Carmelo Molfetta e Ladislao Massari per A.  S.
e l'avvocato dello Stato Massimo  Giannuzzi  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 13 marzo 2017 (r.o. n. 109  del  2017),  il
Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di  Lecce
ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27,  terzo  comma,  della
Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 656,
comma 5, del codice di procedura penale,  «nella  parte  in  cui  non
prevede che l'ordine di sospensione della pena  debba  essere  emesso
anche nei casi di pena non superiore a quattro anni di detenzione». 
    Il  giudice  a  quo  e'  investito,  in   qualita'   di   giudice
dell'esecuzione,  della  domanda  di  sospensione  di  un  ordine  di
esecuzione  della  pena  detentiva  di  tre  anni,  undici   mesi   e
diciassette giorni, che il  pubblico  ministero  ha  emesso  in  base
all'art. 656, comma 1, cod. proc. pen., senza sospenderlo, perche' la
pena da scontare eccedeva il limite di tre anni  fissato  dal  quinto
comma dello stesso articolo. 
    Questo comma impone la sospensione dell'ordine di  esecuzione  in
modo da consentire al condannato di presentare istanza  per  ottenere
una delle misure alternative alla detenzione previste dagli artt. 47,
47-ter, e 50, comma 1, della legge 26  luglio  1975,  n.  354  (Norme
sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle   misure
privative e limitative della liberta'), e dall'art. 94 del  d.P.R.  9
ottobre  1990,  n.  309  (Testo  unico  delle  leggi  in  materia  di
disciplina degli stupefacenti  e  sostanze  psicotrope,  prevenzione,
cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza). 
    Il condannato ha quindi chiesto al giudice a  quo  di  dichiarare
inefficace l'ordine di esecuzione, sostenendo che esso avrebbe dovuto
essere sospeso nonostante la pena  da  espiare  eccedesse  il  limite
triennale, perche' l'art. 47, comma 3-bis, della  legge  n.  354  del
1975, introdotto dall'art. 3, comma 1, lettera c), del  decreto-legge
23 dicembre 2013, n. 146  (Misure  urgenti  in  tema  di  tutela  dei
diritti fondamentali dei detenuti e di  riduzione  controllata  della
popolazione carceraria), convertito, con modificazioni, in  legge  21
febbraio 2014, n. 10, consente una particolare forma  di  affidamento
in prova quando la pena detentiva da  eseguire  non  e'  superiore  a
quattro anni. 
    Il condannato rileva che la sospensione dell'ordine di esecuzione
e' finalizzata ad ottenere l'applicazione  della  misura  alternativa
prima dell'ingresso in carcere; poiche' l'art. 47, comma 3-bis, della
legge n. 354 del 1975 permette l'affidamento in prova anche quando la
pena da espiare non e' superiore a quattro  anni,  a  suo  avviso  il
limite cui  subordinare  la  sospensione  dell'ordine  di  esecuzione
dovrebbe armonizzarsi con tale tetto e ritenersi fissato anch'esso in
quattro  anni,  anziche'  in  tre  come  prevede  la  lettera   della
disposizione censurata. 
    Il giudice a quo, escluso di poter interpretare  la  disposizione
nel senso auspicato dal ricorrente, dato l'univoco  tenore  letterale
della stessa, dubita della  sua  legittimita'  costituzionale,  nella
parte  in  cui  la  sospensione  dell'esecuzione  continua  a  essere
prevista quando la pena detentiva da espiare non e' superiore  a  tre
anni, anziche' a quattro. 
    2.-  In  punto   di   rilevanza   il   rimettente   osserva   che
l'accoglimento   delle    questioni    comporterebbe    l'inefficacia
dell'ordine di esecuzione, poiche' il condannato, che non e' soggetto
a una misura cautelare di carattere  custodiale,  deve  scontare  una
pena superiore a tre anni di detenzione,  ma  non  a  quattro,  e  la
condanna si riferisce al reato punito  dall'art.  73,  comma  1,  del
d.P.R. n. 309 del 1990,  ovvero  a  un  reato  che  non  rientra  nel
catalogo di quelli per i quali l'art. 656, comma 9, cod.  proc.  pen.
esclude la sospensione di tale ordine. 
    3.- In punto di non manifesta infondatezza il  rimettente  rileva
che la sospensione dell'ordine di esecuzione  e'  «strutturalmente  e
funzionalmente» collegata alla possibilita' di ottenere l'affidamento
in prova al servizio sociale, misura di cui  condivide  lo  scopo  di
«deflazione carceraria» e di prevenzione speciale, sulla  base  della
comune «presunzione di una ridotta pericolosita' del condannato».  E'
per questa ragione che il limite di tre anni stabilito dall'art. 656,
comma 5, censurato corrisponde a quello fissato dall'art.  47,  comma
1, della legge n. 354 del 1975 ai fini dell'affidamento in prova. 
    Il nuovo art. 47, comma 3-bis, della legge n.  354  del  1975  ha
introdotto un'ulteriore  ipotesi  di  affidamento  in  prova,  quello
cosiddetto allargato, che puo' essere  concesso  «al  condannato  che
deve espiare una pena  detentiva,  anche  residua,  non  superiore  a
quattro  anni  di  detenzione,  quando  abbia   serbato,   quantomeno
nell'anno precedente alla presentazione della richiesta, trascorso in
espiazione di pena, in esecuzione di una misura cautelare  ovvero  in
liberta', un comportamento tale da consentire» un  giudizio  positivo
circa la rieducazione del condannato e la  prevenzione  dal  pericolo
che commetta altri reati. 
    Il  rimettente  ritiene  che  l'affidamento  allargato  abbia  la
medesima ratio dell'affidamento gia' previsto dall'art. 47, comma  1,
della legge n. 354 del 1975, dal quale si distinguerebbe solo perche'
il periodo di osservazione del comportamento  del  condannato  e'  di
almeno un anno, anziche' di almeno un mese come  e'  invece  previsto
dall'art. 47, comma 2, della legge n. 354 del 1975. 
    3.1.- Cio' posto, l'omesso adeguamento del limite quantitativo di
pena previsto dalla norma censurata a quello  ora  indicato  ai  fini
dell'affidamento    in    prova    allargato    determinerebbe     un
«disallineamento sistematico», frutto di  un  «mancato  raccordo  tra
norme», che il rimettente reputa lesivo anzitutto dell'art. 3  Cost.,
dato che discrimina ingiustificatamente  coloro  che  possono  essere
ammessi alla misura alternativa  perche'  debbono  espiare  una  pena
detentiva non superiore a quattro anni, da coloro che, potendo godere
dell'affidamento in prova relativo a una pena detentiva non superiore
a tre  anni,  ottengono  la  sospensione  automatica  dell'ordine  di
esecuzione. 
    Inoltre la  disposizione  censurata,  comportando  l'ingresso  in
carcere di chi  puo'  godere  dell'affidamento  in  prova  allargato,
sarebbe in contrasto con la finalita' rieducativa della pena prevista
dall'art. 27, terzo comma, Cost. 
    4.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili,  o,
in subordine, infondate. 
    L'Avvocatura  dello  Stato  ritiene  che   il   «disallineamento»
denunciato dal rimettente sia frutto non di una casuale omissione del
legislatore  ma  di  una  scelta  dipendente  dal  maggior  grado  di
pericolosita' del condannato, desumibile dalla «maggiore misura della
pena» che gli e' stata inflitta. 
    Mentre l'affidamento in prova allargato  e'  subordinato  ad  una
valutazione giudiziale della personalita' del condannato, l'ordine di
esecuzione viene sospeso automaticamente; percio', in presenza di una
pena elevata, sarebbe  «tutt'altro  che  illogica  ed  irragionevole»
l'opzione legislativa di escludere tale  sospensione,  riservando  la
rimessione in liberta' al positivo giudizio prognostico sugli effetti
della misura alternativa alla detenzione. 
    Le questioni sarebbero  percio'  inammissibili  perche'  invasive
della  discrezionalita'  del  legislatore  sulla  necessita'  di   un
apprezzamento della mancanza di pericolosita'. 
    5.-  Nel   merito   l'Avvocatura   dello   Stato   contesta   che
l'affidamento  in  prova  allargato  sia   equiparabile   per   ratio
all'affidamento regolato dall'art. 47, comma 1, della  legge  n.  354
del 1975, posto che  quest'ultimo  previene  l'ingresso  in  carcere,
mentre il  primo  avrebbe  una  finalita'  meramente  deflattiva  del
sovraffollamento carcerario. 
    Il legislatore avrebbe introdotto  una  misura  alternativa  alla
detenzione pensata per chi e' gia' detenuto, con la  conseguenza  che
sarebbe stato incongruo elevare parallelamente il limite  della  pena
detentiva  prevista  ai  fini  della   sospensione   dell'ordine   di
esecuzione. 
    Secondo l'Avvocatura dello Stato sarebbe  «piu'  che  ragionevole
ritenere che  a  fronte  di  una  maggiore  misura  della  pena,  sia
necessario un piu' attento ed approfondito esame  della  personalita'
del reo»,  senza  escludere  l'ingresso  in  carcere.  Del  resto  la
detenzione sarebbe limitata  al  tempo  strettamente  necessario,  in
forme compatibili con la funzione rieducativa della pena. 
    6.- Si e' costituito  in  giudizio  il  ricorrente  nel  processo
principale chiedendo l'accoglimento delle questioni. 
    La parte privata  auspica  un'interpretazione  adeguatrice  della
disposizione  censurata,  pur  dando  atto   della   difficolta'   di
addivenirvi, e reputa che altrimenti  la  questione  dovrebbe  essere
accolta. Non ritiene possibile giustificare la  norma  censurata  con
l'argomento che l'affidamento in  prova  allargato  ha  lo  scopo  di
diminuire la popolazione carceraria gia' presente, e non anche quello
di prevenire ulteriori  ingressi  in  carcere,  dato  che  la  misura
alternativa  e'  espressamente  rivolta  anche  a  chi  si  trova  in
liberta'. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il  Giudice  per  le  indagini  preliminari  del   Tribunale
ordinario di  Lecce,  in  funzione  di  giudice  dell'esecuzione,  ha
sollevato, in riferimento agli artt.  3  e  27,  terzo  comma,  della
Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 656,
comma 5, del codice di procedura penale,  «nella  parte  in  cui  non
prevede che l'ordine di sospensione della pena  debba  essere  emesso
anche nei casi di pena non superiore a quattro anni di detenzione». 
    Il  rimettente  deve  decidere  su   una   domanda   volta   alla
declaratoria di temporanea inefficacia di  un  ordine  di  esecuzione
della pena detentiva di tre anni, undici mesi e diciassette giorni di
reclusione, che il pubblico ministero ha emesso in base all'art.  656
cod. proc. pen. 
    Il pubblico ministero non ha sospeso  l'ordine,  come  e'  invece
tenuto a fare ove la pena  da  espiare  non  superi  i  tre  anni  di
detenzione. In questo  caso  infatti  si  preserva  la  liberta'  del
condannato  per  consentirgli   di   presentare   al   tribunale   di
sorveglianza una  richiesta  di  affidamento  in  prova  al  servizio
sociale e di rimanere libero  fino  a  quando  non  sopraggiunga  una
decisione sulla richiesta. Cosi' si evita l'ingresso  in  carcere  di
persone che possono godere della misura alternativa alla detenzione. 
    In  ragione  del  collegamento  che  esiste  tra  la  sospensione
dell'ordine   di   esecuzione   e   la   possibilita'    di    fruire
dell'affidamento in prova, la disposizione censurata prescrive in via
generale  l'effetto  sospensivo  relativo  alle  sole  pene  che  non
eccedono  il  tetto  cui  e'  subordinato   l'accesso   alla   misura
alternativa. 
    L'art. 3, comma 1, lettera  c),  del  decreto-legge  23  dicembre
2013,  n.  146  (Misure  urgenti  in  tema  di  tutela  dei   diritti
fondamentali  dei  detenuti  e   di   riduzione   controllata   della
popolazione carceraria), convertito, con modificazioni, in  legge  21
febbraio 2014,  n.  10,  ha  introdotto  un  comma  3-bis  nel  corpo
dell'art.  47  della  legge   26   luglio   1975,   n.   354   (Norme
sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle   misure
privative e limitative della liberta'), delineando un'ulteriore forma
di affidamento in prova, cosiddetto allargato, per il condannato  che
deve espiare una pena, anche residua, non superiore a quattro anni di
detenzione, misura che puo' essere  concessa  al  condannato  che  ha
serbato, quanto meno nell'anno precedente  alla  presentazione  della
richiesta,  un  comportamento  tale   da   consentire   un   giudizio
prognostico  favorevole  quanto  alla   sua   rieducazione   e   alla
prevenzione del pericolo di commissione di altri reati. 
    La nuova misura alternativa puo' percio'  essere  concessa  anche
per pene comprese tra  tre  anni  e  un  giorno  e  quattro  anni  di
detenzione, ma esse  non  possono  venire  sospese  in  attesa  della
decisione del tribunale di sorveglianza perche' il limite triennale a
tal fine previsto dalla disposizione censurata non e' stato adeguato. 
    In tale  condizione  si  trova  appunto  l'istante  nel  giudizio
principale, la cui carcerazione appare al giudice a quo,  allo  stato
della  legislazione  vigente,  inevitabile,  benche'   questi   possa
aspirare a conseguire in seguito  il  beneficio  dell'affidamento  in
prova allargato. 
    Il rimettente dubita che  quest'assetto  normativo  sia  conforme
all'art. 3 Cost., perche' discrimina  irragionevolmente  coloro  che,
dovendo  espiare  una  pena  detentiva  non  superiore  a  tre  anni,
usufruiscono della sospensione dell'ordine  di  esecuzione  in  vista
dell'accesso all'affidamento  in  prova  ordinario,  da  coloro  che,
destinati ad espiare una pena detentiva compresa tra tre  anni  e  un
giorno e quattro  anni,  non  possono  sottrarsi  alla  carcerazione,
nonostante sia loro concedibile in astratto  l'affidamento  in  prova
allargato. 
    Sarebbe violato anche l'art.  27,  terzo  comma,  Cost.,  perche'
contrasterebbe con la finalita' rieducativa della  pena  tradurre  in
carcere, per un breve periodo, chi possa poi sottrarvisi grazie  alla
misura alternativa. 
    Il rimettente chiede pertanto che il limite  cui  e'  subordinata
l'automatica sospensione dell'ordine  di  esecuzione  sia  elevato  a
quattro anni di detenzione, cosi' da ripristinare il parallelismo tra
esso e il tetto  previsto  per  l'accesso  all'affidamento  in  prova
allargato. 
    Le questioni, conclude il rimettente, sono rilevanti, perche'  il
condannato che deve espiare una pena compresa tra i  tre  anni  e  un
giorno e i quattro anni di  reclusione  non  versa  in  alcuna  delle
condizioni impedienti stabilite dall'art. 656, comma  9,  cod.  proc.
pen. quanto alla sospensione della carcerazione, ovvero non e'  stato
condannato per i delitti indicati dalla lettera a) di tale comma, ne'
si trova in stato di custodia cautelare (lettera b). Percio', ove  le
questioni  fossero  accolte,  il   rimettente   dovrebbe   dichiarare
l'inefficacia  dell'ordine  di  esecuzione  adottato   dal   pubblico
ministero, in quanto illegittimamente non sospeso. 
    2.- Il rimettente  osserva  che  la  lettera  della  disposizione
censurata  non  permette  alcuna  interpretazione  costituzionalmente
orientata, a causa dell'inequivoco riferimento al limite di tre  anni
previsto ai fini della sospensione dell'ordine  di  esecuzione  della
pena detentiva. Cosi' argomentando, il giudice a quo ha  assolto  con
motivazione adeguata e convincente il proprio obbligo  di  verificare
la praticabilita' dell'interpretazione adeguatrice prima di sollevare
un incidente di legittimita'  costituzionale,  sicche'  le  questioni
sono per tale verso ammissibili (sentenze n. 253 del 2017, n. 36  del
2016 e n. 221 del 2015). 
    3.-   L'Avvocatura   generale    dello    Stato    ha    eccepito
l'inammissibilita' delle questioni, giacche' esse  sarebbero  tese  a
comprimere la discrezionalita' del legislatore nel decidere in  quali
casi sospendere l'esecuzione della pena detentiva. Si tratta pero' di
un profilo che attiene al merito  della  decisione,  che  sarebbe  di
infondatezza laddove la Costituzione non  imponesse  alcun  limite  a
tale scelta. Esso andra' percio' scrutinato in sede  di  esame  delle
censure di illegittimita' costituzionale. 
    4.- La questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  656,
comma 5, cod.  proc.  pen.,  in  riferimento  all'art.  3  Cost.,  e'
fondata. 
    Il rimettente parte dall'idea che  il  limite  di  pena  indicato
dalla disposizione censurata ai fini della sospensione dell'ordine di
esecuzione non possa che equivalere al corrispondente limite previsto
ai fini dell'accesso alla misura alternativa alla detenzione. 
    Indubbiamente la genesi  dell'istituto  definito  dall'art.  656,
comma 5, cod. proc. pen. e lo sviluppo  che  esso  ha  trovato  nella
legislazione  confermano  che  immanente  al  sistema,  e  tratto  di
imprescindibile  coerenza  intrinseca  di  esso,  e'  un  tendenziale
parallelismo tra i due termini posti a raffronto. 
    Va osservato anzitutto che la sospensione automatica  dell'ordine
di esecuzione e' conseguente alla sentenza n. 569 del 1989,  con  cui
questa Corte estese  a  chi  si  trovava  in  stato  di  liberta'  la
possibilita' di  accedere  all'affidamento  in  prova,  riservato  in
precedenza alla sola popolazione carceraria. 
    Il legislatore allora si avvide che sarebbe  stato  in  linea  di
principio incongruo disporre temporaneamente la carcerazione  di  chi
avrebbe poi potuto godere di una misura  specificamente  pensata  per
favorire la risocializzazione fuori dalle mura del carcere e giunse a
perseguire al massimo grado l'obiettivo di risparmiare il carcere  al
condannato,  sostituendo,  con  la  legge  27  maggio  1998,  n.  165
(Modifiche all'articolo 656 del codice di procedura  penale  ed  alla
legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni), l'art. 656
cod.   proc.   pen.   e   introducendo    l'automatica    sospensione
dell'esecuzione della pena detentiva, entro un limite pari  a  quello
previsto per godere della misura alternativa. 
    In seguito il principio del tendenziale parallelismo  ha  trovato
conferma nella trama  legislativa,  posto  che  all'incremento  della
soglia di accesso alla misura alternativa  ha  corrisposto  una  pari
elevazione del limite stabilito ai  fini  della  sospensione.  Cosi',
l'art. 4-undevicies  del  decreto-legge  30  dicembre  2005,  n.  272
(Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per  le
prossime    Olimpiadi    invernali,    nonche'    la    funzionalita'
dell'Amministrazione  dell'interno.  Disposizioni  per  favorire   il
recupero di tossicodipendenti recidivi e  modifiche  al  testo  unico
delle leggi in materia di disciplina degli  stupefacenti  e  sostanze
psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati  di
tossicodipendenza,  di  cui  al  D.P.R.  9  ottobre  1990,  n.  309),
convertito, con modificazioni, in legge 21 febbraio 2006, n.  49,  ha
alzato  a  sei  anni  questo  limite,  in  collegamento  con   l'art.
4-undecies del medesimo  testo  normativo,  che  aveva  aumentato  in
uguale  misura  l'entita'  della  pena  detentiva   da   espiare   in
affidamento in prova per l'alcooldipendente  o  il  tossicodipendente
sottoposti  a  un  programma  di  recupero.  Allo  stesso  modo,   il
decreto-legge 1° luglio 2013, n. 78 (Disposizioni urgenti in  materia
di esecuzione della pena), convertito, con modificazioni, in legge  9
agosto 2013, n. 94, ha portato a quattro anni il termine  valido  per
la sospensione dell'ordine di esecuzione, ai fini  della  concessione
della detenzione domiciliare, allo scopo di renderlo  equivalente  al
nuovo termine previsto per godere della misura dell'art. 47-ter della
legge n. 354 del 1975. 
    Si e' trattato di interventi correttivi conseguenti al  carattere
complementare che l'art.  656,  comma  5,  cod.  proc.  pen.  riveste
rispetto alla  scelta  legislativa  di  aprire  la  via  alla  misura
alternativa. La natura servente dell'istituto oggetto del  dubbio  di
legittimita'  costituzionale  lo  espone  a  profili  di   incoerenza
normativa ogni  qual  volta  venga  spezzato  il  filo  che  lega  la
sospensione dell'ordine di esecuzione alla possibilita'  riconosciuta
al condannato di sottoporsi ad un percorso  risocializzante  che  non
includa il trattamento carcerario. 
    Tuttavia nel caso di specie all'introduzione dell'affidamento  in
prova per pene da espiare fino a quattro anni di  detenzione  non  ha
corrisposto  un'analoga  modificazione  del  termine  indicato  dalla
disposizione censurata. Infatti non e'  stata  ancora  esercitata  la
delega legislativa conferita con l'art.  1,  comma  85,  lettera  c),
della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al  codice  penale,  al
codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario), il quale
prevede che il limite di pena che impone la  sospensione  dell'ordine
di esecuzione sia fissato, in ogni caso, in quattro anni. 
    Oggetto dell'odierno scrutinio di legittimita' costituzionale  e'
l'attuale  incongruita'  del  disegno  legislativo.  Bisogna  percio'
accertarsi   se   essa   possa   trovare   una   non    irragionevole
giustificazione per  allontanarsi,  in  questo  peculiare  caso,  dal
parallelismo di cui si e' detto. 
    5.- Il tendenziale collegamento della sospensione dell'ordine  di
esecuzione con i casi di accesso alle misure alternative  costituisce
un punto di  equilibrio  ottimale,  ma  appartiene  pur  sempre  alla
discrezionalita' legislativa selezionare ipotesi  di  cesura,  quando
ragioni ostative appaiano  prevalenti.  Naturalmente  e'  proprio  la
dimensione  normativa  ancillare  della  sospensione  rispetto   alle
finalita' delle misure alternative che rende particolarmente  stretto
il  controllo  di  legittimita'  costituzionale  riservato  a   dette
ipotesi. 
    Resta nondimeno possibile che peculiari  situazioni  suggeriscano
al legislatore di imporre un periodo di carcerazione  in  attesa  che
l'organo competente decida sull'istanza di affidamento in prova. Cio'
potrebbe ad esempio dipendere dalla particolare pericolosita' di cui,
secondo il legislatore, sono indice i reati in questione, alla  quale
si intende rispondere inizialmente con il carcere, secondo  la  ratio
cui si ispira l'art. 656,  comma  9,  lettera  a),  cod.  proc.  pen.
nell'indicare specifici delitti per i quali e' esclusa la sospensione
dell'ordine di  esecuzione.  Ovvero  il  legislatore  potrebbe  anche
prendere atto che l'accesso alla misura  alternativa  e'  soggetto  a
condizioni cosi' stringenti da rendere questa eventualita'  meramente
residuale, sicche'  appare  tollerabile  che  venga  incarcerato  chi
all'esito del giudizio relativo alla misura  alternativa  potra'  con
estrema difficolta' sottrarsi alla detenzione: e' quanto  (oltre  che
per la gravita' dei reati) accade per i  delitti  elencati  dall'art.
4-bis della legge n. 354 del 1975, che l'art. 656, comma  9,  lettera
a),  cod.  proc.  pen.  esclude  dal  beneficio   della   sospensione
dell'ordine di esecuzione. 
    L'esito dello scrutinio di legittimita' costituzionale su  queste
e altre  ipotesi  analoghe  dipende  percio'  dall'adeguatezza  degli
indicatori che  nella  visione  del  legislatore  dovrebbero  opporsi
all'esigenza della coerenza sistematica, fino a poter prevalere su di
essa. 
    6. - Sotto questo aspetto non puo' non osservarsi che nel caso di
specie la rottura del parallelismo, imputabile al mancato adeguamento
della disposizione censurata, appare di particolare gravita', perche'
e' proprio il modo con cui la legge ha configurato  l'affidamento  in
prova allargato che  reclama,  quale  corollario,  la  corrispondente
sospensione dell'ordine di esecuzione. 
    In proposito va in  primo  luogo  osservato  che  non  ha  pregio
l'argomento dell'Avvocatura dello  Stato  secondo  cui  l'affidamento
allargato sarebbe precipuamente indirizzato a chi e'  gia'  detenuto,
al fine di ridurre la popolazione carceraria per ottemperare a quanto
deciso dalla Corte europea dei diritti dell'uomo con  la  sentenza  8
gennaio 2013, Torreggiani e altri contro Italia. 
    In senso contrario e' sufficiente osservare che l'art. 47,  comma
3-bis, della legge n. 354 del 1975 si rivolge espressamente anche  ai
condannati  che  si  trovano  in  stato  di  liberta',  senza  alcuna
distinzione di rilevanza rispetto ai detenuti, come  e'  riconosciuto
anche dall'Avvocatura dello Stato  e  si  desume  dalla  destinazione
dell'affidamento in prova allargato «al condannato che  deve  espiare
una pena, anche residua, non superiore a quattro anni di detenzione». 
    L'inciso «anche residua» dimostra che la misura e' destinata pure
a chi non deve espiare  una  pena  residua  e  cioe'  a  chi  non  e'
detenuto. E' per questa ragione che la disposizione in questione,  ai
fini dell'applicazione della misura,  richiede  una  valutazione  del
comportamento del condannato «quantomeno  nell'anno  precedente  alla
presentazione della richiesta, trascorso in espiazione  di  pena,  in
esecuzione di una misura cautelare ovvero in liberta'». 
    E' vero che in  linea  di  principio  non  e'  fatto  divieto  al
legislatore  di  dare  vita  a  forme  alternative  alla   detenzione
riservate ai soli detenuti, ma nel caso dell'affidamento allargato la
legge non si e' valsa di tale spazio di discrezionalita'  perche'  ha
esplicitamente optato per l'equiparazione tra detenuti  e  liberi  ai
fini dell'accesso alla misura alternativa. Del resto si  e'  trattato
di una scelta del tutto coerente con  lo  scopo  di  deflazionare  le
carceri, visto che esso si persegue non solo liberando chi le  occupa
ma anche evitando che vi faccia ingresso chi e' libero. 
    Bisogna allora  considerare  che  e'  espressamente  prevista  la
concessione dell'affidamento allargato  al  condannato  in  stato  di
liberta', ma, se l'ordine di esecuzione di una pena detentiva tra tre
anni e un giorno e  quattro  anni  non  potesse  essere  sospeso,  si
tratterebbe di una previsione in concreto irrealizzabile, per  quanto
normativamente stabilita e voluta. Infatti  l'esecuzione  dell'ordine
di carcerazione, avvenuta senza aver dato al condannato il  tempo  di
chiedere l'affidamento in prova allargato e comunque senza  attendere
una decisione al  riguardo,  renderebbe  impossibile  la  concessione
della misura alternativa prima dell'ingresso in carcere. 
    Tale e' appunto la situazione normativa che si  e'  realizzata  a
causa del mancato adeguamento dell'art. 656, comma 5, cod. proc. pen.
Omettendo di intervenire sulla normativa  ancillare,  il  legislatore
smentisce se' stesso, insinuando  nell'ordinamento  una  incongruita'
sistematica capace di ridurre gran  parte  dello  spazio  applicativo
riservato alla normativa principale. 
    7.- Mancando  di  elevare  il  termine  previsto  per  sospendere
l'ordine di  esecuzione  della  pena  detentiva,  cosi'  da  renderlo
corrispondente al termine di concessione  dell'affidamento  in  prova
allargato, il legislatore non  e'  incorso  in  un  mero  difetto  di
coordinamento, ma ha leso l'art. 3 Cost. Si e'  infatti  derogato  al
principio del parallelismo senza  adeguata  ragione  giustificatrice,
dando luogo a un trattamento normativo differenziato di situazioni da
reputarsi uguali, quanto alla finalita' intrinseca  alla  sospensione
dell'ordine di  esecuzione  della  pena  detentiva  e  alle  garanzie
apprestate in ordine  alle  modalita'  di  incisione  della  liberta'
personale del condannato. 
    L'art. 656, comma  5,  cod.  proc.  pen.  va  percio'  dichiarato
costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui si prevede che  il
pubblico ministero sospende l'esecuzione della pena detentiva,  anche
se costituente residuo di maggiore pena, non superiore  a  tre  anni,
anziche' a quattro anni. 
    8.- La questione di legittimita' costituzionale basata  sull'art.
27, terzo comma, Cost. resta assorbita. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 656, comma  5,
del codice di procedura penale, nella parte in cui si prevede che  il
pubblico ministero sospende l'esecuzione della pena detentiva,  anche
se costituente residuo di maggiore pena, non superiore  a  tre  anni,
anziche' a quattro anni. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 febbraio 2018. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                             e Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 2 marzo 2018. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA