N. 131 SENTENZA 9 maggio - 22 giugno 2018

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Previdenza - Consiglieri di cassazione nominati in base alla legge n.
  203 del 1998 - Raggiungimento del limite massimo  di  eta'  per  il
  collocamento a riposo senza aver  compiuto  il  numero  degli  anni
  richiesti per ottenere il  minimo  della  pensione  -  Soppressione
  dell'istituto del trattenimento in servizio. 
- Decreto-legge  24  giugno  2014,  n.  90  (Misure  urgenti  per  la
  semplificazione e la trasparenza amministrativa e per  l'efficienza
  degli uffici giudiziari) -  convertito,  con  modificazioni,  nella
  legge 11 agosto 2014, n. 114 - art. 1, commi 1, 2, 3 e 5. 
-   
(GU n.26 del 27-6-2018 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo  CORAGGIO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de  PRETIS,  Franco
  MODUGNO, Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni
  AMOROSO, Francesco VIGANO', 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 1,
2, 3 e 5, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per
la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza
degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, nella  legge
11  agosto  2014,  n.  114,  promosso  dal  Tribunale  amministrativo
regionale  del  Lazio  con  ordinanza  del  3   gennaio   2017,   nel
procedimento vertente tra A. D.B. e il Ministero  della  giustizia  e
altri, iscritta al n. 64 del registro  ordinanze  2017  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  19,  prima   serie
speciale, dell'anno 2017. 
    Visti l'atto di  costituzione  di  A.  D.B.,  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nella  udienza  pubblica  del  9  maggio  2018  il  Giudice
relatore Silvana Sciarra; 
    uditi l'avvocato Mario Cicala per  A.  D.B.  e  l'avvocato  dello
Stato Giacomo Aiello per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 3 gennaio 2017, il Tribunale amministrativo
regionale  del  Lazio  ha   sollevato   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 1, commi 1, 2, 3 e 5, del  decreto-legge  24
giugno 2014, n. 90  (Misure  urgenti  per  la  semplificazione  e  la
trasparenza  amministrativa   e   per   l'efficienza   degli   uffici
giudiziari), convertito, con modificazioni,  nella  legge  11  agosto
2014, n.  114,  in  riferimento  agli  artt.  2,  3,  4  e  38  della
Costituzione. 
    1.1.- Il giudice rimettente premette di essere  stato  adito  per
ottenere l'annullamento, previa  sospensione  dell'esecuzione,  degli
atti di collocamento a  riposo  di  un  consigliere  della  Corte  di
cassazione, posti in essere  dal  Ministero  della  giustizia  e  dal
Consiglio superiore della magistratura  in  applicazione  del  citato
d.l. n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni,  nella  legge  n.
114 del 2014. 
    Il TAR  Lazio  precisa  che  il  ricorrente  era  stato  nominato
consigliere di cassazione per meriti insigni, ai sensi della legge  5
agosto 1998, n. 303 (Nomina di professori universitari e di  avvocati
all'ufficio di consigliere di cassazione, in attuazione dell'articolo
106, terzo comma, della Costituzione), in  quanto  avvocato  con  non
meno di quindici (nella specie, sedici) anni di anzianita',  iscritto
negli  albi  speciali  per  le  giurisdizioni  superiori.  Il  citato
consigliere - ricorda ancora il rimettente -, sebbene avesse  chiesto
e ottenuto, in corso di rapporto, un provvedimento datato 2  novembre
2011, di trattenimento in  servizio  fino  all'eta'  di  75  anni  o,
comunque, per il minor tempo sufficiente a conseguire  il  diritto  a
pensione (23 settembre 2017),  in  applicazione  di  quanto  previsto
dall'art. 16, comma 1-bis, del decreto legislativo 30 dicembre  1992,
n. 503 (Norme per il  riordinamento  del  sistema  previdenziale  dei
lavoratori privati e pubblici, a norma dell'articolo 3 della legge 23
ottobre 1992, n. 421), era stato collocato a riposo a partire dal  1°
gennaio 2016, con un successivo provvedimento adottato in conseguenza
dell'abrogazione  dell'istituto  del   trattenimento   in   servizio,
disposta dall'art. 1, comma 1, del  d.l.  n.  90  del  2014  e  della
disciplina transitoria introdotta dal medesimo art. 1. 
    Il giudice rimettente riferisce, inoltre, che il  ricorrente  nel
giudizio a quo si  duole  della  circostanza  che,  per  effetto  del
provvedimento di collocamento a riposo a  far  data  dal  1°  gennaio
2016, provvedimento oggetto di impugnativa, non sarebbe  posto  nelle
condizioni di raggiungere il diritto al minimo  della  pensione,  pur
avendo acquisito il diritto e la legittima aspettativa a  restare  in
servizio fino a quella data. 
    Dopo aver affermato che i provvedimenti impugnati con il  ricorso
trovano un'indefettibile base normativa nel citato art. 1 del  d.  l.
n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, nella legge n. 114 del
2014, che impedirebbe di far salvo il provvedimento di  trattenimento
in servizio,  oltre  il  31  dicembre  2015,  il  TAR  Lazio  solleva
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 1, 2, 3 e
5, del citato d.l. n. 90  del  2014,  nella  parte  in  cui:  dispone
l'abrogazione delle  norme  relative  al  trattenimento  in  servizio
(comma 1); fa salvi i trattenimenti in essere fino alla scadenza  del
31 ottobre 2014 (comma 2); proroga i trattenimenti in  servizio,  pur
se ancora non disposti, fino alla data del 31 dicembre  2015  «per  i
magistrati ordinari, amministrativi, contabili e  militari  che  alla
data  di  entrata  in  vigore  del  presente  decreto  ne  abbiano  i
requisiti», ai sensi dell'art. 16 del d.lgs. n. 503 del  1992,  «[a]l
fine di  salvaguardare  la  funzionalita'  degli  uffici  giudiziari»
(comma 3); infine sostituisce l'art. 72 del decreto-legge  25  giugno
2008, n. 112 (Disposizioni urgenti  per  lo  sviluppo  economico,  la
semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della  finanza
pubblica   e   la   perequazione   tributaria),    convertito,    con
modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 113, disponendo che  non
si applichi «al personale della magistratura» la  previsione  secondo
cui  le  pubbliche  amministrazioni  «possono,  a   decorrere   dalla
maturazione del requisito di anzianita' contributiva per l'accesso al
pensionamento [...] risolvere il rapporto di lavoro  e  il  contratto
individuale anche del personale dirigenziale» (comma 5). 
    1.2.- In particolare, il TAR Lazio ravvisa  la  violazione  degli
artt. 2, 4 e 38 Cost. in  quanto  ritiene  che  l'applicazione  della
normativa transitoria di cui all'art. 1  del  d.l.  n.  90  del  2014
conduca a risultati  analoghi  a  quelli  di  disposizioni  di  legge
simili, gia' dichiarate incostituzionali,  nella  parte  in  cui  non
consentivano «al personale ivi contemplato, che al raggiungimento del
limite massimo di eta'  per  il  collocamento  a  riposo  non  avesse
compiuto il numero degli anni richiesti per ottenere il minimo  della
pensione,  di  rimanere,  su   richiesta,   in   servizio   fino   al
conseguimento di tale anzianita' minima» (sentenza n. 33 del 2013). 
    La lesione  dei  richiamati  parametri  si  determinerebbe  anche
perche' il citato art. 1, - la' dove, al comma 5, sostituisce  l'art.
72  del  d.l.  n.  112  del  1998  ed  esclude  il  personale   della
magistratura dall'applicazione del principio secondo cui le pubbliche
amministrazioni possono  recedere  anticipatamente  dal  rapporto  di
pubblico impiego  solo  all'avvenuta  maturazione  del  requisito  di
anzianita' contributiva per l'accesso al pensionamento  dei  pubblici
dipendenti - , recherebbe un  vulnus  al  diritto  dei  magistrati  a
maturare i requisiti minimi per la pensione. 
    Un ulteriore profilo di illegittimita'  costituzionale  e',  poi,
identificato dal medesimo TAR con riferimento all'art.  3  Cost.,  in
quanto l'esclusione del personale della  magistratura  dal  campo  di
applicazione della disciplina recata dall'art. 72 del decreto-  legge
n. 112 del 2008 - come modificato dall'art. 1, comma 5, del  d.l.  n.
90  del  2014  -  determinerebbe  una   irrazionale   disparita'   di
trattamento in danno dei magistrati, alla luce della circostanza  che
«l'esigenza di raggiungere un numero di anni  di  lavoro  sufficiente
per ottenere il minimo della pensione e'  un  interesse  di  tutti  i
lavoratori» (sentenza n. 444 del 1990). 
    2.- Nel  giudizio  dinanzi  a  questa  Corte  e'  intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che sia dichiarata
manifestamente  inammissibile   e/o   infondata   la   questione   di
legittimita' costituzionale sollevata dal TAR Lazio. 
    In linea preliminare le questioni sarebbero inammissibili per  la
mancata valutazione, da parte  del  giudice  a  quo,  dell'attualita'
dell'interesse a ricorrere. Secondo l'Avvocatura generale dello Stato
il rimettente non avrebbe  chiarito  se  e  come  il  ricorrente  nel
giudizio principale avrebbe  potuto  giovarsi  del  trattenimento  in
servizio dal 1° gennaio 2016 al 23 settembre 2017. 
    Nel merito le questioni sarebbero comunque prive di fondamento. 
    Non sarebbe stato violato il diritto alla pensione minima,  posto
che (come precisato nella circolare della  Presidenza  del  Consiglio
dei ministri, Dipartimento della funzione pubblica  del  19  febbraio
2015, n. 2, inerente all'interpretazione e applicazione del censurato
art.  1  del  d.l.  n.  90  del  2014)  una  delle  ipotesi  in   cui
l'amministrazione e' tenuta a proseguire il rapporto di lavoro con il
dipendente e  tale  prosecuzione  non  costituisce  un  trattenimento
vietato dalla legge e' proprio quella in cui il dipendente non matura
alcun diritto a pensione al compimento dell'eta' limite ordinamentale
o  al  compimento  del  requisito  anagrafico  per  la  pensione   di
vecchiaia.  Tuttavia,  ai  fini  della  sussistenza   del   requisito
contributivo  minimo  per  il  diritto  a   pensione,   deve   essere
considerato il rapporto in essere con la pubblica  amministrazione  e
gli  eventuali  precedenti  rapporti  cui  corrispondano   contributi
versati  presso  diverse  gestioni  previdenziali,  con   conseguente
possibilita' per il  dipendente  di  accedere  all'istituto  gratuito
della totalizzazione di cui al decreto legislativo 2  febbraio  2006,
n.  42  (Disposizioni  in  materia  di  totalizzazione  dei   periodi
assicurativi) o a quello del cumulo contributivo di cui  all'art.  1,
commi da 238 a 248 della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale  dello  Stato  -
legge  di  stabilita'  2013),  per  conseguire  il  requisito  minimo
contributivo. Nella specie, l'Avvocatura sottolinea che al ricorrente
nel giudizio  principale,  nominato  consigliere  di  cassazione  per
meriti insigni in qualita' di avvocato con piu' di quindici  anni  di
esercizio, si applica l'art. 6, comma 2, della legge n. 303 del 1998,
secondo il quale nel  «caso  di  pregresso  esercizio  dell'attivita'
forense si applicano le disposizioni di cui alla legge 5 marzo  1990,
n. 45» (comma 2), in  tema  di  ricongiunzione  di  tutti  i  periodi
previdenziali presso  diverse  gestioni  previdenziali.  Il  richiamo
operato dalla legge n. 303 del 1998 alla legge 5 marzo  1990,  n.  45
(Norme  per  la  ricongiunzione  dei  periodi  assicurativi  ai  fini
previdenziali  per  i   liberi   professionisti),   sarebbe   proprio
finalizzato a disciplinare, sul piano del trattamento  previdenziale,
una condizione comune a tutti gli avvocati  chiamati  all'ufficio  di
consiglieri  della  Corte   di   cassazione   per   meriti   insigni,
fisiologicamente titolari, all'atto della nomina, di  un  periodo  di
contribuzione  previdenziale  presso  la  Cassa  forense  di   almeno
quindici anni. 
    Anche la dedotta censura di violazione dell'art. 3 Cost.  sarebbe
priva di fondamento, dato che il legislatore, con il  censurato  art.
1,  avrebbe  realizzato  un  bilanciamento   tra   il   perseguimento
dell'obiettivo   del   ricambio   generazionale    con    l'esigenza,
riconducibile all'art. 97 Cost., di mantenere  in  servizio,  per  un
congruo lasso di tempo, magistrati  in  grado  di  dare  un  positivo
contributo per la particolare esperienza professionale  acquisita  ed
in funzione dell'efficiente andamento del servizio giustizia. 
    3.- Nel giudizio dinanzi a  questa  Corte  si  e'  costituito  il
ricorrente nel giudizio principale e ha chiesto che la Corte  accolga
la questione di legittimita' costituzionale sollevata dal TAR  Lazio,
sulla base degli argomenti svolti nell'ordinanza di rimessione. 
    Nella memoria depositata nell'imminenza dell'udienza,  la  difesa
della parte ritiene, inoltre, che sia priva di fondamento l'eccezione
di  inammissibilita'  per  carenza  di  attualita'  dell'interesse  a
ricorrere sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato. 
    La  difesa  della  parte  precisa  che,  nella  specie,   e'   in
discussione il diritto al minimo pensionistico che, per i magistrati,
sarebbe fissato in venti anni. Pertanto, sarebbe  stato  decisivo,  a
fini  della  maturazione  del  diritto   al   minimo   pensionistico,
l'ulteriore periodo di lavoro compreso fra il 1° gennaio 2016  ed  il
23 settembre 2017, tenuto anche conto del periodo  di  quattro  anni,
relativo al corso di laurea  in  giurisprudenza,  di  cui  era  stato
chiesto il riscatto. 
    4.- All'udienza pubblica il Presidente del Consiglio dei ministri
e  la  parte  costituita  hanno  ribadito   le   conclusioni   e   le
argomentazioni svolte negli scritti difensivi. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio dubita  della
legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi  1,  2,  3  e  5,  del
decreto-legge  24  giugno  2014,  n.  90  (Misure  urgenti   per   la
semplificazione e la trasparenza amministrativa  e  per  l'efficienza
degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, nella  legge
11 agosto 2014, n. 114, in riferimento agli artt. 2, 3, 4 e 38  della
Costituzione. 
    1.1.- Anzitutto, il giudice rimettente ritiene che l'applicazione
della normativa transitoria,  connessa  all'abolizione  dell'istituto
del trattenimento in servizio, di cui all'art. 1 del d.l. n.  90  del
2014, convertito, con modificazioni, nella legge  n.  114  del  2014,
conduca a risultati analoghi  a  quelli  relativi  all'attuazione  di
disposizioni di  legge  simili,  gia'  dichiarate  costituzionalmente
illegittime, nella parte in cui non consentivano  «al  personale  ivi
contemplato, che al raggiungimento del limite massimo di eta' per  il
collocamento a riposo  non  avesse  compiuto  il  numero  degli  anni
richiesti per ottenere il minimo  della  pensione,  di  rimanere,  su
richiesta, in servizio  fino  al  conseguimento  di  tale  anzianita'
minima» (sentenza n. 33 del 2013). 
    Il denunciato art. 1 del d.l. n. 90 del 2014, come convertito  in
legge, violerebbe il diritto dei magistrati (tra  cui  il  ricorrente
nel giudizio a quo) a maturare i requisiti minimi  per  la  pensione,
tutelato dagli artt. 2, 4 e 38 Cost., sarebbe,  inoltre,  determinata
dal  citato  art.  1  del  d.l.  n.  90  del  2014,  convertito,  con
modificazioni, nella legge n. 114 del 2014, in particolare la'  dove,
al comma 5, sostituisce l'art. 72 del decreto-legge 25  giugno  2008,
n.  112  (Disposizioni  urgenti  per  lo   sviluppo   economico,   la
semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della  finanza
pubblica   e   la   perequazione   tributaria),    convertito,    con
modificazioni, nella legge 6  agosto  2008,  n.  113,  e  esclude  il
personale della magistratura dall'applicazione del principio  secondo
cui le pubbliche amministrazioni possono recedere anticipatamente dal
rapporto  di  pubblico  impiego  solo  all'avvenuta  maturazione  del
requisito di anzianita' contributiva per l'accesso  al  pensionamento
dei pubblici dipendenti. 
    La normativa denunciata sarebbe, poi, anche  lesiva  dell'art.  3
Cost. poiche' l'esclusione del personale della magistratura dal campo
di applicazione della disciplina recata dall'art. 72 del d.l. n.  112
del 2008 - come modificato dall'art. 1, comma 5, del d. l. n. 90  del
2014 - determinerebbe una irrazionale disparita'  di  trattamento  in
danno dei magistrati, alla luce della circostanza che «l'esigenza  di
raggiungere un numero di anni di lavoro sufficiente per  ottenere  il
minimo  della  pensione  e'  un  interesse  di  tutti  i  lavoratori»
(sentenza n. 444 del 1990). 
    2.- In linea preliminare, l'Avvocatura generale  dello  Stato  ha
eccepito  l'inammissibilita'   delle   questioni   per   difetto   di
motivazione  sull'interesse  a  ricorrere.  La  difesa  statale,   in
particolare, ritiene che il giudice rimettente non abbia chiarito  se
e come il ricorrente nel giudizio principale avrebbe potuto  giovarsi
del trattenimento in servizio al fine di poter conseguire la pensione
minima, tenuto conto che l'anzianita' minima per il conseguimento del
trattamento pensionistico per i magistrati  e'  pari  a  42  anni  di
contribuzione. 
    2.1.- Tale eccezione e' priva di fondamento. 
    Com'e' noto, secondo la giurisprudenza  costituzionale  costante,
«la valutazione  [...]  dell'interesse  a  ricorrere  e  degli  altri
presupposti concernenti la legittima instaurazione del giudizio a quo
e' riservata al giudice rimettente, mentre la  verifica  della  Corte
costituzionale e' meramente esterna e strumentale al riscontro  della
rilevanza della  questione  di  legittimita'  costituzionale  con  la
conseguenza che  la  motivazione  su  tali  presupposti  puo'  essere
sindacata solo laddove implausibile» (sentenza n. 245 del 2016).  Nel
caso in esame, la  fattispecie  concreta  e'  puntualmente  descritta
nell'ordinanza di rimessione, che tratteggia la situazione in cui  si
trova il ricorrente nel giudizio principale, nominato consigliere  di
cassazione all'eta' di 57 anni, ai sensi della legge 5  agosto  1998,
n. 303 (Nomina di professori universitari e di  avvocati  all'ufficio
di consigliere di cassazione, in attuazione dell'articolo 106,  terzo
comma, della Costituzione), con d.P.R. 27 gennaio 2000, come avvocato
con non meno di quindici anni  di  anzianita',  iscritto  negli  albi
speciali per le giurisdizioni superiori, originariamente destinatario
di un provvedimento di trattenimento in servizio fino all'eta' di  75
anni, poi revocato per effetto dell'entrata in vigore del citato art.
1 del d.l. n. 90 del 2014, cui ha fatto seguito il  provvedimento  di
collocamento  a  riposo,  impugnato  nel  giudizio  principale.  Tale
precisa ricostruzione dei fatti, unitamente alla  considerazione  del
regime stabilito dall'art. 24, comma 7, del decreto-legge 6  dicembre
2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita,  l'equita'  e  il
consolidamento dei conti pubblici),  convertito,  con  modificazioni,
nella legge 22 dicembre 2011, n. 214,  che  consente  l'accesso  alla
pensione di vecchiaia ai magistrati  con  venti  anni  di  anzianita'
contributiva e con piu' di 66 anni di eta', confortano circa  la  non
implausibilita' della ritenuta esistenza dell'interesse ad agire  del
ricorrente. 
    3.-  Devono,  invece,  dichiararsi  inammissibili  le   questioni
sollevate nei confronti del comma 5 dell'art. 1 del citato d.l. n. 90
del 2014, convertito, con modificazioni, nella legge n. 114 del 2014,
in riferimento agli artt. 2, 4 e 38 Cost., nonche' all'art. 3  Cost.,
per difetto di rilevanza. 
    3.1.- Nell'ordinanza  di  rimessione,  alcune  delle  censure  di
illegittimita' costituzionale, riferite agli artt. 2, 4 e 38, nonche'
all'art. 3 Cost., sono genericamente rivolte ai commi 1,  2,  3  e  5
dell'art.  1,  congiuntamente  considerati,  ma  sono  motivate   con
esclusivo riguardo al comma 5, nella  parte  in  cui  sostituisce  il
comma  11  dell'art.  72  del  d.l.  n.  112  del  2008  ed   esclude
l'applicazione al personale della magistratura del principio  secondo
cui le pubbliche amministrazioni possono recedere anticipatamente dal
rapporto di pubblico impiego all'avvenuta maturazione  del  requisito
di  anzianita'  contributiva  per  l'accesso  al  pensionamento   dei
pubblici dipendenti. Una  simile  previsione  -  secondo  il  giudice
rimettente - violerebbe  il  diritto  dei  magistrati  a  maturare  i
requisiti minimi per la pensione  e  determinerebbe  una  irrazionale
disparita' di trattamento in loro danno. 
    Occorre, tuttavia, precisare che l'art. 1 del citato d.l.  n.  90
del 2014, convertito, con modificazioni, nella legge n. 114 del 2014,
ha un contenuto non unitario, ma eterogeneo. I commi 1,  2  e  3  del
citato  art.  1  dispongono   la   soppressione   dell'istituto   del
trattenimento in servizio di cui all'art. 16 del decreto  legislativo
30 dicembre 1992, n. 503, recante «Norme  per  il  riordinamento  del
sistema previdenziale dei lavoratori  privati  e  pubblici,  a  norma
dell'art. 3 della  legge  23  ottobre  1992,  n.  421»  (comma  1)  e
prevedono la necessaria normativa transitoria, di carattere  generale
(al comma 2), per i trattenimenti in essere  di  tutti  i  dipendenti
delle pubbliche amministrazioni, e "speciale" per i magistrati (comma
3), definendo, quindi, la disciplina della  risoluzione  obbligatoria
del rapporto di  lavoro  pubblico,  connessa  al  raggiungimento  del
limite di eta' ordinamentale. 
    Il comma 5 del medesimo art. 1 provvede, invece, a modificare  il
comma 11 dell'art. 72 del d.l.  n.  112  del  2008,  che  incide  sul
diverso istituto della risoluzione facoltativa del rapporto di lavoro
pubblico,  rimessa  alla  determinazione  dell'amministrazione.  Tale
istituto,  introdotto  con  il  richiamato  d.l.  n.  112  del  2008,
nell'ambito di una serie di misure intese alla stabilizzazione  della
finanza pubblica, alla  riorganizzazione  e  razionalizzazione  delle
pubbliche amministrazioni, nonche'  alla  progressiva  riduzione  del
numero dei dipendenti pubblici, piu'  volte  modificato,  si  risolve
nella  facolta',  riconosciuta  alle  pubbliche  amministrazioni,  di
anticipare ulteriormente la risoluzione unilaterale del  rapporto  di
lavoro rispetto ai limiti  ordinamentali,  qualora  cio'  risponda  a
specifiche esigenze interne dell'ente pubblico e a condizione che sia
maturato il requisito dell'anzianita' contributiva per  l'accesso  al
pensionamento. 
    Sin dall'introduzione di tale istituto, peraltro,  si  e'  sempre
escluso che esso potesse operare nei confronti dei magistrati, a fini
di garanzia dell'indipendenza di questi ultimi e, in specie, a tutela
della funzione loro affidata. 
    E', pertanto, evidente che si tratta di normativa  estranea  alla
controversia  di  cui  al  giudizio  principale,  nel  quale  e'   in
discussione un provvedimento di collocamento a riposo,  adottato  per
effetto del  superamento  del  limite  di  eta'  ordinamentale  e  in
conseguenza della soppressione  dell'istituto  del  trattenimento  in
servizio,  nonche'   in   applicazione   della   connessa   normativa
transitoria (art.1, commi  1,  2  e  3  del  d.l.  n.  90  del  2014,
convertito, con modificazioni, nella legge n. 114 del 2014). 
    4.- Deve, invece,  essere  scrutinata  nel  merito  la  questione
inerente alla normativa  transitoria  dettata  per  i  magistrati  in
conseguenza  dell'abolizione  dell'istituto  del   trattenimento   in
servizio (art. 1, commi 1, 2 e 3 del citato d. l. n. 90 del 2014). Il
TAR Lazio sostiene che essa -  che  e'  espressamente  contenuta  nel
comma 3, ma inscindibilmente connessa alla previsione dell'abolizione
del trattenimento in servizio, di  cui  al  comma  1,  e  costituisce
"specificazione" della normativa transitoria generale di cui al comma
2 - violi il diritto dei magistrati a maturare i requisiti minimi per
la pensione,  tutelato  dagli  artt.  2,  4  e  38  Cost.,  «come  si
desumerebbe  dalla  valutazione  espressa   da   questa   Corte   su»
disposizioni   di   legge   simili,   dichiarate   costituzionalmente
illegittime, nella parte in cui non consentivano  «al  personale  ivi
contemplato, che al raggiungimento del limite massimo di eta' per  il
collocamento a riposo  non  avesse  compiuto  il  numero  degli  anni
richiesti per ottenere il minimo  della  pensione,  di  rimanere,  su
richiesta, in servizio  fino  al  conseguimento  di  tale  anzianita'
minima» (sentenza n. 33 del 2013). 
    4.1.- Tale questione e' priva di fondamento, perche' basata su un
erroneo presupposto interpretativo. 
    Come di recente affermato da questa Corte, l'art. 1 del  d.l.  n.
90 del 2014 ha disposto l'abolizione dell'istituto del  trattenimento
in servizio, che gia' in precedenza si era trasformato  in  una  mera
eccezione  rispetto  alla  regola  del  collocamento  a   riposo   al
raggiungimento del limite di eta' ordinamentale. In tal modo l'art. 1
ha portato «a compimento un percorso gia' avviato, per agevolare, nel
tempo, il ricambio generazionale e consentire un risparmio di spesa»,
peraltro  «senza  alcuna  lesione  dell'affidamento,  in  linea   con
l'evoluzione  normativa  e  con  la  giurisprudenza  della  Corte  di
giustizia» (sentenze n. 444 del 1990, n. 461 del 1989 e, nello stesso
senso, sentenza n. 133 del 2016). 
    Tale abolizione e' configurata come una risoluzione  obbligatoria
del rapporto di lavoro per chi abbia  maturato  i  requisiti  per  la
pensione di vecchiaia ovvero il  diritto  alla  pensione  anticipata,
avendo raggiunto l'eta' limite ordinamentale. Una  simile  previsione
deve,  pertanto,  essere  letta  alla   luce   della   giurisprudenza
costituzionale che, ripetutamente, ha riconosciuto la  necessita'  di
tutelare «l'interesse del lavoratore ad essere trattenuto in servizio
per il tempo necessario al  conseguimento  della  pensione  normale»,
«nella prospettiva di una piu' ampia attuazione del diritto garantito
dall'art. 38, secondo comma, Cost.» (sentenza  n.  461  del  1989  e,
nello stesso senso, n. 238 del 1988). 
    Questa Corte ha espressamente affermato che, sebbene il  problema
della  tutela  del  conseguimento  del   minimo   pensionistico   sia
strettamente connesso a quello dei limiti di eta', la cui  previsione
e' rimessa al legislatore  nella  sua  piu'  ampia  discrezionalita',
«quest'ultima  puo'   incontrare   vincoli   -   sotto   il   profilo
costituzionale - solo in relazione  all'obiettivo  di  conseguire  il
minimo della pensione, attraverso lo strumento della deroga ai limiti
di eta'  ordinari  previsti  per  ciascuna  categoria  di  dipendente
pubblico» (sentenza n. 33 del 2013). 
    Una  simile  deroga,  che  «incontra  a  sua  volta  dei   limiti
fisiologici», connessi all'«energia compatibile con  la  prosecuzione
del rapporto» (sentenza n. 33 del 2013), puo',  tuttavia,  delinearsi
«soltanto per il  tempo  strettamente  necessario  al  raggiungimento
dell'anzianita' minima per il diritto a pensione»  (sentenza  n.  282
del 1991) e comunque esclusivamente in relazione  a  coloro  che  non
abbiano la possibilita' di ottenere la pensione minima in  base  alla
legislazione vigente (sentenza n. 227 del 1997). 
    Tale evenienza non si delinea, pertanto, allorquando -  come  nel
caso  di  specie  -   il   rapporto   di   lavoro   in   essere   con
l'amministrazione sia stato preceduto da altri  rapporti  di  lavoro,
cui corrispondano  contributi  versati  presso  le  diverse  gestioni
previdenziali. In tali casi, infatti,  l'accesso  al  trattamento  di
pensione (come espressamente riconosciuto gia' nella circolare  della
Presidenza del Consiglio dei ministri,  Dipartimento  della  funzione
pubblica, 19 febbraio 2015, n. 2, avente ad oggetto la  «Soppressione
del trattenimento in  servizio  e  modifica  della  disciplina  della
risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro  -  Interpretazione  e
applicazione dell'articolo 1 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90,
convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014,  n.  114»)
e' garantito dalla possibilita' di sommare le anzianita' contributive
versate presso le  diverse  gestioni  previdenziali,  in  particolare
mediante  gli  istituti  della  totalizzazione,  di  cui  al  decreto
legislativo 2 febbraio  2006,  n.  42  (Disposizioni  in  materia  di
totalizzazione dei periodi assicurativi) e del  cumulo  gratuito,  di
cui all'art. 1, commi da 238 a 248, della legge 24 dicembre 2012,  n.
228, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2013)», esteso ai liberi
professionisti dall'art. 1, commi  da  195  a  198,  della  legge  11
dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per  l'anno
finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019). 
    Nella specie, l'art. 6 della legge 5 agosto 1998, n. 303  (Nomina
di professori universitari e di avvocati all'ufficio  di  consigliere
di cassazione, in attuazione dell'articolo 106,  terzo  comma,  della
Costituzione) dispone che «[a]l consigliere di cassazione nominato ai
sensi della presente legge», fra gli  avvocati  con  almeno  quindici
anni d'esercizio, iscritti negli albi speciali per  le  giurisdizioni
superiori,   «e'   attribuito   il   trattamento   previdenziale   ed
assistenziale dei magistrati ordinari» (comma 1), e precisa altresi',
al comma 2, che «[n]el caso  di  pregresso  esercizio  dell'attivita'
forense si applicano le disposizioni di cui alla legge 5 marzo  1990,
n. 45», recante «Norme per la ricongiunzione dei periodi assicurativi
ai fini previdenziali  per  i  liberi  professionisti».  Quest'ultima
legge consente - «ai fini del diritto  e  della  misura  di  un'unica
pensione» - «al lavoratore  dipendente,  pubblico  o  privato,  o  al
lavoratore autonomo, che sia stato iscritto a forme  obbligatorie  di
previdenza per liberi professionisti», di «chiedere la ricongiunzione
di tutti i periodi  di  contribuzione  presso  le  sopracitate  forme
previdenziali, nella gestione cui risulta  iscritto  in  qualita'  di
lavoratore dipendente o autonomo» (art. 1, comma 1). 
    Sul riconoscimento di tale  facolta'  "onerosa",  originariamente
configurata  come  l'unica  possibilita'  di  sommare  le  anzianita'
contributive versate presso le diverse gestioni previdenziali al fine
di ottenere una pensione, questa Corte  si  e'  gia'  pronunciata  in
passato e ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale degli artt. 1
e 2 della legge n. 45 del  1990,  proprio  nella  parte  in  cui  non
prevedevano, «in favore dell'assicurato che  non  abbia  maturato  il
diritto ad un trattamento  pensionistico  in  alcuna  delle  gestioni
nelle  quali  e',  o  e'  stato,  iscritto,   in   alternativa   alla
ricongiunzione  [onerosa],  il  diritto  di  avvalersi  dei   periodi
assicurativi  pregressi  [...]  (attraverso  la  totalizzazione   dei
contributi)» (sentenza n. 61 del 1999). 
    Sin da allora si  e',  dunque,  riconosciuto  che  «[i]  principi
costituzionali  impongono  la  previsione  di   un'alternativa   alla
ricongiunzione  che  risulti  onerosa  in  misura  tale  da   esporre
l'assicurato al rischio di rimanere sprovvisto  di  qualsiasi  tutela
previdenziale» (sentenza n. 61 del 1999). E cio' in un'ottica di «una
piu' ampia attuazione del diritto  garantito  dall'art.  38,  secondo
comma, Cost.» (sentenza n. 461 del 1989 e, nello stesso senso, n. 238
del 1988). 
    In questa linea si collocano, pertanto, i  successivi  interventi
del legislatore volti a  dare  seguito  alle  indicazioni  di  questa
Corte, dapprima con la disciplina della  totalizzazione,  introdotta,
come gia'  anticipato,  con  il  d.lgs.  n.  42  del  2006,  poi  con
l'istituto del cumulo gratuito, regolato dall'art. 1, commi da 238  a
248, della legge n. 228 del  2012,  solo  successivamente  esteso  ai
liberi professionisti, con l'art. 1, commi da 195 a 198, della  legge
n. 232 del 2016, entrambi volti a consentire il cumulo  gratuito  dei
periodi assicurativi non coincidenti al  fine  del  conseguimento  di
un'unica pensione,  in  assenza  dei  requisiti  per  il  diritto  al
trattamento pensionistico. 
    E', dunque, evidente, alla luce delle richiamate  considerazioni,
l'erroneita'  del  presupposto  interpretativo  da   cui   muove   il
rimettente. Quest'ultimo censura la  normativa  transitoria  connessa
all'abolizione dell'istituto del trattenimento in servizio, in quanto
desume erroneamente la  lesione  del  diritto  alla  pensione  minima
dall'impossibilita', per i consiglieri  di  cassazione  nominati  per
meriti insigni fra gli avvocati con almeno quindici anni d'esercizio,
iscritti negli albi speciali per le giurisdizioni superiori, in  base
alla legge n.  303  del  1998,  di  raggiungere  il  numero  di  anni
necessari  per  ottenere  la  pensione  previsto  per  i  magistrati,
derivante dall'applicazione della predetta  normativa.  Tale  diritto
e',  invece,  garantito  proprio  dall'impiego  dei  gia'  richiamati
istituti  volti  ad  assicurare,  in  varie  forme  e  modalita',  la
possibilita' di sommare le anzianita' contributive versate presso  le
diverse gestioni previdenziali, al precipuo scopo  di  accedere  alla
pensione. 
    La  questione  di  legittimita'  costituzionale   sollevata   nei
confronti dell'art. 1, commi 1, 2 e 3,  del  d.l.  n.  90  del  2014,
convertito, come modificazioni, nella legge n. 114  del  2014,  deve,
pertanto, essere dichiarata non fondata. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma  5,  del  decreto-legge  24  giugno
2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e  la  trasparenza
amministrativa  e  per   l'efficienza   degli   uffici   giudiziari),
convertito, con modificazioni, nella legge 11 agosto  2014,  n.  114,
sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 4 e 38 della Costituzione,
dal Tribunale amministrativo regionale  del  Lazio,  con  l'ordinanza
indicata in epigrafe; 
    2)  dichiara   non   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 1, commi 1, 2 e 3, del d.l. n. 90 del  2014,
convertito,  con  modificazioni,  nella  legge  n.  114   del   2014,
sollevata, in riferimento agli artt. 2, 4 e 38 Cost.,  dal  Tribunale
amministrativo regionale  del  Lazio,  con  l'ordinanza  indicata  in
epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 maggio 2018. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                     Silvana SCIARRA, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 22 giugno 2018. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA