N. 115 SENTENZA 10 aprile - 31 maggio 2018

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Reati e pene - Frode all'IVA - Prescrizione - Obbligo per il  giudice
  nazionale,  in  applicazione   dell'art.   325   del   TFUE,   come
  interpretato dalla Corte di giustizia europea, di  disapplicare  la
  normativa interna in materia  di  prescrizione,  sulla  base  della
  "regola Taricco". 
- Legge 2 agosto 2008, n. 130 (Ratifica ed esecuzione del Trattato di
  Lisbona che modifica il Trattato sull'Unione europea e il  Trattato
  che istituisce la Comunita' europea e  alcuni  atti  connessi,  con
  atto finale, protocolli e dichiarazioni,  fatto  a  Lisbona  il  13
  dicembre 2007) art. 2. 
-   
(GU n.23 del 6-6-2018 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS,   Franco   MODUGNO,   Augusto   Antonio   BARBERA,   Giulio
  PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  2  della
legge 2 agosto 2008, n. 130 (Ratifica ed esecuzione del  Trattato  di
Lisbona che modifica il Trattato sull'Unione europea  e  il  Trattato
che istituisce la Comunita' europea e alcuni atti connessi, con  atto
finale, protocolli e dichiarazioni, fatto a Lisbona  il  13  dicembre
2007), promossi dalla Corte d'appello di  Milano  e  dalla  Corte  di
cassazione, con ordinanze del 18 settembre 2015 e dell'8 luglio 2016,
iscritte rispettivamente al n. 339 del registro ordinanze 2015  e  al
n. 212 del  registro  ordinanze  2016  e  pubblicate  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n.  2  e  n.  41,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2016. 
    Visti gli atti di costituzione di M.A. S. e di M. B., nonche' gli
atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  10  aprile  2018  il  Giudice
relatore Giorgio Lattanzi; 
    uditi gli avvocati Gaetano Insolera e Andrea Soliani per M.A. S.,
Nicola Mazzacuva e Vittorio Manes per M. B. e l'avvocato dello  Stato
Gianni De Bellis per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza dell'8 luglio 2016 (r.o. n. 212 del  2016),  la
Corte  di  cassazione  ha   sollevato   questioni   di   legittimita'
costituzionale  dell'art.  2  della  legge  2  agosto  2008,  n.  130
(Ratifica ed esecuzione del  Trattato  di  Lisbona  che  modifica  il
Trattato  sull'Unione  europea  e  il  Trattato  che  istituisce   la
Comunita' europea e alcuni atti connessi, con atto finale, protocolli
e dichiarazioni, fatto a Lisbona il 13 dicembre 2007), in riferimento
agli artt. 3, 11, 24, 25, secondo comma,  27,  terzo  comma,  e  101,
secondo comma, della Costituzione. 
    La disposizione censurata ordina l'esecuzione  del  Trattato  sul
funzionamento dell'Unione europea (TFUE), come modificato dall'art. 2
del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge
n. 130 del 2008, e, conseguentemente, dell'art. 325 di tale trattato. 
    Il giudice rimettente dubita  della  legittimita'  costituzionale
della norma, nella parte in cui, imponendo di  applicare  l'art.  325
TFUE come interpretato dalla  sentenza  della  Grande  sezione  della
Corte di giustizia 8 settembre  2015,  in  causa  C-105/14,  Taricco,
comporta l'omessa applicazione degli artt. 160, terzo comma,  e  161,
secondo  comma,  del  codice  penale,  allorquando   ne   derivi   la
sistematica impunita' delle gravi frodi in  materia  di  imposta  sul
valore aggiunto (IVA). 
    2.- Il giudice a quo sintetizza, anzitutto,  il  contenuto  della
sentenza Taricco, sottolineando che essa obbliga il giudice penale  a
negare applicazione al regime legale degli  atti  interruttivi  della
prescrizione  previsto  dagli  artt.  160  e  161  cod.   pen.,   con
riferimento  alle  gravi  frodi  fiscali  in  danno  degli  interessi
finanziari dell'Unione, punite dal decreto legislativo 10 marzo 2000,
n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e
sul valore aggiunto, a norma dell'articolo 9 della  legge  25  giugno
1999, n. 205). La limitazione del termine prescrizionale  conseguente
ad atti interruttivi, con il solo aumento di  un  quarto  rispetto  a
quello originario, secondo il giudice  europeo,  e'  suscettibile  di
compromettere l'efficacia e  la  dissuasivita'  delle  misure  penali
adottate dallo Stato membro per reprimere  le  frodi  fiscali  lesive
degli interessi dell'Unione, e si pone cosi' in potenziale  contrasto
con l'art. 325 TFUE e con la Convenzione elaborata in  base  all'art.
K3 del  Trattato  sull'Unione  europea  relativa  alla  tutela  degli
interessi finanziari delle Comunita' europee (Convenzione PIF), fatta
a Bruxelles il 26 luglio 1995 e ratificata  con  legge  29  settembre
2000,  n.  300,  in  relazione  alla  direttiva  n.  2006/112/CE  del
Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d'imposta
sul valore aggiunto. 
    Allorche' cio' accada con riguardo a frodi gravi, e in un  numero
considerevole di casi, l'impunita' che ne  deriverebbe,  prosegue  la
Corte di giustizia, comporta  che  il  giudice  penale  e'  tenuto  a
portare  avanti  il  giudizio,  e  a  pronunciare  eventualmente   la
condanna, omettendo di rilevare l'estinzione del reato per il decorso
del  termine   ultimo   di   prescrizione   conseguente   agli   atti
interruttivi. 
    3.- Il giudice rimettente premette di procedere per reati  puniti
dal d.lgs. n. 74 del 2000 (artt. 2, 5, 8, 10 e 10-ter)  e  aventi  ad
oggetto l'IVA, ovvero  un'imposta  il  cui  gettito  e'  parzialmente
devoluto al  bilancio  dell'Unione.  Cio'  comporta  che  secondo  la
sentenza Taricco si e' nel campo di applicazione dell'art. 325 TFUE e
inoltre si e' in presenza di frodi gravi, in quanto concernenti  vari
milioni di euro, e molteplici. 
    Ai fini della rilevanza delle  questioni,  osserva  la  Corte  di
cassazione, si puo' concludere nel senso dell'applicabilita' in causa
della regola desunta dalla sentenza Taricco, ovvero nel  senso  della
non applicazione degli artt. 160 e 161 cod. pen. 
    La gravita' della frode, infatti, ricorrerebbe quando essa non e'
inferiore all'importo di 50.000,00 euro  (art.  2  della  Convenzione
PIF), mentre il numero considerevole di casi  di  impunita'  potrebbe
essere desunto dal capo di imputazione. Infine,  i  reati  contestati
corrisponderebbero alla nozione di frode tracciata dall'art. 2  della
Convenzione PIF. 
    Di conseguenza andrebbe applicata la regola tratta dalla sentenza
Taricco, posto che i reati oggetto del giudizio sarebbero prescritti,
in data successiva a tale pronuncia, in applicazione degli artt.  160
e 161 cod. pen., mentre non lo  sarebbero  se  si  dovesse  procedere
senza applicare queste disposizioni. 
    4.- Con riguardo alla non manifesta infondatezza,  il  rimettente
dubita prima di tutto della  compatibilita'  della  regola  enunciata
dalla sentenza Taricco con  il  principio  di  legalita'  in  materia
penale espresso dall'art. 25, secondo comma, Cost.,  che  attinge  al
livello dei principi supremi dell'ordine costituzionale dello Stato e
dei diritti inviolabili della persona, e opera quindi da controlimite
rispetto al diritto dell'Unione. 
    Il giudice a quo si riconosce  nell'orientamento  espresso  dalla
giurisprudenza di legittimita', e  che  sarebbe  stato  ripetutamente
avallato pure  da  questa  Corte,  secondo  cui  la  prescrizione  e'
istituto di diritto penale  sostanziale,  anche  con  riferimento  al
regime degli atti interruttivi, posto che  essa  esprime  una  scelta
sulle   ragioni   della   punibilita',   ovvero   sulla    cosiddetta
meritevolezza  della  pena.  Ne  deriverebbe  l'applicabilita'  delle
garanzie proprie della legalita' penale sostanziale. 
    Rispetto a queste ultime  la  regola  desumibile  dalla  sentenza
Taricco sarebbe in contrasto per tutti gli aspetti in cui si scompone
il principio di legalita'. 
    In primo  luogo  vi  sarebbe  un  allungamento  dei  tempi  della
prescrizione  anche  in  relazione  a  fatti  commessi  prima  dell'8
settembre 2015, data di  pubblicazione  della  sentenza  europea,  in
violazione del divieto di retroattivita' di  norme  penali  in  malam
partem, tanto per i reati  per  i  quali  la  prescrizione  era  gia'
maturata,  quanto  per  quelli  per  cui  essa   si   e'   verificata
successivamente (i soli rilevanti nel giudizio a quo). 
    Questo fenomeno comporterebbe anche la violazione degli artt. 3 e
24  Cost.,  perche'  «il   cambiamento   delle   regole   in   corsa»
discriminerebbe l'imputato che ha scelto  di  non  accedere  ai  riti
alternativi in considerazione del tempo di prescrizione del  reato  e
che si troverebbe ora privato di  quest'ultimo  effetto  senza  poter
piu' optare per il patteggiamento o il giudizio abbreviato. 
    In secondo luogo non sarebbe osservata la  riserva  di  legge  in
materia penale, basata sul «presupposto che soltanto il  procedimento
legislativo sia lo strumento piu' adeguato a  salvaguardare  il  bene
della liberta' personale». Sarebbe percio'  solo  la  legge  a  poter
definire la  «dimensione  della  punibilita'»,  e  non  la  Corte  di
giustizia, «organo giurisdizionale privo di legittimazione  politica,
che non puo' esprimere scelte di  criminalizzazione  nell'ordinamento
nazionale».  Altrimenti,  vi  sarebbe  una  «irreversibile  mutazione
genetica della riserva di legge nella differente riserva di  diritto;
con il conseguente dissolvimento delle garanzie legate,  storicamente
e istituzionalmente, al monopolio legislativo del diritto penale». 
    In terzo luogo verrebbe a mancare  la  tassativita'  della  norma
penale. 
    Il rimettente non ritiene che i criteri impiegati per testare  la
rilevanza delle questioni possano risultare utili quando si tratti di
valutarne la non manifesta infondatezza. 
    Sotto questo aspetto resterebbero indeterminati,  sia  il  novero
dei reati soggetti alla regola enunciata dalla sentenza Taricco,  non
essendo chiaro se sia necessaria una  condotta  fraudolenta,  sia  la
gravita' della frode, perche' il limite  di  50.000,00  euro  fissato
dall'art. 2 della Convenzione PIF  contrasta  con  il  fatto  che  il
legislatore  italiano  ha  talora  introdotto  «soglie  di  rilevanza
penale» superiori a tale limite, sia il numero considerevole di  casi
di impunita'. Quest'ultimo, se riferito al funzionamento del  sistema
penale, esorbiterebbe dai poteri cognitivi e probatori  del  giudice,
mentre,  se  riferito  alle   imputazioni   del   singolo   processo,
richiederebbe, con un concetto  indeterminato,  «una  valutazione  di
natura politico-criminale, [...] fisiologicamente riservata [...]  al
legislatore». 
    L'attribuzione  al  giudice  comune  di  «un   potere   normativo
riservato al legislatore» e basato  su  «una  valutazione  di  natura
politico-criminale, relativa all'efficacia  general-preventiva  della
complessiva disciplina penale a  tutela  degli  interessi  finanziari
dell'U.E.», comporterebbe la lesione dell'art.  101,  secondo  comma,
Cost. 
    Il rimettente ritiene  violato  anche  l'art.  27,  terzo  comma,
Cost.,  perche'  il  regime  della  prescrizione  sarebbe  del  tutto
affrancato dalle esigenze special-preventive della pena per dipendere
esclusivamente  dal  fine  di  tutelare  gli   interessi   finanziari
dell'Unione, «che, impropriamente, assumono rilievo nella  dimensione
del c.d. "bisogno di pena"». 
    Irragionevole e in contrasto con l'art. 3 Cost. sarebbe anche  la
scelta di prolungare i termini  di  prescrizione  per  i  soli  reati
lesivi degli interessi dell'Unione,  con  l'effetto  che  «la  stessa
fattispecie» diverrebbe soggetta a termini prescrizionali differenti,
a seconda che il reato leda gli interessi dell'Unione o quelli  della
Repubblica. 
    Tutti  questi  profili,  conclude  il  rimettente,  attingono   a
principi supremi dell'ordine costituzionale dello Stato.  L'art.  325
TFUE, come interpretato dalla sentenza Taricco,  genera  percio'  una
norma  incompatibile  con  i  controlimiti  al  diritto   dell'Unione
europea, in violazione dell'art. 11 Cost.,  e  «travalica  i  confini
delle  attribuzioni  riconosciute  dal  Trattato   alle   istituzioni
dell'Unione». Non resterebbe percio' che dichiarare  l'illegittimita'
costituzionale della legge ordinaria esecutiva  del  Trattato,  nella
parte in cui permette l'ingresso nel nostro ordinamento della  regola
tratta dalla sentenza Taricco. 
    5.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto  nel
giudizio  promosso  dalla  Corte  di  cassazione,  chiedendo  che  le
questioni siano dichiarate inammissibili o comunque infondate. 
    Osserva l'Avvocatura dello  Stato  che  la  Corte  di  giustizia,
proprio  nella  sentenza  Taricco,  ha  escluso  che   l'obbligo   di
disapplicazione degli articoli sulla prescrizione del reato  violi  i
diritti degli imputati quali garantiti dall'art. 49 della  Carta  dei
diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), proclamata a  Nizza
il 7 dicembre 2000 e, in una versione adattata, il 12 dicembre 2007 a
Strasburgo, mentre il giudice rimettente sostiene che tra gli effetti
sfavorevoli,  non  suscettibili  di   retroagire,   dovrebbe   essere
ricompreso anche l'allungamento della prescrizione,  data  la  natura
sostanziale e non processuale della stessa, si'  da  interferire  con
l'art. 25 Cost. Secondo l'Avvocatura generale il principio per cui la
prescrizione avrebbe natura sostanziale non costituirebbe  uno  degli
«elementi   identificativi   ed    irrinunciabili    dell'ordinamento
costituzionale»,  in  quanto  basterebbe   una   mera   modificazione
legislativa per mutare la natura della prescrizione. 
    Queste  considerazioni   comporterebbero   l'infondatezza   delle
questioni  anche  rispetto  agli  artt.  24   e   3   Cost.   Neanche
sussisterebbe la violazione dell'art. 25,  secondo  comma,  Cost.  in
relazione alla riserva di legge in campo penale, in quanto lo  stesso
giudice rimettente riconoscerebbe l'impossibilita' di  censurare  nel
merito la sentenza della Corte di giustizia, la  cui  interpretazione
della normativa comunitaria si imporrebbe a tutti i soggetti. 
    L'art. 25, secondo comma, Cost. inoltre non sarebbe violato sotto
il profilo del principio di tassativita' e determinatezza, in  quanto
spetterebbe alla giurisprudenza interpretare nel modo piu' adeguato i
principi  della  Corte  di  giustizia.  Cio'   determinerebbe   anche
l'infondatezza del profilo relativo alla  violazione  dell'art.  101,
secondo comma, Cost. 
    La violazione del principio di uguaglianza ex art.  3  Cost.  non
sarebbe ipotizzabile in quanto il  semplice  fatto  che  un  illecito
penale sia  idoneo  a  ledere  o  porre  in  pericolo  gli  interessi
finanziari  non  solo  dello  Stato  ma  anche  dell'Unione   europea
costituirebbe una circostanza idonea  a  legittimare  un  piu'  lungo
termine di prescrizione senza che cio' possa ritenersi irragionevole.
Questa    considerazione    determinerebbe    l'infondatezza    anche
dell'ipotizzata violazione dell'art. 27 Cost. 
    Infine la censura relativa all'art. 11 Cost.  sarebbe  infondata,
non potendosi  sostenere  che  l'inadeguatezza  della  tutela  penale
apprestata da un ordinamento nazionale sarebbe sanzionabile  con  una
procedura di inadempimento dello Stato membro, in quanto la  sentenza
Taricco  avrebbe  gia'  fornito  un'interpretazione  della  normativa
europea che porterebbe alla disapplicazione di  una  norma  nazionale
per contrasto con la stessa normativa. 
    6.- Si e' costituito in giudizio un imputato nel processo innanzi
alla Corte di cassazione, chiedendo che le questioni siano accolte. 
    La parte ripercorre le motivazioni dell'ordinanza di  rimessione,
aderendo   alle   argomentazioni   ivi   espresse    sui    parametri
costituzionali ritenuti violati dalla sentenza Taricco. 
    7.- La Corte d'appello di Milano, a sua volta (r.o.  n.  339  del
2015), ha sollevato  una  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 2 della legge n. 130 del 2008, in riferimento all'art.  25,
secondo comma, Cost. 
    Anche questo rimettente procede per reati previsti dal d.lgs.  n.
74 del 2000  (e  per  l'associazione  per  delinquere  finalizzata  a
commettere tali reati) e realizzati  in  danno  dell'Unione,  perche'
aventi ad oggetto frodi fiscali in materia  di  IVA.  Le  frodi  sono
gravi, in quanti pari a «svariati milioni di euro» e ricorrono in  un
numero considerevole  di  casi,  atteso  «il  numero  esorbitante  di
operazioni fraudolente oggetto di contestazione». 
    Il giudice a quo aggiunge che i reati sarebbero  gia'  prescritti
se si dovessero applicare gli artt. 160 e 161 cod. pen.,  mentre  non
lo sarebbero in gran  parte  ove  tali  ultime  disposizioni  fossero
disapplicate in forza della regola enunciata dalla sentenza Taricco. 
    Tale regola inerisce al giudizio e rende rilevante  la  questione
di legittimita' costituzionale. La  non  manifesta  infondatezza  poi
deriva   dal   fatto   che   la   disapplicazione   «produrrebbe   la
retroattivita' in malam partem della normativa  nazionale  risultante
da tale disapplicazione», in violazione dell'art. 25, secondo  comma,
Cost. 
    8.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, e' intervenuto anche nel
giudizio promosso dalla Corte d'appello di Milano, chiedendo  che  la
questione sia dichiarata inammissibile. 
    Sulla  base  della  lettura  della  sentenza  Taricco   e   delle
conclusioni  rassegnate  in  quella  sede   dall'avvocato   generale,
l'Avvocatura ritiene che la disapplicazione non concerna i reati gia'
prescritti prima della pubblicazione della sentenza  europea,  ovvero
prima dell'8 settembre 2015. I fatti per i  quali  giudica  la  Corte
d'appello   sono   tra   questi    ultimi,    con    l'effetto    che
un'interpretazione costituzionalmente orientata dovrebbe  indurre  il
rimettente a ritenere inapplicabile la regola tratta  dalla  sentenza
Taricco. 
    9.- Si e' costituito in giudizio un imputato nel processo innanzi
alla Corte d'appello,  chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata
inammissibile o che, altrimenti, sia accolta. 
    L'inammissibilita'  deriverebbe  dal  fatto   che   il   giudizio
principale  «e'  rimasto  per  anni  pendente  innanzi  ad  Autorita'
giudiziaria territorialmente incompetente», sicche'  la  prescrizione
non e' dovuta a un regime legale inefficace ma a una circostanza  del
tutto peculiare. Cio' renderebbe inapplicabile  la  regola  enunciata
dalla Corte di giustizia. 
    Nel merito la  parte  ritiene  che  gli  imputati  non  potessero
prevedere la «regola Taricco» quando il fatto e' stato  commesso:  la
sentenza  della  Corte  di  giustizia  avrebbe  natura  «costitutiva»
dell'obbligo di disapplicazione. 
    10.-   In   prossimita'   dell'udienza   pubblica,   la    difesa
dell'imputato nel processo innanzi alla Corte d'appello di Milano  ha
depositato una memoria  con  cui  ha  ribadito  le  conclusioni  gia'
indicate nell'atto di costituzione. 
    L'inammissibilita'  deriverebbe  anche  dal  fatto  che  per   la
maggioranza dei reati contestati il termine prescrizionale  era  gia'
maturato all'8 settembre 2015, data di pubblicazione  della  sentenza
della Corte di giustizia. Si configurerebbe  un'inammissibilita'  per
erroneita' del presupposto interpretativo, in quanto la portata degli
obblighi sanciti dalla citata sentenza Taricco  sarebbe  circoscritta
solo ai casi in cui  il  termine  della  prescrizione  non  era  gia'
maturato al momento della sua pubblicazione. 
    Nel merito, la parte, ribadendo le  argomentazioni  dell'atto  di
costituzione, osserva che l'art. 25,  secondo  comma,  Cost.  sarebbe
leso non solo per la violazione del  divieto  di  retroattivita',  ma
anche per la violazione della riserva  di  legge,  intesa,  sia  come
garanzia di «monopolio parlamentare assoluto sulle  scelte  normative
d'incriminazione, di aggravamento  del  regime  sanzionatorio  o  che
comunque determinano una modifica in peius  per  il  reo»,  sia  come
esigenza  di  tassatività-determinatezza,  che  mancherebbe  per   la
estrema vaghezza ed indeterminatezza dei presupposti da accertare  in
sede giudiziale ai fini della disapplicazione della normativa interna
piu' favorevole. 
    11.- All'esito dell'udienza pubblica del 23 novembre 2016, questa
Corte, con  l'ordinanza  n.  24  del  2017,  riuniti  i  giudizi,  ha
effettuato un rinvio pregiudiziale per l'interpretazione  alla  Corte
di giustizia. Affermata la  natura  sostanziale  della  prescrizione,
questa Corte ha concluso che la "regola  Taricco",  ove  applicabile,
sarebbe in contrasto con il principio di  determinatezza  in  materia
penale (art.  25,  secondo  comma,  Cost.)  e  con  il  principio  di
soggezione del giudice soltanto alla legge (art. 101, secondo  comma,
Cost.), a causa della sua vaghezza,  che  finisce  per  assegnare  al
giudice un compito  di  politica  criminale  esorbitante  rispetto  a
quello di applicare la legge penale. 
    Tuttavia  questa  Corte  ha  dubitato  dell'applicabilita'  della
"regola Taricco", osservando che la stessa Corte di giustizia, con la
sentenza Taricco, l'avrebbe subordinata a una verifica  positiva,  da
parte della competente autorita' giudiziaria nazionale, circa la  sua
conformita' ai principi che segnano l'identita' costituzionale  dello
Stato membro, e in particolare al rispetto dei  diritti  fondamentali
della persona. 
    Al fine di chiarire questo dubbio sono stati formulati i seguenti
tre quesiti alla Corte di giustizia: 1) se l'art. 325, paragrafi 1  e
2, del TFUE debba essere interpretato nel senso di imporre al giudice
penale di non applicare una normativa  nazionale  sulla  prescrizione
che osta in un numero considerevole di casi alla repressione di gravi
frodi in danno degli interessi  finanziari  dell'Unione,  ovvero  che
prevede termini di prescrizione piu' brevi per frodi che  ledono  gli
interessi finanziari dell'Unione di  quelli  previsti  per  le  frodi
lesive degli interessi finanziari  dello  Stato,  anche  quando  tale
omessa applicazione sia priva di  una  base  legale  sufficientemente
determinata; 2) se l'art. 325, paragrafi 1 e 2, del TFUE debba essere
interpretato nel senso di imporre al giudice penale di non  applicare
una normativa nazionale sulla prescrizione  che  osta  in  un  numero
considerevole di casi alla repressione di gravi frodi in danno  degli
interessi finanziari  dell'Unione,  ovvero  che  prevede  termini  di
prescrizione piu' brevi per frodi che ledono gli interessi finanziari
dell'Unione di quelli previsti per le frodi  lesive  degli  interessi
finanziari dello Stato, anche  quando  nell'ordinamento  dello  Stato
membro la prescrizione e' parte  del  diritto  penale  sostanziale  e
soggetta al principio di legalita'; 3) se la  sentenza  della  Grande
sezione della Corte di  giustizia  dell'Unione  europea  8  settembre
2015, in causa C-105/14, Taricco, debba essere interpretata nel senso
di imporre al giudice penale di non applicare una normativa nazionale
sulla prescrizione che osta in un numero considerevole di  casi  alla
repressione di  gravi  frodi  in  danno  degli  interessi  finanziari
dell'Unione europea, ovvero che prevede termini di prescrizione  piu'
brevi per frodi  che  ledono  gli  interessi  finanziari  dell'Unione
europea di quelli  previsti  per  le  frodi  lesive  degli  interessi
finanziari dello Stato, anche quando tale omessa applicazione sia  in
contrasto con i principi  supremi  dell'ordine  costituzionale  dello
Stato membro o con i diritti inalienabili della persona  riconosciuti
dalla Costituzione dello Stato membro. 
    12.- La Corte di giustizia si  e'  pronunciata  con  la  sentenza
della Grande sezione 5 dicembre 2017, in causa C-42/17, M.A. S. e  M.
B., ritenendo assorbito il terzo quesito in forza delle risposte date
ai primi due, nei seguenti termini: «l'articolo 325, paragrafi 1 e 2,
TFUE dev'essere interpretato nel senso che  esso  impone  al  giudice
nazionale di disapplicare,  nell'ambito  di  un  procedimento  penale
riguardante  reati  in  materia  di  imposta  sul  valore   aggiunto,
disposizioni  interne  sulla  prescrizione,  rientranti  nel  diritto
sostanziale nazionale, che ostino all'inflizione di  sanzioni  penali
effettive e dissuasive in un numero considerevole di  casi  di  frode
grave che ledono gli interessi finanziari dell'Unione europea  o  che
prevedano, per i casi di  frode  grave  che  ledono  tali  interessi,
termini di prescrizione piu' brevi di quelli previsti per i casi  che
ledono gli interessi finanziari dello  Stato  membro  interessato,  a
meno che una disapplicazione siffatta  comporti  una  violazione  del
principio  di  legalita'   dei   reati   e   delle   pene   a   causa
dell'insufficiente  determinatezza   della   legge   applicabile,   o
dell'applicazione retroattiva di una normativa che impone  un  regime
di punibilita'  piu'  severo  di  quello  vigente  al  momento  della
commissione del reato». 
    Nella sostanza, la Corte di  giustizia  ha  ribadito  i  contorni
della "regola Taricco",  ma  ha  confermato  che  essa  puo'  trovare
applicazione solo se e' rispettosa  del  principio  di  legalita'  in
materia penale, nella duplice componente della determinatezza  e  del
divieto di retroattivita'.  Quanto  alla  prima  ha  sollecitato  una
verifica  della  competente   autorita'   nazionale,   mentre   sulla
retroattivita' ha subito specificato che la "regola Taricco"  non  si
estende ai fatti  compiuti  prima  dell'8  settembre  2015,  data  di
pubblicazione della sentenza che l'ha enunciata. 
    13.- In prossimita' della nuova udienza pubblica conseguente alla
pronuncia della  Corte  di  giustizia  M.A.  S.,  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri ha depositato una memoria chiedendo che  siano
restituiti gli atti ai giudici rimettenti «per una nuova  valutazione
della rilevanza alla luce della sentenza 5.12.2017, emessa  in  causa
C-42/17, dalla Corte di giustizia». 
    14.- Anche uno degli imputati nel processo innanzi alla Corte  di
cassazione, gia' costituitosi in giudizio, ha depositato una  memoria
chiedendo l'adozione di una sentenza interpretativa di rigetto. 
    La difesa di questo imputato ritiene "opportuno" che il  giudizio
sia definito con tale tipo di sentenza e non  con  una  «pronuncia  a
carattere processuale (di inammissibilita' o  [...]  di  restituzione
degli atti al giudice a  quo)»,  al  fine  di  fornire  «fondamentali
criteri di interpretazione alle Corti  chiamate  a  pronunciarsi  nei
procedimenti a quibus » e di «ribadire i  termini  del  rapporto  tra
diritto interno e  diritto  dell'Unione  quando  quest'ultimo  incida
sulla tutela dei diritti fondamentali della persona». 
    Poiche' il paragrafo 59 della sentenza della Corte  di  giustizia
del 5 dicembre 2017 potrebbe interpretarsi nel senso che la  verifica
demandata al giudice nazionale, volta a  saggiare  la  compatibilita'
tra la "regola Taricco" e il principio di determinatezza  in  materia
penale, si riferisce unicamente al paragrafo 1 dell'art. 325 TFUE, la
Corte dovrebbe chiarire che il paragrafo 2 del  citato  articolo  non
consentirebbe al giudice nazionale «di applicare  alle  frodi  lesive
degli interessi finanziari dell'Unione europea il piu' severo  regime
della  prescrizione  previsto  per  l'associazione   per   delinquere
finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri». La  "regola
Taricco" (anche nella parte relativa al  paragrafo  2  dell'art.  325
TFUE) non costituirebbe una base legale sufficientemente  determinata
da consentire al giudice  nazionale  di  disapplicare  la  disciplina
interna della prescrizione dei reati tributari. 
    Per i fatti commessi prima  dell'8  settembre  2015,  il  giudice
nazionale non potrebbe attivare  il  potere  di  disapplicazione,  in
quanto «questa» contrasterebbe con il divieto  di  retroattivita'  in
materia penale, dovendo conseguentemente dichiarare  la  prescrizione
di quei reati per i quali essa sarebbe gia' maturata in virtu'  degli
artt. 160, ultimo comma, e 161, secondo comma, cod.  pen.  Anche  per
«gli illeciti» posti in essere in epoca  successiva  all'8  settembre
2015, la disapplicazione in  malam  partem  non  potrebbe  discendere
dall'art. 325, paragrafi 1 e 2, TFUE  in  ossequio  al  principio  di
legalita' penale, nel suo corollario della  determinatezza,  sia  con
riferimento  al  principio  di   effettivita'   che   a   quello   di
assimilazione. 
    15.- Ha depositato  una  memoria  pure  uno  degli  imputati  nel
processo innanzi alla Corte d'appello di Milano, gia' costituitosi in
giudizio,  chiedendo  che  siano  restituiti  gli  atti  al   giudice
rimettente o, in subordine,  che  la  questione  sia  dichiarata  non
fondata, con una sentenza interpretativa di rigetto. 
    La  difesa  dell'imputato,  dopo  aver  richiamato  il  contenuto
essenziale dell'ordinanza n. 24 del 2017 di questa Corte, osserva che
la pronuncia della Corte di giustizia  5  dicembre  2017  resa  nella
causa C-42/17,  M.A.  S.,  M.  B.,  costituisce  «una  forma  di  ius
superveniens», che ha mutato la norma oggetto  di  controllo.  Questa
pronuncia avrebbe infatti ridefinito il  significato  dell'art.  325,
paragrafi 1 e 2, del TFUE, condizionando l'obbligo di disapplicazione
al rispetto del principio di legalita' dei reati e delle pene, si' da
far venir meno ogni possibile profilo di contrasto tra l'art. 2 della
legge n. 130 del 2008, nella parte in cui autorizza alla  ratifica  e
rende esecutivo il citato art. 325, e l'art. 25, secondo comma, Cost.
In  via  «alternativa»,  la  Corte  potrebbe  adottare  una  sentenza
interpretativa di rigetto, ritenendo  la  questione  di  legittimita'
costituzionale infondata alla luce delle statuizioni della  Corte  di
giustizia nella citata sentenza del 5 dicembre 2017. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Corte di cassazione ha sollevato questioni di legittimita'
costituzionale  dell'art.  2  della  legge  2  agosto  2008,  n.  130
(Ratifica ed esecuzione del  Trattato  di  Lisbona  che  modifica  il
Trattato  sull'Unione  europea  e  il  Trattato  che  istituisce   la
Comunita' europea e alcuni atti connessi, con atto finale, protocolli
e dichiarazioni, fatto a Lisbona il 13 dicembre 2007), in riferimento
agli artt. 3, 11, 24, 25, secondo comma,  27,  terzo  comma,  e  101,
secondo comma, della Costituzione. 
    2.- A sua volta la Corte d'appello di  Milano  ha  sollevato  una
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 della  legge  n.
130 del 2008, in riferimento all'art. 25, secondo comma, Cost. 
    3.- La disposizione censurata ordina  l'esecuzione  del  Trattato
sul  funzionamento  dell'Unione  europea  (TFUE),   come   modificato
dall'art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato
dalla legge n. 130 del 2008, e, conseguentemente,  dell'art.  325  di
tale trattato. 
    I rimettenti dubitano  della  legittimita'  costituzionale  della
norma, nella parte in cui, imponendo di applicare  l'art.  325  TFUE,
come interpretato dalla sentenza della Grande sezione della Corte  di
giustizia 8 settembre 2015, in causa C-105/14, Taricco, comporta  che
in taluni casi venga omessa l'applicazione  degli  artt.  160,  terzo
comma, e 161, secondo comma, del codice  penale,  nei  confronti  dei
reati  in  materia  di  imposta  sul  valore   aggiunto   (IVA)   che
costituiscono frode in danno degli interessi finanziari dell'Unione. 
    Il combinato disposto  degli  artt.  160,  terzo  comma,  e  161,
secondo comma, cod. pen. pone un limite all'aumento  del  termine  di
prescrizione in seguito a un atto interruttivo. Questo  limite  pero'
non opera  per  i  delitti  elencati  dall'art.  51,  commi  3-bis  e
3-quater, del codice di procedura penale. 
    La sentenza resa in causa Taricco dalla  Corte  di  giustizia  ha
stabilito che il giudice nazionale deve disapplicare, alle condizioni
che poi si vedranno, gli artt.  160,  terzo  comma,  e  161,  secondo
comma, cod. pen.,  omettendo  di  dichiarare  prescritti  i  reati  e
procedendo nel giudizio penale, in due  casi:  innanzitutto,  secondo
una regola che e' stata tratta  dall'art.  325,  paragrafo  1,  TFUE,
quando  questo  regime  giuridico  della  prescrizione  impedisce  di
infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole
di  gravi  casi  di  frode  che  ledono  gli   interessi   finanziari
dell'Unione; in secondo luogo, in base a una regola desunta dall'art.
325, paragrafo  2,  TFUE  (cosiddetto  principio  di  assimilazione),
quando il termine di prescrizione, per effetto delle norme  indicate,
risulta piu' breve di quello fissato dalla legge nazionale  per  casi
analoghi di frode in danno dello Stato membro. 
    Entrambi i rimettenti giudicano imputati ai quali sono addebitati
reati che, ove fossero applicati gli artt. 160, terzo comma,  e  161,
secondo  comma,   cod.   pen.,   dovrebbero   ritenersi   prescritti.
Diversamente si dovrebbe decidere, invece, se in  applicazione  della
"regola Taricco" tali disposizioni non potessero operare. 
    I giudici a quibus osservano  che  questa  regola  e'  senz'altro
applicabile nei rispettivi giudizi, che vertono  su  gravi  frodi  in
materia di IVA, con conseguente lesione  degli  interessi  finanziari
dell'Unione.  Le  frodi,  inoltre,  ricorrerebbero   in   un   numero
considerevole di casi, cosi' da integrare  tutte  le  condizioni  che
concretizzano la "regola Taricco". 
    Nel solo processo milanese rileverebbe anche, e con  il  medesimo
effetto, il  paragrafo  2  dell'art.  325  TFUE,  perche'  ad  alcuni
imputati e'  contestato  il  reato  di  associazione  per  delinquere
finalizzata alla commissione di reati  tributari  attinenti  all'IVA.
Questa figura criminosa  non  e'  compresa  nell'elenco  dei  delitti
previsti dall'art. 51, commi 3-bis e 3-quater, cod. proc.  pen.,  che
invece, nel comma 3-bis, include  l'art.  291-quater  del  d.P.R.  23
gennaio 1973, n. 43 (Approvazione del testo unico delle  disposizioni
legislative  in  materia   doganale),   ovvero   l'associazione   per
delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi  lavorati  esteri.
Vi sarebbe percio' un'ipotesi  di  frode  in  danno  dell'Italia  dal
profilo analogo a quello del reato per cui procede la Corte d'appello
rimettente, per la quale l'ordinamento nazionale  prevede  un  regime
della prescrizione  piu'  severo,  violando  cosi'  il  principio  di
assimilazione. 
    4.- I rimettenti,  dopo  aver  dato  conto  della  necessita'  di
applicare la "regola Taricco", reputano che essa sia in contrasto con
i principi supremi dell'ordine costituzionale dello Stato e censurano
pertanto la normativa nazionale che, dando  esecuzione  all'art.  325
TFUE, accoglie nel nostro ordinamento tale regola. 
    Premesso  che  l'istituto  della  prescrizione  appartiene   alla
legalita' penale sostanziale, la Corte di cassazione ritiene  violato
l'art. 25, secondo comma, Cost. per i profili della riserva di  legge
in materia penale, posto che il regime della prescrizione  cesserebbe
di essere legale, della determinatezza, a causa della genericita' dei
concetti di «grave  frode»  e  di  «numero  considerevole  di  casi»,
intorno ai  quali  ruota  la  "regola  Taricco",  e  del  divieto  di
retroattivita', considerato che i fatti addebitati agli imputati sono
anteriori all'8 settembre 2015, data di pubblicazione della  sentenza
Taricco. 
    Inoltre sarebbe leso l'art. 101, secondo  comma,  Cost.,  perche'
verrebbe   demandata   al   giudice   un'attivita'   implicante   una
«valutazione di natura politico-criminale» che spetterebbe invece  al
legislatore. 
    Sarebbero poi violati gli artt. 3  e  24  Cost.,  a  causa  della
irragionevolezza manifesta della "regola Taricco" e  dell'impedimento
che essa avrebbe costituito per gli imputati di prevedere la data  di
prescrizione del reato e conseguentemente di valutare  l'opportunita'
di accedere a un rito alternativo. 
    Infine, sarebbe leso  l'art.  27,  terzo  comma,  Cost.,  perche'
legare il termine di  prescrizione  esclusivamente  a  considerazioni
attinenti alla tutela di interessi finanziari farebbe venire meno  la
finalita' rieducativa della pena. 
    La Corte d'appello di Milano, a sua  volta,  premessa  la  natura
sostanziale della prescrizione, reputa leso l'art. 25, secondo comma,
Cost., a causa  del  carattere  retroattivo  in  malam  partem  della
"regola Taricco", tenuto conto del fatto che i reati  contestati  nel
giudizio a quo sono stati commessi prima dell'8 settembre 2015. 
    5.- Questa Corte con l'ordinanza n. 24  del  2017  ha  riunito  i
giudizi e disposto un rinvio pregiudiziale alla  Corte  di  giustizia
per l'interpretazione relativa al corretto significato da  attribuire
all'art. 325 TFUE e alla sentenza Taricco. 
    Secondo  questa  Corte  l'eventuale  applicazione  della  "regola
Taricco" nel nostro ordinamento  violerebbe  gli  artt.  25,  secondo
comma, e 101, secondo comma, Cost., e  non  potrebbe  percio'  essere
consentita neppure alla luce del primato del diritto dell'Unione. 
    Tuttavia e' sembrato  a  questa  Corte  che  la  stessa  sentenza
Taricco (paragrafi 53 e 55) tenda ad escludere tale applicazione ogni
qual volta  essa  venga  a  trovarsi  in  conflitto  con  l'identita'
costituzionale dello Stato  membro  e  in  particolare  implichi  una
violazione del principio di legalita' penale, secondo l'apprezzamento
delle competenti autorita' di tale Stato. 
    Di cio' e' stata chiesta conferma alla Corte di giustizia. 
    6.- La Grande sezione della Corte di giustizia,  con  sentenza  5
dicembre 2017, in causa C-42/17, M.A. S. e  M.  B.,  ha  compreso  il
dubbio interpretativo di questa Corte e ha  affermato  che  l'obbligo
per il giudice nazionale di  disapplicare  la  normativa  interna  in
materia di prescrizione, sulla base  della  "regola  Taricco",  viene
meno quando cio' comporta una violazione del principio  di  legalita'
dei reati e delle pene,  a  causa  dell'insufficiente  determinatezza
della  legge  applicabile  o  dell'applicazione  retroattiva  di  una
normativa che prevede un regime di punibilita' piu' severo di  quello
vigente al momento della commissione del reato. 
    7.- La nuova pronuncia della Corte di Lussemburgo  opera  su  due
piani connessi. 
    In primo luogo, provvede a chiarire che, in virtu' del divieto di
retroattivita'  in  malam  partem  della  legge  penale,  la  "regola
Taricco" non puo' essere applicata ai  fatti  commessi  anteriormente
alla data di pubblicazione della sentenza che l'ha dichiarata, ovvero
anteriormente all'8 settembre 2015 (paragrafo 60). Si  tratta  di  un
divieto che discende immediatamente dal  diritto  dell'Unione  e  non
richiede  alcuna  ulteriore  verifica  da   parte   delle   autorita'
giudiziarie nazionali. 
    In secondo luogo demanda a queste ultime il compito  di  saggiare
la  compatibilita'  della  "regola  Taricco"  con  il  principio   di
determinatezza in materia penale (paragrafo 59).  In  tal  caso,  per
giungere  a  disapplicare  la  normativa   nazionale   in   tema   di
prescrizione, e' necessario che il  giudice  nazionale  effettui  uno
scrutinio  favorevole  quanto  alla  compatibilita'   della   "regola
Taricco" con il principio di determinatezza, che  e',  sia  principio
supremo dell'ordine costituzionale italiano, sia cardine del  diritto
dell'Unione, in base all'art. 49 della Carta dei diritti fondamentali
dell'Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e,
in una versione adattata, il 12 dicembre 2007 a Strasburgo (paragrafi
51 e 52 della sentenza M.A.S.). 
    8.- A quest'ultimo proposito va ribadito  quanto  gia'  affermato
con l'ordinanza n. 24 del 2017. L'autorita' competente a svolgere  il
controllo  sollecitato  dalla  Corte  di  giustizia   e'   la   Corte
costituzionale, cui spetta in via esclusiva il compito  di  accertare
se il diritto dell'Unione e' in  contrasto  con  i  principi  supremi
dell'ordine  costituzionale  e   in   particolare   con   i   diritti
inalienabili della persona. A tale  scopo  il  ruolo  essenziale  che
riveste  il  giudice  comune  consiste  nel  porre  il  dubbio  sulla
legittimita'  costituzionale  della  normativa  nazionale   che   da'
ingresso  alla  norma  europea  generatrice  del  preteso  contrasto.
Percio' non puo' essere accolta la richiesta  di  restituzione  degli
atti avanzata dal Presidente del Consiglio  dei  ministri  e  da  una
parte del giudizio davanti alla Corte d'appello di Milano,  dato  che
in seguito alla sentenza M.A. S. spetta innanzi tutto a questa  Corte
la valutazione circa  l'applicabilita'  della  "regola  Taricco"  nel
nostro ordinamento. 
    9.-  Alla  luce  del  chiarimento  interpretativo  offerto  dalla
sentenza  M.A.  S.,  tutte  le  questioni  sollevate  da  entrambi  i
rimettenti risultano non fondate, perche' la "regola Taricco" non  e'
applicabile nei giudizi a quibus. 
    10.- In entrambi i  processi  principali  si  procede  per  fatti
avvenuti prima dell'8 settembre 2015, sicche' l'applicabilita'  degli
artt. 160, terzo  comma,  e  161,  secondo  comma,  cod.  pen.  e  la
conseguente prescrizione dei reati oggetto dei procedimenti a  quibus
sono riconosciute dalla stessa sentenza M.A. S., che ha  escluso  gli
effetti della "regola Taricco" nei confronti dei reati commessi prima
di tale data. 
    Cio' pero' non significa che le questioni sollevate  siano  prive
di rilevanza, perche' riconoscere  solo  sulla  base  della  sentenza
M.A.S.  l'avvenuta   prescrizione   significherebbe   comunque   fare
applicazione della "regola Taricco", sia pure individuandone i limiti
temporali. 
    Indipendentemente dalla collocazione dei fatti, prima o dopo  l'8
settembre 2015, il giudice comune non puo' applicare loro la  "regola
Taricco",  perche'  essa  e'  in  contrasto  con  il   principio   di
determinatezza in materia penale, consacrato  dall'art.  25,  secondo
comma, Cost. 
    Questa  Corte,  nel  compimento   del   relativo   scrutinio   di
legittimita' costituzionale, che in questo peculiare  caso  e'  anche
adempimento della verifica sollecitata dalla Corte di giustizia,  non
puo' che ricordare quanto aveva gia' osservato con l'ordinanza n.  24
del 2017. 
    Un  istituto  che  incide  sulla   punibilita'   della   persona,
riconnettendo  al   decorso   del   tempo   l'effetto   di   impedire
l'applicazione della pena, nel nostro ordinamento  giuridico  rientra
nell'alveo  costituzionale  del   principio   di   legalita'   penale
sostanziale enunciato dall'art. 25, secondo comma, Cost. con  formula
di particolare ampiezza. 
    La prescrizione pertanto  deve  essere  considerata  un  istituto
sostanziale,  che  il  legislatore  puo'   modulare   attraverso   un
ragionevole bilanciamento tra il diritto all'oblio  e  l'interesse  a
perseguire i reati fino a quando l'allarme sociale indotto dal  reato
non sia venuto meno (potendosene anche escludere  l'applicazione  per
delitti di estrema gravita'), ma sempre nel rispetto di tale premessa
costituzionale inderogabile (ex plurimis, sentenze n. 143  del  2014,
n. 236 del 2011, n. 294 del 2010 e n. 393 del 2006; ordinanze  n.  34
del 2009, n. 317 del 2000 e n. 288 del 1999). 
    11.- Cio' posto, appare evidente il deficit di determinatezza che
caratterizza, sia l'art. 325, paragrafi 1 e 2, TFUE (per la parte  da
cui si evince la "regola Taricco"), sia la "regola Taricco" in se'. 
    Quest'ultima, per  la  porzione  che  discende  dal  paragrafo  1
dell'art.  325  TFUE,  e'   irrimediabilmente   indeterminata   nella
definizione del «numero considerevole di casi» in presenza dei  quali
puo' operare, perche' il giudice penale non dispone di alcun criterio
applicativo  della  legge  che  gli  consenta  di  trarre  da  questo
enunciato una regola sufficientemente definita. Ne'  a  tale  giudice
puo' essere attribuito il  compito  di  perseguire  un  obiettivo  di
politica criminale svincolandosi dal governo della legge al quale  e'
invece soggetto (art. 101, secondo comma, Cost.). 
    Ancor prima, e' indeterminato l'art. 325  TFUE,  per  quanto  qui
interessa,  perche'  il  suo  testo  non  permette  alla  persona  di
prospettarsi la vigenza della "regola Taricco". 
    La  sentenza  M.A.  S.  ha  enfatizzato,  a  tal  proposito,   la
necessita' che le scelte di  diritto  penale  sostanziale  permettano
all'individuo di conoscere  in  anticipo  le  conseguenze  della  sua
condotta, in base al testo della disposizione rilevante,  e,  se  del
caso, con l'aiuto dell'interpretazione che ne  sia  stata  fatta  dai
giudici  (paragrafo  56).   Perlomeno   nei   paesi   di   tradizione
continentale, e certamente in Italia, cio' avvalora (finanche in seno
al  diritto  dell'Unione,   in   quanto   rispettoso   dell'identita'
costituzionale degli Stati membri) l'imprescindibile  imperativo  che
simili  scelte  si  incarnino  in  testi  legislativi  offerti   alla
conoscenza dei  consociati.  Rispetto  a  tale  origine  nel  diritto
scritto  di  produzione  legislativa,  l'ausilio  interpretativo  del
giudice penale non e' che un posterius incaricato di  scrutare  nelle
eventuali zone d'ombra, individuando il  significato  corretto  della
disposizione nell'arco delle sole opzioni che il  testo  autorizza  e
che la persona puo' raffigurarsi leggendolo. 
    Il principio di determinatezza ha una duplice direzione,  perche'
non si limita a garantire, nei riguardi del giudice,  la  conformita'
alla legge dell'attivita' giurisdizionale mediante la  produzione  di
regole adeguatamente definite per essere  applicate,  ma  assicura  a
chiunque «una percezione sufficientemente chiara  ed  immediata»  dei
possibili  profili  di  illiceita'  penale  della  propria   condotta
(sentenze n. 327 del 2008 e  n.  5  del  2004;  nello  stesso  senso,
sentenza n. 185 del 1992). 
    Pertanto,  quand'anche  la  "regola  Taricco"  potesse  assumere,
grazie al progressivo  affinamento  della  giurisprudenza  europea  e
nazionale, un contorno meno sfocato, cio'  non  varrebbe  a  «colmare
l'eventuale originaria carenza di  precisione  del  precetto  penale»
(sentenza n. 327 del 2008). 
    12.-  E'  persino  intuitivo  (anche  alla  luce  della  sorpresa
manifestata  dalla  comunita'  dei  giuristi  nel   vasto   dibattito
dottrinale seguito alla sentenza Taricco, pur nelle  sfumature  delle
diverse posizioni) che la persona, prendendo contezza  dell'art.  325
TFUE, non potesse (e neppure possa oggi in base a  quel  solo  testo)
immaginare che da esso sarebbe stata estrapolata la regola che impone
di disapplicare  un  particolare  aspetto  del  regime  legale  della
prescrizione, in presenza di condizioni del tutto  peculiari.  Se  e'
vero che anche «la piu' certa delle leggi ha bisogno di "letture"  ed
interpretazioni sistematiche» (sentenza n. 364 del 1988), resta fermo
che esse  non  possono  surrogarsi  integralmente  alla  praevia  lex
scripta, con cui si intende  garantire  alle  persone  «la  sicurezza
giuridica delle consentite, libere scelte d'azione» (sentenza n.  364
del 1988). 
    Cio' e' come dire che una scelta relativa alla  punibilita'  deve
essere autonomamente ricavabile dal  testo  legislativo  al  quale  i
consociati hanno  accesso,  diversamente  da  quanto  accade  con  la
"regola Taricco". Fermo restando  che  compete  alla  sola  Corte  di
giustizia interpretare con  uniformita'  il  diritto  dell'Unione,  e
specificare se esso abbia effetto  diretto,  e'  anche  indiscutibile
che,  come  ha  riconosciuto  la   sentenza   M.A.   S.,   un   esito
interpretativo non conforme al principio di determinatezza  in  campo
penale non possa avere cittadinanza nel nostro ordinamento. 
    13.- Quanto appena rilevato concerne la "regola Taricco", sia per
la porzione tratta dal paragrafo 1 dell'art. 325 TFUE, sia per quella
desunta dal paragrafo 2. 
    In quest'ultimo caso, anche se il principio di assimilazione  non
desse luogo sostanzialmente a  un  procedimento  analogico  in  malam
partem  e  potesse  permettere  al   giudice   penale   di   compiere
un'attivita' priva  di  inaccettabili  margini  di  indeterminatezza,
essa, comunque sia, non troverebbe una base  legale  sufficientemente
determinata nell'art. 325 TFUE, dal quale  una  persona  non  avrebbe
potuto, ne' oggi potrebbe, desumere autonomamente  i  contorni  della
"regola Taricco". 
    In altri termini, qualora si reputasse  possibile  da  parte  del
giudice penale il confronto tra frodi fiscali in danno dello Stato  e
frodi fiscali in danno  dell'Unione,  al  fine  di  impedire  che  le
seconde abbiamo un trattamento meno  severo  delle  prime  quanto  al
termine di prescrizione, ugualmente l'art. 325, paragrafo 2, TFUE non
perderebbe il suo tratto non adeguatamente determinato per fungere da
base legale di  tale  operazione  in  materia  penale,  posto  che  i
consociati non avrebbero potuto, ne' oggi potrebbero sulla  base  del
solo quadro normativo, raffigurarsi tale effetto. 
    Bisogna aggiungere che una sufficiente determinazione non sarebbe
rintracciabile  neppure  nell'enunciato   della   sentenza   Taricco,
relativo ai «casi di frode che ledono gli interessi finanziari  dello
Stato membro interessato», per i quali  sono  stabiliti  «termini  di
prescrizione piu' lunghi di quelli previsti per i casi di  frode  che
ledono gli interessi finanziari dell'Unione». Si tratta infatti di un
enunciato generico,  che,  comportando  un  apprezzamento  largamente
opinabile, non e' tale da soddisfare il principio  di  determinatezza
della legge penale e in particolare da assicurare ai  consociati  una
sua sicura percezione. 
    14.- L'inapplicabilita' della "regola  Taricco",  secondo  quanto
riconosciuto dalla sentenza M.A. S., ha la  propria  fonte  non  solo
nella Costituzione repubblicana, ma nello stesso diritto dell'Unione,
sicche' ha trovato conferma l'ipotesi tracciata da questa  Corte  con
l'ordinanza n. 24 del 2017, ovvero che non vi sia alcuna  ragione  di
contrasto. Cio' comporta la non  fondatezza  di  tutte  le  questioni
sollevate,  perche',  a  prescindere  dagli  ulteriori   profili   di
illegittimita' costituzionale dedotti, la violazione del principio di
determinatezza in materia penale sbarra  la  strada  senza  eccezioni
all'ingresso della "regola Taricco" nel nostro ordinamento. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi, 
    dichiara non fondate le questioni di legittimita'  costituzionale
dell'art. 2 della legge 2 agosto 2008, n. 130 (Ratifica ed esecuzione
del Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull'Unione  europea
e il Trattato che istituisce  la  Comunita'  europea  e  alcuni  atti
connessi, con  atto  finale,  protocolli  e  dichiarazioni,  fatto  a
Lisbona il 13 dicembre 2007), sollevate dalla Corte di cassazione, in
riferimento agli artt. 3, 11, 24, 25, secondo comma, 27, terzo comma,
e 101, secondo comma, della Costituzione, e dalla Corte d'appello  di
Milano, in riferimento all'art. 25,  secondo  comma,  Cost.,  con  le
ordinanze indicate in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 aprile 2018. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                             e Redattore 
                    Filomena PERRONE, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 31 maggio 2018. 
 
                           Il Cancelliere 
                       F.to: Filomena PERRONE