N. 73 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 aprile 2017

Ordinanza del 3 aprile 2017 del Tribunale di  Bari  nel  procedimento
penale a carico di C. D., C. M. e F. G.. 
 
Processo  penale  -  Decreto  di  citazione  a  giudizio   -   Avviso
  all'imputato,  qualora  ne  ricorrano  i  presupposti,  fino   alla
  dichiarazione di apertura del dibattimento di  primo  grado,  della
  facolta' di richiedere la sospensione del  procedimento  con  messa
  alla prova - Mancata previsione. 
- Codice di procedura penale, art. 552, comma 1, lett. f). 
(GU n.20 del 16-5-2018 )
 
                          TRIBUNALE DI BARI 
              Seconda sezione penale - rito monocratico 
 
    Il giudice, Antonio Dello Preite, 
    letti gli atti di  causa  nel  processo  penale  iscritto  al  n.
11667/11 R.G.N.R. a carico di C. M. e F. G., generalizzati  in  atti,
imputati del delitto di cui all'art. 648 del  codice  penale,  meglio
descritto in rubrica; 
    rilevato  che  la  difesa  degli  imputati   ha   preliminarmente
sollevato   questione   di   legittimita'   costituzionale   relativa
all'omessa indicazione, nel corpo del decreto di citazione diretta  a
giudizio emesso il 26 aprile 2016, dell'avviso all'imputato circa  la
possibilita'  di  formulare   la   richiesta   di   sospensione   del
procedimento con messa alla prova ai sensi degli articoli  464-bis  e
ss. del codice di procedura penale e 168-bis e ss. del codice penale; 
    sentito il pubblico ministero che ha concluso per  l'infondatezza
della questione, evidenziando che tale avviso, benche' non menzionato
nel decreto di citazione  diretta  a  giudizio,  e'  stato  riportato
nell'avviso di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415-bis
del codice di procedura penale, 
 
                               Osserva 
 
    La citazione diretta a giudizio e' un atto complesso  emesso  dal
pubblico ministero avente requisiti tali da garantire una consapevole
partecipazione  dei  soggetti  interessati  al  giudizio  innanzi  al
giudice monocratico. 
    In particolare, il decreto di citazione diretta  a  giudizio  non
svolge soltanto una funzione di vocatio in iudicium, ma  serve  anche
per informare l'imputato del suo diritto a poter richiedere eventuali
definizioni alternative del procedimento penale a  suo  carico  prima
dell'apertura del dibattimento, attivabili a  sua  iniziativa  e  che
hanno per lo stesso potenziali effetti vantaggiosi. 
    Questo  diritto  d'informazione  e'  talmente  rilevante  per  la
salvaguardia del diritto di difesa, che il Legislatore, all'art. 552,
secondo comma del codice di procedura penale, sanziona  espressamente
con la nullita', il decreto di citazione che non fornisca l'avviso di
tali opportunita' difensive. 
    Tanto premesso, la legge 28 aprile 2014, n. 67, al  capo  II,  ha
introdotto nel nostro ordinamento l'innovativo istituto  della  messa
alla prova dell'imputato che prevede per alcune categorie di  reati -
tra cui quello di cui trattasi - la possibilita' di giungere ex  art.
168-ter  del  codice  penale  all'estinzione  del  reato  tramite  il
percorso di messa alla prova  approvato  dal  giudice  e  preliminare
rispetto all'accertamento dibattimentale dei fatti. 
    L'istituto della messa alla prova, introdotto  con  gli  articoli
168-bis,  168-ter  e  168-quater  del  codice  penale,   ha   effetti
sostanziali  perche'  da'  luogo  all'estinzione  del  reato,  ma  e'
connotato da un'intrinseca dimensione processuale, in quanto consiste
in un nuovo procedimento speciale, alternativo al giudizio, nel corso
del  quale  il  giudice  decide  con  ordinanza  sulla  richiesta  di
sospensione del procedimento con messa alla prova. 
    L'art. 464-bis, secondo comma  del  codice  di  procedura  penale
stabilisce i termini entro i quali, a pena di  decadenza,  l'imputato
puo' formulare  la  richiesta  di  messa  alla  prova.  Sono  termini
diversi, articolati secondo le sequenze procedimentali dei vari riti,
e la  loro  disciplina  e'  collegata  alle  caratteristiche  e  alla
funzione  dell'istituto,  che  e'  alternativo  al  giudizio  con  un
rilevante  effetto  deflattivo  (Corte  costituzionale,  sentenza  n.
240/2015). 
    Secondo la costante giurisprudenza  costituzionale  (sentenza  n.
237/2012), la richiesta di riti alternativi costituisce anch'essa una
modalita', tra  le  piu'  qualificanti  (sentenza  n.  148/2004),  di
esercizio  del  diritto  di  difesa  (ex  plurimis,  sentenze  numeri
219/2004, 70/1996, 497/1995 e 76/1993). 
    Di conseguenza, si e' ritenuto che  l'avviso  all'imputato  della
possibilita'  di  richiedere  i  riti  alternativi  costituisca   una
garanzia essenziale per il  godimento  di  un  diritto  della  difesa
(sentenza n. 497/1995), e che la sanzione della nullita' ex art  178,
comma 1, lettera e) del codice  di  procedura  penale,  nel  caso  di
omissione dell'avviso prescritto, trovi la sua ragione essenzialmente
nella perdita irrimediabile della facolta' di chiederli,  se  per  la
richiesta e' stabilito un termine a pena di  decadenza  (sentenza  n.
148 del 2004;  nello  stesso  senso,  sentenza  n.  101  del  1997  e
ordinanza n. 309 del 2005). 
    Dal punto di vista procedurale, peraltro, non puo' negarsi che la
messa alla prova mostra numerose e significative analogie con i  riti
alternativi dell'applicazione di pena e  del  giudizio  abbreviato  o
dell'oblazione,  sia  perche'  l'accesso  avviene  prima  della  fase
dibattimentale  e   sia   perche'   la   richiesta   deve   provenire
personalmente dall'imputato o da un suo procuratore speciale. 
    Alla luce di quanto detto, il decreto di citazione,  in  base  ad
una  interpretazione  sistematica  e   costituzionalmente   orientata
dell'assetto normativo dopo la novella del 2014, dovrebbe  prevedere,
all'art. 552, primo comma, lettera f), anche l'avviso che l'imputato,
fino all'apertura del dibattimento di  primo  grado,  puo'  formulare
richiesta di sospensione  del  procedimento  penale  con  messa  alla
prova, ai sensi degli articoli 168-bis del codice  penale  e  464-bis
del codice di procedura penale. 
    A tale indirizzo sono pervenute diverse Procure della  Repubblica
sul territorio, le  quali  hanno  ritenuto  opportuno  aggiornare  il
catalogo degli avvisi previsti dall'art. 552, primo comma, lettera f)
del codice di procedura  penale,  inserendo  anche  l'istituto  della
messa alla prova per ovviare a eventuali nullita' dell'atto. 
    Peraltro, non convince quanto sostenuto  dal  pubblico  ministero
nell'odierno  processo,  secondo  cui  nessuna  violazione  e'  stata
commessa essendosi fatta menzione del rito speciale della messa  alla
prova dell'imputato nell'avviso di conclusione delle indagini ex art.
415-bis del codice di procedura penale, e questo non soltanto perche'
trattasi di fasi completamente diverse del procedimento,  ma  perche'
riguardano una ben diversa qualificazione sostanziale  e  processuale
del  soggetto  che,  da  «indagato»  nella  fase  di  chiusura  delle
indagini, diviene poi  «imputato»  con  il  decreto  di  citazione  a
giudizio. 
    Inoltre, la recentissima sentenza n. 201 del 6 luglio 2016 con la
quale  la  Corte  costituzionale,  ha   dichiarato   l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 460, comma  1,  lettera  e)  del  codice  di
procedura penale per  contrasto  con  l'art.  24  della  Costituzione
«...nella parte in cui non prevede che il decreto penale di  condanna
contenga l'avviso della facolta' dell'imputato di  chiedere  mediante
l'opposizione  la  sospensione  del  procedimento  con   messa   alla
prova...», rafforza il convincimento dell'inadeguatezza  dell'attuale
formulazione del decreto di citazione a giudizio. 
    Questo giudice, peraltro, non ignora la recente  decisione  della
suprema Corte (Cass. Pen. sez. II  n.  2379  del  23  dicembre  2016,
depositata il  26  gennaio  2017),  con  la  quale  si  e'  affermata
l'insussistenza di un caso di nullita' generale derivante dall'omesso
avviso,  nel  decreto  di  citazione  diretta   a   giudizio,   della
possibilita' di ricorrere all'istituto di cui agli  articoli  168-bis
del codice penale e 464-bis del codice di procedura penale. 
    Una tale conclusione, tuttavia, desta non poche perplessita'. 
    Il supremo Collegio, nella  propria  decisione,  muove  i  propri
passi dalla nota pronuncia  della  Consulta  che  ha  dichiarato,  di
contro, l'illegittimita' costituzionale della norma  nella  parte  in
cui non prevede che il decreto penale di condanna debba contenere  il
predetto avviso, riconoscendo  la  parificabilita'  dell'istituto  in
parola a quelli speciali del rito abbreviato, dell'applicazione della
pena su richiesta e dell'oblazione. 
    Tuttavia, pur riconoscendo tale parificabilita' tra gli  istituti
speciali,  la  suprema  Corte  ha  colto  una   differenza   tra   il
procedimento per decreto e quello ordinario, a mezzo del  decreto  di
citazione diretta a giudizio, ritenendo che  l'omissione  in  parola,
nel secondo procedimento, non  comporta  un  effetto  pregiudizievole
irreparabile per l'imputato,  potendo  essere  richiesta  in  udienza
l'applicazione dell'istituto. 
    Questa impostazione si presta a piu' di un dubbio interpretativo,
oltre che di legittimita' costituzionale. 
    Innanzitutto, con riferimento alla parificabilita'  dell'istituto
in parola a quelli speciali del  rito  abbreviato,  dell'applicazione
della pena su richiesta e dell'oblazione, non si e'  tenuto  presente
che proprio la Corte costituzionale,  con  la  sentenza  11  dicembre
1995,    n.    497,    era    gia'    addivenuta     all'affermazione
dell'illegittimita' costituzionale della precedente norma regolatrice
la citazione diretta a giudizio, nella parte in cui, appunto, non era
prevista la nullita' del decreto di citazione a giudizio per mancanza
o  insufficiente  indicazione  del  requisito  che  informava   della
possibilita'  di  accedere  ai  riti  alternativi,  tanto  da  essere
recepita normativamente con la c.d. riforma Carotti. 
    Inoltre, se  e'  pur  vero  che  la  richiesta  dell'applicazione
dell'istituto, nel caso di specie, puo' essere formulata  all'interno
di un'udienza a partecipazione necessaria in cui vi  e'  l'assistenza
obbligatoria del difensore, e' altrettanto vero che  tale  situazione
di fatto non garantisce  che  l'imputato  sia  realmente  consapevole
della possibilita' offerta dal Legislatore e nei termini decadenziali
previsti, in quanto rimessi esclusivamente alla  prestazione  d'opera
del difensore che, se d'ufficio, per esempio,  spesso  non  ha  alcun
contatto con il soggetto affidatogli per la difesa. 
    Il   nuovo   istituto,   peraltro,   costituisce   un    congegno
particolarmente complesso, tanto  da  indurre  i  vari  Tribunali  ad
adottare dei protocolli operativi, ragion per cui l'informativa sulla
complessita'  dell'applicazione,  le  conseguenze  della   stessa   e
l'impegno da assumere - che l'imputato deve avere - non  puo'  essere
residuale  ma  ben  strutturata,  onde  evitare  scelte   frutto   di
improvvisazione, come avverrebbe nel caso di  soggetto  inconsapevole
che apprenda di tale possibilita' solo all'udienza. 
    D'altra  parte,  non  e'  un  caso  che  la  richiesta   provenga
direttamente dall'imputato, ovvero dal suo difensore, solo se  munito
di procura speciale ad hoc. 
    Ed e' proprio questo  ultimo  elemento  che  dovrebbe  indurre  a
rivisitare l'interpretazione data dalla suprema Corte, atteso che  la
scelta di intraprendere  un  percorso  impegnativo  e  oneroso,  come
quello dell'istituto in parola, non puo' essere rimesso a una rapida,
ma a una ben ponderata valutazione che puo' essere garantita solo  da
un congruo, specifico ed informato avviso. 
    Infatti, solo un congruo  e  specifico  avviso  con  la  relativa
informativa  garantisce  che  l'imputato  abbia  la  possibilita'  di
contattare personalmente, o a mezzo di procuratore  speciale,  l'UEPE
per la predisposizione del programma - condizione, si badi  bene,  di
procedibilita' dell'istanza - nonche' di scegliere un adeguato lavoro
di  pubblica  utilita',  rispettoso  delle  proprie   propensioni   e
competenze. 
    In particolare, l'omesso avviso finisce per  equiparare  soggetti
che non possono accedere all'istituto in parola, per cui e' del tutto
indifferente l'avviso, ai soggetti che, invece, possono  accedervi  e
che potrebbero vedersi limitati  nel  diritto  di  difesa  a  seguito
dell'omissione:  tanto  integra  la  violazione  dell'art.  3   della
Costituzione. 
    Quanto alla violazione dell'art. 24, comma 2, della Costituzione,
basta  richiamare  i  precedenti  della  Corte   costituzionale,   in
particolare la sentenza 11  dicembre  1995,  n.  497,  che  gia'  era
addivenuta all'affermazione dell'illegittimita' costituzionale  della
precedente norma regolatrice la citazione diretta a  giudizio,  nella
parte in cui, appunto, non era prevista la nullita'  del  decreto  di
citazione a giudizio per mancanza  o  insufficiente  indicazione  del
requisito che  informava  della  possibilita'  di  accedere  ai  riti
alternativi (gia' riconosciuti parificabili all'istituto in  parola):
detta pronuncia e' stata poi recepita con la riforma adottata con  la
c.d. legge Carotti. 
    Quanto alla  violazione  dell'art.  111  della  Costituzione,  va
opportunamente  evidenziato  che  il  relativo  precetto,  di  natura
evidentemente  sostanziale,  mira  a  garantire  tempestivamente  sia
un'informazione  sull'addebito,  sia  a  mettere   l'imputato   nelle
condizioni di svolgere un'adeguata difesa. 
    In definitiva, la mancanza dell'avviso di poter  ricorrere  a  un
istituto cosi' importante e dagli effetti evidentemente  sostanziali,
quali l'estinzione del reato, di certo non e'  conforme  al  predetto
precetto costituzionale in quanto il  soggetto  non  e'  posto  nelle
condizioni di conoscere tempestivamente quale sia la migliore  difesa
perseguibile con la scelta dell'istituto piu' appropriato. 
    In difetto  di  un'interpretazione  conforme  ai  principi  sopra
esposti e che tenga in debita considerazione la situazione  di  fatto
in cui si trova un imputato inconsapevole, non puo' che ritenersi  di
dubbia legittimita' costituzionale la norma dell' art. 552, comma  1,
lettera f) del codice di procedura penale, in relazione agli articoli
3, 24 comma 2, e 111 della  Costituzione,  nella  parte  in  cui  non
prevede l'avviso che, qualora ne ricorrano i presupposti, l'imputato,
fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo  grado,
puo' formulare la richiesta di sospensione del procedimento con messa
alla prova, ai sensi degli articoli 168-bis del codice penale e ss. e
464-bis e ss. del codice di procedura penale. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il giudice, in via incidentale, 
    letto l'art. 134 della Costituzione,  nonche'  l'art.  23,  terzo
comma, legge 11  marzo  1953,  n.  87,  dispone  che,  a  cura  della
cancelleria, siano  immediatamente  trasmessi  gli  atti  alla  Corte
costituzionale  poiche'  non  appare  manifestamente   infondata   la
questione di legittimita' costituzionale:  dell'art.  552,  comma  1,
lettera f) del codice di procedura penale, nella  parte  in  cui  non
prevede l'avviso che, qualora ne ricorrano i presupposti, l'imputato,
fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo  grado,
puo' formulare la richiesta di sospensione del procedimento con messa
alla prova, ai sensi degli articoli 168-bis e ss. del codice penale e
464-bis e ss. del codice di procedura penale, per contrasto  con  gli
articoli 3, 24 comma 2 e 111 della Costituzione; 
    letto l'art. 23, quarto comma, legge 11 marzo 1953, n. 87, ordina
che la presente ordinanza sia comunicata alla Presidenza della Camera
dei deputati, alla Presidenza del Senato  della  Repubblica  ed  alla
Presidenza del Consiglio dei ministri; 
    letto l'art. 23, secondo comma,  legge  11  marzo  1953,  n.  87,
dispone la sospensione del presente processo. 
        Bari, 3 aprile 2017 
 
                      Il Giudice: Dello Preite 
 
 
                                 --- 
 
 
                          TRIBUNALE DI BARI 
 
    Il giudice Antonio Dello Preite, 
    letta la nota della Segreteria della Corte costituzionale del  24
agosto 2017, con cui si segnala-  con  riferimento  all'ordinanza  di
rimessione da parte di questo giudice del 3 aprile 2017 nel  processo
iscritto ai numeri 2185/16 RG - 11667/11 RGNR a carico di C.  D.,  C.
M. e F. G.- di specificare la posizione di C. D.,  in  quanto  «dalla
lettura del suddetto  provvedimento  e  del  verbale  della  medesima
udienza, appare una discrasia»; 
    rilevato che, effettivamente,  nel  preambolo  dell'ordinanza  di
rimessione e' scritto «...letti gli atti di causa nel processo penale
n. 11667/11 RGNR a carico di C. M. e F. G.,  generalizzati  in  atti,
imputati....ecc. ecc. (omissis)», nel mentre, per una mera omissione,
non e' stato trascritto il nome del terzo imputato C. D.; 
    che,  pertanto  si  deve  procedere  in  tal  senso   alla   mera
integrazione - correzione del suddetto provvedimento  aggiungendo  il
terzo nominativo, senza particolari formalita', 
 
                               P.Q.M. 
 
dispone la correzione materiale del provvedimento di rimessione  alla
Corte costituzionale emesso il 3 aprile 2017 nel processo indicato in
epigrafe, con cui le parole «...letti gli atti di causa nel  processo
penale n. 11667/11 RGNR a carico di C. M. e F. G.,  generalizzati  in
atti, imputati....ecc. ecc. (omissis)» devono  intendersi  sostituite
con le seguenti «...letti gli atti di causa nel  processo  penale  n.
11667/11 RGNR a carico di C. D., C. M.  e  F.  G.,  generalizzati  in
atti, imputati ....ecc. ecc. (omissis)». 
    Manda alla cancelleria per le comunicazioni e gli adempimenti  di
competenza. 
        Bari, 18 settembre 2017 
 
                      Il Giudice: Dello Preite