N. 172 SENTENZA 5 giugno - 23 luglio 2018

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Sanita' pubblica (esenzione ticket per minori dati in  affidamento  e
  minori in adozione per  i  primi  due  anni  di  presa  in  carico;
  attribuzione all'Agenzia regionale per la protezione  dell'ambiente
  [ARPA] della natura di ente del settore  sanitario)  -  Bilancio  e
  contabilita' pubblica (autorizzazioni di spesa, a valere sul  Fondo
  sviluppo  e  coesione  2014-2020:  contributo  ai  Comuni  per  gli
  interventi di smaltimento  dell'amianto  e  fondo  di  sostegno  ad
  imprese danneggiate da cantieri pubblici; istituzione del  comitato
  promotore delle "Vie del Vento") - Paesaggio  (piani  paesaggistici
  territoriali  e  procedure  autorizzatorie)  -   Impiego   pubblico
  (inclusione  nell'ambito  applicativo  del   Contratto   collettivo
  nazionale di lavoro sanita' anche del  personale  in  posizione  di
  comando dell'ARPA) - Professioni (riconoscimento  e  valorizzazione
  delle competenze degli operatori del settore motorio e sportivo). 
- Legge della Regione Siciliana 11 agosto 2017, n.  16  (Disposizioni
  programmatiche e correttive per l'anno 2017.  Legge  di  stabilita'
  regionale. Stralcio I), artt. 17, 23, 26, 43, 48, 50, 54, 55 e 56. 
-   
(GU n.30 del 25-7-2018 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt.  17,  23,
26, 43, 48, 50, 54, 55 e 56, della legge della Regione  Siciliana  11
agosto 2017, n. 16  (Disposizioni  programmatiche  e  correttive  per
l'anno 2017. Legge di stabilita' regionale. Stralcio I), promosso dal
Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 24-30
ottobre 2017, depositato in cancelleria il 3 novembre 2017,  iscritto
al n. 86 del  registro  ricorsi  2017  e  pubblicato  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 50,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2017. 
    Udito nell'udienza pubblica del 5 giugno 2018 il Giudice relatore
Giulio Prosperetti; 
    udito l'avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente
del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 24-30 ottobre 2017 e depositato  il
3  novembre  2017,  il  Presidente  del   Consiglio   dei   ministri,
rappresentato e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha
promosso, tra le  altre,  questioni  di  legittimita'  costituzionale
degli artt. 17, 23, 26, 43, 48, 50, 54, 55 e  56  della  legge  della
Regione Siciliana 11 agosto 2017, n. 16 (Disposizioni  programmatiche
e correttive per l'anno 2017. Legge di stabilita' regionale. Stralcio
I), in riferimento agli artt. 3,  9,  81,  terzo  comma,  117,  commi
primo, secondo, lettere l) e s), e terzo, della Costituzione, nonche'
in riferimento agli artt. 14 e 17 del regio  decreto  legislativo  15
maggio  1946,  n.  455  (Approvazione  dello  statuto  della  Regione
siciliana), convertito nella legge costituzionale 26  febbraio  1948,
n. 2. 
    La Regione Siciliana non si e' costituita in giudizio. 
    2.- Con riferimento all'art. 17 della legge reg. Siciliana n.  16
del 2017, il ricorrente ha  osservato  che  la  norma  ha  modificato
l'art. 30 della legge della Regione Siciliana 14 aprile  2009,  n.  5
(Norme per il riordino del Servizio sanitario regionale),  includendo
i minori affidati dall'autorita' giudiziaria a famiglie ospitanti e i
minori in adozione, per un periodo iniziale di presa in  carico  pari
ad anni due, nella categoria dei soggetti esentati dal pagamento  del
ticket per l'erogazione di prestazioni sanitarie. 
    La difesa dello Stato rappresenta che la normativa  nazionale,  e
segnatamente l'art. 8, comma 16, della legge 24 dicembre 1993, n. 537
(Interventi correttivi di finanza pubblica), prevede l'esenzione  del
ticket solo per i cittadini di eta' inferiore ai sei anni e superiore
a sessantacinque anni, se appartenenti ad  un  nucleo  familiare  con
reddito complessivo, riferito all'anno precedente,  non  superiore  a
lire settanta milioni. 
    La normativa statale individua, quale  criterio  di  applicazione
del beneficio, il reddito del nucleo familiare  di  appartenenza  del
minore, criterio che pero' non e' utilizzabile per i minori  di  anni
sei affidati dall'autorita' giudiziaria  presso  comunità-alloggio  e
case-famiglia, mancando un nucleo familiare di riferimento. 
    Per tale ragione, prosegue la difesa  dello  Stato,  in  sede  di
Comitato dei Livelli essenziali  di  assistenza  (LEA),  erano  stati
superati  i  rilievi  formulati  avverso  la  previsione   originaria
dell'art. 30 della legge reg. Siciliana n.  5  del  2009,  che  aveva
esteso il beneficio dell'esenzione  dal  ticket  alla  categoria  dei
minori affidati a case-famiglia e comunità-alloggio, senza  ulteriori
indicazioni relative al reddito. 
    Nel caso di minori affidati a famiglia ospitante e  in  adozione,
invece, vi  e'  l'inserimento  in  famiglie  determinate,  aventi  un
reddito specifico e, quindi, l'allargamento a costoro  del  beneficio
dell'esenzione    dal     ticket     sanitario     si     tradurrebbe
nell'individuazione di un livello di assistenza sanitaria  ulteriore,
rispetto a quello previsto dalla  normativa  nazionale,  che  sarebbe
illegittimo in una Regione, qual e' la Sicilia, sottoposta a piano di
rientro da disavanzo sanitario. 
    Secondo la  difesa  dello  Stato  la  ragione  di  illegittimita'
costituzionale risiede proprio in tale ultima circostanza poiche', ai
sensi dell'art. 1, comma 174, della legge 30 dicembre 2004,  n.  311,
recante «Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriennale  dello  Stato  (legge  finanziaria  2005)»,  le   Regioni
sottoposte a Piano  di  rientro  non  possono  effettuare  spese  non
obbligatorie. 
    La previsione di un ulteriore livello  di  assistenza  sanitaria,
rispetto a quello statale, da parte della Regione Siciliana,  dunque,
eccedendo dalle competenze definite dagli artt. 14 e 17 dello statuto
regionale, sarebbe in contrasto con l'art. 117,  comma  terzo,  Cost.
poiche' lesiva del principio di coordinamento della finanza pubblica,
costituito  dall'obbligo  di  contenimento   della   spesa   pubblica
sanitaria, a cui sono tenute le Regioni soggette a piano di rientro. 
    3.- Con il medesimo ricorso la difesa dello Stato impugna  l'art.
23 della legge reg. Siciliana n.  16  del  2017,  in  base  al  quale
l'assessore regionale per l'energia e' tenuto ad emanare un bando per
la concessione di contributi ai Comuni che redigono il Piano comunale
amianto e realizzano i relativi interventi, e, a tali fini, autorizza
la spesa di due milioni di euro, per l'esercizio finanziario 2017,  a
valere sul Fondo sviluppo e coesione 2014-2020. 
    Il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  rappresenta  che  la
Regione Siciliana, con delibera del Comitato interministeriale per la
programmazione economica (CIPE) 10 agosto 2016, n. 26 (Fondo sviluppo
e  coesione  2014-2020:  Piano  per  il   Mezzogiorno.   Assegnazione
risorse), ha avuto assegnati 2.320,0 milioni di euro nell'ambito  del
Fondo sviluppo e coesione; tuttavia tali risorse sono destinate  alla
realizzazione dei soli interventi inclusi nel Patto per il  Sud,  tra
cui non sembra esservi  quello  previsto  dall'art.  23  della  legge
impugnata. Conseguentemente la norma sarebbe in contrasto con  l'art.
81, terzo comma, Cost. poiche' priva di copertura finanziaria. 
    4.- Analoghe ragioni sorreggono l'impugnativa dell'art. 26  della
legge reg. Siciliana n. 16 del 2017, che ha autorizzato la  spesa  di
due milioni di euro a valere  sulle  risorse  del  Fondo  sviluppo  e
coesione per la costituzione di un fondo di  sostegno  delle  imprese
e/o per favorirne la defiscalizzazione. 
    Secondo la difesa dello Stato anche tale intervento  non  sarebbe
stato incluso nel Patto per il Sud e, pertanto, la norma, utilizzando
somme vincolate per scopi diversi da quelli di destinazione,  sarebbe
priva di copertura finanziaria. 
    L'art. 26 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2017 e'  impugnato
anche per un diverso profilo, ovvero per contrasto  con  l'art.  117,
primo comma, Cost., in riferimento agli artt. 107 e 108 del  Trattato
sul  funzionamento  dell'Unione  europea  (TFUE),   come   modificato
dall'art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007,  ratificato
dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, poiche' contemplerebbe una  misura
di aiuto alle imprese e, quindi, avrebbe  dovuto  essere  subordinata
all'autorizzazione della Commissione europea. 
    5.- Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna anche l'art.
43 della  legge  reg.  Siciliana  n.  16  del  2017,  assumendone  il
contrasto con l'art. 117, terzo comma, Cost., nonche' con  gli  artt.
14 e 17 dello statuto regionale, poiche' la norma, nel  prevedere  la
costituzione di un Comitato promotore delle "Vie del Vento",  non  ha
precisato che la partecipazione ad esso avvenga  a  titolo  gratuito,
come e' imposto dal principio di coordinamento di  finanza  pubblica,
espresso dall'art. 6, comma 2, del decreto-legge 31 maggio  2010,  n.
78 (Misure urgenti in materia di  stabilizzazione  finanziaria  e  di
competitivita' economica), convertito, con modificazioni, in legge 31
maggio 2010, n. 122. 
    6.- Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna anche l'art.
48 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2017, ritenendo che violi gli
artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost.,  in  relazione  agli
artt. 146 e 143 del  decreto  legislativo  22  gennaio  2004,  n.  42
(Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10
della legge 6 luglio 2002, n. 137), nonche' l'art.  14,  lettera  n),
dello statuto regionale che, pur affidando alla Regione la competenza
legislativa esclusiva in materia di tutela del paesaggio,  stabilisce
che  questa  debba  essere  esercitata   nei   limiti   delle   leggi
costituzionali dello Stato e nel rispetto  delle  norme  fondamentali
delle riforme economico-sociali della Repubblica. 
    Il ricorrente individua tre distinti  profili  di  illegittimita'
costituzionale  in  relazione  ai  tre  diversi  commi  dell'articolo
impugnato. 
    Il ricorrente rileva, innanzitutto, che il comma 1 dell'art.  48,
con riferimento alle opere qualificate  come  di  pubblica  utilita',
realizzate da enti pubblici  o  societa'  concessionarie  di  servizi
pubblici (con la sola eccezione dell'impiantistica di trattamento dei
rifiuti comprese  le  discariche),  esclude  la  cosiddetta  "opzione
zero", perche' limita i vincoli che possono essere  posti  dal  piano
paesaggistico territoriale alle sole  misure  in  grado  di  ridurre,
compensare o eliminare le eventuali incompatibilita'  paesaggistiche,
senza quindi prevedere la possibilita' di fissare divieti assoluti di
intervento. 
    Pertanto, ad avviso del Presidente del  Consiglio  dei  ministri,
opere di potenziale forte impatto paesaggistico, come parchi  eolici,
impianti per la produzione di energia idroelettrica, nonche' opere di
ricettivita'  turistico-alberghiera,  che  fossero   qualificate   di
pubblica utilita' dalla legislazione  regionale,  risulterebbero,  in
base alla norma  censurata,  autorizzate  ex  lege,  con  sostanziale
svuotamento della pur necessaria autorizzazione paesaggistica, in tal
modo vincolata ad assentire l'intervento,  in  contrasto  con  quanto
previsto dalla norma di grande  riforma  economico-sociale  contenuta
nell'art.  146  cod.  beni  culturali,  che  assegna  il  potere   di
valutazione  della  compatibilita'  paesaggistica   alla   competenza
tecnico-scientifica degli uffici amministrativi preposti alla  tutela
paesaggistica. 
    Inoltre, la detta disposizione regionale si porrebbe in contrasto
anche con la norma  di  grande  riforma  economico-sociale  contenuta
nell'art. 143 cod. beni culturali che, nello  stabilire  i  contenuti
del piano paesaggistico, non  esclude  la  possibilita'  che  vengano
posti divieti assoluti. 
    L'Avvocatura dello Stato ritiene  costituzionalmente  illegittima
anche la disposizione contenuta nel comma 2 dell'articolo  impugnato,
secondo cui la procedura di  valutazione,  avviata  con  istanza  del
proponente, va conclusa,  entro  trenta  giorni  dalla  presentazione
dell'istanza,  con  delibera  espressa  della  Giunta  regionale,  su
proposta dell'assessore regionale per i beni culturali e  l'identita'
siciliana. Cio' in quanto  la  norma  censurata  attribuirebbe  a  un
organo politico, la  Giunta  regionale,  su  proposta  dell'assessore
regionale, ogni decisione sulla procedura di valutazione,  in  palese
contrasto con quanto stabilito dall'art. 146 cod. beni culturali, che
attribuisce  agli  organismi  tecnici  un  ruolo   determinante   nel
procedimento di valutazione  della  compatibilita'  ambientale  degli
interventi. 
    Infine, il Presidente del Consiglio  dei  ministri  dubita  della
legittimita' costituzionale anche del  comma  3  dell'art.  48  della
legge reg. Siciliana n. 16 del 2017, che prevede  che  le  opere  che
abbiano gia' ricevuto nulla osta, pareri favorevoli o  autorizzazioni
prima  della  data  di  adozione  dei  singoli  piani   paesaggistici
territoriali, possano essere realizzate nel rispetto dei tempi, delle
forme e delle modalita' previste da questi atti, senza necessita'  di
ulteriori   valutazioni.   Cio'   in   quanto    tale    disposizione
contrasterebbe con l'art. 146 cod. beni culturali, stante  la  deroga
operata  dalla  norma   regionale   al   regime   dell'autorizzazione
paesaggistica stabilito dalla disciplina  statale  e  la  definizione
favorevole ex lege di procedimenti ancora pendenti. 
    7. - Il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  impugna  anche
l'art. 50 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2017, secondo  cui  «i
canoni per l'utilizzo del demanio marittimo, ivi  compresi  i  canoni
ricognitori, non sono dovuti per lo svolgimento di feste religiose  o
civili  riconosciute  dalla  Regione  ed  iscritte  al  libro   delle
celebrazioni nelle feste e nelle pratiche rituali del registro  delle
eredita' immateriali della Regione siciliana». 
    Ad avviso del ricorrente, la norma impugnata eccede le competenze
attribuite alla  Regione  dagli  artt.  14  e  17  dello  statuto  di
autonomia e viola sia l'art. 117, terzo comma, Cost., in  materia  di
coordinamento della finanza pubblica - contrastando  con  l'art.  39,
secondo comma, del regio decreto 30 marzo 1942, n. 327 (Codice  della
navigazione), che non contempla  ipotesi  di  utilizzo  gratuito  del
demanio marittimo -,  sia  il  principio  di  ragionevolezza  di  cui
all'art. 3 Cost., atteso che l'esenzione  dal  pagamento  dei  canoni
sarebbe misura generalizzata e non  limitata  alle  sole  concessioni
che, effettivamente interessate dallo svolgimento  delle  festivita',
potrebbero  subire  un   pregiudizio   in   relazione   all'ordinario
svolgimento dell'attivita' di impresa. 
    8.- Il ricorrente dubita della legittimita' costituzionale  anche
dell'art. 54 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2017, che  aggiunge
i commi 2-ter e  2-quater  all'art.  90  della  legge  della  Regione
Siciliana  3  maggio  2001,  n.  6  (Disposizioni  programmatiche   e
finanziarie per l'anno 2001), qualificando l'Agenzia regionale per la
protezione dell'ambiente (ARPA) quale ente del settore  sanitario  di
cui al comma 3 dell'art. 4 della legge  della  Regione  Siciliana  14
maggio 2009, n.  6  (Disposizioni  programmatiche  e  correttive  per
l'anno 2009), e di cui alla legge della Regione Siciliana 29 dicembre
2008, n. 25 (Interventi finanziari urgenti  per  l'occupazione  e  lo
sviluppo). 
    La norma, secondo il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  si
porrebbe in contrasto sia con l'art. 117, terzo comma, in materia  di
tutela della salute e di coordinamento della  finanza  pubblica,  sia
con l'art. 81, terzo comma, Cost., in quanto suscettibile di generare
oneri a carico del Servizio sanitario nazionale  non  quantificati  e
non coperti, eccedendo inoltre le competenze di cui agli artt.  14  e
17, lettere b) e c), dello statuto della Regione Siciliana,  sia  con
gli artt. 1, 3 e 4 del decreto legislativo 30 dicembre 1992,  n.  502
(Riordino  della   disciplina   in   materia   sanitaria,   a   norma
dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421). 
    9.- Il Presidente del Consiglio dei  ministri  impugna,  inoltre,
l'art. 55 della legge reg. Siciliana n. 16  del  2017,  secondo  cui:
«[a]l personale dipendente dell'Agenzia regionale per  la  protezione
dell'Ambiente, ivi incluso il personale in posizione di  comando,  si
applica il Contratto collettivo nazionale di lavoro sanita'. Ai  fini
della riqualificazione professionale del personale dipendente trovano
applicazione tutti gli istituti contrattuali previsti dal  CCNL,  ivi
inclusi gli istituti di prima applicazione e le norme  programmatiche
che  fino  alla  data  della  presente  norma  non  abbiano   trovato
applicazione», ritenendo che la disposizione violi,  con  riferimento
al personale comandato presso  l'ARPA,  l'art.  117,  secondo  comma,
lettera l), Cost., che riserva alla competenza legislativa  esclusiva
dello Stato la materia dell'«ordinamento civile»,  eccedendo  inoltre
le competenze di cui agli artt. 14 e 17 dello statuto regionale. 
    Secondo il ricorrente, infatti, la previsione in  esame,  laddove
include anche  il  personale  in  posizione  di  comando  nell'ambito
applicativo del CCNL sanita', si pone in contrasto con  la  normativa
statale vigente  in  materia  e,  in  particolare,  con  il  disposto
dell'art. 70, comma 12, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165
(Norme generali sull'ordinamento del  lavoro  alle  dipendenze  delle
amministrazioni pubbliche), secondo cui «in tutti i  casi,  anche  se
previsti da normative speciali, nei quali enti pubblici territoriali,
enti pubblici non economici o altre amministrazioni pubbliche, dotate
di autonomia finanziaria sono tenute ad  autorizzare  l'utilizzazione
da parte di altre pubbliche amministrazioni di proprio personale,  in
posizione di comando, di fuori ruolo, o in altra  analoga  posizione,
l'amministrazione    che    utilizza    il     personale     rimborsa
all'amministrazione di appartenenza l'onere relativo  al  trattamento
fondamentale». 
    10.- Infine, il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  impugna
l'art. 56 della  medesima  legge  reg.  Siciliana  n.  16  del  2017,
ritenendo che esso - laddove «riconosce  e  valorizza  le  competenze
degli operatori del settore  motorio  e  sportivo»,  con  particolare
riferimento ai laureati in scienze motorie  e  ai  diplomati  ISEF  -
ecceda le competenze  di  cui  agli  artt.  14  e  17  dello  statuto
regionale e violi l'art. 117,  terzo  comma,  Cost.,  in  materia  di
«professioni». 
    Al riguardo il ricorrente evidenzia che  i  diplomati  ISEF  e  i
laureati in scienze motorie,  in  quanto  operatori  formati  per  il
settore dell'istruzione e dello sport, non possono essere  equiparati
ai fisioterapisti, che sono professionisti sanitari il cui profilo e'
previsto dal il decreto del Ministro della sanita' 14 settembre 1994,
n. 741 (Regolamento concernente l'individuazione della figura  e  del
relativo  profilo  professionale  del  fisioterapista),  ed  il   cui
percorso formativo e' la laurea  triennale  abilitante  all'esercizio
della relativa professione sanitaria. 
    Sul punto il Presidente del Consiglio dei ministri sottolinea che
l'art. 2, comma 7, del decreto legislativo  8  maggio  1998,  n.  178
(Trasformazione degli  Istituti  superiori  di  educazione  fisica  e
istituzione di facolta' e di corsi di laurea e di diploma in  scienze
motorie a norma dell'articolo 17, comma 115, della  legge  15  maggio
1997, n. 127) prevede che: «il diploma di laurea in  scienze  motorie
non abilita all'esercizio delle attivita' professionali sanitarie  di
competenza dei laureati in medicina e chirurgia e di quelle di cui ai
profili professionali disciplinati ai sensi dell'articolo 6, comma 3,
del decreto legislativo  30  dicembre  1992,  n.  502,  e  successive
modificazioni e integrazioni», sottolineando che, in  relazione  alla
materia   delle    «professioni»,    la    costante    giurisprudenza
costituzionale afferma che  il  legislatore  regionale  e'  tenuto  a
rispettare  il  principio  per  cui  l'individuazione  delle   figure
professionali, con i relativi titoli abilitanti,  e'  riservata  allo
Stato. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ricorso depositato il 3 novembre 2017, il Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, ha impugnato, tra gli altri, gli artt. 17,  23,
26, 43, 48, 50, 54, 55 e 56 della legge della  Regione  Siciliana  11
agosto 2017, n. 16  (Disposizioni  programmatiche  e  correttive  per
l'anno  2017.  Legge  di  stabilita'  regionale.  Stralcio   I),   in
riferimento agli artt. 3, 9,  81,  terzo  comma,  117,  commi  primo,
secondo, lettere l) e s), e terzo,  della  Costituzione,  nonche'  in
riferimento agli artt. 14 e  17  del  regio  decreto  legislativo  15
maggio  1946,  n.  455  (Approvazione  dello  statuto  della  Regione
siciliana), convertito nella legge costituzionale 26  febbraio  1948,
n. 2. 
    Resta riservata a separate  pronunce  la  decisione  sulle  altre
questioni promosse dal ricorrente. 
    2.- La prima  norma  impugnata  e'  l'art  17  della  legge  reg.
Siciliana n. 16 del 2017,  che  allarga  la  platea  dei  beneficiari
dell'esenzione dal  pagamento  del  ticket  sanitario,  includendo  i
minori affidati dall'autorita' giudiziaria a famiglie ospitanti  e  i
minori in adozione, per i primi due anni di presa in carico. 
    Ad avviso del ricorrente, essa introduce un ulteriore livello  di
assistenza sanitaria, rispetto a quella nazionale, che  e'  informata
al rispetto del principio sancito dall'art. 8, comma 16, della  legge
24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica),
secondo cui sono esentati dalla partecipazione alla spesa sanitaria i
cittadini di eta' inferiore ai  sei  anni  di  eta'  o  superiore  ai
sessantacinque anni, purche' appartenenti ad un nucleo familiare  con
reddito complessivo, riferito all'anno precedente,  non  superiore  a
settanta milioni di lire. 
    2.1.- La questione non e' fondata. 
    2.2.- L'art. 17, comma 1, lettere  a)  e  b),  della  legge  reg.
Siciliana n. 16 del 2017, e' intervenuto modificando l'art. 30  della
legge della Regione Siciliana 14 aprile 2009,  n.  5  (Norme  per  il
riordino  del  Servizio  sanitario  regionale),   rubricato   «Minori
affidati dall'autorita' giudiziaria». 
    Il testo del comma 2 del suddetto articolo risulta modificato con
l'aggiunta del periodo seguente: «Lo stesso  esonero  si  applica  ai
minori in adozione per un periodo iniziale di presa in carico pari ad
anni due». 
    La normativa regionale gia' prevedeva l'esenzione dal ticket  per
i minori  ospitati  in  case-famiglia,  rientranti  nella  previsione
dell'art. 1, comma 5, della legge della Regione Siciliana 8  novembre
2000, n. 328 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato
di interventi e servizi sociali),  che  dispone:  «Alla  gestione  ed
all'offerta dei servizi  provvedono  soggetti  pubblici  nonche',  in
qualita' di soggetti attivi nella progettazione e nella realizzazione
concertata degli interventi,  organismi  non  lucrativi  di  utilita'
sociale,   organismi   della    cooperazione,    organizzazioni    di
volontariato, associazioni ed enti di promozione sociale, fondazioni,
enti di patronato e altri soggetti privati. Il sistema  integrato  di
interventi e servizi sociali ha tra gli  scopi  anche  la  promozione
della solidarieta' sociale, con la  valorizzazione  delle  iniziative
delle persone, dei nuclei familiari, delle forme di auto-aiuto  e  di
reciprocita' e della solidarieta' organizzata». 
    Tali strutture sono destinate  all'accoglienza  in  comunita'  di
tipo familiare, con sede nelle civili abitazioni, la cui finalita' e'
l'accoglienza di  minorenni  (oltreche'  di  disabili  e  anziani  in
difficolta'),  in  alternativa  alla  loro   "istituzionalizzazione",
sviluppando  caratteristiche  idonee   a   rendere   tali   strutture
assimilabili ad un ambiente familiare. 
    Analoga esenzione era prevista dalla legge reg.  Siciliana  n.  5
del 2009 per i  minori  ospitati  in  comunita'  alloggio  ovvero  in
strutture che, a differenza delle case  famiglia,  hanno  un  assetto
ricettivo piu' ampio e piu' strutturato, ma adempiono  alla  medesima
funzione di accoglienza. 
    2.3.- Anche la normativa  statale  sull'affidamento  dei  minori,
segnatamente l'art. 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto  del
minore ad una famiglia), pone in via  gradata  l'inserimento  in  una
famiglia,  in  una  comunita'  di  tipo  familiare,  e  solo  in  via
residuale, in un istituto di assistenza pubblico o privato, con  cio'
parificandone le funzioni. 
    2.4.- La norma regionale oggetto di impugnazione  ha  specificato
la portata dell'intervento socio-assistenziale. 
    Le famiglie ospitanti consentono, infatti, analogamente alle case
alloggio  e  alle  case  famiglia,  l'accoglienza  di   minori   che,
temporaneamente o per situazioni di emergenza, non possono  permanere
presso il nucleo familiare originario e per i quali non e'  possibile
altra forma di accoglienza e di sostegno educativo. 
    L'art. 30, comma 1, della legge reg.  Siciliana  n.  5  del  2009
chiarisce e delimita la  portata  della  norma  riservata  ai  minori
«affidati per disposizione dell'autorita' giudiziaria» alle  suddette
istituzioni. 
    2.5.- L'ultima parte della norma regionale impugnata, relativa ai
minori in adozione, necessita di un  chiarimento  interpretativo,  in
quanto la presa in carico di un minore in preadozione partecipa della
stessa  ratio  dell'affidamento   per   disposizione   dell'autorita'
giudiziaria. 
    Infatti,  prima  di  giungere  ad  una  pronuncia  definitiva  di
adozione nell'interesse del minore e'  previsto  un  monitoraggio  di
durata  biennale  da  parte  dei  servizi  socio-assistenziali,   che
riferiscono  al  tribunale  per   i   minorenni   sullo   svolgimento
dell'affidamento preadottivo. E'  la  legge  n.  184  del  1983  che,
all'art. 25, stabilisce che il tribunale provvede  sull'adozione  con
sentenza in camera di consiglio,  decorso  un  anno  dall'affidamento
preadottivo, prorogabile per un ulteriore anno. 
    Pertanto, la norma regionale, ove  sia  riferita  non  gia'  solo
all'adozione, ma anche all'affidamento  preadottivo,  puo'  ritenersi
svolgere  una  funzione  sociale  analoga  alle  altre  tipologie  di
affidamento previste dalla norma. 
    2.6.- Alla luce delle considerazioni svolte, la  questione  posta
dal Presidente del Consiglio dei ministri,  in  riferimento  all'art.
117, terzo comma, Cost., e agli  artt.  14  e  17  dello  statuto  di
autonomia, non e' fondata in quanto, trattandosi in tutti i  casi  di
minori  destinati  all'assistenza  da  parte  dei  servizi   sociali,
l'estensione alle famiglie ospitanti ovvero ai  casi  di  affidamento
preadottivo non e' destinata ad alterare il numero  dei  beneficiari,
altrimenti   affidati   alle   gia'   esonerate    case-famiglia    e
case-alloggio. 
    La  censura  in  ordine  alla   violazione   del   principio   di
coordinamento della finanza pubblica derivante  dalla  sottoposizione
della Regione Siciliana al piano di rientro  da  disavanzo  sanitario
va, quindi, disattesa, anche in ragione della  natura  sociale  della
spesa. 
    3.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato  l'art.
23 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2017, che autorizza la  spesa
di due milioni di euro,  a  valere  sul  fondo  sviluppo  e  coesione
2014-2020, per la concessione di contributi ai Comuni che redigono il
Piano comunale amianto e per rimuovere  e  smaltire  i  manufatti  in
amianto. 
    La difesa dello Stato ha  dedotto  la  violazione  dell'art.  81,
terzo comma, Cost., poiche' le risorse del fondo per lo sviluppo e la
coesione possono essere utilizzate solo  per  finanziare  i  progetti
inclusi nel  Patto  per  il  Sud,  tra  i  quali  non  rientrano  gli
interventi per lo smaltimento dell'amianto. 
    3.1.- La questione e' fondata. 
    3.2.- Il fondo per lo sviluppo e la coesione e' disciplinato  dal
decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88 (Disposizioni in materia di
risorse  aggiuntive  ed  interventi  speciali  per  la  rimozione  di
squilibri economici e sociali, a norma dell'articolo 16 della legge 5
maggio 2009, n. 42), attuativo della legge delega 5 maggio  2009,  n.
42  (Delega  al  Governo  in  materia  di  federalismo  fiscale,   in
attuazione dell'articolo  119  della  Costituzione)  sul  federalismo
fiscale. 
    L'art. 4 del d.lgs. n. 88 del 2011 attribuisce al fondo la natura
di  strumento  di  finanziamento   nazionale,   che   concorre   alla
realizzazione di interventi volti al riequilibrio economico e sociale
nelle diverse aree del Paese. 
    Il fondo per lo sviluppo e la coesione rientra nell'ambito  delle
risorse aggiuntive  a  quelle  dei  fondi  strutturali  europei,  per
promuovere  lo  sviluppo  economico   e   la   coesione   sociale   e
territoriale,  e  ha   carattere   pluriennale,   in   coerenza   con
l'articolazione temporale della programmazione di  fondi  strutturali
dell'Unione europea. 
    L'art. 1, comma 703,  della  legge  23  dicembre  2014,  n.  190,
recante «Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2015)», ha  disciplinato
le modalita' di utilizzo delle risorse  assegnate  al  fondo  per  lo
sviluppo e la coesione per il periodo  di  programmazione  2014-2020,
prevedendo, in particolare, che la dotazione finanziaria del fondo e'
impiegata  per  obiettivi  strategici  relativi  ad  aree   tematiche
nazionali, individuate dall'autorita'  politica  per  la  coesione  e
ripartite  dal  Comitato  interministeriale  per  la   programmazione
economica (CIPE) con propria delibera, in coerenza con le  scelte  di
investimento effettuate per l'impiego dei Fondi strutturali europei e
del relativo cofinanziamento nazionale. 
    Per effetto dell'art. 1, comma 703, citato, il  CIPE  approva  in
via programmatica  l'allocazione  delle  risorse  del  fondo  per  lo
sviluppo e la coesione per area  tematica  di  intervento  e  dispone
l'assegnazione dei fondi destinati agli interventi gia' approvati  in
via programmatica. 
    La normativa suindicata ha impresso,  dunque,  alle  risorse  del
fondo per lo sviluppo e la coesione una destinazione  vincolata,  che
rende illegittima qualunque autorizzazione di spesa  che  ne  preveda
l'impiego al di fuori degli interventi programmati,  traducendosi  in
un'assenza di copertura finanziaria  derivante  dall'indisponibilita'
delle somme (con riferimento all'obbligo  di  corrispondenza  tra  le
risorse finanziarie e i vincoli normativi di  destinazione,  sentenza
n. 272 del 2011). 
    3.3.- In attuazione dell'art. 1, comma 703, della  legge  n.  190
del 2014, il CIPE, il 10 agosto 2016, ha adottato due delibere, la n.
25 (Fondo sviluppo e coesione 2014-2020 - aree tematiche nazionali  e
obiettivi strategici - ripartizione ai sensi dell'articolo  1,  comma
703, lettere b e c della legge  n.  190/2014),  che  ha  allocato  le
risorse per la programmazione 2014-2020 per area tematica, e la n. 26
(Fondo Sviluppo e  Coesione  2014-2020:  Piano  per  il  Mezzogiorno.
Assegnazione risorse) che ha assegnato la dotazione  finanziaria  per
la realizzazione degli interventi  operativi  contenuti  in  appositi
accordi interistituzionali, denominati «Patti per il Sud». 
    In particolare, per effetto della delibera CIPE n. 26  del  2016,
la Regione Siciliana  ha  avuto  assegnate  risorse  pari  a  2.320,4
milioni di euro, per  l'attuazione  degli  interventi  contenuti  nel
Patto per lo sviluppo della Regione Siciliana. 
    3.4.-  Quest'ultimo   Patto   ha   selezionato   cinque   settori
prioritari: infrastrutture; ambiente; sviluppo economico ed attivita'
produttive; turismo e cultura; sicurezza, legalita' e vivibilita' del
territorio. Il Patto, all'interno di ciascuna area di riferimento, ha
individuato gli interventi da realizzare; tuttavia quelli relativi al
settore  ambiente  non  comprendono  alcun  progetto  relativo   allo
smaltimento dell'amianto, la  cui  copertura  finanziaria  non  puo',
pertanto,  essere  individuata  dalla   Regione   nelle   risorse   a
destinazione vincolata del fondo per lo sviluppo e la coesione. 
    L'assenza   di   copertura   finanziaria    determina,    dunque,
l'illegittimita' della  previsione  dell'art.  23  della  legge  reg.
Siciliana n. 16 del 2017 per violazione dell'art.  81,  terzo  comma,
Cost. 
    4.-  Il  Presidente  del  Consiglio  di  ministri  ha   sollevato
questione di legittimita' costituzionale, per  assenza  di  copertura
finanziaria, anche  in  riferimento  all'art.  26  della  legge  reg.
Siciliana n. 16 del 2017, che ha autorizzato la spesa di due  milioni
di euro, a valere  sul  Fondo  sviluppo  e  coesione  2014-2020,  per
istituire un fondo a sostegno delle imprese che abbiano subito  danni
dai cantieri per  la  realizzazione  delle  infrastrutture  ed  opere
pubbliche ovvero per favorirne la defiscalizzazione. 
    Anche in relazione a tale previsione normativa  la  difesa  dello
Stato ha sostenuto che la violazione dell'art. 81, terzo comma, Cost.
deriva dalla natura vincolata delle risorse del fondo per lo sviluppo
e la coesione e dal fatto che, tra i progetti inclusi nel  Patto  per
il Sud, non rientrano quelli a sostegno delle imprese danneggiate dai
cantieri pubblici. 
    4.1.- La questione e' fondata. 
    Come si e'  detto,  il  vincolo  di  destinazione  impresso  alle
risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione per la programmazione
2014-2020  impone  l'utilizzo  delle  somme  assegnate  alla  Regione
Siciliana solo per la  realizzazione  degli  interventi  inclusi  nel
Patto per lo sviluppo della medesima Regione Siciliana. 
    Il suddetto Patto, tra i settori di intervento individuati, ne ha
incluso  uno  relativo  allo  Sviluppo  economico  e  alle  attivita'
produttive; tuttavia in questo ambito non vi sono progetti  destinati
a sostenere le imprese che abbiano subito danni dai cantieri  per  la
realizzazione delle infrastrutture ed opere pubbliche e,  quindi,  la
misura prevista dall'art. 26 della legge reg.  Siciliana  n.  16  del
2017 risulta priva di copertura finanziaria. 
    4.2.- L'accoglimento della questione per violazione dell'art.  81
Cost. comporta l'assorbimento di ogni altra censura. 
    5.-  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha  sollevato
questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  43  della  legge
reg. Siciliana  n.  16  del  2017  nella  parte  in  cui  prevede  la
costituzione di un Comitato promotore delle "Vie del Vento",  di  cui
fanno parte i delegati del Presidente del libero consorzio, i sindaci
dei Comuni interessati e  i  rappresentati  della  locale  camera  di
commercio e delle aziende, singole  e  associate,  le  cui  attivita'
economiche si svolgono nel territorio  attraversato  dalle  "Vie  del
Vento", senza precisare che la partecipazione al Comitato e' a titolo
gratuito. 
    Secondo la difesa statale, la  norma  contrasterebbe  con  l'art.
117, terzo comma, Cost., in riferimento al principio di coordinamento
della  finanza  pubblica  contenuto  nell'art.  6,   comma   2,   del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure  urgenti  in  materia  di
stabilizzazione   finanziaria   e   di   competitivita'   economica),
convertito, con modificazioni, in legge 31 maggio 2010, n.  122,  che
impone che la partecipazione agli organi  collegiali  di  organi  che
ricevono contributi a carico delle finanze pubbliche debba avvenire a
titolo gratuito, nonche' con gli artt.  14  e  17  dello  statuto  di
autonomia. 
    5.1.- La questione non e' fondata. 
    Il suddetto Comitato  promotore  delle  "Vie  del  Vento"  ha  la
funzione di promuovere il riconoscimento  di  percorsi,  segnalati  e
pubblicizzati con appositi cartelli, lungo i quali  insistono  valori
naturali, culturali e ambientali, nell'ambito  di  territori  ove  si
svolgono attivita' indotte e connesse alla vela, al  turismo  e  alle
discipline sportive legate alle energie naturali. 
    Il Comitato e' composto dai delegati del  Presidente  del  libero
consorzio, dai sindaci dei Comuni interessati  e  dai  rappresentanti
della  locale  camera  di  commercio  e  delle  aziende,  singole   e
associate, le cui attivita' economiche  si  svolgono  nel  territorio
attraversato dalle "Vie del Vento". 
    5.2.- L'art. 6, comma 2, del d.l. n. 78 del 2010, invocato  quale
parametro interposto,  prevede  che  la  partecipazione  agli  organi
collegiali di organi che ricevono contributi a carico  delle  finanze
pubbliche deve avvenire a titolo gratuito e costituisce, per espressa
previsione del successivo comma 20, principio di coordinamento  della
finanza pubblica per le Regioni e le Province autonome. 
    La previsione e' informata alla  finalita'  di  contenimento  dei
costi della politica e degli apparati amministrativi e riguarda anche
il costo di funzionamento degli enti pubblici regionali (sentenze  n.
211 e n. 161 del 2012) e,  quale  principio  di  coordinamento  della
finanza pubblica, si applica anche alle autonomie speciali  (sentenze
n. 46 del 2015 e n. 229 del 2001). 
    Nella specie, la norma regionale oggetto di censura  non  afferma
espressamente la  natura  gratuita  della  partecipazione  all'organo
collegiale e, del resto, neppure prevede alcuna forma di  compenso  o
indennita'; peraltro, la gratuita' dell'incarico si desume dal  fatto
che  l'interesse  dei  componenti  del  Comitato,  in  ragione  della
qualifica  soggettiva  da  essi  posseduta,   e'   gia'   soddisfatto
attraverso la promozione turistica del territorio, a cui il  Comitato
e' funzionale. 
    La partecipazione al Comitato promotore  delle  "Vie  del  Vento"
deve, quindi, intendersi  senza  oneri  a  carico  della  Regione  e,
pertanto, la questione non e' fondata. 
    6.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha  impugnato  anche
l'art. 48 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2017, evidenziando  il
suo contrasto, per eccedere le  competenze  attribuite  alla  Regione
Siciliana dall'art. 14, lettera  n),  dello  statuto  in  materia  di
tutela   del   paesaggio,   con   le   norme   di   grande    riforma
economico-sociale  contenute  negli  artt.  143  e  146  del  decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali  e  del
paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6  luglio  2002,  n.
137) e la conseguente violazione degli artt. 9 e 117, secondo  comma,
lettera s), Cost. 
    Il ricorrente individua tre distinti  profili  di  illegittimita'
costituzionale  in  relazione  ai  tre  diversi  commi  dell'articolo
impugnato. 
    Il comma 1 dell'art. 48, con riferimento alle  opere  qualificate
come di pubblica utilita', realizzate da  enti  pubblici  o  societa'
concessionarie  di  servizi  pubblici   (con   la   sola   esclusione
dell'impiantistica   di   trattamento   dei   rifiuti   comprese   le
discariche), limita  i  vincoli  derivanti  dal  piano  paesaggistico
territoriale alle sole misure  in  grado  di  ridurre,  compensare  o
eliminare  le  eventuali   incompatibilita'   paesaggistiche,   senza
prevedere  la  possibilita'  di   stabilire   divieti   assoluti   di
intervento. 
    Tale    previsione,    secondo    il    ricorrente,    ridurrebbe
sostanzialmente  il  potere  di  valutazione   della   compatibilita'
paesaggistica   riservato,   dalla   norma    di    grande    riforma
economico-sociale contenuta nell'art. 146 cod. beni  culturali,  alla
competenza tecnico-scientifica degli uffici  amministrativi  preposti
alla tutela paesaggistica.  Inoltre,  la  disposizione  regionale  si
porrebbe  in  contrasto  anche  con  la  norma  di   grande   riforma
economico-sociale contenuta nell'art. 143 del detto codice che, nello
stabilire  i  contenuti  del   piano   paesaggistico,   non   prevede
limitazioni della portata dei vincoli derivanti da esso. 
    L'Avvocatura dello Stato ritiene  costituzionalmente  illegittima
anche la disposizione contenuta nel comma 2 dell'articolo  impugnato,
secondo cui la procedura di  valutazione,  avviata  con  istanza  del
proponente, va conclusa,  entro  trenta  giorni  dalla  presentazione
dell'istanza,  con  delibera  espressa  della  Giunta  regionale,  su
proposta dell'assessore regionale per i beni culturali e  l'identita'
siciliana. Cio' in quanto la  norma  in  esame,  attribuendo  in  via
esclusiva a un organo politico,  la  Giunta  regionale,  su  proposta
dell'assessore regionale, la decisione sull'esito  del  procedimento,
sottrarrebbe agli organi tecnici, in contrasto con  quanto  stabilito
dall'art. 146 cod. beni culturali, ogni valutazione  in  ordine  alla
compatibilita' ambientale degli interventi proposti. 
    Infine, il Presidente del Consiglio  dei  ministri  dubita  della
costituzionalita' anche del comma 3 dell'art. 48 della  citata  legge
regionale, secondo cui le opere che abbiano gia' ricevuto nulla osta,
pareri favorevoli o autorizzazioni prima della data di  adozione  dei
singoli piani paesaggistici territoriali, possano  essere  realizzate
nel rispetto dei tempi, delle forme e  delle  modalita'  previste  in
questi atti, senza  necessita'  di  ulteriori  valutazioni.  Cio'  in
quanto tale disposizione contrasterebbe  con  l'art.  146  cod.  beni
culturali, stante la deroga operata dalla norma regionale  al  regime
dell'autorizzazione paesaggistica stabilito dalla disciplina  statale
e la definizione favorevole ex lege di procedimenti ancora pendenti. 
    6.1.- Le questioni sono fondate. 
    6.2.- Preliminarmente, va rilevato che, in molteplici  occasioni,
questa  Corte  ha  affermato  che  la  conservazione   ambientale   e
paesaggistica spetta, in base all'art. 117,  secondo  comma,  lettera
s), Cost., alla cura esclusiva dello Stato (ex plurimis, sentenza  n.
367 del 2007). 
    Quanto, poi, alla problematica dei rapporti tra  lo  Stato  e  le
Regioni a statuto speciale relativamente al riparto di competenze  in
materia   di   tutela   paesaggistica,    sono    state    dichiarate
«costituzionalmente illegittime norme regionali che  si  ponevano  in
contrasto con disposizioni previste dal codice dei beni  culturali  e
del paesaggio, qualificate norme di grande riforma  economico-sociale
(sentenze n. 207 e 66 del 2012; n. 226 e n. 164 del 2009, n. 232  del
2008 e n. 51 del 2006)» (sentenza n. 238 del 2013). 
    Al riguardo, la Corte ha anche sottolineato  che  il  legislatore
statale, tramite l'emanazione di  tali  norme,  conserva  il  potere,
«nella materia "tutela  dell'ambiente,  dell'ecosistema  e  dei  beni
culturali", di cui all'art. 117, secondo  comma,  lettera  s),  della
Costituzione, comprensiva tanto della  tutela  del  paesaggio  quanto
della tutela dei beni ambientali o culturali (per tutte, sentenza  n.
51 del 2006) [...] di  vincolare  la  potesta'  legislativa  primaria
delle Regioni a statuto speciale, cosi' che  le  norme  qualificabili
come "riforme  economico-sociali"  si  impongono  al  legislatore  di
queste ultime» (sentenza n. 238 del 2013). 
    Gli artt. 143 e 146 cod. beni culturali debbono, pertanto, essere
qualificati come norme di grande riforma economico-sociale che  anche
le Regioni a statuto speciale debbono  osservare  (in  questo  senso,
anche la sentenza n. 189 del 2016). 
    6.3.-  In  relazione  alla  questione   relativa   al   comma   1
dell'articolo 48 della legge regionale in esame,  va  notato  che  la
disposizione impugnata, pur enunciando espressamente il «rispetto dei
principi di cui all'articolo 143 del decreto legislativo  22  gennaio
2004, n. 42», stabilisce  che  i  piani  paesaggistici  territoriali,
nell'individuare le  specifiche  aree  di  tutela  e  predisporre  le
correlate prescrizioni d'uso, «devono prevedere la  possibilita'  che
le opere di pubblica utilita', realizzate da enti pubblici o societa'
concessionarie    di    servizi    pubblici    e    con    esclusione
dell'impiantistica di trattamento dei rifiuti comprese le discariche,
siano realizzabili, previa specifica valutazione da effettuarsi  caso
per caso della concreta compatibilita'  con  i  valori  paesaggistici
oggetto di protezione, considerando nel complesso del progetto  anche
le possibili soluzioni in grado di ridurre, compensare o eliminare le
eventuali incompatibilita'». 
    In altri termini, con riferimento ad opere  qualificate  come  di
pubblica utilita' (con esclusione dell'impiantistica  di  trattamento
dei rifiuti, comprese le discariche), la norma impugnata esclude  che
dal piano possano derivare divieti assoluti  di  intervento;  e  cio'
contrasta, evidentemente,  con  la  finalita'  principale  del  piano
paesaggistico che e', appunto,  quella  della  tutela  dell'interesse
primario alla conservazione del paesaggio. 
    Naturalmente, va riconosciuto che il piano  paesaggistico  ha  la
funzione di strumento  di  ricognizione  del  territorio  oggetto  di
pianificazione non solo ai fini della salvaguardia  e  valorizzazione
dei  beni  paesaggistici,  ma  anche   nell'ottica   dello   sviluppo
sostenibile e dell'uso  consapevole  del  suolo,  in  modo  da  poter
consentire l'individuazione delle misure necessarie per  il  corretto
inserimento,  nel  contesto  paesaggistico,   degli   interventi   di
trasformazione del territorio. 
    In questa piu' ampia prospettiva, rilevano l'art. 135,  comma  4,
lettera d), e l'art. 143, comma 1, lettera h), cod.  beni  culturali,
in base ai quali il piano deve provvedere alla individuazione  «delle
linee di sviluppo urbanistico ed edilizio,  in  funzione  della  loro
compatibilita' con i  diversi  valori  paesaggistici  riconosciuti  e
tutelati»  nonche'  «delle  misure   necessarie   per   il   corretto
inserimento,  nel  contesto  paesaggistico,   degli   interventi   di
trasformazione del territorio, al fine  di  realizzare  uno  sviluppo
sostenibile delle aree interessate». 
    Tuttavia, se la funzione del piano  paesaggistico  e'  quella  di
introdurre un organico sistema di regole, sottoponendo il  territorio
regionale a una specifica normativa  d'uso  in  funzione  dei  valori
tutelati, ne deriva che, con riferimento  a  determinate  aree,  e  a
prescindere dalla qualificazione dell'opera, il piano possa prevedere
anche divieti assoluti di intervento. La possibilita'  di  introdurre
divieti  assoluti  di  intervento  e  trasformazione  del  territorio
appare, d'altronde, del tutto conforme al ruolo attribuito  al  piano
paesaggistico dagli artt. 143, comma 9, e 145,  comma  3,  cod.  beni
culturali, secondo  cui  le  previsioni  del  piano  sono  cogenti  e
inderogabili da parte degli strumenti urbanistici degli enti locali e
degli atti di pianificazione previsti dalle normative  di  settore  e
vincolanti per  i  piani,  i  programmi  e  i  progetti  nazionale  e
regionali di sviluppo economico. 
    Sotto altro profilo, va  poi  riconosciuto  che  la  disposizione
impugnata contrasta anche con le previsioni dell'art. 146  cod.  beni
culturali, determinando un sostanziale svuotamento del contenuto  dei
poteri   riservati    dalla    norma    statale    alla    competenza
tecnico-scientifica degli uffici amministrativi preposti alla  tutela
paesaggistica, ai quali  soltanto  spetta  di  compiere  la  verifica
concreta di conformita' tra l'intervento progettato e le disposizioni
del piano paesaggistico, individuando la soluzione piu' idonea a  far
si' che l'interesse pubblico primario venga conseguito con  il  minor
sacrificio possibile degli interessi secondari. 
    6.4.-  Costituzionalmente  illegittima  deve  pure  ritenersi  la
disposizione contenuta nel comma 2 dell'art. 48, della  stessa  legge
regionale,  secondo   cui   la   procedura   di   valutazione   della
compatibilita' paesaggistica deve essere definita  con  una  delibera
espressa  della   Giunta   regionale   da   assumere,   su   proposta
dell'assessore  regionale  per  i  beni   culturali   e   l'identita'
siciliana, entro  trenta  giorni  dalla  presentazione  dell'istanza,
senza prevedere alcuna forma di  partecipazione  al  procedimento  da
parte di organismi tecnici. 
    L'articolo 146 cod. beni culturali, infatti, non solo stabilisce,
al comma 5, che «[s]ull'istanza di  autorizzazione  paesaggistica  si
pronuncia la regione, dopo avere acquisito il parere  vincolante  del
soprintendente in relazione agli interventi da eseguirsi su  immobili
ed aree sottoposti a tutela dalla legge o  in  base  alla  legge,  ai
sensi del comma l, salvo quanto disposto all'articolo 143, commi 4  e
5», ma prevede anche,  al  comma  6,  che  la  Regione  eserciti  «la
funzione autorizzatoria in materia di paesaggio avvalendosi di propri
uffici dotati di adeguate competenze  tecnico-scientifiche  e  idonee
risorse strumentali.  Puo'  tuttavia  delegarne  l'esercizio,  per  i
rispettivi  territori,  a  province,  a  forme   associative   e   di
cooperazione fra enti locali come definite dalle vigenti disposizioni
sull'ordinamento degli enti locali, agli enti parco, ovvero a comuni,
purche' gli enti destinatari della delega dispongano di strutture  in
grado   di   assicurare   un   adeguato   livello    di    competenze
tecnico-scientifiche nonche' di  garantire  la  differenziazione  tra
attivita'  di  tutela  paesaggistica   ed   esercizio   di   funzioni
amministrative in materia urbanistico-edilizia». 
    Da cio' risulta l'evidente indispensabilita' della partecipazione
di  organismi  tecnici  nel   procedimento   di   valutazione   della
compatibilita' paesaggistica. 
    6.5.- Pure fondata risulta la censura formulata dal ricorrente in
relazione al comma 3 dell'art. 48, secondo  cui,  come  visto,  «[l]e
opere di cui al comma 1 nonche' le attivita'  estrattive  che,  prima
della data di adozione dei singoli Piani Paesaggistici  Territoriali,
abbiano gia' ricevuto nulla osta, pareri favorevoli o  autorizzazioni
comunque denominate da  parte  di  una  Amministrazione  regionale  o
locale competente in materia di tutela paesaggistico territoriale  ai
sensi del decreto legislativo n. 42/2004,  ovvero  per  le  quali  la
Regione abbia gia' rilasciato atti  di  intesa  allo  Stato,  possono
essere realizzate  nel  rispetto  dei  tempi,  delle  forme  e  delle
modalita' ivi previste, senza ulteriori valutazioni». 
    La disposizione regionale impugnata,  infatti,  non  distinguendo
tra procedimenti autorizzatori gia' conclusi e procedimenti ancora in
itinere alla data di adozione dei piani  paesaggistici  territoriali,
contrasta  palesemente  sia  con  la  disciplina  dell'autorizzazione
paesaggistica dettata dall'articolo 146 cod.  beni  culturali  e,  in
particolare, sia con  il  comma  4  di  tale  articolo,  secondo  cui
l'autorizzazione   paesaggistica   costituisce   atto   autonomo    e
presupposto rispetto al permesso di costruire  o  agli  altri  titoli
legittimanti  gli  interventi   urbanistico-edilizi,   sia   con   il
successivo  comma  5,  il  quale  stabilisce  che   il   parere   del
soprintendente venga reso  nel  rispetto  delle  previsioni  e  delle
prescrizioni del piano paesaggistico. 
    La disposizione regionale impugnata contrasta, peraltro,  con  il
comma 4 dello stesso art. 146  cod.  beni  culturali,  anche  laddove
questo, stabilendo che «l'autorizzazione e' efficace per  un  periodo
di cinque anni, scaduto il quale l'esecuzione dei  progettati  lavori
deve essere sottoposta a nuova autorizzazione. I lavori iniziati  nel
corso del quinquennio di efficacia dell'autorizzazione possono essere
conclusi  entro  e  non  oltre  l'anno  successivo  la  scadenza  del
quinquennio medesimo», prevede la reiterazione, in ogni  caso,  della
procedura di autorizzazione trascorso detto lasso temporale. 
    6.6.-  Va,  per   tali   ragioni,   dichiarata   l'illegittimita'
costituzionale dell'impugnato art. 48. 
    7.- Il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  impugna  inoltre
l'art. 50 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2017, secondo  cui  «i
canoni per l'utilizzo del demanio marittimo, ivi  compresi  i  canoni
ricognitori, non sono dovuti per lo svolgimento di feste religiose  o
civili  riconosciute  dalla  Regione  ed  iscritte  al  libro   delle
celebrazioni nelle feste e nelle pratiche rituali del registro  delle
eredita' immateriali della Regione siciliana», ritenendo  che  ecceda
le competenze statutarie di cui gli artt. 14 e 17 dello statuto della
Regione Siciliana e violi sia l'art.  117,  terzo  comma,  Cost.,  in
materia di coordinamento della  finanza  pubblica,  contrastando  con
l'articolo 39, secondo comma, del regio decreto 30 marzo 1942, n. 327
(Codice della navigazione), che non  contempla  ipotesi  di  utilizzo
gratuito del demanio marittimo, sia il principio di ragionevolezza di
cui all'art. 3  Cost.,  atteso  che  l'esenzione  dal  pagamento  dei
canoni,  anche  ricognitori,  sarebbe  misura  generalizzata  e   non
limitata alle sole concessioni che, effettivamente interessate  dallo
svolgimento delle festivita', potrebbero  subire  un  pregiudizio  in
relazione all'ordinario svolgimento dell'attivita' di impresa. 
    7.1.- La questione non e' fondata. 
    7.2.-  Va  premesso  che  l'art.  39  cod.  nav.  stabilisce   la
fissazione di  un  canone  «di  mero  riconoscimento»  a  fronte  del
rilascio di una concessione per fini di beneficenza o per altri  fini
di pubblico interesse  e  che  il  secondo  comma  dell'art.  37  del
regolamento per l'esecuzione del medesimo  codice  attua  ed  integra
detta previsione, stabilendo che «agli effetti dell'applicazione  del
canone,  previsto  dal  secondo  comma  dell'art.  39   del   codice,
s'intendono per concessioni che perseguono fini di pubblico interesse
diverse dalla beneficenza quelle nelle quali  il  concessionario  non
ritrae dai beni demaniali alcun lucro o provento». 
    Nel caso in esame,  la  norma  impugnata,  pero',  non  introduce
alcuna deroga al principio generale che impone, in  presenza  di  una
concessione,  il  versamento  di  un  canone,   ancorche'   meramente
ricognitorio. Deve, infatti, ritenersi che l'utilizzazione di un bene
demaniale  per  il  limitato  spazio  temporale  di  una   festivita'
prescinda dal rilascio di un provvedimento  di  concessione,  a  cui,
infatti, la norma regionale impugnata non fa alcun riferimento. 
    Pertanto,  l'esenzione  dal  pagamento  di  qualsivoglia  canone,
ancorche' ricognitorio, disposta, nel  caso,  dalla  norma  regionale
impugnata, non risulta  in  contrasto  con  le  norme  costituzionali
richiamate dal ricorrente. 
    8.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato  l'art.
54 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2017, che  aggiunge  i  commi
2-ter e 2-quater all'art. 90 della legge della  Regione  Siciliana  3
maggio 2001, n. 6  (Disposizioni  programmatiche  e  finanziarie  per
l'anno 2001), qualificando  l'Agenzia  regionale  per  la  protezione
dell'ambiente (ARPA) quale ente del settore sanitario di cui al comma
3 dell'art. 4 della legge della Regione Siciliana 14 maggio 2009,  n.
6 (Disposizioni programmatiche e correttive per l'anno  2009),  e  di
cui  alla  legge  regionale  29  dicembre  2008,  n.  25  (Interventi
finanziari urgenti per l'occupazione e lo sviluppo). 
    La norma, secondo il ricorrente, si porrebbe in contrasto sia con
l'art. 117, terzo comma, Cost., in materia di «tutela della salute» e
di «coordinamento della finanza pubblica», sia con l'art.  81,  terzo
comma, Cost., in quanto suscettibile di generare oneri a  carico  del
Servizio  sanitario  nazionale  non  quantificati  e   non   coperti,
eccedendo le competenze statutarie di cui agli artt. 14 e 17, lettere
b) (igiene e sanita' pubblica), e c)  (assistenza  sanitaria),  dello
statuto della Regione Siciliana. 
    8.1.- La  questione  e'  fondata  con  riferimento  alla  dedotta
violazione  dell'art.  117,  terzo  comma,  Cost.   in   materia   di
coordinamento della finanza pubblica. 
    8.2.- Le agenzie regionali per la protezione  dell'ambiente  sono
state istituite a seguito del referendum del 18 aprile 1993,  che  ha
abrogato  alcune  parti  della  legge  23  dicembre  1978,   n.   833
(Istituzione  del  Servizio  sanitario  nazionale),   eliminando   le
competenze ambientali della vigilanza e controllo locali del Servizio
sanitario nazionale, esercitate  tramite  i  presidi  multizonali  di
prevenzione. 
    Tali competenze, a seguito della legge 21  gennaio  1994,  n.  61
(Conversione  in  legge,  con  modificazioni,  del  decreto-legge   4
dicembre  1993,  n.   496,   recante   disposizioni   urgenti   sulla
riorganizzazione dei controlli ambientali e istituzione  dell'Agenzia
nazionale per la protezione dell'ambiente), sono  state  affidate  ad
apposite agenzie regionali per la  protezione  dell'ambiente  (ARPA),
istituite   assieme   all'Agenzia   nazionale   per   la   protezione
dell'ambiente  (ANPA),  divenuta  poi  APAT  e  nel  2008   confluita
nell'Istituto superiore per la protezione  e  la  ricerca  ambientale
(ISPRA). 
    Tanto premesso, l'attribuzione all'ARPA siciliana della natura di
ente del settore sanitario da parte della norma  impugnata  viola  il
principio  di  contenimento  della  spesa  pubblica   sanitaria,   da
ritenersi principio di coordinamento della  finanza  pubblica,  sulla
base di quanto gia' rilevato,  in  molteplici  occasioni,  da  questa
Corte (ex multis, sentenze n. 203 del 2008 e n. 193 del 2007). 
    Tale conclusione e' avvalorata, da un lato, dalla  considerazione
che  le  funzioni  spettanti  all'ARPA  sono  solo  in  minima  parte
riconducibili a funzioni sanitarie stricto sensu e  che,  anche  alla
luce dei principi posti dalla recente legge 28 giugno  2016,  n.  132
(Istituzione  del  Sistema  nazionale  a  rete  per   la   protezione
dell'ambiente e disciplina dell'Istituto superiore per la  protezione
e  la  ricerca  ambientale),  il   sistema   di   finanziamento,   di
qualificazione  e  di  controllo  delle   agenzie   ambientali   deve
considerarsi nettamente distinto da quello  degli  enti  del  settore
sanitario; dall'altro, dal fatto che  la  Regione  Siciliana  risulta
impegnata nel piano di rientro dal disavanzo sanitario e che, quindi,
l'inserimento di un ente, estraneo  alle  prestazioni  di  assistenza
sanitaria, nel novero degli enti di cui al comma 3 dell'art. 4  della
legge reg. Siciliana n. 6 del 2009 e di cui alla legge reg. Siciliana
n. 25  del  2008,  implicando  l'assunzione  a  carico  del  bilancio
regionale di oneri aggiuntivi  in  contrasto  con  gli  obiettivi  di
risanamento del Piano di rientro, viola il principio di  contenimento
della spesa pubblica  sanitaria,  quale  principio  di  coordinamento
della finanza pubblica e, in definitiva,  l'art.  117,  terzo  comma,
Cost. 
    Tale conclusione risulta, inoltre, convalidata dalla  circostanza
che  la  materia  dell'assistenza  sanitaria   rientra   tra   quelle
contemplate dall'art. 17 dello statuto siciliano, rispetto alle quali
la Regione puo' esercitare la propria competenza legislativa solo nei
limiti dei principi e degli interessi  generali  cui  si  informa  la
legislazione statale. 
    L'accoglimento della  questione  per  violazione  dell'art.  117,
terzo comma, Cost. comporta l'assorbimento di ogni altra censura. 
    9.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato  l'art.
55 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2017, ritenendo che si  ponga
in contrasto con  l'art.  117,  secondo  comma,  lettera  l),  Cost.,
eccedendo  le  competenze  che  gli  artt.  14  e  17  dello  statuto
attribuiscono alla Regione Siciliana. 
    Ad  avviso  del  ricorrente,  la  norma   impugnata,   includendo
nell'ambito applicativo del Contratto collettivo nazionale di  lavoro
sanita'  anche  il  personale  in  posizione  di  comando  dell'ARPA,
violerebbe l'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., che  assegna
allo  Stato  la  competenza  legislativa  esclusiva  in  materia   di
«ordinamento civile», contrastando con la normativa  statale  vigente
in  materia  di  comando  e,  in  particolare,   con   il   principio
fondamentale  stabilito  dall'art.  70,   comma   12,   del   decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165  (Norme  generali  sull'ordinamento
del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche),  secondo
cui «in tutti i casi, anche se previsti da  normative  speciali,  nei
quali enti pubblici territoriali, enti pubblici non economici o altre
amministrazioni  pubbliche,  dotate  di  autonomia  finanziaria  sono
tenute ad autorizzare l'utilizzazione da  parte  di  altre  pubbliche
amministrazioni di proprio personale, in  posizione  di  comando,  di
fuori ruolo, o in  altra  analoga  posizione,  l'amministrazione  che
utilizza il personale rimborsa  all'amministrazione  di  appartenenza
l'onere relativo al trattamento fondamentale». 
    9.1.- La questione e' fondata. 
    9.2.-  Questa  Corte   ha   gia'   ripetutamente   affermato   la
riconducibilita' della  regolamentazione  del  rapporto  di  pubblico
impiego  cosiddetto  privatizzato   ovvero   contrattualizzato,   ivi
compreso  quello  relativo  al  personale  delle  Regioni  a  statuto
speciale, alla materia «ordinamento  civile»  di  cui  all'art.  117,
secondo comma, lettera l), Cost. (ex plurimis, le sentenze n. 257 del
2016, n. 211 del 2014, n. 151 del 2010 e n. 189 del 2007). 
    Ne' osta  nel  caso  di  specie  la  circostanza  che,  ai  sensi
dell'art. 14, lettera q), dello statuto della  Regione  Siciliana,  a
quest'ultima spetta la competenza legislativa esclusiva in materia di
stato giuridico ed economico del proprio personale. Tale potesta'  di
regolazione in materia incontra, infatti, ai sensi di quanto previsto
dallo stesso statuto regionale siciliano, i  limiti  derivanti  dalle
norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica. 
    In proposito, questa Corte rileva che, in  specifico  riferimento
alla regolazione del rapporto di lavoro dei pubblici  dipendenti,  e'
l'art. 1, comma 3, del citato d.lgs. n. 165 del 2001, a stabilire, al
terzo periodo, che per  le  Regioni  a  statuto  speciale  e  per  le
Province autonome di  Trento  e  di  Bolzano  i  principi  desumibili
dall'art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421  (Delega  al  Governo
per la razionalizzazione e la revisione delle discipline  in  materia
di  sanita',  di  pubblico  impiego,  di  previdenza  e  di   finanza
territoriale), e dall'art. 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n.
59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti  alle
regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione
e per la semplificazione amministrativa), e rispettive  modificazioni
e  integrazioni,  costituiscono   norme   fondamentali   di   riforma
economico-sociale della Repubblica. 
    In tale quadro,  l'istituto  del  comando  -  che  trova  la  sua
originaria disciplina nell'art. 56 del decreto del  Presidente  della
Repubblica 10 gennaio 1957, n.  3  (Testo  unico  delle  disposizioni
concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato)  -  assume
peculiare  rilievo   quale   strumento   funzionale   alle   esigenze
organizzative delle amministrazioni pubbliche, che incide,  tuttavia,
profondamente sulla regolazione giuridica del rapporto di lavoro,  in
riferimento alle stesse modalita' di  svolgimento  della  prestazione
lavorativa  e  della  disciplina  dei  suoi  diversi  profili,  anche
retributivi. 
    Si configura, difatti, una peculiare situazione giuridica,  e  al
tempo stesso fattuale, nella  quale  il  soggetto  in  comando  resta
dipendente dell'amministrazione datrice  di  lavoro,  ma  espleta  la
prestazione presso  una  diversa  amministrazione.  Cio'  implica  la
necessita'  di  disciplinare  i  rapporti  che  intercorrono  fra  il
dipendente e le due amministrazioni interessate, nonche'  gli  stessi
rapporti,  anche  sotto  il  profilo  degli   oneri   connessi   alla
retribuzione del lavoratore in comando, tra amministrazione  titolare
del rapporto e amministrazione presso la quale il  dipendente  presta
servizio, posto che la gestione del rapporto spetta al primo,  mentre
all'ente in cui il dipendente espleta la propria attivita' compete la
gestione  della  prestazione  lavorativa.  Aspetti   tutti,   dunque,
riconducibili all'«ordinamento civile» e per i  quali  e'  necessario
configurare  una  disciplina  omogenea,  nel  concorso  fra  legge  e
autonomia collettiva, sul territorio nazionale in un quadro  organico
e  funzionale,  anche  per  evitare  sovrapposizioni  di   discipline
diversificate e non conciliabili. 
    A  tal  fine,  non  a  caso  il  d.lgs.  n.  165  del  2001,  nel
disciplinare   il   lavoro   alle    dipendenze    delle    pubbliche
amministrazioni,  interviene  anche  sull'istituto   in   esame.   In
particolare, l'art. 30, comma 2-sexies, stabilisce che  le  pubbliche
amministrazioni,  per  motivate  esigenze   organizzative,   «possono
utilizzare   in   assegnazione   temporanea   personale   di    altre
amministrazioni per un  periodo  non  superiore  a  tre  anni,  fermo
restando quanto  gia'  previsto  da  norme  speciali  sulla  materia,
nonche' il regime di spesa eventualmente previsto da tali norme e dal
presente decreto», come disposto al  riguardo  anche  dal  successivo
art. 70, comma  12,  richiamato  dal  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, che prevede  il  rimborso,  da  parte  dell'amministrazione
utilizzatrice,  all'amministrazione   di   appartenenza,   dell'onere
relativo al trattamento fondamentale. 
    Il legislatore siciliano, nel disporre  l'applicazione  anche  al
personale  comandato  del   contratto   collettivo   applicabile   ai
dipendenti dell'ARPA, interviene  dunque  oggettivamente  in  materia
demandata alla competenza statale, violando in tal modo  l'art.  117,
secondo comma, lettera l), Cost. 
    La  sostituzione,   con   legge   regionale,   della   disciplina
contrattuale propria dell'ente di provenienza titolare  del  rapporto
di lavoro con quella applicabile nell'ARPA, ove  il  soggetto  presta
attivita'  in  comando,  implica  effetti  non  compatibili  con   il
descritto quadro giuridico. Tale sostituzione determina, difatti,  il
sovrapporsi della  disciplina  contrattuale  vigente  presso  l'ARPA,
quale ente ove il dipendente comandato espleta la propria  attivita',
alla disciplina propria del rapporto con l'amministrazione datrice di
lavoro,   con   conseguenti   problemi,   ad   esempio   in    ordine
all'inquadramento, alle progressioni economiche e di  carriera,  alla
regolazione  di  specifici  aspetti  del  rapporto  di   lavoro   del
dipendente in posizione di comando che si ripercuotono  sugli  stessi
rapporti fra le amministrazioni coinvolte. 
    9.3.- Va, pertanto,  dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 55 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2017. 
    10.- Da ultimo, viene in considerazione la questione  concernente
la  legittimita'  costituzionale  dell'art.  56  della   legge   reg.
Siciliana n. 16  del  2017  che  sostituisce  l'art.  l  della  legge
regionale Siciliana 29 dicembre 2014, n.  29  (Norme  in  materia  di
promozione  e  tutela  dell'attivita'  fisico-motoria  e   sportiva),
prevedendo  che  la  Regione  Siciliana  riconosce  e  valorizza   le
competenze degli  operatori  del  settore  motorio  e  sportivo,  con
particolare riferimento ai laureati in scienze motorie e ai diplomati
ISEF. 
    Ad avviso del Presidente del  Consiglio  dei  ministri  la  norma
impugnata violerebbe l'art. 117, terzo comma, Cost.,  in  materia  di
professioni, eccedendo le competenze assegnate alla Regione Siciliana
dagli artt. 14 e 17 dello statuto regionale. 
    In proposito, il ricorrente evidenzia che i diplomati  ISEF  e  i
laureati in scienze motorie,  in  quanto  operatori  formati  per  il
settore dell'istruzione e dello sport, non possono essere  equiparati
dalla disposizione  regionale  ai  fisioterapisti,  che  sono  invece
professionisti sanitari il cui profilo e' previsto  dal  decreto  del
Ministro  della  sanita'  14  settembre  1994,  n.  741  (Regolamento
concernente l'individuazione della  figura  e  del  relativo  profilo
professionale del fisioterapista), in  quanto,  secondo  un  costante
orientamento  della  giurisprudenza  costituzionale,  il  legislatore
regionale e' tenuto a rispettare il principio  fondamentale  per  cui
l'individuazione delle figure professionali, con  i  relativi  titoli
abilitanti, e' riservata allo Stato. 
    10.1.- La questione e' fondata. 
    10.2.- Questa Corte, con orientamento costante, ha affermato  che
«la potesta' legislativa regionale nella  materia  concorrente  delle
"professioni"   deve   rispettare   il    principio    secondo    cui
l'individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e
titoli abilitanti, e' riservata, per il suo carattere necessariamente
unitario, allo Stato, rientrando nella competenza  delle  Regioni  la
disciplina  di  quegli   aspetti   che   presentano   uno   specifico
collegamento con la realta' regionale.  Tale  principio,  al  di  la'
della particolare attuazione ad opera dei singoli precetti normativi,
si configura infatti quale limite di  ordine  generale,  invalicabile
dalla legge regionale, da cio' derivando che non e' nei poteri  delle
Regioni dar vita a nuove figure professionali» (sentenza  n.  98  del
2013). 
    Nel caso di specie,  va  notato  che  la  disposizione  regionale
censurata  ha   significativamente   innovato   rispetto   al   testo
previgente,   stabilendo   che   «[n]elle   strutture   sanitarie   e
sociosanitarie pubbliche e private sia ai fini del mantenimento della
migliore efficienza  fisica  nelle  differenti  fasce  d'eta'  e  nei
confronti delle diverse abilita' sia ai fini di socializzazione e  di
prevenzione,  la   Regione   riconosce   l'esercizio   dell'attivita'
professionale esclusivamente svolta da soggetti in possesso di laurea
in scienze motorie e o del  diploma  ISEF».  La  norma,  riconoscendo
l'esercizio dell'attivita' professionale svolta  «esclusivamente»  da
soggetti in possesso di laurea in Scienze motorie o del diploma ISEF,
omette ogni riferimento ai fisioterapisti, nonostante che il d.m.  n.
741  del  1994  attribuisca  solo  a  questi   «gli   interventi   di
prevenzione, cura  e  riabilitazione  nelle  aree  della  motricita',
conseguenti  a  eventi  patologici  di  varia  natura,  congenita   o
acquisita» e «l'attivita' terapeutica per la rieducazione  funzionale
delle  disabilita'  motorie,  psicomotorie  e  cognitive  utilizzando
terapie fisiche, manuali e massoterapiche». 
    Ne' dalla disposizione censurata emerge,  in  alcun  modo,  quale
collegamento vi sia tra la  nuova  disciplina  e  le  esigenze  della
realta' territoriale siciliana, in relazione alle quali  soltanto  si
potrebbe  giustificare  l'intervento  legislativo   regionale   nella
materia  delle  professioni.  Escludendo   i   fisioterapisti   dalle
attivita' professionali da svolgere a fini di prevenzione nell'ambito
delle strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche  e  private,  la
norma regionale impugnata si pone, quindi, in palese contrasto con la
regolazione delle competenze di tali  operatori  sanitari  effettuata
dalla normativa statale, e in tal modo viola l'art. 117, terzo comma,
Cost., che, in materia  di  legislazione  concorrente,  riserva  allo
Stato la determinazione dei principi fondamentali,  tra  i  quali  va
ricompreso quello della individuazione delle figure  professionali  e
dei correlati titoli abilitanti. 
    10.3.- Va, percio',  dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale
dell'impugnato art. 56 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2017. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riservata  a  separate  pronunce  la  decisione  delle  ulteriori
questioni di legittimita'  costituzionale  promosse  con  il  ricorso
indicato in epigrafe; 
    1) dichiara l'illegittimita' costituzionale degli artt.  23,  26,
48, 54, 55 e 56 della legge della Regione Siciliana 11  agosto  2017,
n. 16 (Disposizioni programmatiche  e  correttive  per  l'anno  2017.
Legge di stabilita' regionale. Stralcio I); 
    2)  dichiara   non   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 17 della legge  reg.  Siciliana  n.  16  del
2017,  promossa  dal  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,   in
riferimento all'art. 117, terzo comma,  della  Costituzione,  e  agli
artt. 14 e 17 del regio decreto legislativo 15 maggio  1946,  n.  455
(Approvazione dello  statuto  della  Regione  Siciliana),  convertito
nella legge costituzionale 26 febbraio 1948, n.  2,  con  il  ricorso
indicato in epigrafe; 
    3)  dichiara   non   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 43 della legge  reg.  Siciliana  n.  16  del
2017,  promossa  dal  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,   in
riferimento all'art. 117, terzo comma, Cost., e agli artt.  14  e  17
dello statuto di autonomia, con il ricorso indicato in epigrafe; 
    4) dichiara non fondata, nei sensi  di  cui  in  motivazione,  la
questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  50  della  legge
reg. Siciliana n. 16 del 2017, promossa dal Presidente del  Consiglio
dei ministri, in riferimento agli artt. 3 e 117, terzo comma,  Cost.,
e agli artt. 14 e 17 dello  statuto  di  autonomia,  con  il  ricorso
indicato in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 giugno 2018. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                    Giulio PROSPERETTI, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 23 luglio 2018. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA