N. 114 SENTENZA 17 aprile - 31 maggio 2018

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Riscossione delle imposte sul  reddito  -  Esecuzione  esattoriale  -
  Limiti alla proponibilita' delle opposizioni regolate  dagli  artt.
  615 e 617 cod. proc.  civ.  -  Inammissibilita'  delle  opposizioni
  all'esecuzione, fatta eccezione  per  quelle  concernenti  la  sola
  pignorabilita' dei beni, e delle opposizioni  agli  atti  esecutivi
  relative alla regolarita' formale ed alla notificazione del  titolo
  esecutivo. 
- Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973,  n.  602
  (Disposizioni sulla riscossione delle imposte  sul  reddito),  art.
  57, comma 1, come sostituito dall'art. 16 del  decreto  legislativo
  26  febbraio  1999,  n.  46  (Riordino   della   disciplina   della
  riscossione mediante ruolo, a norma dell'articolo 1 della legge  28
  settembre 1998, n. 337). 
-   
(GU n.23 del 6-6-2018 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS,   Franco   MODUGNO,   Augusto   Antonio   BARBERA,   Giulio
  PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'articolo  57,
comma 1, del decreto del Presidente  della  Repubblica  29  settembre
1973, n.  602  (Disposizioni  sulla  riscossione  delle  imposte  sul
reddito), come sostituito dall'art. 16  del  decreto  legislativo  26
febbraio 1999, n. 46 (Riordino  della  disciplina  della  riscossione
mediante ruolo, a norma dell'articolo  1  della  legge  28  settembre
1998, n. 337), e dell'art. 3, comma 4, lettera a), del  decreto-legge
30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all'evasione fiscale e
disposizioni  urgenti   in   materia   tributaria   e   finanziaria),
convertito, con modificazioni, nella legge 2 dicembre 2005,  n.  248,
promossi dal  giudice  dell'esecuzione  del  Tribunale  ordinario  di
Sulmona con due ordinanze del  31  e  dell'11  dicembre  2013  e  dal
giudice dell'esecuzione del Tribunale ordinario di  Trieste  con  due
ordinanze  del  19  agosto  2015  e  del  28  marzo  2017,   iscritte
rispettivamente ai nn. 8, 9 e 195 del registro ordinanze  2016  e  n.
110 del registro ordinanze 2017 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 5 e n. 41, prima serie speciale, dell'anno 2016 e
n. 35, prima serie speciale, dell'anno 2017. 
    Visti gli atti  di  costituzione  di  Equitalia  Centro  spa,  di
Genagricola  spa,  di   Equitalia   Servizi   di   riscossione   spa,
dell'Agenzia  delle  entrate  -  Riscossione,  ente  subentrato   nei
rapporti giuridici della societa' Equitalia  servizi  di  riscossione
spa, nonche' gli atti di intervento del Presidente del Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella udienza  pubblica  del  17  aprile  2018  il  Giudice
relatore Giovanni Amoroso; 
    uditi gli avvocati Simonetta Rottin per Genagricola spa, Marcello
Cecchetti per l'Agenzia delle entrate - Riscossione, ente  subentrato
nei  rapporti  giuridici  della   societa'   Equitalia   servizi   di
riscossione spa, a sua volta incorporante Equitalia Centro spa, e per
Equitalia servizi di riscossione spa, e l'avvocato dello Stato Gianni
De Bellis per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza dell'11 dicembre 2013, iscritta  al  n.  9  del
registro ordinanze 2016, emessa nel procedimento civile  promosso  da
R. C. contro Equitalia Centro spa,  il  giudice  dell'esecuzione  del
Tribunale ordinario di Sulmona ha sollevato questioni incidentali  di
legittimita' costituzionale dell'art. 57,  comma  1,  del  d.P.R.  29
settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle  imposte
sul reddito), come sostituito dall'art. 16 del decreto legislativo 26
febbraio 1999, n. 46 (Riordino  della  disciplina  della  riscossione
mediante ruolo, a norma dell'articolo  1  della  legge  28  settembre
1998, n. 337). 
    Riferisce il giudice rimettente che l'attrice,  opponente  in  un
procedimento di riscossione coattiva  nella  forma  del  pignoramento
presso terzi, ha dedotto «l'inesistenza  di  rapporti  con  il  terzo
pignorato, la prescrizione dei crediti attivati  dall'agente  per  la
riscossione, la violazione dell'art. 7 dello Statuto dei contribuenti
e vizi di notificazione del pignoramento». 
    Preliminarmente il giudice rimettente ha rilevato  d'ufficio  che
la notificazione dell'atto di pignoramento ex art. 72-bis  d.P.R.  n.
602 del 1973 era avvenuta con modalita' del tutto difformi da  quelle
previste  dalla  legge,  tanto  da  poter  essere  considerata   come
inesistente. Secondo il rimettente la  notifica  sarebbe  inesistente
per  essersi  Equitalia  limitata  a  spedire  al  terzo   una   mera
raccomandata con avviso di  ricevimento.  Ma  -  lamenta  il  giudice
rimettente - da  una  parte  l'inesistenza  della  notificazione  del
pignoramento non puo' essere fatta valere  davanti  alle  commissioni
tributarie,  poiche'   gli   atti   dell'esecuzione   esulano   dalla
giurisdizione tributaria e non sono previsti nell'elenco  degli  atti
impugnabili in detta sede. D'altra parte, l'art.  57,  comma  1,  del
d.P.R. n. 602 del 1973 limita le opposizioni regolate dagli artt. 615
e 617 del codice di procedura civile e a vizi ben specifici, tra  cui
non rientrerebbe l'inesistenza della notificazione del pignoramento. 
    Vi sarebbe, pertanto, un difetto assoluto  di  giurisdizione  con
conseguente violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione. 
    Inoltre la disposizione censurata violerebbe anche la «riserva di
legge prevista dall'art. 97 Cost.  e  111  Cost.»,  e  contrasterebbe
altresi' sia con «gli artt. 3, 11, 117 Cost. e 6 CEDU, nella parte in
cui non garantisce al debitore di crediti erariali un  processo  equo
quanto meno in misura pari agli altri debitori»; sia con  l'art.  113
Cost. «atteso che si avrebbe una limitata impugnativa  del  cittadino
per atti della pubblica amministrazione, sostanziantesi in  forme  di
notificazione extra ordinem». 
    La questione sarebbe rilevante - secondo il giudice rimettente  -
«poiche', stando all'attuale testo  normativo,  occorrerebbe  operare
una sospensione cautelare per i soli crediti parafiscali, mentre  per
quelli erariali  si  dovrebbe  rigettare  l'istanza  argomentando  un
difetto assoluto di giurisdizione». 
    2.- Il medesimo giudice dell'esecuzione del  Tribunale  ordinario
di Sulmona, con ordinanza del 31 dicembre 2013, iscritta al n. 8  del
registro ordinanze 2016, emessa nel procedimento civile  promosso  da
S.D.D. contro Equitalia Centro spa, ha  sollevato  analoga  questione
incidentale di legittimita'  costituzionale  dello  stesso  art.  57,
comma 1, del d.P.R. n. 602 del 1973. 
    Riferisce il giudice rimettente  che  l'attrice  si  opponeva  al
pignoramento presso terzi  lamentando  la  sua  eccessivita'  perche'
incideva sul suo  minimo  vitale  e  chiedeva  in  via  cautelare  la
sospensione dell'esecuzione. 
    In questo giudizio Equitalia Centro spa restava contumace. 
    Preliminarmente  il  giudice  rimettente  rileva  d'ufficio   che
Equitalia si era limitata a spedire al terzo  una  mera  raccomandata
con  avviso  di  ricevimento.  Ma  -  secondo  il  rimettente  -   la
notificazione avvenuta con questa modalita' doveva essere considerata
come inesistente. 
    Quanto alle ragioni del dubbio di legittimita' costituzionale, il
giudice rimettente svolge rilievi analoghi a quelli della  precedente
ordinanza dello stesso tribunale. 
    3.- In entrambi i  giudizi  incidentali  promossi  dal  Tribunale
ordinario di Sulmona si e' costituita Equitalia Centro spa  con  atti
depositati il 23  febbraio  2016,  domandando  che  le  questioni  di
legittimita'  costituzionale   siano   dichiarate   inammissibili   o
comunque, nel merito, manifestamente infondate. 
    Con atti depositati  il  23  febbraio  2016,  e'  intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello  Stato,  chiedendo  parimenti  che  le
questioni   di   legittimita'   costituzionale    siano    dichiarate
inammissibili o comunque manifestamente infondate. 
    Con memoria depositata il 27 marzo 2018, l'Agenzia delle  entrate
- Riscossione, succeduta a Equitalia  Centro  spa,  ha  sostenuto  la
manifesta  inammissibilita'  delle  questioni  e  comunque  la   loro
manifesta infondatezza. 
    4.- Con due distinte ordinanze di analogo contenuto del 19 agosto
2015 e del 28 marzo 2017, iscritte  rispettivamente  al  n.  195  del
registro ordinanze 2016 e al n. 110 del registro ordinanze  2017,  il
giudice dell'esecuzione del Tribunale ordinario  di  Trieste  in  due
procedimenti civili promossi dalla societa'  Genagricola  spa  contro
Equitalia nord spa e Azienda Servizi Integrati,  terzo  pignorato,  e
contro Equitalia nord spa e GSE spa - Gestore dei servizi energetici,
terzo   pignorato,   ha   sollevato   questioni    di    legittimita'
costituzionale dell'art. 57 del d.P.R.  n.  602  del  1973,  e,  «ove
occorra», dell'art. 3, comma 4,  lettera  a),  del  decreto-legge  30
settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto  all'evasione  fiscale  e
disposizioni  urgenti   in   materia   tributaria   e   finanziaria),
convertito, con modificazioni, nella legge 2 dicembre 2005, n. 248. 
    Riferisce il giudice rimettente che, in entrambi  i  giudizi,  la
societa'  Genagricola  spa,  esecutata  opponente,   aveva   proposto
opposizione all'esecuzione ex art. 615 cod.  proc.  civ.,  avverso  i
pignoramenti presso terzi avviati, ex art. 72-bis del d.P.R.  n.  602
del 1973, da Equitalia Nord spa, per i crediti per l'imposta comunale
sugli immobili (ICI) rispettivamente per gli anni  2008  e  2009  non
corrisposta al Comune di Cassano allo  Ionio,  avente  ad  oggetto  i
crediti vantati dall'opponente nei confronti dei terzi. 
    In precedenza la stessa societa' Genagricola spa aveva  impugnato
sia gli  avvisi  di  accertamento,  sia  le  successive  cartelle  di
pagamento,  domandando  e  ottenendo  la   misura   cautelare   della
sospensione dell'esecuzione degli atti impugnati. 
    A seguito dell'adozione di tali misure cautelari  Equitalia  nord
spa sospendeva in autotutela -  «sino  a  nuova  comunicazione»  -  i
pignoramenti e lo  stesso  Comune  di  Cassano  allo  Ionio  invitava
Equitalia a non dar corso all'esecuzione intrapresa. 
    In entrambi i giudizi di opposizione all'esecuzione  la  societa'
deduceva l'avvenuta  violazione  dell'art.  7  del  decreto-legge  13
maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per
l'economia), convertito, con modificazioni,  nella  legge  12  luglio
2011, n. 106, che ha introdotto in via  generale  la  sospensione  ex
lege degli atti esecutivi esattoriali per la durata di 120 giorni. In
violazione di tale disposizione Equitalia aveva avviato  l'esecuzione
prima che fossero decorsi 120 giorni dalla proposizione del  ricorso,
e pedissequa istanza cautelare, contro la cartella  di  pagamento,  e
comunque, prima  che  fosse  intervenuta  la  decisione  del  giudice
tributario su tale istanza cautelare. 
    In entrambi i giudizi la societa' Genagricola sollevava, inoltre,
eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 57 del d.P.R. n.
602 del 1973, in riferimento agli artt. 3, 24,  54,  97,  111  e  113
della Costituzione. 
    In accoglimento di tale eccezione il giudice adito  riteneva  non
manifestamente infondato il  dubbio  di  legittimita'  costituzionale
della censurata disposizione per contrasto con gli artt. 3, 24, 111 e
113 Cost. 
    L'art.  57   citato   -   prevedendo   l'inammissibilita'   delle
opposizioni  all'esecuzione  ex  art.  615  cod.  proc.  civ.,  fatta
eccezione per quelle concernenti la pignorabilita'  dei  beni  -  gli
impedirebbe  di  pronunziarsi   sulla   fondatezza   dell'opposizione
proposta dalla societa', pur in presenza di elementi di  fatto  e  di
diritto  che  indurrebbero   a   ravvisarne   l'indubbia   fondatezza
sostanziale e processuale. Tale disposizione violerebbe gli  indicati
parametri incidendo in senso limitativo sul  diritto  di  difesa  del
contribuente e sui mezzi di tutela di quest'ultimo contro taluni atti
dell'esecuzione in materia tributaria. Infatti  l'art.  57  censurato
impedisce al debitore opponente  la  proponibilita'  dell'opposizione
all'esecuzione,   che   e'   ammissibile   solo   per   far    valere
l'impignorabilita'  dei  beni,  non  anche,  in  tesi,  per  rilevare
l'illegittimita'  dell'esecuzione  o  la  carenza   dei   presupposti
dell'esecuzione, costringendo il contribuente a subire in  ogni  caso
l'esecuzione,  ancorche'  ingiusta,  con  la  sola  possibilita'   di
presentare ex post una richiesta di rimborso di quanto  ingiustamente
percetto dall'amministrazione finanziaria o  dal  suo  concessionario
per la riscossione, ovvero di agire per il risarcimento del danno. 
    Secondo il rimettente il citato art. 57 sarebbe in contrasto «con
gli artt. 24  e  113  della  Costituzione,  in  quanto  impedisce  di
chiedere ed ottenere tutela  giurisdizionale  sia  nei  confronti  di
privati che nei confronti  dello  Stato  e  di  altri  enti  minori»,
lasciando al contribuente la sola possibilita' di agire ex  post  per
il  rimborso  delle  somme  versate,  nonche'  «con  l'art.  3  della
Costituzione in relazione alla differenza di trattamento che crea tra
contribuenti che sono in  grado  di  pagare  immediatamente  l'intero
tributo e quelli che, invece, non hanno mezzi sufficienti per farlo». 
    In particolare  sarebbe  violato  l'art.  24  Cost.,  poiche'  e'
impedita,  al  debitore   opponente,   in   modo   generalizzato   ed
irragionevole, ogni possibilita' di difesa, consentendosi al medesimo
di fare opposizione all'esecuzione solo  ed  esclusivamente  per  far
valere l'impignorabilita'  dei  beni,  non  anche  per  tutelarsi  da
esecuzioni illegittime.  Sarebbe  violato  anche  l'art.  113  Cost.,
poiche' la disposizione censurata limita e impedisce  la  tutela  del
contribuente contro una determinata categoria di atti della  pubblica
amministrazione e dei concessionari  di  quest'ultima,  impedendo  in
modo indiscriminato ed ingiustificato ogni difesa  contro  tutti  gli
atti dell'esecuzione. 
    5.- La Genagricola spa si e' costituita  in  entrambi  i  giudizi
incidentali, con atti depositati il 31 ottobre 2016 e il 18 settembre
2017, sviluppando, in  sostanza,  analoghi  argomenti  difensivi.  La
societa', aderendo alle censure  mosse  dal  giudice  rimettente,  ha
domandato che ciascuna questione di legittimita'  costituzionale  sia
dichiarata fondata. 
    Con atti depositati il 31 ottobre 2016 e il 18 settembre 2017, si
sono costituite Equitalia Nord spa (nel giudizio reg. ord. n. 195 del
2016) e l'Agenzia delle entrate - Riscossione (nel giudizio reg. ord.
n. 110 del 2017),  entrambe  domandando  che  ciascuna  questione  di
legittimita' costituzionale sia dichiarata inammissibile o  comunque,
nel merito, infondata. 
    Con atti di  tenore  sostanzialmente  analogo,  depositati  il  2
novembre 2016 e il 19 settembre 2017, e' intervenuto  in  entrambi  i
giudizi il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo  che  ciascuna
questione di legittimita' costituzionale sia dichiarata inammissibile
o comunque infondata. 
    Con memorie depositate il 27 marzo 2018, riferite ad entrambe  le
ordinanze del Tribunale ordinario di Trieste, l'Agenzia delle entrate
- Riscossione ha sostenuto la inammissibilita' delle questioni  e  in
subordine la loro infondatezza. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con  ordinanze  in  data  11  e  31  dicembre  2013  iscritte
rispettivamente al n. 9 e al n. 8 del  registro  ordinanze  2016,  il
giudice  dell'esecuzione  del  Tribunale  ordinario  di  Sulmona   ha
sollevato questioni  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  57,
comma 1, del decreto del Presidente  della  Repubblica  29  settembre
1973, n.  602  (Disposizioni  sulla  riscossione  delle  imposte  sul
reddito), come sostituito dall'art. 16  del  decreto  legislativo  26
febbraio 1999, n. 46 (Riordino  della  disciplina  della  riscossione
mediante ruolo, a norma dell'articolo  1  della  legge  28  settembre
1998, n. 337), in riferimento agli artt. 3, 24, 97, 111,  113  e  117
della Costituzione e all'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e  resa  esecutiva  con  legge  4
agosto 1955, n. 848. 
    Il  rimettente,  in  particolare,   dubita   della   legittimita'
costituzionale della  disposizione  censurata  nella  parte  in  cui,
limitando la facolta' di proporre le opposizioni regolate dagli artt.
615 e 617 del codice di procedura civile solo a quelle riguardanti la
pignorabilita' dei beni  ed  alle  opposizioni  agli  atti  esecutivi
concernenti le patologie del titolo e del precetto, non contempla «la
facolta'  di  proporre  opposizione  nei  confronti  delle  patologie
riguardanti il pignoramento o il  procedimento  di  notificazione  di
detto  atto,  quand'anche   si   trattasse   dell'inesistenza   della
notificazione», nonche' nella parte in cui «avalla delle modalita' di
notificazione dell'atto  di  pignoramento  presso  terzi  diverse  da
quelle previste dalla legge e per  le  quali  non  e'  consentita  al
debitore alcuna forma di tutela». 
    2.- Con due ordinanze di analogo tenore, del 19 agosto 2015 e del
28 marzo 2017,  iscritte  rispettivamente  al  n.  195  del  registro
ordinanze 2016 e al n. 110 del registro ordinanze  2017,  il  giudice
dell'esecuzione del  Tribunale  ordinario  di  Trieste  ha  sollevato
questione di legittimita' costituzionale del medesimo art. 57 e, «ove
occorra, anche» dell'art. 3, comma 4, lettera a),  del  decreto-legge
30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all'evasione fiscale e
disposizioni  urgenti   in   materia   tributaria   e   finanziaria),
convertito, con modificazioni, in legge 2 dicembre 2005, n. 248. 
    Il rimettente dubita della legittimita' costituzionale  dell'art.
57 del d.P.R. n. 602 del 1973 in riferimento agli artt. 3, 24, 111  e
113 Cost., nella parte in cui  -  prevedendo  l'inammissibilita'  sia
delle opposizioni regolate  dall'art.  615  cod.  proc.  civ.,  fatta
eccezione per quelle concernenti  la  pignorabilita'  dei  beni,  sia
delle opposizioni regolate dall'art. 617  cod.  proc.  civ.  relative
alla regolarita' formale ed alla notificazione del titolo esecutivo -
costringe «il  contribuente  a  subire  in  ogni  caso  l'esecuzione,
ancorche' ingiusta; con la sola possibilita' di  presentare  ex  post
una richiesta di rimborso  di  quanto  ingiustamente  percetto  dalla
pubblica amministrazione, o suo concessionario  per  la  riscossione,
ovvero di agire per il risarcimento del danno». 
    Il tribunale assume che l'art. 57 del d.P.R. n. 602 del  1973  si
pone in contrasto con l'art. 24 Cost., per la menomazione del diritto
di difesa derivante dalla limitazione dei  casi  in  cui  e'  ammessa
l'opposizione all'esecuzione ex art.  615  cod.  proc.  civ.,  e  con
l'art.  113  Cost.,  poiche'  limita  e  impedisce  la   tutela   del
contribuente contro una determinata categoria di atti della  pubblica
amministrazione. Inoltre ritiene  violati  l'art.  3  Cost.,  per  la
disparita' di trattamento tra  contribuenti  secondo  che  il  debito
riguardi,  o  meno,  tributi  per  i  quali  l'art.  2  del   decreto
legislativo 31 dicembre  1992,  n.  546  (Disposizioni  sul  processo
tributario in attuazione della delega al Governo contenuta  nell'art.
30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413),  prevede  la  giurisdizione
tributaria, e l'art. 111 Cost., per contrasto con  il  principio  del
giusto processo. 
    3 - Le questioni di legittimita'  costituzionale,  sollevate  dal
Tribunale ordinario di Sulmona e dal Tribunale ordinario di  Trieste,
sono in larga parte sovrapponibili e quindi  si  rende  opportuna  la
loro trattazione congiunta mediante riunione dei giudizi. 
    4.- Le questioni poste con le due  ordinanze  di  rimessione  del
Tribunale ordinario di Sulmona sono inammissibili. 
    Nell'ordinanza iscritta al n. 8 del registro  ordinanze  2016  il
tribunale rimettente - a fronte delle censure  della  parte  attrice,
che ha proposto opposizione al pignoramento presso  terzi  lamentando
la sua eccessivita' perche' incidente sul  suo  minimo  vitale  e  ha
chiesto in via cautelare la sospensione dell'esecuzione - si limita a
rilevare  d'ufficio  che  la  notificazione  al  terzo  pignorato  e'
avvenuta con modalita' del tutto difformi da  quelle  previste  dalla
legge, tanto da poter essere considerata come inesistente. 
    Ma, da una parte, la  fattispecie  del  giudizio  a  quo  non  e'
descritta se non con il sommario ed assai sintetico riferimento  alla
censura  mossa  dalla  parte  assoggettata  a  riscossione  coattiva.
D'altra parte comunque - considerato che  la  parte  attrice  non  ha
eccepito il vizio di notifica dell'atto di pignoramento presso  terzi
- l'atto potrebbe avere comunque raggiunto il suo  scopo  (art.  156,
terzo comma, cod. proc. civ.) anche  in  presenza  di  una  modalita'
della notifica che il giudice ricorrente assume essere contra  legem,
ma che non riconduce alla categoria dell'inesistenza  della  notifica
nei termini ristretti  e  piu'  puntuali  da  ultimo  ritenuti  dalla
giurisprudenza di legittimita' (Corte di cassazione,  sezioni  unite,
sentenza 20 luglio 2016, n. 14916). 
    E' quindi carente la motivazione in ordine alla  rilevanza  delle
sollevate questioni di legittimita' costituzionale, considerato anche
che  la  doglianza  della  parte  attrice  in  ordine  ai  limiti  di
pignorabilita' del suo credito nei confronti di  terzi  non  incontra
affatto   la   limitazione   di    ammissibilita'    dell'opposizione
all'esecuzione prevista dal censurato art. 57 del d.P.R. n.  602  del
1973,   essendo   invece   ammessa   proprio   quando   concerne   la
pignorabilita' dei beni. 
    Anche nell'ordinanza iscritta al  n.  9  del  registro  2016  del
medesimo tribunale rimettente la fattispecie del giudizio  a  quo  e'
solo richiamata in termini sommari e del tutto insufficienti. 
    Inoltre - a fronte delle censure della parte attrice che, secondo
il sintetico  e  generico  riferimento  contenuto  nell'ordinanza  di
rimessione, ha sostenuto  l'inesistenza  di  rapporti  con  il  terzo
pignorato, la prescrizione dei crediti attivati  dall'agente  per  la
riscossione, la violazione dell'art. 7 della legge 27 luglio 2000, n.
212  (Disposizioni  in   materia   di   statuto   dei   diritti   del
contribuente),  e  vizi  di  notificazione  del  pignoramento  -   il
tribunale, anche in questo secondo giudizio,  ha  rilevato  d'ufficio
che  la  notificazione  al  terzo  pignorato  sarebbe  avvenuta   con
modalita' difformi da quelle previste dalla legge si' da dover essere
considerata come inesistente.  Il  rimettente  pero'  non  spiega  le
ragioni  per  cui  tale  vizio,  avendo  ad  oggetto  un  atto  della
riscossione fiscale (il pignoramento presso  terzi)  e  non  gia'  il
titolo posto a fondamento della riscossione stessa  (la  cartella  di
pagamento) -  e  comunque  non  risolvendosi  nell'inesistenza  della
notificazione (secondo la citata giurisprudenza  di  legittimita')  -
non possa esser fatto valere con l'ordinaria  opposizione  agli  atti
esecutivi ai sensi dell'art. 617 cod. proc. civ., atteso  che  l'art.
57  censurato  esclude  soltanto   le   opposizioni   relative   alla
regolarita' formale ed alla notificazione del titolo esecutivo. 
    Tutte le sollevate questioni sono, quindi, inammissibili. 
    5.- Invece le questioni poste  con  le  ordinanze  del  Tribunale
ordinario di Trieste, sostanzialmente  identiche  seppur  riferite  a
diverse annualita' dell'obbligo tributario della societa'  opponente,
sono ammissibili. 
    In entrambi i  giudizi  a  quibus  la  societa',  assoggettata  a
riscossione  coattiva,  dopo  aver  proposto  al  giudice  tributario
ricorso avverso sia l'avviso di  accertamento,  sia  la  cartella  di
pagamento   e   dopo   aver   chiesto   la   sospensione   giudiziale
dell'esecuzione  degli  atti  impugnati,  contesta,   con   atto   di
opposizione all'esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ., il diritto di
Equitalia Nord spa di procedere ad espropriazione forzata nella forma
del pignoramento presso terzi, effettuato ai sensi  dell'art.  72-bis
del d.P.R. n. 602 del 1973, facendo valere il termine di moratoria di
120  giorni  previsto  dall'art.  7,  comma  1,   lettera   m),   del
decreto-legge 13  maggio  2011,  n.  70  (Semestre  Europeo  -  Prime
disposizioni urgenti per l'economia), convertito, con  modificazioni,
in legge 12 luglio 2011, n. 106, il quale ha previsto che, in caso di
richiesta di sospensione giudiziale  degli  atti  esecutivi,  non  si
procede all'esecuzione fino alla decisione  del  giudice  e  comunque
fino al centoventesimo giorno. 
    Il giudice  dell'esecuzione,  adito  dalla  societa',  e'  quindi
chiamato a fare applicazione della disposizione  censurata  la  quale
prevede che nel procedimento di riscossione esattoriale l'opposizione
all'esecuzione  ai  sensi  dell'art.   615   cod.   proc.   civ.   e'
inammissibile,   fatta   eccezione   per   quella   concernente    la
pignorabilita' dei beni. 
    D'altra  parte   sussiste,   secondo   il   giudice   rimettente,
l'interesse ad agire della societa' opponente  perche',  pur  essendo
stato il pignoramento presso terzi sospeso in autotutela da Equitalia
Nord, cio' pero' e' avvenuto - rileva il tribunale -  «sino  a  nuova
comunicazione» e quindi il procedimento di  riscossione  puo'  essere
riattivato  in  qualsiasi   momento.   Cio'   costituisce   una   non
implausibile motivazione della  ritenuta  sussistenza  dell'interesse
della  societa'   ad   ottenere   una   pronuncia   di   accertamento
dell'illegittimita' della procedura di  riscossione  perche'  avviata
quando non era ancora spirato il  suddetto  termine  di  moratoria  e
pertanto era preclusa per legge. 
    Rilevanti sono quindi le questioni di costituzionalita' sollevate
dal Tribunale ordinario di Trieste. 
    Sussiste inoltre anche una sufficiente motivazione della ritenuta
non manifesta  infondatezza  delle  questioni  di  costituzionalita',
nonche'  la  plausibile  non  adottabilita'   di   un'interpretazione
adeguatrice della disposizione censurata. 
    In via preliminare va poi precisato che oggetto dell'incidente di
costituzionalita' e' solo l'art. 57 del d.P.R. n. 602 del 1973, e non
anche l'art. 3, quarto comma, lettera a), del  decreto-legge  n.  203
del  2005,  seppur  indicato  nel  dispositivo  delle  ordinanze   di
rimessione, ma soltanto «ove occorra» e senza che alcuna censura  nei
suoi confronti sia  mossa  dal  tribunale  rimettente.  Infatti  tale
ultima  disposizione  -  la  quale  prevede  che  l'agente   per   la
riscossione opera con i poteri e secondo le disposizioni  di  cui  al
Titolo I, Capo II, e al Titolo II, del d.P.R. n. 602 del  1973  -  e'
richiamata  dal  giudice  rimettente  al  solo  fine  di   confermare
l'applicabilita' dell'art. 57 citato nel giudizio a quo e  quindi  al
fine di coonestare  la  rilevanza  della  questione  di  legittimita'
costituzionale di tale disposizione; la quale  e'  l'unica  investita
dalle censure mosse dal giudice rimettente. 
    6.- Nel  merito,  le  questioni  di  legittimita'  costituzionale
sollevate in riferimento agli artt. 24 e 113 Cost.  e  che  investono
l'art. 57 del d.P.R. n. 602 del 1973, segnatamente il  suo  comma  1,
lettera a), sono fondate. 
    7.- Il censurato art. 57, come sostituito dall'art. 16, comma  1,
del  d.lgs.  n.  46  del  1999,   n.   46,   disciplina   attualmente
l'opposizione all'esecuzione o agli atti esecutivi nel  regime  della
riscossione delle imposte sul reddito, come gia'  faceva  in  passato
l'art. 54 del medesimo d.P.R. nella sua originaria  formulazione,  in
vigore fino al riordino della disciplina della  riscossione  mediante
ruolo di cui al citato d.lgs. n. 46 del 1999. 
    In precedenza era quest'ultima disposizione (l'art. 54) che - nel
contesto della  disciplina  processuale  del  contenzioso  tributario
all'epoca vigente, prima della  riforma  del  1992,  e  derogando  al
regime generale della riscossione delle  entrate  patrimoniali  dello
Stato - regolava la  materia  della  riscossione  delle  imposte  sul
reddito in termini particolarmente restrittivi per il contribuente ad
essa  assoggettato  quanto  alla  prevista   inammissibilita'   delle
opposizioni all'esecuzione. 
    Infatti, in generale per  le  entrate  patrimoniali  dello  Stato
l'art. 3 del regio decreto 14 aprile 1910, n. 639  (Approvazione  del
testo unico delle disposizioni di  legge  relative  alla  riscossione
delle entrate patrimoniali dello Stato)  accordava  ampia  tutela  al
debitore perche' stabiliva  che  egli,  nel  prescritto  termine  (di
trenta giorni dalla notificazione della ingiunzione), poteva proporre
opposizione (o ricorso) avanti al conciliatore  o  al  pretore  o  al
tribunale del luogo  in  cui  aveva  sede  l'ufficio  emittente,  nel
rispetto delle norme del codice di rito, espressamente richiamato,  e
riconosceva al giudice adito il potere di sospendere il  procedimento
coattivo. Invece per le  imposte  sul  reddito  il  testo  originario
dell'art. 54 del d.P.R. n. 602 del 1973 - prevedendo  seccamente,  al
secondo comma, che «[l]e opposizioni regolate dagli artt.  da  615  a
618 del codice di procedura civile  non  sono  ammesse»  -  escludeva
qualsiasi opposizione del contribuente, consentendo  solo  quella  di
terzo ex art. 619 cod. proc. civ. 
    Questa preclusione assoluta era pero' bilanciata, in  termini  di
disciplina  speciale  derogatoria,  dall'ulteriore  prescrizione  del
medesimo art. 54 che stabiliva, al primo comma, che  «[l]a  procedura
esecutiva non puo' essere sospesa dall'esattore se la sospensione non
sia disposta dall'intendente di finanza ai sensi dell'art. 53  o  dal
pretore in seguito ad opposizione di terzo». Era quindi  riconosciuta
al contribuente assoggettato a  riscossione  esattoriale  una  tutela
amministrativa (il ricorso all'intendente  di  finanza),  alla  quale
solo successivamente poteva seguire - secondo quanto  ritenuto  dalla
giurisprudenza (Corte di cassazione, sezioni unite  civili,  sentenza
26 novembre 1993, n. 11717)  -  una  tutela  giudiziaria  innanzi  al
giudice  amministrativo  adito  avverso   l'eventuale   provvedimento
sfavorevole dell'intendente di finanza, mentre il ricorso al  giudice
tributario avverso il ruolo non sospendeva ex  se  l'esecuzione,  ne'
questa poteva essere sospesa da quel giudice, ove adito,  in  quanto,
nel regime processuale del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636  (Revisione
della disciplina del contenzioso tributario), non ne aveva il potere. 
    8.- Si aveva pertanto che, in  caso  di  controversia  tributaria
promossa avverso il ruolo dal contribuente che contestasse il diritto
dell'amministrazione   finanziaria   di   procedere   a   riscossione
esattoriale, solo l'intendente  di  finanza  -  organo  della  stessa
amministrazione che aveva attivato  la  procedura  di  riscossione  -
poteva adottare il provvedimento di sospensione dell'esecuzione (art.
39  d.P.R.  n.  602  del  1973).  Ricorrente  era  l'affermazione  in
giurisprudenza,  anche  recente  (ex  plurimis,  Cassazione   civile,
sentenza 18 ottobre 2013, n. 25855), secondo cui, con riferimento  al
regime dell'esecuzione esattoriale precedente alla riforma del  1999,
l'art. 54 citato, nell'escludere l'ammissibilita'  delle  opposizioni
sia all'esecuzione che agli atti esecutivi, configurava un'ipotesi di
improponibilita'    assoluta    della    domanda     per     carenza,
nell'ordinamento, di  una  norma  che  riconoscesse  e  tutelasse  la
posizione giuridica di chi intendeva opporsi  all'esecuzione  o  agli
atti esecutivi. 
    In questa situazione la tutela del contribuente era  limitata  e,
di fatto, era prevalentemente successiva alla riscossione stessa  dal
momento che il medesimo art. 54, al terzo  comma,  prevedeva  che  il
contribuente, che si fosse ritenuto leso dall'esecuzione esattoriale,
poteva agire contro l'esattore dopo il  compimento  della  esecuzione
stessa  domandando  il  risarcimento  dei  danni  per   aver   subito
un'esecuzione illegittima. Sull'assunto  che  cio'  identificasse  un
meccanismo di solve  et  repete,  la  disposizione  fu  investita  da
censure di illegittimita' costituzionale non dissimili da quelle  che
avevano riguardato l'art. 6 della  legge  20  marzo  1865,  n.  2248,
recante «Legge sul contenzioso amministrativo (All. E)»; disposizione
quest'ultima che, non solo condizionava la tutela giurisdizionale del
contribuente alla pubblicazione del ruolo e  all'iscrizione  a  ruolo
dell'imposta (primo comma), ma anche prevedeva (al secondo comma) che
gli atti d'opposizione per essere ammissibili in  giudizio  dovessero
essere accompagnati  dal  «certificato  di  pagamento  dell'imposta»,
sicche'  l'onere  del  pagamento  del  tributo  costituiva,  per   il
contribuente, presupposto imprescindibile per  accedere  alla  tutela
giurisdizionale. Questa Corte,  ritenendo  violato  il  diritto  alla
tutela giurisdizionale, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale
dell'uno e dell'altro comma di  tale  disposizione  (rispettivamente:
sentenze n. 125 del 1969 e n. 21 del 1961). 
    In realta' pero' nell'art. 54 citato non era rinvenibile una vera
e propria clausola di solve et repete perche' formalmente  la  tutela
giurisdizionale   diretta   c'era,   seppur   innanzi   al    giudice
amministrativo e  condizionata  al  previo  esperimento  del  ricorso
all'intendente di  finanza.  Questa  Corte  ha  quindi  ritenuto  non
fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art.  54  in
riferimento, in particolare, agli artt. 24 e 113 Cost.  (sentenza  n.
63 del 1982). 
    9.- Con la nuova disciplina del contenzioso tributario (d.lgs. n.
546 del 1992) e con quella della riscossione mediante  ruolo  (d.lgs.
n. 46 del 1999), estesa a tutte le entrate dello Stato, anche diverse
dalle imposte sui redditi, e di quelle degli altri enti pubblici,  il
quadro normativo muta radicalmente in termini di maggior  tutela  per
il contribuente assoggettato ad esecuzione coattiva, seppur  con  una
circoscritta carenza sulla quale - come si viene  ora  a  dire  -  si
appuntano le censure del giudice rimettente. 
    Innanzi tutto viene fissato, quanto  alla  riscossione  coattiva,
uno specifico criterio di riparto  della  giurisdizione  tra  giudice
tributario e giudice (ordinario) dell'esecuzione.  Infatti  l'art.  2
del d.lgs. n. 546 del  1992  prevede  che  «[r]estano  escluse  dalla
giurisdizione tributaria soltanto  le  controversie  riguardanti  gli
atti della esecuzione forzata  tributaria  successivi  alla  notifica
della cartella di pagamento  e,  ove  previsto,  dell'avviso  di  cui
all'articolo 50  del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  29
settembre 1973, n. 602, per le  quali  continuano  ad  applicarsi  le
disposizioni del medesimo decreto del Presidente della Repubblica». 
    Viene  cosi'  tracciata   una   linea   di   demarcazione   della
giurisdizione, posta dalla cartella  di  pagamento  e  dall'eventuale
successivo avviso recante l'intimazione ad adempiere: fino  a  questo
limite la cognizione degli atti dell'amministrazione, espressione del
potere di imposizione fiscale, e'  devoluta  alla  giurisdizione  del
giudice tributario; a  valle,  la  giurisdizione  spetta  al  giudice
ordinario e segnatamente al giudice dell'esecuzione. 
    E' questo un criterio  di  riparto  della  giurisdizione;  ma  la
sommatoria della tutela innanzi al giudice  tributario  e  di  quella
innanzi al giudice (ordinario) dell'esecuzione deve realizzare per il
contribuente una garanzia giurisdizionale a tutto tondo: in ogni caso
deve esserci una risposta di giustizia perche' siano  rispettati  gli
artt. 24 e 113 Cost. 
    Questa   tutela   -   complementare,   nell'insieme,   e    senza
sovrapposizioni   -   della   giurisdizione   tributaria   e    della
giurisdizione  ordinaria  c'e',  in  particolare,  quanto  al  potere
cautelare  di  sospensione  della  riscossione:   come   il   giudice
tributario,  sempre  che   abbia   giurisdizione,   puo'   sospendere
l'esecuzione ai sensi dell'art. 47 del d.lgs.  546  del  1992  quando
dall'atto impugnato puo' derivare al ricorrente  un  danno  grave  ed
irreparabile, cosi' il giudice (ordinario) dell'esecuzione - ove  sia
egli, e non il giudice tributario, ad avere la giurisdizione  -  puo'
sospendere l'esecuzione  quando  ricorrano  gravi  motivi  e  vi  sia
fondato pericolo di grave e irreparabile danno (art. 60 del d.P.R. n.
602  del  1973).  La  necessita'  della  tutela  cautelare   mediante
sospensione dell'esecuzione  dei  ruoli  esattoriali  e'  gia'  stata
affermata da questa Corte che, relativamente ad entrate di natura non
tributaria, aveva dichiarato l'illegittimita' costituzionale  di  una
disciplina di settore che rendeva applicabile, in forza di rinvio, la
previgente procedura di riscossione coattiva disciplinata dal  d.P.R.
n. 602 del 1973 (sentenza n. 318 del 1995). 
    10.-  In  questo  riformato  contesto   normativo   l'opposizione
all'esecuzione o quella  agli  atti  esecutivi  nel  procedimento  di
riscossione coattiva e' disciplinata dal  censurato  art.  57,  nella
formulazione sostituita dall'art.  16  d.lgs.  n.  46  del  1999,  in
termini ben diversi da quelli dell'originario art.  54,  che  -  come
rilevato - le precludeva del tutto. Non si passa pero'  ad  una  loro
generale ammissibilita' secondo le regole  ordinarie  del  codice  di
rito; anzi l'incipit dell'art. 57 conserva ancora la formulazione  al
negativo, in termini di inammissibilita' dell'opposizione. Infatti la
disposizione attualmente censurata prevede al primo comma: «Non  sono
ammesse: a) le opposizioni regolate dall'articolo 615 del  codice  di
procedura  civile,  fatta  eccezione  per   quelle   concernenti   la
pignorabilita' dei beni; b) le opposizioni regolate dall'articolo 617
del codice di procedura civile relative alla regolarita'  formale  ed
alla notificazione del titolo esecutivo». 
    In vero, l'apertura alle opposizioni agli atti esecutivi - quelle
relative alla regolarita'  formale  degli  atti  della  procedura  di
riscossione - e' in realta' piena nel senso che  sono  tutte  ammesse
con la sola eccezione delle opposizioni che riguardano la regolarita'
formale e la notificazione del titolo esecutivo. Ma non e' questa una
deroga limitativa della tutela giurisdizionale perche' queste  ultime
opposizioni sono attratte alla giurisdizione del giudice  tributario.
Quindi la tutela del contribuente c'e' in ogni  caso,  senza  che  le
regole di riparto  della  giurisdizione  possano  significare  alcuna
soluzione di continuita' della garanzia giurisdizionale nel  rispetto
dei parametri evocati dal giudice rimettente (artt. 24 e 113 Cost.). 
    Lo stesso, pero', non puo'  predicarsi,  in  ogni  caso,  per  le
opposizioni  all'esecuzione,  ossia  per   quelle   che   vedono   il
contribuente contestare il diritto dell'agente  della  riscossione  a
procedere ad esecuzione forzata, giacche' l'art. 57 ammette  solo  le
opposizioni che attengono alla pignorabilita' dei  beni,  ma  esclude
tutte le altre. Ed e' su questa testuale esclusione che si  appuntano
le  censure  di  illegittimita'  costituzionale  mosse  dal   giudice
rimettente. 
    11.- Orbene, la disposizione dell'art. 57, comma 1,  lettera  a),
esprime, in parte qua, una duplice norma: una, che  si  sottrae  alle
censure del giudice rimettente, l'altra, che invece ne e' attinta. 
    Da una parte  essa  esclude  che  sia  ammissibile  l'opposizione
all'esecuzione per  il  solo  fatto  che  il  contribuente  opponente
formuli un petitum con cui contesta il  diritto  dell'amministrazione
finanziaria  o  dell'agente  della  riscossione   di   procedere   ad
esecuzione forzata, come sarebbe invece possibile secondo  il  canone
ordinario dell'opposizione ex art. 615  cod.  proc.  civ.  In  questa
parte l'art. 57 va raccordato con l'art. 2  del  d.lgs.  n.  546  del
1992, che  demanda  alla  giurisdizione  del  giudice  tributario  le
contestazioni del titolo (normalmente, la cartella di  pagamento)  su
cui si fonda la riscossione esattoriale. Se il contribuente  contesta
il  titolo  della  riscossione  coattiva,   la   controversia   cosi'
introdotta appartiene alla giurisdizione  del  giudice  tributario  e
l'atto processuale di impulso e' il ricorso ex art. 19 del d.lgs.  n.
546 del  1992,  proponibile  avverso  «il  ruolo  e  la  cartella  di
pagamento», e non gia' l'opposizione all'esecuzione ex art. 615  cod.
proc. civ. 
    Sicche', come non c'e' affatto un vuoto  di  tutela  nell'ipotesi
della prevista inammissibilita' dell'opposizione agli atti  esecutivi
riguardante la regolarita' formale  e  la  notificazione  del  titolo
esecutivo, ma solo una puntualizzazione del criterio di riparto della
giurisdizione,    analogamente    la    prevista     inammissibilita'
dell'opposizione all'esecuzione, quando riguarda atti che radicano la
giurisdizione del giudice tributario, non segna una carenza di tutela
del contribuente  assoggettato  a  riscossione  esattoriale,  perche'
questa c'e'  comunque  innanzi  ad  un  giudice,  quello  tributario.
L'inammissibilita' dell'opposizione ex art. 615 cod.  proc.  civ.  si
salda, in simmetria complementare, con la proponibilita' del  ricorso
ex art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, assicurando, in questa  parte,
la continuita' della tutela giurisdizionale. 
    Non c'e' insomma una tutela giurisdizionale  concorrente  secondo
la prospettazione  del  petitum  del  ricorrente.  Altrimenti  detto,
l'opposizione all'esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ. - che non e'
soggetta a termine di decadenza - in tanto non e'  ammissibile,  come
prescrive l'art. 57 citato, in quanto non ha, e non puo'  avere,  una
funzione recuperatoria di un ricorso ex art. 19 del d.lgs. n. 546 del
1992 non proposto affatto o non proposto nel  prescritto  termine  di
decadenza (di sessanta giorni). 
    12.- Deve anche aggiungersi che sul crinale di questo  canone  di
riparto  di  giurisdizione  -  per  cui  in  tanto  e'  inammissibile
l'opposizione all'esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ. in quanto e'
proponibile il ricorso ex art. 19 del d.lgs. n. 546  del  1992  -  si
colloca quella piu' recente giurisprudenza di legittimita' (Corte  di
cassazione, sezioni unite civili, sentenza 5 giugno 2017, n.  13913),
che, a composizione di un contrasto, ravvisa  nel  primo  atto  della
riscossione  coattiva  (quale  l'atto  di  pignoramento)  di  cui  il
contribuente abbia avuto conoscenza, in mancanza di  precedenti  atti
ritualmente notificati, quello  recante  l'esercizio  della  potesta'
impositiva, la cui contestazione  radica  una  controversia  devoluta
alla giurisdizione del giudice tributario ed  onera  il  contribuente
del ricorso ex art. 19 del d.lgs. n. 546  del  1992  (nel  prescritto
termine  di  decadenza).  Anche  in  tale  evenienza  la  tutela  del
contribuente c'e', ma e' attivata con  lo  strumento  processuale  di
accesso al giudice tributario costituito dal ricorso ex art.  19  del
d.lgs. n. 546 del 1992 (nel prescritto  termine  di  decadenza),  non
essendo ammissibile invece l'opposizione ex art. 615 cod. proc.  civ.
(senza termine di decadenza).  Resta  comunque  salvo  il  meccanismo
della translatio iudicii  per  cui,  quando  un  giudice  declina  la
propria giurisdizione, il processo continua davanti al giudice munito
di  giurisdizione,  con  salvezza   degli   effetti   sostanziali   e
processuali che la domanda avrebbe prodotto se il giudice di  cui  e'
stata dichiarata la giurisdizione fosse stato adito fin dall'inizio. 
    Parimenti,  peraltro,  anche  in  caso  di  contestazione   della
legittimita' della riscossione  coattiva  mediante  cartella  per  il
pagamento di sanzioni amministrative, quali quelle per violazioni del
codice  della  strada,  si  e'  posto  un  problema  analogo   e   la
giurisprudenza ha ritenuto inammissibile l'opposizione all'esecuzione
ex art. 615 cod. proc. civ. perche'  nei  confronti  del  primo  atto
della procedura di riscossione, di  cui  abbia  avuto  conoscenza  il
debitore  assoggettato  a   riscossione   coattiva,   e'   esperibile
l'ordinaria opposizione al verbale di accertamento  della  violazione
nel prescritto termine di decadenza  (Corte  di  cassazione,  sezioni
unite civili, sentenza 22 settembre 2017, n. 22080). 
    Altra   giurisprudenza,   in   vero,    interpretando    l'ambito
dell'opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 cod. proc. civ. come
comprensivo  anche  dell'ipotesi  della  dedotta  nullita'   derivata
dell'atto di pignoramento  in  ragione  della  mancata  (o  invalida)
notifica  dell'atto  presupposto  su  cui  si  fonda  la  riscossione
coattiva  (cartella   di   pagamento,   intimazione   ad   adempiere,
ingiunzione fiscale), afferma sussistere la giurisdizione del giudice
ordinario, chiamato a conoscere  dell'opposizione  cosi'  qualificata
(Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 27 ottobre 2016,
n.  21690).  In  questa  prospettiva  non  si  pone  un  problema  di
inammissibilita' dell'opposizione all'esecuzione perche'  si  ritiene
che si versi nella fattispecie dell'opposizione agli atti esecutivi. 
    Ma cio' che rileva in questo giudizio di costituzionalita' e' che
in tutti questi casi la  tutela  giurisdizionale  non  soffre  quella
discontinuita' censurata dal giudice rimettente, nel senso  che  c'e'
sempre un giudice chiamato a pronunciarsi in  ordine  alle  doglianze
della parte assoggettata a riscossione  esattoriale,  ma  si  pongono
altri e diversi problemi: quelli di riparto  di  giurisdizione  e  di
identificazione  dell'atto  processuale  necessario  per   adire   il
giudice. 
    13.- Pero' la  censurata  disposizione  dell'art.  57,  comma  1,
lettera   a),   esprime   anche   un'altra    norma:    l'opposizione
all'esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ. e' inammissibile non  solo
nell'ipotesi in cui la tutela invocata dal contribuente, che contesti
il diritto di  procedere  a  riscossione  esattoriale,  ricada  nella
giurisdizione  del  giudice  tributario  e  la  tutela   stessa   sia
attivabile con il ricorso ex art. 19 del d.lgs. n. 546 del  1992,  ma
anche allorche' la  giurisdizione  del  giudice  tributario  non  sia
invece affatto configurabile e non venga in rilievo perche' si  e'  a
valle dell'area di quest'ultima. Il dato letterale della disposizione
censurata   non   consente   di   ritenere   che   l'inammissibilita'
dell'opposizione all'esecuzione sia sancita solo nella prima  ipotesi
e non anche nell'altra. 
    Il  giudice  rimettente  ha  sperimentato  la   possibilita'   di
interpretazione adeguatrice della  disposizione  censurata,  ma  l'ha
correttamente esclusa perche' il suo dato testuale e' inequivocabile:
l'opposizione  all'esecuzione  ex  art.  615  cod.  proc.   civ.   e'
inammissibile in ogni caso e quindi  anche  ove  la  fattispecie  sia
fuori dall'area della giurisdizione del giudice tributario e non  sia
pertanto ammissibile il ricorso ex art. 19  del  d.lgs.  n.  546  del
1992. 
    Sotto questo profilo il caso oggetto  dei  giudizi  a  quibus  e'
emblematico: il titolo sul  quale  si  fonda  la  riscossione  e'  la
cartella esattoriale  che  e'  stata  impugnata  innanzi  al  giudice
tributario  dalla  societa'  opponente;  la   quale,   inoltre,   con
l'opposizione all'esecuzione ex art. 615  cod.  proc.  civ.  contesta
innanzi al giudice ordinario il diritto dell'agente della riscossione
di procedere ad esecuzione  forzata,  nella  forma  del  pignoramento
presso terzi ex art. 72-bis del d.P.R. n. 602 del 1973, allegando  la
temporanea inidoneita' del titolo a  legittimare  la  riscossione  in
ragione della moratoria di 120 giorni, introdotta dall'art. 7,  comma
1, lettera m), del decreto-legge n. 70 del 2011, come convertito,  il
quale ha previsto che, in caso di richiesta di sospensione giudiziale
degli  atti  esecutivi,  non  si  procede  all'esecuzione  fino  alla
decisione del giudice e comunque fino al centoventesimo giorno. 
    Il giudice rimettente non dubita della propria giurisdizione  (ex
art. 2 citato) perche' il giudizio  riguarda  atti  della  esecuzione
forzata  tributaria  successivi  alla  notifica  della  cartella   di
pagamento, gia' impugnata innanzi al giudice tributario,  e  ritiene,
secondo un plausibile apprezzamento degli atti  processuali,  che  la
contestazione della societa' sia relativa  al  diritto  di  procedere
alla riscossione e non riguardi invece la  mera  regolarita'  formale
del  titolo  esecutivo  o  di  atti  della  procedura  sicche'   deve
qualificarsi  come  opposizione  all'esecuzione  e  non   gia'   come
opposizione agli atti esecutivi. 
    Del resto e' possibile ipotizzare anche altre  evenienze  che  si
collocano a valle della notifica della cartella di pagamento, in  cui
la doglianza del contribuente sia diretta a contestare il diritto  di
procedere a riscossione coattiva  e  non  gia'  la  mera  regolarita'
formale   della   procedura,   come   nell'ipotesi   dell'intervenuto
adempimento del debito tributario o  di  una  sopravvenuta  causa  di
estinzione dello stesso per essersi il contribuente avvalso di misure
di favore per l'eliminazione del contenzioso  tributario,  quale,  ad
esempio, la cosiddetta "rottamazione" delle cartelle di pagamento  ex
art. 6 del  decreto-legge  22  ottobre  2016,  n.  193  (Disposizioni
urgenti in  materia  fiscale  e  per  il  finanziamento  di  esigenze
indifferibili), convertito, con modificazioni, in legge  1°  dicembre
2016, n. 225. 
    In tutte queste ipotesi in  cui  sussiste  la  giurisdizione  del
giudice ordinario - perche' la controversia si colloca a valle  della
giurisdizione del giudice tributario ex art. 2 del d.lgs. n. 546  del
1992 - e  l'azione  esercitata  dal  contribuente  assoggettato  alla
riscossione deve qualificarsi come opposizione all'esecuzione ex art.
615 cod. proc. civ., essendo contestato il  diritto  di  procedere  a
riscossione coattiva, c'e'  una  carenza  di  tutela  giurisdizionale
perche' il censurato art. 57 non ammette siffatta opposizione innanzi
al giudice dell'esecuzione e non  sarebbe  possibile  il  ricorso  al
giudice tributario perche', in tesi, carente  di  giurisdizione.  Ne'
questa carenza di tutela giurisdizionale  sarebbe  colmabile  con  la
possibilita'  dell'opposizione  agli  atti   esecutivi   laddove   la
contestazione della legittimita' della riscossione non si limiti alla
regolarita'  formale  del  titolo  esecutivo  o  degli   atti   della
procedura.  Una  dilatazione  dell'ambito  di  applicazione  di  tale
rimedio processuale lascerebbe comunque un'ingiustificata limitazione
di tutela giurisdizionale se non altro in ragione  dell'esistenza  di
un termine di decadenza per la proponibilita' dell'azione, che invece
non e' previsto in caso di opposizione all'esecuzione. 
    La pur marcata peculiarita' dei crediti tributari, che  puo'  si'
giovarsi di una disciplina di favore per  l'amministrazione  fiscale,
come ritenuto da questa Corte (da ultimo, sentenza n. 90 del 2018), e
che e' a fondamento della speciale procedura di riscossione  coattiva
tributaria rispetto a quella ordinaria di espropriazione forzata, non
e'  pero'  tale  da  giustificare  che,  nelle  ipotesi  in  cui   il
contribuente contesti il diritto di procedere a riscossione  coattiva
e sussista la giurisdizione del giudice ordinario,  non  vi  sia  una
risposta di giustizia se non dopo  la  chiusura  della  procedura  di
riscossione ed in termini meramente risarcitori. 
    Puo' richiamarsi in proposito la giurisprudenza di  questa  Corte
che  ha   ritenuto   illegittimo   il   differimento   della   tutela
giurisdizionale solo dopo l'adempimento dell'obbligazione  tributaria
secondo il criterio del solve et repete (sentenze n. 45 del 1962 e n.
21 e n. 79 del 1961). La pienezza della garanzia  giurisdizionale  e'
altresi'  a  fondamento   della   dichiarazione   di   illegittimita'
costituzionale di una disciplina  di  settore  nella  parte  in  cui,
rinviando alle  norme  previste  per  la  riscossione  delle  imposte
dirette, impediva  al  debitore  esecutato  di  proporre  opposizione
all'esecuzione dinanzi all'autorita' giudiziaria ordinaria  (sentenza
n. 239 del 1997). Piu' in generale  vi  e'  che  la  possibilita'  di
attivare il sindacato  del  giudice  su  atti  immediatamente  lesivi
appartiene al diritto, inviolabile e quindi fondamentale, di agire in
giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi (art.
24 Cost.), senza che contro gli atti della  pubblica  amministrazione
la  tutela  giurisdizionale  possa  essere  esclusa  o   limitata   a
particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti
(art. 113 Cost.). 
    14.- In conclusione quindi si ha che - laddove la  censura  della
parte  assoggettata  a  riscossione  esattoriale  non   radichi   una
controversia devoluta alla giurisdizione  del  giudice  tributario  e
quindi  sussista   la   giurisdizione   del   giudice   ordinario   -
l'impossibilita' di far valere  innanzi  al  giudice  dell'esecuzione
l'illegittimita'    della    riscossione     mediante     opposizione
all'esecuzione, essendo ammessa soltanto  l'opposizione  con  cui  il
contribuente  contesti  la  mera  regolarita'  formale   del   titolo
esecutivo o degli atti della procedura e non  anche  quella  con  cui
egli contesti il diritto di  procedere  alla  riscossione,  confligge
frontalmente con il diritto alla tutela giurisdizionale  riconosciuto
in generale  dall'art.  24  Cost.  e  nei  confronti  della  pubblica
amministrazione dall'art. 113 Cost.,  dovendo  essere  assicurata  in
ogni caso una risposta di giustizia a chi si oppone alla  riscossione
coattiva. 
    Quindi -  assorbite  le  altre  questioni  promosse  dal  giudice
rimettente in riferimento agli artt. 3 e 111 Cost.  -  va  dichiarata
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 57, comma  1,  lettera  a),
citato limitatamente  alla  parte  in  cui  non  prevede  che,  nelle
controversie  che  riguardano  gli   atti   dell'esecuzione   forzata
tributaria successivi alla notifica della  cartella  di  pagamento  o
all'avviso di cui all'art. 50  del  d.P.R.  n.  602  del  1973,  sono
ammesse le opposizioni regolate dall'art. 615 cod. proc. civ. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi, 
    1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art.  57,  comma
1, lettera  a),  del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  29
settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle  imposte
sul reddito), come sostituito dall'art. 16 del decreto legislativo 26
febbraio 1999, n. 46 (Riordino  della  disciplina  della  riscossione
mediante ruolo, a norma dell'articolo  1  della  legge  28  settembre
1998, n. 337), nella parte in cui non prevede che, nelle controversie
che riguardano gli atti dell'esecuzione forzata tributaria successivi
alla notifica  della  cartella  di  pagamento  o  all'avviso  di  cui
all'art. 50 del d.P.R. n. 602 del 1973, sono ammesse  le  opposizioni
regolate dall'art. 615 del codice di procedura civile; 
    2)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale del medesimo art. 57, comma 1, del d.P.R. n.  602  del
1973, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, 97, 111, 113 e  117
della Costituzione e all'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e  resa  esecutiva  con  legge  4
agosto 1955, n. 848,  dal  Tribunale  ordinario  di  Sulmona  con  le
ordinanze indicate in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 17 aprile 2018. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                     Giovanni AMOROSO, Redattore 
                    Filomena PERRONE, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 31 maggio 2018. 
 
                           Il Cancelliere 
                       F.to: Filomena PERRONE