N. 86 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 maggio 2018

Ordinanza del 3 maggio 2018 dell'Autorita' garante della  concorrenza
e del mercato nel  procedimento  relativo  a  Consiglio  notarile  di
Milano contro De Martinis Paolo e altri. 
 
Notaio - Ordinamento del notariato - Consigli notarili distrettuali -
  Atti funzionali al promovimento  del  procedimento  disciplinare  -
  Applicabilita' delle norme per la tutela della  concorrenza  e  del
  mercato, di cui alla legge 10 ottobre 1990, n. 287 - Esclusione. 
- Legge 16 febbraio 1913, n. 89  (Sull'ordinamento  del  notariato  e
  degli archivi  notarili),  art.  93-ter,  comma  1-bis,  introdotto
  dall'art. 1, comma 495, lettera c), della legge 27  dicembre  2017,
  n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per  l'anno  finanziario
  2018 e bilancio pluriennale per il triennio  2018-2020);  legge  10
  ottobre 1990, n. 287 (Norme per la tutela della concorrenza  e  del
  mercato), art. 8, comma 2. 
(GU n.24 del 13-6-2018 )
 
                 IL COLLEGIO DELL'AUTORITA' GARANTE 
                   DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO 
 
    Nella sua adunanza del 3 maggio 2018; 
    Sentito il relatore prof. Michele Ainis; 
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Ha emesso la seguente ordinanza nel procedimento n. I803  avviato
dall'Autorita' garante della concorrenza e del mercato  con  delibera
n. 26327 dell'11 gennaio 2017, nei confronti del  Consiglio  notarile
di  Milano,  in  persona  del  legale   rappresentante   pro-tempore,
rappresentato e difeso dagli avvocati A. Barone,  F.  Cintioli  e  R.
Danovi, elettivamente domiciliato presso lo Studio legale Cintioli  &
Associati in Roma, via Vittoria Colonna n. 32; 
    E con la partecipazione in qualita'  di  segnalante,  del  notaio
Paolo De Martinis,  rappresentato  e  difeso  dagli  avvocati  G.  M.
Roberti e G. Bellitti, elettivamente  domiciliato  presso  lo  Studio
legale EJC Roberti & Associati in Bruxelles, Place  du  Grand  Sablon
36; 
    Nonche', in qualita' di intervenienti: 
        del notaio Riccardo Genghini rappresentato e difeso dall'avv.
Gustavo Olivieri,  elettivamente  domiciliato  presso  lo  Studio  di
quest'ultimo, in Roma, largo Amilcare Ponchielli n. 6; 
        della societa' Centro  Istruttorie  S.p.a.,  rappresentata  e
difesa  dagli  avvocati  Claudio   Tesauro   e   Francesco   Anglani,
elettivamente domiciliata presso lo Studio legale  Bonelli  Erede  in
Roma, via Vittoria Colonna n. 39; 
        dell'Associazione sindacale dei  notai  della  Lombardia,  in
persona del legale rappresentante pro-tempore,  con  sede  legale  in
Milano, via Locatelli n. 5; 
 
                                Fatto 
 
    In data 11 gennaio 2017, l'Autorita' ha avviato  un  procedimento
istruttorio, nei confronti del Consiglio notarile  di  Milano  (CNM),
volto ad accertare la  sussistenza  di  un'intesa  restrittiva  della
concorrenza in violazione dell'art. 2 della legge n.  287  del  1990,
realizzata attraverso: 
        i)  richiesta  a  tutti  i  notai  del  distretto   di   dati
concorrenzialmente sensibili, al fine di far emergere le posizioni di
preminenza economica; 
        ii) iniziative  disciplinari  nei  confronti  dei  notai  del
distretto  maggiormente  produttivi  ed  economicamente  performanti,
accompagnate da attivita' segnaletica volta a  dare  risalto  a  tali
iniziative. 
    In data 21 febbraio 2018, gli  Uffici  istruttori  dell'Autorita'
hanno trasmesso la Comunicazione delle risultanze  istruttorie  (CRI)
alle parti del procedimento, con la quale hanno contestato al CNM  di
aver posto in essere condotte idonee a inibire ai notai del distretto
di Milano, Lodi, Monza, Busto Arsizio e  Varese  (in  particolare,  a
quelli piu'  performanti)  l'acquisizione  di  elevate  quantita'  di
lavoro - ricorrendo alla leva prezzo e/o a  modalita'  innovative  di
offerta - con l'intento di  riportare  le  posizioni  economiche  dei
singoli notai in linea con la media del distretto. 
    La  CRI  (che  costituisce  il  documento  DOC257  del  fascicolo
istruttorio) ha chiarito che  l'attivita'  istruttoria  svolta  dagli
Uffici non ha avuto ad oggetto le iniziative di genuina vigilanza del
CNM, non essendo in discussione il potere/dovere del CNM di  tutelare
l'utenza  e  la  fede  pubblica  nell'esercizio  delle  funzioni   di
controllo dell'operato dei notai. 
    Sono state, invece, contestate le seguenti condotte,  sulla  base
di numerose ed univoche evidenze: 
        i) richiesta di dati economici  sensibili  sotto  il  profilo
antitrust. Il CNM ha adottato nel 2014  e  nel  2016  un  sistema  di
monitoraggio a tappeto sull'attivita' dei  singoli  notai,  volto  ad
acquisire informazioni sempre piu' dettagliate sul loro comportamento
economico (numero di atti stipulati, copia delle  fatture,  spese  di
gestione, dettaglio di svariate voci di costo, fatturato complessivo,
ecc.); 
        ii) mappatura dei notai monitorati.  I  dati  acquisiti  sono
stati   elaborati   al   fine   di   porre   in    rilievo    aspetti
concorrenzialmente sensibili (tra gli altri, tabelle che  evidenziano
i livelli di «sperequazione» tra il numero di atti redatti dai  notai
del distretto; tabelle excel contenenti informazioni sui ricavi,  sui
costi     e     sull'organizzazione      dell'attivita';      «Indice
fatturato/repertorio»  da  cui  emerge  il  rapporto  fra  i   prezzi
mediamente praticati dai singoli notai  e  la  tariffa  repertoriale;
«Grafico dispersione fatturato» che rappresenta il fatturato di  ogni
singolo notaio, evidenziando quelli con fatturati piu' elevati); 
        iii) diffuso risalto (relazioni annuali, giornate di  studio,
audizioni, ecc.) del messaggio che  occorre  «evitare  sperequazioni»
nella  distribuzione  del  lavoro,  evidenziando   le   ripercussioni
negative per la categoria derivanti dalla  concorrenza  tra  colleghi
(condannando  i  c.d.  «attifici»,  le  «concentrazioni  anomale  del
lavoro», il ricorso a societa' di servizi, le  «politiche  tariffarie
molto, molto, molto, aggressive», giungendo  a  chiedere  «...ti  fai
pagare troppo poco?»). 
    Nella   CRI   e'   stato,   altresi',    ricostruito    l'intento
anticompetitivo sotteso a tali condotte del CNM,  evidenziando  come,
tramite  le  stesse,  il  Consiglio  abbia  sistematicamente   inteso
fronteggiare: 
        l'aumento  della  sperequazione   nella   distribuzione   dei
repertori notarili fra i notai del distretto; 
        il  rischio  che   i   notai   utilizzino   le   nuove   leve
concorrenziali  (prezzo  e  modalita'  innovative  di  fornitura  dei
servizi) per acquisire quote di mercato a scapito dei concorrenti,  a
cio' indotti dalle modifiche legislative che hanno  rivoluzionato  il
sistema  notarile  (riduzione   attivita'   riservate,   soppressione
tariffa,  aumento  pianta  organica)  e  dalla  crisi   del   settore
immobiliare; 
        le scelte economiche dei notai risultanti non in linea con la
media del distretto in termini di quantita' di lavoro svolto e prezzi
mediamente praticati, ai quali e' stato veicolato  il  messaggio  che
bisogna «ambire» alla media. 
    Una  volta  descritte  le   evidenze   relative   alle   condotte
contestate, nella CRI, gli Uffici  istruttori  hanno  replicato  alla
difesa  del  CNM  basata  sulla  funzionalita'   di   tali   condotte
all'esercizio  dei  propri  poteri/doveri  di  vigilanza.  In  questa
prospettiva,   nella   CRI   e'   stata   verificata   l'assenza   di
proporzionalita' e necessarieta' delle condotte, avendo riguardo alla
natura dei dati richiesti, all'intento sotteso  alla  raccolta  degli
stessi e all'utilizzo che ne e' stato fatto. 
    Riguardo alla natura dei dati, e' stato posto in rilievo  che  lo
stesso Consiglio ha riconosciuto l'assenza  di  correlazione  tra  il
numero di atti stipulati e i tempi di trascrizione,  cosi'  palesando
che, diversamente da quanto formalmente asserito, non era il rispetto
di tali tempi che si intendeva verificare;  rispetto  alla  richiesta
delle fatture, e' stato rilevato che si tratta  dell'unico  documento
dal quale risultano i  prezzi  effettivamente  praticati  da  ciascun
notaio alla  propria  clientela  e  che  costituisce,  pertanto,  una
tipologia di informazioni estremamente sensibile. 
    La natura non necessaria e sproporzionata di tali dati  e'  stata
poi ricondotta alla circostanza che il CNM non ha piu' chiesto  copia
delle fatture con i successivi  monitoraggi,  il  che  evidenzierebbe
come  lo  stesso  CNM  non  ritenga  essenziale  disporre   di   tale
documentazione per condurre la propria attivita' di vigilanza. 
    Con riferimento all'intento, oltre al  fatto  che  tali  condotte
sono state  esplicitamente  correlate  alla  difesa  della  categoria
(«conoscere i numeri, possedere  il  dato,  e'  fondamentale  per  la
difesa ed il  consolidamento  del  notariato»),  tra  l'altro,  nelle
Relazioni annuali, nella CRI e'  stato  evidenziato  anche  che,  nel
2016,   il   CNM   sarebbe   stato   pienamente   consapevole   della
pretestuosita' delle proprie richieste (al riguardo, viene richiamato
uno scambio di e-mail tra i componenti del Consiglio di luglio  2016,
in cui sorprendentemente si evidenzia l'incoerenza tra «deliberare di
chiedere i dati di trascrizione e mandare un modulo  di  monitoraggio
con dati economici e chiedendo certificato di regolarita' fiscale»). 
    In relazione all'utilizzo dei dati raccolti, nella CRI  e'  stato
sottolineato che il Consiglio non risulta  aver  assunto  particolari
iniziative quando ha riscontrato tempi  medi  di  trascrizione  molto
lunghi. Diversamente, i dati economici e concorrenzialmente sensibili
risultano essere stati ampiamente elaborati  e  hanno  condotto  alla
mappatura dei singoli notai. 
    Infine, sempre nell'ottica di  dimostrare  la  non  funzionalita'
delle condotte contestate alla genuina attivita' di vigilanza, la CRI
ha significativamente posto in rilievo che  la  quasi  totalita'  dei
dati utilizzati e utilizzabili ai fini di vigilanza sono reperibili e
reperiti  dal  Consiglio  da  altre  fonti  (principalmente  Archivio
notarile, Agenzia delle entrate ed esposti), rispetto alle  quali  le
informazioni raccolte tramite  i  questionari  2014  e  2016  neanche
rispondono  a  maggiore  tempestivita'  nei  tempi  di  acquisizione.
Inoltre, la circostanza che nei due questionari 2014 e 2016  non  sia
stato richiesto lo stesso set informativo e' stata  richiamata  quale
conferma in  se'  della  non  necessarieta'  ai  fini  della  genuina
attivita' di vigilanza della  quasi  totalita'  dei  dati  richiesti,
unitamente al fatto, di sicuro rilievo, che la stessa associazione di
categoria  intervenuta  nel   procedimento   a   sostegno   del   CNM
(Associazione sindacale dei notai della  Lombardia)  ha  riconosciuto
che la raccolta di dati di fatturato non e' funzionale  all'esercizio
dei poteri di vigilanza. 
    Tutto  quanto  precede  ha  portato  gli  Uffici   istruttori   a
concludere che  la  raccolta  di  informazioni  sensibili  e  i  loro
successivi  utilizzi  non  possono  che   essere   stati   volti   al
perseguimento della finalita' anticoncorrenziale di inibire  i  notai
vigilati dal  discostarsi  dalla  media  del  distretto,  tramite  il
ricorso alla leva prezzo e/o a modalita' innovative di offerta. 
    A  circa  un  anno  dall'avvio  dell'istruttoria  e   a   ridosso
dell'invio alle Parti della  CRI,  e'  entrato  in  vigore  il  nuovo
articolo, l'art. 93-ter, comma 1-bis della legge 16 febbraio 1913, n.
89, introdotto con la legge 27 dicembre 2017, n. 205,  ai  sensi  del
quale  «Agli  atti  funzionali  al  promovimento   del   procedimento
disciplinare si applica l'art. 8, comma 2,  della  legge  10  ottobre
1990, n. 287». 
    L'art. 8, comma 2, prevede a sua volta: «Le disposizioni  di  cui
ai precedenti  articoli  non  si  applicano  alle  imprese  che,  per
disposizioni di legge, esercitano la gestione di servizi di interesse
economico generale ovvero operano in regime di monopolio sul mercato,
per  tutto  quanto  strettamente   connesso   all'adempimento   degli
specifici compiti loro affidati». 
    Rispetto a tale novita' normativa, nella CRI  e'  stato  rilevato
che la norma, in quanto sopravvenuta, non sarebbe applicabile ratione
temporis alla quasi totalita' delle condotte oggetto di accertamento. 
    La CRI ha evidenziato che, in ogni  caso,  l'art.  93-ter,  comma
1-bis, legge n. 89 del 1913, nella parte in cui  richiama  l'art.  8,
comma 2, legge n. 287/1990, deve essere necessariamente  interpretato
in senso costituzionalmente e comunitariamente orientato,  ovvero  in
maniera conforme alle norme e ai principi comunitari  in  materia  di
concorrenza, per effetto sia dell'art. 1, comma 4, della legge n. 287
del 1990, sia dell'art. 117, comma 1, della Costituzione. 
    Nella CRI e' stato quindi richiamato  l'art.  106,  par.  2,  del
Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, il quale, secondo  la
costante interpretazione della Corte  di  giustizia  europea,  limita
l'applicazione  delle  norme  antitrust  alle  condotte  di   imprese
incaricate  dalla  legge  della  gestione  di  servizi  di  interesse
economico generale solo in via eccezionale e una  volta  superato  il
test  di  proporzionalita'  (Corte  di  giustizia,  causa   C-127/73,
BRT/SABAM,  Racc.  1974,  pag.  25,  e  Tribunale,  causa   T-128/98,
Aeroports de Paris, Racc. II-2000, pag.  290).  Ne  viene  tratta  la
conseguenza che, per il tramite della deroga di cui all'art. 8, comma
2 - letto conformemente all'art. 106, par.  2  -,  non  e'  possibile
sottrarre in via generale e astratta un intero segmento di  attivita'
dall'ambito di applicazione delle norme antitrust. 
    Sul punto, nella CRI si conclude che, ove mai fosse  seguita  una
interpretazione e/o applicazione dell'art. 93-ter, comma 1-bis, legge
n. 89 del 1913, che richiama l'art. 8, comma 2, della  legge  n.  287
del 1990, difforme da quella  costituzionalmente  e  comunitariamente
orientata appena illustrata, l'Autorita' garante della concorrenza  e
del mercato sarebbe tenuta alla sua disapplicazione per  contrarieta'
ai principi  di  cui  agli  articoli  101  e  106  del  Trattato  sul
funzionamento dell'Unione europea letti  congiuntamente  all'art.  4,
par. 3 del Trattato sull'Unione europea e al  protocollo  n.  27  del
Trattato sull'Unione europea sul mercato interno e la concorrenza (ex
art. 3, lettera f), TCE). 
    A seguito del  ricevimento  della  CRI,  il  CNM  (nella  propria
memoria finale e nel corso dell'audizione dinanzi al Collegio) non ha
condiviso l'interpretazione  della  norma  prospettata  dagli  Uffici
istruttori ed ha, anzi, fatto leva sulla disposizione in esame  (come
interpretata dalla Corte di appello di Milano, su cui v.  infra)  per
porre   la   questione   preliminare    dell'asserita    incompetenza
dell'Autorita' a giudicare le condotte oggetto di istruttoria. 
    In particolare, il Consiglio ha sottolineato che l'esercizio  del
potere-dovere di vigilanza  disciplinare  e'  funzione  pubblicistica
sottratta all'applicazione della normativa antitrust e  al  sindacato
dell'Autorita', ritenendo che l'art. 93-ter, comma 1-bis, legge n. 89
del 1913, sia applicabile al caso di specie in virtu'  del  principio
tempus regit actum, in quanto norma entrata in vigore ad  istruttoria
in corso. In ogni caso, ad avviso del CNM, la norma in questione  non
farebbe  che  codificare  un  principio  immanente  nell'ordinamento,
affermato in una sentenza della Cassazione (Cassazione  civile,  sez.
II, 5 maggio 2016, n. 9041), secondo cui il  Consiglio  notarile  che
assume l'iniziativa del procedimento disciplinare, affidatagli  dalla
legge  notarile,  esercita  la  gestione  di  servizi  di   interesse
economico generale ed e'  percio'  esente  dall'applicabilita'  delle
norme antitrust, ai sensi dell'art. 8, comma  2,  legge  n.  287  del
1990. 
    A tal fine, il CNM ha prodotto copia di un'ordinanza della  Corte
d'appello di Milano, sez. I, del 6 aprile 2018 (avente ad oggetto uno
dei procedimenti disciplinari condotti avverso il  notaio  segnalante
Paolo De Martinis), la quale, nel riprendere la citata sentenza della
Cassazione del 2016, espressamente aggiunge che  le  norme  antitrust
«devono ritenersi inapplicabili agli organi del  Consiglio  notarile,
che,  quando  esercitano  la  funzione  disciplinare,  non   regolano
l'attivita' economica  svolta  dai  notai  nell'offrire  servizi  sul
mercato, ma, con prerogative tipiche dei pubblici poteri,  adempiono,
in  sostanza,  a  una  funzione  sociale  fondata  sul  principio  di
solidarieta' (...)». Rispetto al  nuovo  art.  93-ter,  comma  1-bis,
legge  n.  89  del  1913,   l'ordinanza   prosegue   affermando   che
«l'esenzione dall'applicazione diretta delle regole antitrust  e  dal
potere di intervento sanzionatorio  dell'AGCM  concerne  proprio  gli
atti funzionali al promovimento del  procedimento  disciplinare»,  in
quanto i Consigli notarili distrettuali, «limitatamente all'esercizio
della vigilanza, (...) non regolano i servizi offerti dai  notai  sul
mercato, ma esercitano prerogative tipiche  dei  pubblici  poteri.  A
bene vedere, quindi,  con  la  modifica  normativa  in  commento,  il
legislatore ha inteso emanare una norma di interpretazione  autentica
di una previsione gia' vigente» (cfr. DOC282, all. 2.  del  fascicolo
istruttorio). 
    L'interpretazione della norma sposata dalla Corte di  appello  di
Milano  e'  quella  gia'  ampiamente  diffusa  presso  la   categoria
notarile, come risulta ad  esempio  nella  premessa  della  Relazione
annuale del CNM per il 2017 (cfr. DOC284, all. 12, e DOC286, all.  1,
fascicolo istruttorio) e nella giornata  di  studio  del  19  gennaio
2018,  organizzata  dalla  Fondazione  italiana  del   notariato   in
collaborazione  con  il  CNM  (cfr.   DOC284,   all.   7,   fascicolo
istruttorio). 
    Il profilo relativo all'interpretazione dell'art.  93-ter,  comma
1-bis, legge n. 89 del 1913, e' stato  affrontato  anche  dal  notaio
Riccardo  Genghini  ammesso  a  partecipare  al   procedimento   che,
nell'esprimere condivisione dell'interpretazione contenuta nella CRI,
ha  prodotto  un  parere  pro  veritate  «sulla   portata   e   sulla
legittimita' costituzionale ed europea» della norma in questione. 
    In tale parere, si evidenzia, tra l'altro, che la citata sentenza
della Corte di cassazione del 2016 si riferirebbe  ad  una  specifica
iniziativa disciplinare  del  Consiglio  notarile.  Diversamente,  la
modifica  legislativa  apportata  alla  legge  notarile  verrebbe  ad
estendere la  sfera  degli  atti  esenti  non  a  singole  iniziative
disciplinari in  quanto  tali,  ma  anche  ad  atti  diversi  purche'
ritenuti  dai  Consigli  funzionali  al  promovimento  delle  proprie
iniziative disciplinari. Secondo quanto riportato  nel  parere,  tale
estensione, oltre ad essere ultronea rispetto al principio di diritto
affermato dalla Cassazione, rischierebbe di ampliare senza  limiti  e
al di fuori di ogni logica  l'ambito  delle  attivita'  dei  Consigli
ritenute esenti («potendosi facilmente intendere in senso  estensivo,
senza   reali   limiti,   il   concetto    di    "atti    funzionali"
all'instaurazione  del  procedimento  disciplinare»).  Una   siffatta
interpretazione estensiva sarebbe  in  contrasto  con  le  norme  del
diritto  dell'Unione  (art.  101  e  art.  106   del   Trattato   sul
funzionamento dell'Unione  europea)  e,  oltre  che  suscettibile  di
essere  disapplicata   dall'Autorita',   presenterebbe   profili   di
illegittimita' incostituzionale con particolare riferimento  all'art.
117, comma 1, della Costituzione. 
    A fronte dell'interpretazione della norma proposta dal  CNM,  che
fa altresi' leva, da ultimo, sulla citata ordinanza  della  Corte  di
appello di Milano del 6 aprile 2018, nel corso dell'audizione dinanzi
al Collegio gli Uffici istruttori dell'Autorita' hanno  rappresentato
che: «a seguire l'impostazione data dal CNM, la  norma  debba  essere
disapplicata, ai fini e per gli  effetti  del  caso  di  specie,  per
contrarieta' alle norme qui citate (cfr. ante), e che  essa  potrebbe
porre profili di incostituzionalita'». 
    A conclusione di tale audizione, il Presidente dell'Autorita'  ha
chiesto al CNM «di precisare se intenda o meno confermare, alla  luce
di quanto emerso nel  corso  della  presente  audizione,  la  lettura
dell'art. 93-ter, comma 1-bis, della legge notarile, secondo cui tale
norma  precluderebbe  ogni  sindacato  dell'Autorita'  nel  caso   di
specie». Il CNM ha risposto in senso affermativo, ribadendo di  voler
invocare «a copertura della condotta  cosi'  come  individuata  nella
CRI, la previsione dell'art. 93-ter, comma 1-bis,  legge  n.  89  del
1913 e il corrispondente orientamento della Corte di cassazione. Tale
norma, tale  orientamento  e  il  relativo  principio  proprio  della
Repubblica italiana sono infatti pienamente vigenti e sono oltretutto
perfettamente  compatibili  con   l'art.   106   del   Trattato   sul
funzionamento dell'Unione europea». 
 
                               Diritto 
 
    Il Collegio, in via preliminare,  si  e'  lungamente  interrogato
sulla propria legittimazione a sollevare questione di legittimita' in
via  incidentale.  E,  all'esito  della  disamina  della   pertinente
giurisprudenza costituzionale, ha concluso in  senso  positivo;  cio'
sulla scorta di diverse considerazioni. 
    Come noto, ai sensi dell'art. 1 della legge costituzionale  n.  1
del 1948 e dell'art. 23 della legge n. 87  del  1953,  i  presupposti
perche'   possa   essere   sollevata   questione   di    legittimita'
costituzionale sono che la stessa venga  formulata  da  un  «giudice»
nell'ambito di un «giudizio». 
    Le suddette condizioni previste dalle citate  leggi  sono  state,
sin dalle prime  pronunce  della  Corte  (sentenza  n.  4  del  1956;
sentenza n. 129/1957 e molte altre dello stesso segno),  interpretate
in senso estensivo, non limitando, dunque, la figura del «giudice» ai
soli titolari degli organi  di  giurisdizione  ordinaria  e  speciale
(Corte costituzionale, sentenza n. 114/1970 sul  Consiglio  nazionale
forense; sentenza n. 244 del 1995 - sulla Corte dei conti in sede  di
controllo; sentenza n. 52 del 1998 - sul Consiglio della magistratura
militare; sentenza n. 345 del 1995  -  sul  Consiglio  nazionale  dei
chimici; sentenza n. 26 del 1990 - sul Consiglio nazionale dei periti
industriali; sentenza n. 51 del 2001 - sul Console), ne'  richiedendo
che il «giudizio» fosse solo quello svolto davanti ai suddetti organi
(Corte costituzionale, sentenza  n.  12  del  1971  -  relativa  alla
Sezione disciplinare del CSM; sentenza n. 78 del 1961 -  relativa  al
Commissario liquidatore degli usi civici; sentenza n. 376 del 2001  -
relativa Collegio arbitrale). 
    I presupposti per poter sollevare la  questione  di  legittimita'
costituzionale sono stati, dunque, individuati nella  necessita'  che
il sindacato «non abbia a esplicarsi in astratto, ma in  relazione  a
concrete situazioni di fatto, alle quali siano da applicare norme  di
dubbia costituzionalita'», da parte di organi che  «sebbene  estranei
alla organizzazione della giurisdizione» siano investiti di «funzioni
giudicanti  per  l'obiettiva  applicazione  della  legge»  e   «siano
all'uopo posti in  posizione  super  partes»  (Corte  costituzionale,
sentenza n. 226 del 1976 e sentenza n. 83 del 1966). 
    La ratio  di  fondo  che  informa  l'indirizzo  giurisprudenziale
appena ricordato, nella medesima decisione appena  citata,  e'  stata
individuata nella «esigenza di ammettere  al  sindacato  della  Corte
costituzionale leggi che,  come  nella  fattispecie  in  esame,  piu'
difficilmente verrebbero, per altra via, ad essa  sottoposte»  (Corte
costituzionale, sentenza n. 226 del  1976  cit.,  cui  adde,  tra  le
altre, sentenza n. 406 del 1989 e sentenza n. 384 del 1991). 
    Se queste sono le coordinate rispetto alle  quali  verificare  la
legittimazione del Collegio dell'Autorita' garante della  concorrenza
e del mercato a sollevare questione di  legittimita'  costituzionale,
ne deriva che lo  stesso  puo'  essere  ricondotto  nell'alveo  degli
organi   legittimati   a   sottoporre   alla   Corte   i   dubbi   di
costituzionalita' sulle norme che e'  tenuto  ad  applicare;  e  cio'
anche a voler  ritenere  preferibile  l'indirizzo  secondo  il  quale
l'elemento soggettivo («il  giudice»)  e  l'elemento  oggettivo  («il
giudizio») devono ricorrere cumulativamente. 
    Sotto il profilo soggettivo, la  composizione  dell'Autorita'  e'
tale da porla in una posizione  di  indipendenza  e  di  neutralita',
sottraendola a qualsiasi condizionamento «esterno» sia da parte degli
organi di indirizzo politico, sia da parte di terzi. 
    In primo luogo, le procedure  di  nomina  del  Presidente  e  dei
componenti  il  Collegio  dell'Autorita'  sono  tali   da   sottrarre
l'istituzione a qualsiasi condizionamento e  controllo,  collocandola
al di  fuori  del  rapporto  di  subordinazione  gerarchica  e  della
potesta' direttiva del potere politico. Sul punto,  l'art.  10  della
legge  n.  287  del  1990  prevede,   infatti,   che   i   componenti
dell'Autorita' sono nominati d'intesa dai Presidenti della Camera dei
deputati e  del  Senato  della  Repubblica  tra  persone  di  notoria
indipendenza e  professionalita'.  E  cio'  diversamente  rispetto  a
quanto disposto per altre autorita' indipendenti i  cui  membri  sono
tutti o in parte di  nomina  governativa  (Consob,  Arera  e  Agcom),
sebbene sia  prevista  la  richiesta  del  parere  della  commissioni
parlamentari competenti. 
    La durata del mandato (limitata a sette anni e non  rinnovabile),
l'inamovibilita' e il regime di  incompatibilita'  costituiscono,  in
secondo luogo, elementi importanti ai fini dell'indipendenza e  della
terzieta'  dell'Autorita'.  La  durata  limitata  e  non  rinnovabile
dell'incarico  impedisce   eventuali   comportamenti   opportunistici
finalizzati ad ottenere una nuova  nomina,  operando  prevalentemente
nei confronti dei condizionamenti esercitabili dal  potere  politico.
Il  regime  di   incompatibilita'   garantisce   che   i   componenti
dell'Autorita',  nell'esercizio  del  proprio  mandato,   non   siano
portatori di interessi diversi rispetto a quello che sono chiamati  a
tutelare. 
    Sicche' la particolare e qualificata indipendenza  dell'Autorita'
depone, senz'altro,  per  la  sua  assimilabilita'  ai  soggetti  che
svolgono funzioni giurisdizionali, e per i  quali  l'art.  104  della
Costituzione,  in   combinato   disposto   con   l'art.   101   della
Costituzione,   prevede   l'inamovibilita',   assicurando   la   loro
soggezione  solo  alla  legge   e   l'autonomia   dell'organizzazione
giurisdizionale nel suo complesso. 
    Va, ancora, evidenziato che l'Autorita' garante della concorrenza
e del mercato e' un'autorita' amministrativa indipendente  rientrante
nel genus delle autorita' di garanzia, che svolge funzioni analoghe a
quelle giurisdizionali, consistenti  nella  riconduzione  di  atti  e
fatti nell'ambito delle fattispecie  astratte  previste  dalla  legge
antitrust, con esclusione di qualsiasi apprezzamento che non  sia  di
ordine strettamente giuridico, come  richiesto  dalla  giurisprudenza
della Corte a partire dalla gia' citata sentenza n. 226 del 1976,  in
cui si e' ritenuto che la  Corte  dei  conti  in  sede  di  controllo
preventivo di legittimita' presenta i requisiti previsti dall'art.  1
della legge n. 1 del 1948 e 23 della legge n. 87 del 1953, nonostante
si  tratti   di   un   organo   estraneo   all'organizzazione   della
giurisdizione ed  istituzionalmente  adibito  a  compiti  di  diversa
natura. Cio' in quanto la Corte dei conti, in  quella  veste,  svolge
una funzione assimilabile a  quella  giurisdizionale,  piuttosto  che
alla funzione amministrativa (Corte costituzionale,  sentenza  n.  83
del 1966). 
    In tal senso, si deve osservare che nell'esercizio della funzione
di tutela della concorrenza, che  rappresenta  il  nucleo  principale
della sua  attivita',  l'Autorita'  non  sceglie  (pondera)  tra  una
pluralita' di interessi  concorrenti  (a  differenza  della  pubblica
amministrazione in senso classico che, pur  in  modo  imparziale,  e'
tenuta a bilanciare contrapposti interessi pubblici e privati), ma si
limita, al pari  di  un  giudice,  ad  applicare  la  legge  al  caso
concreto. L'agire dell'Autorita' non e', infatti,  caratterizzato  da
profili di vera e propria discrezionalita' amministrativa,  potendosi
al piu' ravvisare una discrezionalita'  di  tipo  tecnico,  derivante
dall'applicazione di regole tecniche di natura economica. 
    Tale funzione ha, inoltre, rilevanza costituzionale,  considerata
la  centralita'   della   disciplina   concorrenziale   nel   sistema
costituzionale,  in  cui  la  libera  concorrenza   e   il   corretto
funzionamento del mercato sono considerati  valori  riconducibili  ai
principi sanciti dall'art. 41 della Costituzione (Consiglio di Stato,
16 marzo 2006, n. 1397, Test diagnostici per diabetici). 
    Si deve  poi  rilevare  che,  a  differenza  di  altre  Autorita'
indipendenti,  l'Autorita'  antitrust  non  regola  e  controlla  uno
specifico settore economico ne' persegue fini  ulteriori  rispetto  a
quello generale di tutela della concorrenza. Tant'e' che, per evitare
possibili commistioni tra interessi diversi, l'art. 20 della legge n.
287 del 1990  e'  stato  modificato  e  la  funzione  di  enforcement
antitrust, che nel  settore  delle  comunicazioni  e  in  quello  del
credito  era  stata  originariamente  attribuita  alle  Autorita'  di
regolazione (allora,  erano  il  Garante  per  la  radiodiffusione  e
l'editoria, cui e' poi subentrata l'Autorita' per le  garanzie  nelle
comunicazioni,   e   la   Banca   d'Italia),   sentito   il    parere
dell'Autorita', e' stata affidata a quest'ultima. 
    Proprio perche' svolge  una  funzione  di  garanzia,  l'Autorita'
garante della concorrenza e del  mercato  ha,  dunque,  un  grado  di
indipendenza, pari alla terzieta' che deve avere un  giudice;  mentre
lo stesso livello di indipendenza non e' rinvenibile con  riferimento
alle autorita' di  regolazione.  A  dimostrazione  di  quanto  appena
affermato depone la circostanza che le funzioni in materia  antitrust
potrebbero, in linea teorica, essere esercitate  anche  dal  giudice;
la' dove, invece, i poteri di regolazione non potrebbero  mai  essere
attribuiti ad organismi giurisdizionali. 
    Un ulteriore elemento  a  favore  del  carattere  giurisdizionale
delle  funzioni  svolte  in  materia  di  concorrenza  e'  costituito
dall'ampio  spazio   che   nel   corso   dei   procedimenti   davanti
all'Autorita' viene dato ai  principi  del  contraddittorio  e  della
parita' delle armi, di chiara derivazione processuale. 
    In  tali  procedimenti,  oltre  al  diritto  al   contraddittorio
documentale, e' riconosciuto  anche  un  diritto  al  contraddittorio
orale, che puo' essere esercitato sia all'inizio dell'istruttoria che
immediatamente prima della conclusione della stessa. L'art. 14, legge
n. 287 del 1990, in funzione di  garanzia  del  pieno  esercizio  del
diritto di difesa, attribuisce, infatti, alle  imprese  e  agli  enti
interessati la facolta' di chiedere  l'audizione  finale  dinanzi  al
Collegio. 
    Piu' in particolare, al  fine  di  garantire  un  contraddittorio
ampio e qualificato e di assicurare la piena parita' delle  armi  tra
accusa e difesa, nel corso  del  procedimento  volto  all'irrogazione
della sanzione non solo e' previsto un esteso accesso ai documenti  e
al fascicolo della «accusa», ma l'autorita' inquirente  (gli  uffici)
comunica alla «difesa» (cioe' a colui che e' sottoposto  a  procedura
sanzionatoria) tutte le prove a  carico  e  a  discarico  (attraverso
l'invio   della   Comunicazione   delle   risultanze    istruttorie),
sollecitando sulle stesse il contraddittorio in un'audizione  davanti
all'organo decidente (il Collegio). 
    La  comunicazione   alle   parti   dell'atto   in   cui   vengono
cristallizzati gli addebiti mossi  nei  loro  confronti,  nonche'  la
possibilita' ad essi  riconosciuta  di  difendersi  rispetto  a  tale
documento  nel  corso  di  un'audizione  orale,  sono   elementi   di
particolare rilievo poiche', mettendo il Collegio nella condizione di
decidere in maniera equa e ragionevole sulla base  delle  conclusioni
scritte e orali delle parti e degli  altri  documenti  contenuti  nel
fascicolo, rendono il procedimento antitrust rispettoso dei requisiti
prescritti dall'art. 6 della Convenzione europea per la  salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. 
    Sul punto e' utile ricordare, a  contrario,  che  e'  proprio  la
mancanza di tali elementi che ha indotto la Corte europea dei diritti
dell'uomo a ritenere che il  procedimento  dinanzi  alla  Consob  non
soddisfacesse  tutte  le  esigenze  dell'art.  6  della  Convenzione,
soprattutto per quanto riguarda la parita' delle armi  tra  accusa  e
difesa  e  il  mancato  svolgimento  di  una  udienza  pubblica   che
permettesse un confronto  orale  (cfr.,  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo, Seconda sezione,  causa  Grande  Stevens  e  altri  contro
Italia, sentenza 4 marzo 2014). 
    Inoltre, in base  all'art.  15  della  legge  n.  287  del  1990,
l'Autorita',  analogamente  al  giudice  ordinario,   puo'   disporre
l'inibitoria di  alcuni  comportamenti,  intimando  alle  imprese  di
cessare  l'infrazione,  e  condannare  i  soggetti  al  pagamento  di
sanzioni pecuniarie; il tutto con decisione che, ove  non  impugnata,
e' suscettibile di produrre effetti analoghi a quelli del giudicato. 
    Sussiste altresi' un'adeguata  separazione  tra  gli  uffici  che
svolgono   l'attivita'   istruttoria   e   di   formulazione    delle
contestazioni e l'organo competente  ad  assumere  le  decisioni  (il
Collegio). Secondo il regolamento  di  organizzazione,  infatti,  gli
uffici, cui spetta l'istruttoria dei casi  e  la  formulazione  delle
ipotesi accusatorie o assolutorie, non dipendono dal Collegio, ma dal
Segretario generale che sovrintende al loro funzionamento. 
    Tale separazione non e' solo organizzativa, incidendo anche sulle
funzioni esercitate: gli uffici istruttori effettuano le indagini,  i
cui risultati sono illustrati nella  Comunicazione  delle  risultanze
istruttorie,  atto   degli   uffici   notificato   alle   parti   del
procedimento, sul quale queste ultime possono difendersi sia in forma
scritta, attraverso  la  presentazione  di  memorie,  sia  nel  corso
dell'audizione orale davanti al Collegio, in contraddittorio con  gli
uffici istruttori stessi. Spetta, invece, unicamente al  Collegio  il
potere di decidere sull'esistenza di un illecito  e  sull'irrogazione
delle eventuali sanzioni; decisione  che  il  Collegio  assume  senza
essere «vincolato» alla proposta degli uffici, dopo aver  sentito  le
difese delle parti  nel  corso  di  apposite  audizioni  e  avendo  a
disposizione  tutti  gli   elementi   documentali   agli   atti   del
procedimento. In tal senso,  va  osservato  che  sulla  Comunicazione
delle  risultanze  istruttorie  degli  uffici  il  Collegio   esprime
unicamente una valutazione di non manifesta infondatezza  nella  fase
di invio alle parti, restando  libero  di  modificare,  rigettare  ma
anche di recepire integralmente le proposte in essa formulate. 
    L'unico vincolo che l'Autorita' incontra, a garanzia del  diritto
di  difesa  delle  parti,  riguarda  l'impossibilita'  di  introdurre
modifiche rispetto alla Comunicazione  delle  risultanze  istruttorie
comportanti un «mutamento della natura  intrinseca  della  violazione
accertata   rispetto    a    quella    contestata,    con    modifica
dell'imputazione», e di contestare nuove ed ulteriori infrazioni. 
    Nulla impedisce, invece, che l'Autorita',  «restando  all'interno
della cornice fattuale  degli  addebiti  mossi  alle  imprese  (...),
pervenga ad una definizione giuridica dei fatti contestati diversa da
quella   iniziale,    ovvero    ad    una    diversa    ricostruzione
giuridico-formale della fattispecie», non  rivenendosi  in  tal  caso
alcuna violazione  del  principio  dell'immodificabilita'  dei  fatti
(cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 17 gennaio 2008,  n.  102,  Prezzi
del latte per l'infanzia; 29 settembre 2009,  n.  5864,  Mercato  del
calcestruzzo). 
    Tale separazione si e' tradotta, in  concreto,  nell'adozione  di
diverse decisioni in cui il Collegio non  ha  condiviso  le  proposte
formulate  dagli  uffici   nella   Comunicazione   delle   risultanze
istruttorie procedendo: 
        a) in alcuni casi, a qualificare come non grave la violazione
delle disposizioni antitrust (caso I710 Usi in materia di  mediazione
mobiliare, provvedimento n. 26285 del 15  dicembre  2016;  caso  I794
Abi/SEDA, provvedimento n. 26565 del 28 aprile 2017); 
        b) in un altro caso, a ritenere che  fossero  venuti  meno  i
presupposti di intervento (I791 Mercato del noleggio veicoli a  lungo
termine, provvedimento n. 26519 del 30 marzo 2017); 
        c) in un altro ancora, a sospendere l'audizione  finale  e  a
disporre che gli uffici precisassero  le  contestazioni  mosse  nella
Comunicazione delle risultanze istruttorie,  trasmettendo  nuovamente
tale atto alle parti (caso  A480  Incremento  prezzi  farmaci  Aspen,
provvedimento n. 25866 del 9 febbraio 2016). 
    In conclusione, la funzione esercitata  dall'Autorita'  antitrust
in sede di applicazione della  legge  n.  287  del  1990  presenta  i
connotati  necessari  per   essere   assimilata   ad   una   funzione
giurisdizionale, traducendosi in un'attivita' volta esclusivamente  a
garantire, in una posizione di neutralita'  e  di  imparzialita',  la
riconducibilita'  delle  condotte  delle  imprese  nell'ambito  della
legge, al solo fine di tutelare un diritto  oggettivo  (quello  della
concorrenza) avente rilevanza generale. 
    Ne puo' valere in senso contrario la circostanza  che  l'atto  di
avvio  del  procedimento  istruttorio  e'  deliberato  dal  Collegio,
poiche' la  legittimazione  a  sollevare  eccezioni  di  legittimita'
costituzionale e' stata riconosciuta, nell'ordinamento  ante  riforma
del 1989, al pretore, che esercita i poteri del pubblico ministero in
fase istruttoria e quelli del giudice  di  cognizione  nell'emissione
del provvedimento (decreto penale di  condanna).  Secondo  la  Corte,
infatti,  cio'  che  rileva  a  tal  fine  e'  che  la  questione  di
legittimita' costituzionale venga  pronunciata  nell'esercizio  della
funzione  giurisdizionale,  ossia  in  vista  della  definizione  del
giudizio (sentenza n.  1  del  1970  e  sentenza  n.  85  del  1969).
Situazione quest'ultima che ricorre senz'altro nel caso del  Collegio
dell'Autorita', che ha pronunciato  l'ordinanza  di  rinvio  in  sede
decisoria, essendo pervenuto alla determinazione che la questione  di
legittimita' costituzionale e' rilevante ai  fini  della  definizione
del giudizio davanti ad esso pendente. 
    Vi e',  peraltro,  un'ulteriore  e  decisiva  considerazione  che
milita in favore della soluzione sin qui argomentata, vale a dire  la
circostanza che, ove questo  Collegio  non  dovesse  essere  ritenuto
legittimato a sollevare la  questione  di  costituzionalita',  talune
leggi, come nella presente ipotesi, verrebbero a essere  escluse  dal
possibile sindacato della Corte. 
    In effetti, nel caso di specie rilevano una serie di elementi che
mostrano come l'accesso al sindacato della Corte  sarebbe  reso  poco
agevole, ponendosi  la  necessita'  di  arricchire  i  meccanismi  di
introduzione delle questioni di legittimita' costituzionale (cfr.  la
gia' citata sentenza n. 384 del 1991 - sulla Corte dei conti in  sede
di controllo preventivo di legittimita'). 
    A tal fine  e'  necessario  soffermarsi  brevemente  sull'analisi
della condotta oggetto di contestazione e ripercorre  le  varie  fasi
del procedimento. 
    Quanto al primo profilo, nell'ambito  del  procedimento  pendente
davanti all'Autorita', la  condotta,  su  cui  verte  l'accertamento,
consiste - come si e' gia' evidenziato -  nell'utilizzo  strumentale,
da parte del Consiglio notarile  di  Milano,  di  atti  asseritamente
prodromici  all'esercizio  della  funzione  di  vigilanza,   la   cui
finalita' reale sarebbe, invece, quella  di  impedire  ai  notai  del
distretto  di  Milano,  Lodi,  Monza,  Busto  Arsizio  e  Varese  (in
particolare, a quelli piu'  performanti)  l'acquisizione  di  elevate
quantita' di lavoro - ricorrendo alla leva  prezzo  e/o  a  modalita'
innovative di offerta -  con  l'intento  di  riportare  le  posizioni
economiche dei singoli notai in linea con la media del distretto,  in
violazione dell'art. 2 della legge n. 287 del 1990. 
    Dopo l'avvio dell'istruttoria, avvenuto in data 11 gennaio 2017 e
nelle more dell'adozione della decisione finale,  il  legislatore  ha
adottato l'art. 93-ter, comma 1-bis, legge n. 89 del 1913, introdotto
con la legge  n.  205  del  2017,  ai  sensi  del  quale  «Agli  atti
funzionali al promovimento del procedimento disciplinare  si  applica
l'art. 8, comma 2, della legge 10 ottobre 1990, n. 287». 
    Questa norma e l'interpretazione che di essa e'  stata  sostenuta
dal Consiglio notarile di Milano con l'avallo della Corte di  appello
di Milano (ordinanza  del  6  aprile  2018),  mettono  in  dubbio  la
competenza dell'Autorita' ad occuparsi della questione, escludendo ex
ante  e  in  assenza  di  qualsiasi  valutazione  circa  la  concreta
finalita' perseguita dal Consiglio  notarile  l'applicabilita'  delle
disposizioni in materia  di  tutela  della  concorrenza.  Sicche'  in
presenza di atti funzionali all'esercizio dell'attivita' di vigilanza
sarebbe impossibile per l'Autorita' intervenire a verificare se  tali
atti esorbitino o meno rispetto alla finalita' dichiarata. 
    L'Autorita' sarebbe, dunque, costretta - in virtu' della norma in
questione e dell'interpretazione che della stessa e' stata data dalla
Corte d'appello di Milano e dal Consiglio  notarile  di  Milano  -  a
chiudere  il  procedimento   dichiarando   l'inapplicabilita'   delle
disposizioni della legge n. 287 del 1990 e la  propria  incompetenza.
Tutto cio'  avrebbe  come  effetto  quello  di  rendere  estremamente
difficile l'accesso al sindacato della  Corte:  infatti,  ove  questo
Collegio non fosse ritenuto legittimato a sollevare la  questione  di
legittimita' costituzionale di norme come  quella  in  esame  -  che,
peraltro, in modo del tutto irragionevole (cfr.  infra),  si  risolve
nel precludere l'intervento da parte dell'Autorita'  in  applicazione
della  normativa  antitrust  -,  la  possibilita'  di  sottoporre  la
suddetta previsione al sindacato di costituzionalita' sarebbe rimessa
solo   alla   eventuale   iniziativa   giurisdizionale,   del   tutto
discrezionale, del soggetto privato segnalante,  peraltro  parte  non
necessaria del procedimento. Il che costituisce ulteriore ragione per
ritenere questo Collegio legittimato  a  sollevare  la  questione  di
costituzionalita' in considerazione della «esigenza di  ammettere  al
sindacato della Corte costituzionale leggi che... piu'  difficilmente
verrebbero, per altra via, ad essa sottoposte» (Corte costituzionale,
sentenza n. 181/2015),  al  fine  di  evitare  l'esistenza  di  «zone
franche» dal controllo di costituzionalita' nell'ordinamento. 
    Di qui la legittimazione  dell'Autorita'  a  sollevare  questione
incidentale di legittimita'  costituzionale  dovendosi  ritenere  che
tale questione sia sollevata da un organo assimilabile ad un  giudice
nel  corso  di  un  procedimento  di  carattere  giurisdizionale,  ai
limitati fini dell'art. 1 della legge costituzionale n. 1 del 1948  e
dell'art. 3  della  legge  n.  87  del  1953  (Corte  costituzionale,
sentenze n. 181/2015 e n. 226/1976 cit.). 
    Cosi' sciolta la  questione  della  legittimazione  del  Collegio
dell'Autorita' a porre questioni di legittimita' dinanzi  alla  Corte
costituzionale, occorre trattare i profili della  rilevanza  e  della
non manifesta infondatezza della questione in  esame  ai  fini  della
definizione del caso di specie. 
    In  via  preliminare,   si   rileva   che   secondo   consolidata
giurisprudenza nazionale  e  comunitaria  sono  soggette  al  diritto
antitrust anche le professioni regolamentate. Neppure le  prestazioni
notarili  si   sottraggono   all'applicazione   del   diritto   della
concorrenza; come recentemente sottolineato dalla Corte di  Giustizia
(Corte di Giustizia, Grande sezione, 24 maggio 2011,  causa  C-47/08,
Commissione v. Belgio e altri, Racc. I-2011, pag. 334), il  fatto  di
perseguire  obiettivi  di  interesse  generale  nell'esercizio  della
propria attivita' non e' prerogativa della sola professione notarile,
ma e' propria di numerose attivita'  svolte  nell'ambito  di  diverse
professioni  regolamentate.  Anche  la   Corte   di   cassazione   ha
chiaramente affermato che «(...) i  notai,  "nei  limiti  delle  loro
rispettive competenze territoriali", esercitano la  loro  professione
"in condizioni di concorrenza"; e la  circostanza  che  le  attivita'
notarili perseguano  obiettivi  di  interesse  generale,  miranti  in
particolare a garantire la legalita' e la certezza del diritto  degli
atti conclusi tra privati,  non  e'  sufficiente  a  far  considerare
quelle  attivita'  come  una  forma  di  "partecipazione  diretta   e
specifica all'esercizio dei  pubblici  poteri"»  (Cassazione  civile,
sez. II, 14 febbraio 2013, sentenza n. 3715 nonche' in senso conforme
Cassazione civile, sez. II, 17  aprile  2013,  sentenza  n.  9358;  e
Cassazione civile, sez. II, 24 aprile 2013, sentenza n. 10042). 
    Altrettanto pacifico risulta che i Consigli notarili,  in  quanto
enti rappresentativi di imprese  che  offrono  sul  mercato  in  modo
indipendente e stabile i propri servizi professionali,  costituiscono
associazioni di imprese ai sensi dell'art. 2, comma 1, della legge n.
287 del 1990. Piu' precisamente, i Consigli notarili sono  organi  di
regolamentazione di una  professione  il  cui  esercizio  costituisce
un'attivita' economica e in  tale  veste  sono  nelle  condizioni  di
«regolare e orientare l'attivita' degli iscritti  nell'offerta  delle
proprie prestazioni professionali incidendo sugli  aspetti  economici
della medesima» (Corte di giustizia, 18 luglio 2013, causa  C-136/12,
Consiglio nazionale dei geologi/Autorita' garante della concorrenza e
del  mercato,  nonche'  Tribunale  amministrativo  regionale   Lazio,
sentenza n. 1757 del 2011). 
    I fatti sopra descritti evidenziano come a  seguito  dell'entrata
in vigore dell'art. 93-ter, comma 1-bis, legge n. 89  del  1913,  che
richiama l'art. 8, comma 2, legge n. 287 del 1990, si sia  creato  un
contesto di incertezza in ordine alla  competenza  dell'Autorita'  ad
esercitare i poteri di  cui  alla  legge  n.  287  del  1990  avverso
condotte dei Consigli notarili  che,  benche'  adottate  nel  formale
contesto dell'attivita' di vigilanza, non ne condividono le finalita'
di tutela di interessi pubblici  e  che,  in  quanto  incidono  sulle
attivita' economiche dei notai,  sono  suscettibili  di  rilevare  ai
sensi di tale legge. 
    Tale  incertezza   investe,   in   particolare,   la   competenza
dell'Autorita' a decidere del caso di specie. 
    Infatti, nel corso dell'audizione davanti  al  Collegio  il  CNM,
richiamando l'ordinanza della Corte di appello di Milano gia' citata,
ha sostenuto che, per effetto dell'art. 93-ter, comma 1-bis, legge n.
89 del 1913, che richiama l'art. 8, comma 2, della legge n.  287  del
1990 le  condotte  oggetto  di  istruttoria  sarebbero  sottratte  al
controllo antitrust non dovendosi  procedere  ad  alcuna  valutazione
circa la finalita' da esse concretamente perseguita. 
    Nel   corso   dell'audizione   finale   dinanzi    al    Collegio
dell'Autorita', sia gli Uffici istruttori che i rappresentanti di una
delle parti del procedimento,  di  fronte  all'interpretazione  della
norma  sostenuta  dal  CNM  e  dalla  citata  ordinanza  della  Corte
d'appello  di  Milano,  hanno  invocato  l'illegittimita'   dell'art.
93-ter, comma 1-bis,  legge  n.  89  del  1913  per  contrarieta'  ai
principi costituzionali. 
    La questione della legittimita' costituzionale della norma di cui
trattasi e dell'art. 8, comma 2,  legge  n.  287  del  1990  in  essa
richiamata  e'  rilevante  ai  fini  della  decisione   relativa   al
procedimento I803, in quanto dalla soluzione della stessa dipende  la
possibilita' che il Collegio dell'Autorita' eserciti i propri  poteri
decisionali sul merito della fattispecie. 
    In effetti, l'interpretazione del citato art. 93-ter e  dell'art.
8, comma 2, della legge n. 287 del 1990 della  Corte  di  appello  di
Milano e fatta  propria  dal  CNM  mette  in  discussione  la  stessa
competenza dell'Autorita' in  relazione  ad  un  intero  segmento  di
attivita'. Pertanto, rispetto al caso di specie, il Collegio  ritiene
che la questione della sussistenza o meno della  propria  competenza,
alla  luce  dell'articolato  quadro  normativo  e   giurisprudenziale
coinvolto,  debba  essere  sciolta  in  via  definitiva  dal  giudice
preposto a verificare la costituzionalita' delle leggi. 
    Il dubbio di costituzionalita'  dell'art.  93-ter,  comma  1-bis,
della legge n. 89 del 1913 e dell'art. 8, comma 2, legge n.  287  del
1990, -  nell'interpretazione  estensiva  della  Corte  d'appello  di
Milano e fatta propria dal CNM - sollevato nel  corso  dell'audizione
finale non appare manifestamente infondato in relazione ai  parametri
costituzionali di cui agli  articoli  3,  41,  117,  comma  1,  della
Costituzione. 
    In particolare, tali norme - cosi' come interpretate -  la'  dove
sottraggono un intero segmento di  attivita'  all'applicazione  delle
disposizioni della legge n. 287 del 1990,  in  assenza  di  qualsiasi
valutazione circa il carattere necessario  e  proporzionato  di  tale
deroga, appaiono in contrasto con l'art. 3  della  Costituzione,  per
violazione del principio di ragionevolezza, e  con  l'art.  41  della
Costituzione. 
    Per effetto dell'art. 93-ter, comma 1-bis, legge n. 89  del  1913
viene, infatti, sacrificato il  nucleo  essenziale  delle  regole  in
materia di concorrenza e, per tale via, della liberta' di  iniziativa
economica privata di cui all'art. 41 della  Costituzione,  senza  che
sia stato effettuato  alcun  bilanciamento  tra  principi  e  diritti
fondamentali,   secondo   criteri   di    proporzionalita'    e    di
ragionevolezza. Il legislatore ha, in  particolare,  predisposto  uno
strumento assolutamente  non  proporzionato  rispetto  alle  esigenze
obiettive da soddisfare, con il risultato di creare  un  contesto  in
cui non sussiste alcun equilibrio  tra  interessi  diversi,  ma  solo
l'inaccettabile sacrificio della  liberta'  di  iniziativa  economica
privata. 
    Cio'  assume  ancor  piu'  rilievo  la'  dove  si  consideri  che
l'Autorita'  e  la  Commissione  non  hanno  mai  contestato  in  se'
l'esercizio della funzione disciplinare dei Consigli notarili e degli
ordini  professionali  in  genere,  ma  hanno  al  contrario   sempre
applicato le regole in materia di concorrenza verificando,  caso  per
caso, se l'esercizio  di  tali  funzioni  non  avesse  esorbitato  le
proprie finalita' pubblicistiche, risultando  non  necessario  e  non
proporzionato  rispetto   al   conseguimento   delle   stesse   (cfr.
Commissione  europea,  «Relazione  sulla  concorrenza   nei   servizi
professionali», febbraio 2004,  (COM(2004)  83  def),  in  cui  viene
affermato   che   la   verifica   della   necessarieta'    e    della
proporzionalita'   delle   limitazioni    della    concorrenza    tra
professionisti  impone  che  le  restrizioni  siano   «oggettivamente
necessarie  per  raggiungere  un  obiettivo  di  interesse   generale
chiaramente articolato e legittimo e devono costituire il  meccanismo
meno  restrittivo  della  concorrenza   atto   a   raggiungere   tale
obiettivo»; si v. ex multis, Autorita' garante  della  concorrenza  e
del mercato, provvedimento n. 24275 del 13 marzo 2013,  caso  I747  -
Consiglio  notarile  di   Lucca/Controlli   sull'applicazione   della
tariffa; provvedimento n. 26625 del 30 maggio  2017  -  caso  I797  -
Consiglio notarile di Roma, Velletri e Civitavecchia/Delibera in tema
di distribuzione del lavoro nella dismissione pubblica). 
    Gli articoli 93-ter, comma 1-bis, legge n. 89 del 1913 e 8, comma
2, legge n. 287 del 1990, cosi' come letti  dal  CNM  e  dalla  Corte
d'appello  di  Milano,  sono  altresi'  contrari  all'art.  41  della
Costituzione, che tutela la liberta' di iniziativa economica privata,
della  quale  la  tutela  della  concorrenza  costituisce  una  delle
articolazioni fondamentali. 
    Tali norme,  cosi'  come  interpretate  dal  CNM  e  dalla  Corte
d'appello di Milano, precludono, infatti, l'esplicarsi della liberta'
di iniziativa economica privata, senza  che  il  sacrificio  di  tale
liberta' trovi il proprio fondamento in esigenze di utilita' sociale,
come, invece, prescritto dal comma 2 dell'art. 41 della Costituzione. 
    Le clausole  «utilita'  sociale»  e  «fini  sociali»  sono  state
interpretate dalla giurisprudenza di  codesta  Corte  nel  senso  che
esse,  pur  non  dovendo  «necessariamente  risultare  da   esplicite
dichiarazioni del legislatore» (Corte costituzionale, sentenza n.  46
del 1963), devono tuttavia essere bilanciate con la concorrenza,  non
dovendo essere «arbitrarie» e perseguite mediante misure «palesemente
incongrue» (Corte costituzionale, sentenza n. 270  del  2010  in  cui
sono richiamate sentenza n. 241 del 1990; sentenza n. 548  del  1990;
sentenza n. 386 del 1996). Nell'ambito di tale  bilanciamento  assume
rilievo anche «il carattere temporalmente limitato della  disciplina»
(Corte costituzionale, sentenza n. 94 del 2009). 
    A cio' si aggiunga che per garantire la necessaria  coerenza  con
l'ordinamento comunitario e, in particolare, con il principio che «il
mercato interno ai sensi dell'art. 3 del Trattato sull'Unione europea
comprende un sistema che assicura che la concorrenza non sia falsata»
(Protocollo n. 27 sul mercato interno e la concorrenza,  allegato  al
Trattato di Lisbona entrato  in  vigore  il  1°  dicembre  2009,  che
conferma l'art. 3, lettera g,  del  Trattato  CE),  qualsiasi  misura
legislativa che introduca una limitazione  a  tale  principio  assume
carattere derogatorio ed eccezionale, con  la  conseguenza  che,  per
essere legittima,  deve  costituire  «la  sola  misura  in  grado  di
garantire  al  giusto  la  tutela   di   quegli   interessi»   (Corte
costituzionale, sentenza n. 270 del 2010). 
    Come  si  e'  gia'  rilevato  con  riferimento  alla   violazione
dell'art. 3 della  Costituzione,  la  misura  introdotta  con  l'art.
93-ter, comma 1-bis, della legge n. 89 del 1913, non presenta nessuno
di  questi  requisiti,  non  essendo  necessaria  ne'   proporzionata
rispetto alla finalita' pubblica da essa perseguita,  la  quale  puo'
ben essere soddisfatta mediante una valutazione da svolgersi caso per
caso circa la rilevanza dell'attivita' svolta dai  Consigli  notarili
ai  fini  della  vigilanza  sull'attivita'  dei  notai  e  in  merito
all'applicabilita' delle disposizioni della legge n.  287  del  1990.
Diversamente, l'esenzione generale disposta dall'art.  93-ter,  comma
1-bis della legge n. 89 del 1913, nella misura in cui  impedisce  una
tale  valutazione,  sacrifica  ingiustamente  ed  arbitrariamente  la
liberta'  di  iniziativa  economica  privata,  risultando  in  palese
violazione dell'art. 41 della Costituzione. 
    Infine, i piu' volte citati articoli 93-ter, comma  1-bis,  legge
n. 89 del 1913 e 8, comma 2, della legge n. 287 del 1990, contrastano
con  l'art.  117,  comma  1,  della  Costituzione,  secondo  cui   la
competenza legislativa deve essere esercitata «nel rispetto (...) dei
vincoli  derivanti  dall'ordinamento  comunitario  e  dagli  obblighi
internazionali». 
    Secondo consolidata giurisprudenza  della  Corte  costituzionale,
l'art. 117, comma 1, della Costituzione viene  applicato  come  norma
costituzionale disciplinante i rapporti  fra  diritto  comunitario  e
diritto  interno;  piu'  precisamente,  come   norma   costituzionale
contenente un preciso limite  alla  potesta'  legislativa  statale  e
regionale, costituito dal rispetto della normativa comunitaria  (cfr.
ex multis Corte costituzionale, sentenza n. 406 del  2005).  In  tale
prospettiva, il legislatore interno e' vincolato  al  rispetto  delle
norme   dell'ordinamento   comunitario    con    il    solo    limite
dell'intangibilita'  dei   principi   fondamentali   dell'ordinamento
costituzionale e dei diritti inviolabili  dell'uomo  garantiti  dalla
Costituzione. 
    Cio'  impone  che  la  legittimita'  costituzionale  delle  norme
interne debba essere vagliata alla luce della loro compatibilita' con
l'ordinamento comunitario. 
    Ebbene tale requisito non e' sicuramente rispettato nel  caso  di
specie. 
    Come e' noto, l'art. 106, par. 2, del Trattato sul  funzionamento
dell'Unione europea, secondo la costante giurisprudenza  della  Corte
di giustizia  europea  (cfr.  Corte  di  giustizia,  causa  C-127/73,
BRT/SABAM,  Racc.  1974,  pag.  25,  e  Tribunale,  causa   T-128/98,
Aeroports de Paris, Racc. II-2000, pag.  290)  ammette  deroghe  alle
disposizioni in materia di concorrenza solo  qualora  esse  risultino
necessarie  per  garantire  l'adempimento  della  specifica  missione
affidata  alle  imprese  incaricate  della  gestione  di  servizi  di
interesse economico generale, richiedendo che sia effettuato un  test
di proporzionalita'. 
    Per cui, a livello comunitario viene esclusa la  possibilita'  di
sottrarre in via generale e astratta un intero settore  di  attivita'
dall'ambito  di  applicazione  delle  norme   antitrust,   dovendosi,
piuttosto, procedere ad una valutazione caso per caso. 
    Questo tipo di approccio e' stato di recente ribadito, in materia
di ordini professionali, anche  dal  Tribunale  dell'Unione  europea,
secondo cui «In ogni caso, anche se,  in  tali  circostanze,  non  e'
necessario prendere definitivamente posizione sulla  questione  della
misura in cui l'esercizio,  da  parte  dell'Ordine,  del  suo  potere
disciplinare, si ricolleghi  all'esercizio  di  una  prerogativa  dei
pubblici poteri, cosicche' esso fuoriesce dall'ambito di applicazione
dell'art. 101 del Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione  europea,
occorre ancora precisare che l'esistenza di una siffatta  prerogativa
non puo' offrire una protezione assoluta nei confronti  di  qualsiasi
affermazione di un comportamento restrittivo  della  concorrenza,  in
quanto l'esercizio manifestamente improprio  di  un  siffatto  potere
configurerebbe,  in  ogni  caso,  uno  sviamento  di   tale   potere»
(Tribunale  dell'Unione  europea,  causa  T-90/11,  sentenza  del  10
dicembre 2014, ONP, punto 207). 
    Poiche', dunque, come si e' dimostrato, l'ordinamento comunitario
non ammette soluzioni come quella introdotta dall'art. 93-ter,  comma
1-bis, legge n. 89 del 1913 che impedisce di ritenere applicabili  le
regole in materia di concorrenza ad un intero segmento  di  attivita'
sulla base di una valutazione effettuata ex ante,  la  norma  interna
risulta contraria all'art. 117, comma 1, della Costituzione. 
    Tutto cio' premesso e considerato. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Il  Collegio  dell'Autorita'  garante  della  concorrenza  e  del
mercato, ritenuto che la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 93-ter, comma 1-bis della legge 16 febbraio  1913,  n.  89,
come introdotto dalla legge 27 dicembre 2017, n. 205 e  dell'art.  8,
comma 2, della legge 10 ottobre 1990, n.  287,  e'  rilevante  e  non
manifestamente infondata: 
        rimette  la  questione  di  legittimita'  costituzionale  dei
citati articoli 93-ter, comma 1-bis, legge n. 89 del 1913 e 8,  comma
2, legge n. 287 del 1990, alla Corte costituzionale,  in  riferimento
agli articoli 3, 41 e 117, comma 1, della Costituzione; 
        dispone la trasmissione  degli  atti  del  procedimento  alla
Corte costituzionale; 
        sospende  il  procedimento  sino  alla  comunicazione   della
decisione della Corte costituzionale sulla questione di  legittimita'
costituzionale sollevata; 
        dispone che la presente ordinanza sia notificata alle  Parti,
nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri, al Presidente della
Camera dei deputati e al Presidente del Senato della Repubblica. 
    La  presente   ordinanza   verra'   pubblicata   nel   Bollettino
dell'Autorita' garante della concorrenza e del mercato. 
 
                     Il Presidente: Pitruzzella 
 
 
                                      Il Segretario generale: Chieppa