N. 80 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 giugno 2017

Ordinanza del 20 giugno 2017 del Giudice  di  pace  di  Venezia   nel
procedimento penale a carico di L. I.. 
 
Reati e pene - Abrogazione del reato di cui all'art.  594  cod.  pen.
  (Ingiuria). 
- Legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di  pene
  detentive non carcerarie e di riforma  del  sistema  sanzionatorio.
  Disposizioni in materia di sospensione del procedimento  con  messa
  alla prova e nei confronti degli irreperibili), art. 2, comma 3  [,
  lettera a), n. 2];  decreto  legislativo  15  gennaio  2016,  n.  7
  (Disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione  di
  illeciti con sanzioni pecuniarie civili, a norma  dell'articolo  2,
  comma 3, della legge 28 aprile 2014, n. 67), art. 1, lettera c). 
(GU n.22 del 30-5-2018 )
 
               UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE DI VENEZIA 
                         IL GIUDICE DI PACE 
 
 
          Ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale 
 
    Nel procedimento rgnr n. 522/2011 - Rg.GdP 369/2015, 
    Premesso che si procede penalmente nei confronti di L. I. nata...
a... il.. per i fatti di cui alla seguente imputazione: 
      del reato p. e p. dagli articoli 594, 612, 81 cpv c.p.  perche'
con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, offendeva
l'onore e il decoro, minacciando di danno ingiusto P. C.,  dicendole:
«so che ha dato una sberla a mia figlia e se lo fa nuovamente  vedra'
cosa le capita, so anche che non e' la prima volta che lo fa. E  cosa
va a fare dai Carabinieri, lei non  fara'  in  tempo  a  recarsi  dai
Carabinieri. E' una minaccia? Perche' se e' cosi' se  la  vedra'  con
me». In Favaro Veneto in data 11 febbraio 2011; 
      che la fattispecie di reato di cui al procedimento  in  oggetto
riguarda il reato di ingiurie ex art. 594  codice  penale  (oltre  al
reato di minacce ex art. 612 codice penale), che  e'  stato  abrogato
dall'art. 1, lettera c), del decreto legislativo n. 7 del 15  gennaio
2016 quale norma attuativa della legge delega n.  67  del  28  aprile
2014, art. 2, comma 3°; 
 
                             Considerato 
 
    che   il   giudice   procedente   dubita    della    legittimita'
costituzionale delle norme abrogative del suddetto reato di ingiuria; 
    tanto premesso il giudice remittente osserva quanto segue. 
1 - Inquadramento normativo. 
    L'oggetto del giudizio riguarda,  tra  gli  altri,  il  reato  di
ingiuria previsto e punito dall'art. 594 codice penale Tale reato  e'
stato abrogato dell'art. 1, lettera c), del decreto legislativo n.  7
del 15 gennaio 2016 quale norma attuativa della legge  delega  n.  67
del 28 aprile 1014, art. 2, comma 3. 
    Di tali norme abrogative il remittente dubita della  legittimita'
costituzionale. 
    Il testo dell'art. 594 codice penale cosi' disponeva: 
      «Chiunque offende l'onore o il decoro di una  persona  presente
e' punito con reclusione fino a sei mesi o con la multa fino  a  euro
516. 
    Alla  stessa  pena  soggiace  chi  commette  il  fatto   mediante
comunicazione telegrafica o telefonica,  o  con  scritti  o  disegni,
diretti alla persona offesa. 
    La pena e della reclusione fino a un anno o della  multa  fino  a
euro  1.032  se  l'offesa  consiste  nell'attribuzione  di  un  fatto
determinato. 
    Le pene sono aumentate qualora l'offesa sia commessa in  presenza
di piu' persone». 
    Nel procedimento avanti al Giudice di Pace il suddetto reato  era
punito con la multa da euro 258,00  fino  ad  euro  2.582,00  ed  era
inserito nel Capo II, Titolo XII  del  Libro  II  del  codice  penale
riguardante i delitti contro l'onore. 
    L'onore costituisce uno dei beni fondamentali della persona umana
riconosciuto tra i diritti inviolabili dell'uomo di  cui  all'art.  2
della Costituzione, nei quali sono compresi  il  diritto  alla  vita,
all'incolumita' fisica e alla liberta'  personale.  La  stessa  Corte
costituzionale infatti  lo  annovera  tra  i  beni  e  gli  interessi
inviolabili in quanto essenzialmente connessi con  la  persona  umana
(Corte costituzionale n. 86/1972 e n. 38/1973). 
    Si tratta quindi di un bene  giuridico  ascritto  nel  rango  dei
diritti   essenziali,   assoluti.   personali,   non    patrimoniali.
inalienabili,  i  intrasmissibili,  imprescrittibili,   originari   e
innati, ed  e'  estrinsecazione,  nelle  societa'  democratiche,  del
fondamentale principio di uguaglianza di tutti gli esseri  umani  che
trova le sue profonde radici nel  principio  del  rispetto  per  ogni
persona, per ogni essere umano, senza alcuna distinzione di sesso, di
razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di  condizioni
personali e sociali. 
    In tale contesto il legislatore e' intervenuto  emanando  le  due
richiamate  leggi  ordinarie  che  hanno  abrogato  la  norma  penale
preposta alla tutela del  suddetto,  bene  giuridico  tutelato  dagli
articoli 2 e 3 della Costituzione, quale  diritto  inviolabile  della
persona. 
    Il remittente dubita  quindi  della  legittimita'  costituzionale
delle suddette disposizioni normative rispetto agli articoli  2  e  3
della Carta Costituzionale. 
2 - Sulla rilevanza della questione. 
  2.1 - La questione di legittimita' costituzionale appare  rilevante
ai fini della decisione del presente giudizio sussistendo un nesso di
pregiudizialita' necessaria tra il giudizio a quo ed il  giudizio  di
legittimita' costituzionale. Ed invero nel vigente  quadro  normativo
il giudice di  pace  sarebbe  tenuto  a  dichiarare  di  non  doversi
procedere ex art. 129 c.p.p. dal reato di ingiurie perche'  il  fatto
non e' piu' previsto dalla legge come reato. Tuttavia  il  dubbio  di
legittimita' costituzionale della norma abrogativa comporterebbe,  in
caso   di   declaratoria   di   illegittimita'   costituzionale,   la
riespansione della rilevanza penale  del  comportamento  oggetto  del
reato di ingiurie con conseguente obbligo per il giudice di celebrare
il processo e di verificare in dibattimento  la  sussistenza  o  meno
della fattispecie delittuosa  che  potrebbe  comportare  la  condanna
dell'imputato,  nonche'  la  valutazione  della   sussistenza   della
continuazione ex art. 81 codice penale, essendo contestato  anche  il
reato di minacce ex art. 612 1° comma codice penale 
    Ne consegue che la questione della costituzionalita' della  norma
abrogativa del reato di ingiuria possiede una incidenza  attuale  nel
procedimento a quo, sia perche' ha ad oggetto la norma abrogativa del
comportamento delittuoso in base al  quale  e'  stato  instaurato  il
presente  giudizio   nei   confronti   dell'imputato,   sia   perche'
l'illegittimita'  della  norma  abrogativa  rileva  in  ordine   alla
sussistenza o meno dell'istituto  della  continuazione  nel  medesimo
processo. 
  2.2 - La rilevanza della questione appare sussistere anche sotto il
profilo  delle  norme  penali  di  favore  e  precisamente  di  norme
abrogative di ipotesi  delittuose.  Il  remittente  e'  a  conoscenza
dell'indirizzo contrario alla sindacabilita' delle  norme  penali  di
favore, tuttavia lo scrivente  ritiene  che  l'applicazione  di  tale
orientamento porterebbe a conseguenze  contrarie  alla  tutela  della
Costituzione. Si deve considerare infatti che se  fosse  preclusa  la
sindacabilita' delle norme penali di favore, i dubbi di  legittimita'
costituzionale sulle norme sicuramente applicabili nel giudizio a quo
e ritenute dal giudice non manifestamente infondate,  non  potrebbero
essere posti al sindacato della Corte con l'aberrante conseguenza che
le  norme  penali   di   favore   sfuggirebbero   al   controllo   di
costituzionalita' precludendo  lo  strumento  atto  a  garantire  la,
preminenza della Costituzione sulla legislazione statale ordinaria. 
    Sul punto si richiama l'orientamento della  Corte  costituzionale
(espressa a partire dalla sentenza n. 148/1983) in base al  quale  e'
possibile esperire il  sindacato  di  costituzionalita'  anche  sulle
norme abrogative  o  che  escludano  la  rilevanza  penale  di  certi
comportamenti  poiche'  non  e'  possibile  concedere  l'immunita'  a
nessuna tipologia di norme della legislazione ordinaria rispetto alla
Carta Costituzionale. 
    In tal senso si e' espressa anche  la  successiva  giurisprudenza
della Corte costituzionale affermando la  sindacabilita'  delle  c.d.
norme  penali  di  favore  ovvero  di  norme  che  stabiliscano,  per
determinati soggetti od  ipotesi,  un  trattamento  penalistico  piu'
favorevole di quello  che  risulterebbe  dall'applicazione  di  norme
generali e comuni (cfr. Corte costituzionale n.  394/2006).  In  tale
decisione si e' altresi'  precisato  che  la  Corte  non  puo'  certo
configurare nuove norme penali, ma non le sono precluse «le decisioni
ablative di norme che sottraggono determinati gruppi di soggetti o di
condotte alla sfera applicativa di una norma comune o  comunque  piu'
generale» con la sola conseguenza «dell'automatica riespansione della
norma generale o comune, dettata dallo stesso  legislatore,  al  caso
gia' oggetto di una incostituzionale  disciplina  derogatoria»  (cfr.
Corte costituzionale n. 394/2006). Sotto  tale  profilo  si  richiama
infatti la recentissima decisione della  Corte  costituzionale  nella
quale venne dichiarata l'incostituzionalita' della  legge  abrogativa
del reato di associazione paramilitare, facendo rivivere  fattispecie
penale (cfr. Corte costituzionale n. 5/2014). 
    Alla luce di tale inquadramento il remittente ritiene quindi  che
alla Corte costituzionale non possa essere precluso lo  scrutinio  di
costituzionalita' di qualsivoglia norma costitutiva o  abrogativa  di
fattispecie emanata dal legislatore con la forma di legge ordinaria. 
3 - Sulla non manifesta infondatezza. 
    Il requisito della «non manifesta infondatezza»  della  questione
si ravvisa nell'effettiva e concreta consistenza della  questione  di
legittimita' che si esprime nei seguenti termini. 
  3.1 - Un primo aspetto di non manifesta infondatezza va  ricondotto
al fatto che le disposizioni abrogative del reato per cui e' processo
hanno determinato la fuoriuscita del bene dell'onore e del decoro dal
sistema di tutela pubblicistica dei diritti fondamentali. 
    Si osserva infatti che non ci sono  diritti  inviolabili  di  cui
all'art. 2 della Costituzione che  non  siano  protetti  anche  dalle
norme penali, proprio in virtu' della  massima  tutela  che  ad  essi
viene garantita. 
    La stessa  Corte  costituzionale  ha  infatti  ritenuto  che  gli
articoli  2,  3  e  l'art.  13,  primo  comma,   della   Costituzione
riconoscano e garantiscano i diritti  inviolabili  dell'uomo,  fra  i
quali rientrano quelli del proprio decoro, del proprio  onore,  della
propria  rispettabilita',  riservatezza,  intimita'  e   reputazione,
sanciti espressamente negli articoli 8 e 10 della Convenzione europea
sui diritti dell'uomo (cfr. Corte costituzionale n. 38/1973). 
    Inoltre i concetti di onore e di decoro,  uniti  al  concetto  di
reputazione,  costituiscono  tre   fondamentali   concetti   che   la
giurisprudenza, la dottrina e anche le  dottrine  filosofiche,  hanno
ricondotto all'essenza concettuale del valore uomo  identificato  con
il termine: dignita'. 
    Il rispetto che ho  per  gli  altri  -  scriveva  Kant  -  e'  il
riconoscimento della dignita' che e' negli altri. Ed e'  proprio  per
consentire il riconoscimento della dignita' che e' negli altri che e'
sorta la necessita' di tutelare la dignita'  di  ogni  essere  umano.
Dignita' che e' tutelata come diritto fondamentale  nella  Carta  dei
Diritti Fondamentali dell'Unione europea di Nizza  (pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale delle Comunita' europee del 18 dicembre 2000), che
proclama nell'art. 1 che: 
      «La dignita' umana e' inviolabile. Essa deve essere  rispettata
e tutelata». 
    Proprio tale fonte normativa, recepita nella nostra  Costituzione
in forza degli articoli 10 e 117, riconduce il concetto  di  dignita'
nel  tessuto  costituzionale   rendendolo   un   diritto   primo   ed
irrinunciabile della persona. 
    Non solo, ma la dignita' come valore trova la  propria  implicita
affermazione  nel  principio  contenuto  nell'art.  2   della   Carta
Costituzionale dove si stabilisce che:  «la  Repubblica  riconosce  e
garantisce i diritti inviolabili dell'uomo.». 
    In tale contesto si deve  ritenere  che  la  tutela  dei  diritti
fondamentali ed inviolabili dell'essere umano,  dei  quali  e'  parte
fondamentale il concetto di dignita'  che  comprende  i  concetti  di
onore e di decoro, possa essere  garantita  «sia  come  singolo,  sia
nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalita'»  soltanto
attraverso le norme penali, poiche' sono proprio le norme penali  che
sono  poste,  ontologicamente,  a  difesa  dei  diritti   inviolabili
dell'essere umano. 
    Diritti inviolabili dell'essere umano che debbono essere tutelati
dalle norme penali, sia per l' efficacia  deterrente  della  sanzione
penale, che  per  l'inadeguatezza  delle  sanzioni  amministrative  o
civili  che  appaiono  inconciliabili  a  prevenire,   ricomporre   o
reprimere le condotte lesive dei diritti fondamentali. 
    Nel  caso  di  specie  il  legislatore  ha  approvato  con  legge
ordinaria la contestuale abrogazione della fattispecie delittuosa dal
codice penale ed ha  introdotto  una  tutela  privatistica  del  bene
costituzionalmente protetto, utilizzando il medesimo testo del  primo
comma dell'art. 594 codice penale, andando cosi' a degradare il reato
che tutela un bene di rilevanza costituzionale ad un illecito  civile
sottoposto unicamente al nuovo  istituto  della  sanzione  pecuniaria
civile (art. 4 del decreto  legislativo  n.  7/2016)  e  ledendo,  ad
avviso del remittente, gli articoli 2 e 3 della Costituzione posti  a
tutela  dei  diritti  fondamentali  della   persona,   universalmente
riconosciuti. 
    Inoltre tale normativa abrogativa, che ha cancellato la rilevanza
penale di un diritto fondamentale della persona, appare incompatibile
con i principi costituzionali espressi nell'art. 10 e  nell'art.  117
della Carta Costituzionale poiche' la potesta' legislativa  e'  stata
esercitata dallo Stato con legge ordinaria senza rispettare i vincoli
e i principi derivanti dagli obblighi internazionali e dalle norme di
diritto internazionale generalmente riconosciute,  tanto  da  violare
apertamente il principio fondamentale della dignita'  umana  espresso
nell'art. 1 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione europea. 
  3.2 - Un secondo aspetto di non manifesta  infondatezza  e'  quello
relativo all'instaurazione di  una  difforme  tutela  sostanziale  di
fattispecie    inerenti    il    medesimo    diritto     fondamentale
costituzionalmente tutelato,  generando  la  violazione  dell'art.  3
della Costituzione. 
    Le  norme  oggetto  di  scrutinio  di   costituzionalita'   hanno
determinato, con l'avvenuta abrogazione dell'art. 594 codice  penale,
una disparita' di trattamento con fattispecie criminose  inerenti  il
medesimo diritto fondamentale costituzionalmente protetto. 
    Ed invero l'art. 594 codice penale e  l'art.  595  codice  penale
sono riconducibili alla stessa medesima ratio e allo  stesso  diritto
fondamentale  della  dignita'  della  persona  composta   dall'onore,
decoro, reputazione e rispettabilita', che  trovano  identica  tutela
codificata in due articoli differenti del codice penale in  relazione
alla presenza dell'offeso (nell'ipotesi di  ingiuria)  o  all'assenza
dell'offeso (nell'ipotesi di diffamazione). 
    Con l'abrogazione del reato di ingiuria  la  tutela  del  diritto
inviolabile della dignita' nella sua declinazione dell'onore, decoro,
rispettabilita'  e'  lasciata  unicamente  alla  fattispecie  di  cui
all'art. 595 codice penale e cioe'  al  medesimo  fatto  commesso  in
assenza  dell'offeso,  con  evidente   lesione   del   principio   di
uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione. 
    Le norme abrogative hanno infatti reso penalmente irrilevante  la
medesima condotta punita dall'art. 595 codice penale  qualora  questa
si sia verificata  in  presenza  dell'offeso.  In  altri  termini  se
l'offeso non e' presente c'e' il reato (di diffamazione),  mentre  se
l'offeso e' presente non c'e' il reato. 
    La lesione del principio  di  uguaglianza  espresso  dall'art.  3
della Costituzione appare, ad avviso del remittente, fondata. 
  3.3 - Un terzo aspetto inerente la non  manifesta  infondatezza  si
manifesta in  maniera  inequivocabile  sotto  un  ulteriore  profilo.
Esaminando l'ipotesi aggravata di cui al comma 4 dell'art. 594 codice
penale che disponeva: «Le pene sono aumentate qualora l  'offesa  sia
commessa in presenza di piu' persone», si comprende la disparita'  di
trattamento voluta dal legislatore ordinario attraverso l'abrogazione
integrale del reato di  ingiurie  e  mantenendo  pero'  il  reato  di
diffamazione. 
    La scelta di perseguire un fatto «comunicando con  piu'  persone»
in assenza dell'offeso (diffamazione) e di  non  punire  il  medesimo
fatto «commesso in presenza  di  piu'  persone»  quindi  in  presenza
dell'offeso (ingiurie),  appare  irragionevole,  discriminante  e  in
violazione dell'art. 3 della Costituzione. 
    Basti pensare che rimane reato la lettera di lamentele inviata  a
Tizio e Caio sulle qualita' etiche di Sempronio, mentre non  e'  piu'
ipotesi  di  reato  la  lesione  dell'onore  realizzata  in  presenza
dell'offeso,  in  un  pubblico  convegno  o   in   una   trasmissione
televisiva, pronunciando le piu' turpi, offensive e  lesive  ingiurie
in presenza della persona offesa. 
    Anche sotto  quest'ultimo  profilo  il  remittente  dubita  della
legittimita' costituzionale  delle  norme  abrogative  del  reato  di
ingiuria in quanto il legislatore ha  considerato  in  modo  difforme
fattispecie che hanno  ad  oggetto  l'identico  diritto  fondamentale
costituzionalmente tutelato, andando cosi' a ledere il  principio  di
uguaglianza espresso dall'art. 3 della Costituzione. 
    Alla luce delle  ragioni  sopra  esposte  il  giudice  rimettente
ritiene di non poter prescindere dall'applicazione al caso di  specie
delle norme abrogative in  oggetto  che  si  ritiene  debbano  essere
sottoposte al vaglio di costituzionalita'. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il giudice di pace di Venezia, letto l'art. 23,  legge  11  marzo
1953, n. 87, 
    Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 3°, della legge n.  67
del 28 aprile 2014 e dell'art. 1, lettera c), del decreto legislativo
n. 7 del 15 gennaio 2016, nella parte in cui dispongono l'abrogazione
dell'art. 594 codice penale per violazione degli articoli 2, 3, 10  e
117 della Costituzione; 
    Dispone la sospensione del presente giudizio; 
    Ordina   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale; 
    Ordina che a cura della Cancelleria  la  presente  ordinanza  sia
notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e  comunicata  ai
Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
      Venezia, 20 giugno 2017 
 
                     Il Giudice di pace: Pertile