N. 108 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 settembre 2016

Ordinanza  del  2  settembre  2016   della   Commissione   tributaria
provinciale  di  Messina  sul  ricorso  proposto  da  Calanna  Grazia
c/Commissione tributaria provinciale di Messina. 
 
Spese  di  giustizia  -  Contributo   unificato   -   Riscossione   -
  Notificazione dell'invito al pagamento presso il  domicilio  eletto
  o, in mancanza, tramite deposito presso l'ufficio. 
- Decreto del Presidente della Repubblica  30  maggio  2002,  n.  115
  («Testo unico delle disposizioni  legislative  e  regolamentari  in
  materia di spese di giustizia (Testo A)»), art. 248, comma 2. 
(GU n.34 del 29-8-2018 )
 
          LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI MESSINA 
                             Sezione 11 
 
    riunita con l'intervento dei sig.ri: 
      Lanza Volpe Armando Calogero, presidente; 
      Savasta Pancrazio Maria, relatore; 
      Iarrera Michelina, giudice. 
    Ha  emesso  la  seguente  ordinanza  su  ricorso   n.   3654/2015
depositato il 16  ottobre  2015  avverso  avviso  di  intimazione  n.
0004953 Trib. Erariali 2013. 
    Contro: Commissione tributaria provinciale di Messina. 
    Proposto dal ricorrente: Calanna Grazia, CDA Rupila 29 98074 Naso
ME. 
    Difeso da: Sinagra Maria Tindara,  Via  U.  Corica  n.  36  98069
Sinagra ME. 
    Ordinanza ai sensi dell'art. 23, comma 3, legge n. 87/1953. 
 
                                Fatto 
 
    Con ricorso iscritto n. 3654/15, notificato il 16 ottobre 2015  e
contestualmente   depositato,   la   ricorrente,   Calanna    Grazia,
rappresentata  se  difesa  dall'avv.  Maria  Sinagra,  ha   impugnato
l'intimazione di pagamento prot. n. 0004953 del 21 luglio  2015,  con
il quale, dopo un primo avviso notificato il 6 giugno  2013  al  rag.
Franco Micale, difensore della stessa  nel  contenzioso  iscritto  al
R.G.R.  1143/13  instaurato  presso  questa  Commissione   Tributaria
Provinciale, quest'ultirna - Ufficio Recupero Spese di Giustizia - le
ha intimato il pagamento di € 1.500,00,  per  omesso  versamento  del
contributo unificato e mancata  indicazione  del  valore  della  lite
relativo  al  predetto  ricorso,  oltre  €  3.000,00,  pari  al  200%
dell'importo dovuto  e  non  versato,  per  complessivi  €  4.508,75,
comprensivi di spese di notifica. 
    Il ricorso e' stato  affidato  alle  censure  che  possono  cosi'
essere rappresentate: 
      1)  nullita'  dell'atto  impugnato  per  carenza  di   elementi
essenziali. 
      Il provvedimento impugnato sarebbe nullo, in quanto  privo  dei
seguenti elementi: 
        a) mancata indicazione dell'Autorita' competente  a  ricevere
il ricorso. 
        b) mancata allegazione degli atti prodromici; 
        c) «impossibilita' di poter impugnare l'invito  al  pagamento
prot. n. 0001634», in quanto non direttamente conosciuto. 
      2) Violazione del termine decadenziale previsto  dall'art.  248
T.U.S.G., per non essere  stato  il  provvedimento  notificato  entro
trenta giorni dal deposito dell'atto. 
      3) Desumibilita' del valore della lite «dalla copia del diniego
della definizione della lite pendente prot., n. 2012/141514/6». 
    In ogni caso, avrebbe dovuto essere applicato il  contributo  per
valore indeterminabile, pari a € 120.00. 
    4) Mancanza dell'elemento soggettivo, in quanto la ricorrente  e'
venuta a conoscenza del mancato versamento  del  contributo  soltanto
con l'atto impugnato,  preceduto  dalla  formale  richiesta  al  rag.
Franco Micale, verso il quale  e'  stata  intrapresa  azione  per  il
riconoscimento della responsabilita' professionale. 
    Costituitasi, l'Amministrazione ha  concluso  per  l'infondatezza
del ricorso. 
    Con ordinanza n. 167/16  del  19  gennaio  2016,  la  Sezione  ha
accolto la domanda di sospensione del provvedimento impugnato. 
    All'udienza del 15 marzo 2016, la causa e'  stata  trattenuta  in
decisione. 
 
                               Diritto 
 
1) La questione in punto di fatto. 
    Con il  ricorso  in  esame,  parte  ricorrente  ha  impugnato  il
provvedimento reso da questa  Commissione  Tributaria  Provinciale  -
Ufficio Recupero Spese di Giustizia - con il quale e' stato  intimato
il pagamento complessivi € 4.508,75, comprensivi di spese di notifica
, per mancato  pagamento  del  contributo  unificato  relativo  a  un
precedente ricorso anch'esso ivi introdotto. 
    L'Ufficio ha riscontrato che, diversamente da quanto statuito dal
comma 3-bis dell'art. 14  del  T.U.S.G.,  nel  ricorso  non  figurava
l'indicazione del valore della lite, sicche', con atto del 14 gennaio
2013, ha richiesto alla ricorrente, presso il  domicilio  processuale
eletto, la nota di iscrizione a ruolo, invitandola  a  indicare,  tra
l'altro, il predetto dato omesso. 
    Come non smentito, tale ultima indicazione  non  e'  stata  dalla
ricorrente  rappresentata,  sicche',  in  considerazione  di   quanto
previsto dall'art. 13, comma 6, del T.U.S.G., con invito del 6 giugno
2013 prot. n. 1634, indirizzato sempre al predetto domicilio  eletto,
l'Ufficio le  ha  intimato  il  pagamento  del  contributo  unificato
massimo previsto, pari a € 1.500,00 (piuttosto che  €  120,00,  quale
importo asseritamente dovuto), avvertendo, per  altro,  che  l'omesso
versamento   avrebbe   comportato,   con   separato    provvedimento,
l'applicazione delle sanzioni previste tra le quali, quella del  200%
dell'importo dovuto, nell'ipotesi in cui la richiesta non fosse stata
esitata entro il novantesimo giorno dall'intimazione. 
    Non  avendo  provveduto  nei  predetti  termini,   l'Ufficio   ha
proceduto  con  l'intimazione  di  pagamento  impugnata,  notificata,
questa volta, direttamente alla ricorrente e da questa ricevuta il 21
luglio  2015,  con  la  quale,  oltre  a  confermare   la   richiesta
dell'importo  massimo  (€  1.500,00)  del   contributo   per   omessa
dichiarazione del valore,  le  e'  stato  ingiunto  il  pagamento  di
ulteriori €  3.000,00,  quale  sanzione  pari  al  200%  dell'importo
dovuto, oltre spese di notifica. 
    La ricorrente, tra le altre censure, con il ricorso in  esame  ha
sostenuto la nullita' dell'atto  avversato  per  l'impossibilita'  di
impugnare, in quanto  non  conosciuti  per  essere  stati  notificati
presso il domicilio eletto, i provvedimenti a questo  presupposti  e,
quindi, per lo stesso motivo,  la  carenza  dell'elemento  soggettivo
necessario per procedere al recupero fiscale. 
    In somma sintesi, la ricorrente, pur non essendo stata  posta  in
condizione  di  conoscere  «direttamente»  l'importo  del  contributo
unificato dovuto (che ben avrebbe potuto onorare, stante, per  altro,
l'esiguita' dello  stesso),  in  quanto  gli  atti  presupposti  alla
conclusiva intimazione impugnata  sono  stati  notificati  presso  il
domicilio da questa  eletto  per  il  ricorso  tributario,  e'  stata
chiamata a rispondere, in effetti, sia della piu' che  decuplicazione
del contributo dovuto, che della conseguente sanzione, pari  al  200%
di quest'ultimo, con un risultato pari 37,5 volte la  somma  ex  lege
prevista. 
2) La questione in punto di diritto. 
    Premette il Collegio che, per i motivi di seguito  rappresentati,
nessuna menda e' possibile attribuire all'Ufficio procedente. 
    L'art. 14, comma 1, del T.U.S.G. (D.P.R. 30 maggio 2002, n.  115)
cosi statuisce: 
      la parte che per prima si costituisce in giudizio, che deposita
il  ricorso  introduttivo,  ovvero  che  nei  processi  esecutivi  di
espropriazione forzata, fa istanza per l'assegnazione  o  la  vendita
dei beni pignorati, e' tenuta al pagamento contestuale del contributo
unificato. 
    Il successivo comma 3-bis cosi' recita: 
      nei processi tributari, il valore della lite, determinato,  per
ciascun atto impugnato  anche  in  appello,  ai  sensi  del  comma  2
dell'art. 12 del decreto legislativo 31  dicembre  1992,  n.  546,  e
successive modificazioni, deve risultare  da  apposita  dichiarazione
resa dalla parte nelle conclusioni del ricorso, anche nell'ipotesi di
prenotazione a debito. 
    Nelle ipotesi in cui non intervenga  il  pagamento  previsto  dal
successivo art. 16, l'art. 248 del medesimo T.U.S.G. stabilisce che: 
      1. entro trenta giorni dal deposito dell'atto cui si collega il
pagamento o l'integrazione del contributo,  l'ufficio  notifica  alla
parte, ai  sensi  dell'art.  137  del  codice  di  procedura  civile,
l'invito  al  pagamento  dell'importo  dovuto,  quale   risulta   dal
raffronto tra il valore della causa ed  il  corrispondente  scaglione
dell'  art.  13,  con  espresso  avvertenza  che  si  procedera'   ad
iscrizione a ruolo, con addebito degli interessi al saggio legale, in
caso di mancato pagamento entro un mese. 
      2. Salvo quanto previsto dall'art. 1, comma 367, della legge 24
dicembre 2007, n. 244, l'invito e' notificato, a cura dell'ufficio  e
anche tramite posta elettronica certificata nel domicilio  eletto  o,
nel caso di mancata  elezione  di  domicilio,  e'  depositato  presso
l'ufficio. 
      3. Nell'invito sono indicati il termine e le modalita'  per  il
pagamento ed e' richiesto al debitore di depositare  la  ricevuta  di
versamento entro dieci giorni dall'avvenuto pagamento. 
    A tanto l'Ufficio si e' conformato, procedendo a  notificare  gli
atti presupposti al domicilio eletto nel processo e  soltanto  quello
finale direttamente alla parte interessata, adeguandosi  al  comma  2
dell'art. 248, che come appena chiarito, tanto impone. 
    E che di elezione di domicilio processuale si tratti appare certo
proprio dalla circostanza espressa al secondo comma, che  segue  alla
previsione del primo comma, che, a sua volta, regola  la  fattispecie
del deposito dell'atto cui si collega il pagamento  o  l'integrazione
del contributo. 
    Per completezza  e'  bene  precisare  che  l'art.  13,  comma  6,
stabilisce che: 
      «Se manca la dichiarazione di cui all'art. 14, il  processo  si
presume del valore indicato al  comma  1,  lettera  g)  Se  manca  la
dichiarazione di cui al comma 3-bis  dell'art.  14,  il  processo  si
presume del valore indicato al comma 5-quater, lettera f)». 
    Quindi la  mancata  dichiarazione  determina  l'applicazione  del
contributo unificato nella misura della predetta lettera f),  vale  a
dire  «euro  1.500  per  controversie  di  valore  superiore  a  euro
200.000», che e il massimo stabilito per gli scaglioni  del  processo
tributario. 
3) La rilevanza della questione 
    Ai fini della decisione da assumere e di tutta  evidenza  che  il
Collegio, scrutinati  i  diversi  motivi  da  ritenere  non  fondati,
sarebbe tenuto, sulla base della normativa  espressa  dal  richiamato
art. 248, comma 2, a riconoscere che l'invito di pagamento rivolto al
solo domicilio  eletto  determina  la  regolarita'  della  procedura,
nonostante la parte interessata non abbia  ricevuto  alcun  personale
avviso  di  un  contributo  ritenuto  pacificamente   avente   natura
tributaria,  tanto   da   sottoporlo,   a   prescindere   dall'Organo
accertatore, alla competenza specifica delle Commissioni tributarie. 
    Ove  l'intimazione  fosse  stata  direttamente  conosciuta  dalla
ricorrente, sarebbe stato possibile assolvere all'onere del pagamento
di soli € 120,00 e,  quindi,  evitare  sia  la  rideterminazione  del
tributo in € 1.500,00  che  la  successiva  conseguente  applicazione
della sanzione del 200% su tale importo rideterminato. 
    Deriva  che,  in  presenza  della  infondatezza  delle  ulteriori
censure, questa Commissione sarebbe costretta a rigettare il ricorso,
piuttosto che accoglierlo,  ove  venga  invece  riconosciuta  la  non
conformita'  ai  principi  costituzionali  del  richiamato  comma   2
dell'art. 248, nella misura in cui impone  la  notifica  di  un  alto
tributario al «solo» domicilio processuale eletto. 
    E  a  tale  risultato  non  e'  possibile  ovviare   considerando
un'interpretazione estensiva  della  norma,  in  quanto  disposizione
speciale che non lascia margini ermeneutici,  sancendo  il  domicilio
eletto quale quello, unico, utile per  una  corretta  procedura  (con
alternativa, ancora meno garantista, del  deposito  presso  l'Ufficio
procedente, in caso di mancata elezione). 
    Ne', inoltre, ammesso, che tale affermazione possa potenzialmente
modificare il  giudizio  di  rilevanza,  e'  possibile  sostenere  la
sussistenza di una responsabilita' solidale del difensore, posto  che
la stessa, introdotta dall'art. 21 del decreto-legge 4  luglio  2006,
n. 223 al comma 1-bis dell'art. 16 del T.U.S.G., e'  stata  soppressa
in sede di conversione con la legge 4 agosto 2006, n. 248. 
    E anche la  possibile  azione  risarcitoria,  pure  asseritamente
proposta in sede civile,  non  puo'  modificare  la  rilevanza  della
questione introdotta, in quanto  relazionata  a  norme,  processi  ed
eventi diversi da quelli attratti dall'art. 248 in questione. 
    Ne appare possibile fare uso di diverse disposizioni, secondo  le
quali e' consentito  «spezzare»  il  vincolo  soggettivo  e,  quindi,
ritenere, a prescindere dalla notifica  dell'avviso,  rimediabile  la
mancata tempestiva conoscenza dell'atto impositivo. 
    In tema di presentazione  della  dichiarazione  dei  redditi,  il
comma secondo dell'art.  1  della  legge  11  ottobre  1995,  n.  423
stabilisce, che «la sospensione e' disposta  dal  responsabile  della
direzione regionale delle entrate  territorialmente  competente,  che
provvede su istanza del contribuente o del  sostituto  d'imposta,  da
presentare unitamente alla copia della denuncia  del  fatto  illecito
all'autorita' giudiziaria o ad un ufficiale di  polizia  giudiziaria,
dopo il  pagamento  dell'imposta  ancora  dovuta,  e  sempre  che  il
contribuente dimostri di aver provvisto il professionista delle somme
necessarie al versamento omesso, ritardato o insufficiente». 
    La norma, all'evidenza, riguarda tributo diverso  e,  come  tale,
non puo' essere estesa al contributo unificato. 
    L'ordinamento, tuttavia, riconosce la possibilita' di evitare  il
pagamento delle sanzioni «per fatto altrui». 
    L'art. 5  del  decreto  legislativo  18  dicembre  1997,  n.  472
(Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative  per  le
violazioni di norme tributarie, a norma dell'art. 3, comma 133, della
legge 23 dicembre 1996, n. 662) pone il  principio  della  necessita'
della «colpevolezza» per l'irrogazione della sanzione tributaria. 
    La norma cosi' recita: 
      1. Nelle violazioni punite con sanzioni amministrative ciascuno
risponde della propria azione ad omissione, cosciente  e  volontaria,
sia essa dolosa o  colposa.  Le  violazioni  commesse  nell'esercizio
dell'attivita' di consulenza tributaria e comportanti la soluzione di
problemi di speciale difficolta' sono punibili solo in caso di dolo o
colpa grave. 
    (Omissis). 
      3. La colpa e' grave quando l'imperizia  o  la  negligenza  del
comportamento  sono  indiscutibili  e  non  e'   possibile   dubitare
ragionevolmente del significato e della portata della norma violata e
di conseguenza, risulta  evidente  la  macroscopica  inosservanza  di
elementari obblighi tributari Non si considera determinato  da  colpa
grave l'inadempimento  occasionale  ad  obblighi  di  versamento  del
tributo. 
      4.  E'  dolosa  la  violazione   attuata   con   l'intento   di
pregiudicare la determinazione dell'imponibile o dell'imposta  ovvero
diretta ad ostacolare l'attivita' amministrativa di accertamento. 
      Il successivo art. 6 prevede le «Cause di non  punibilita'»  e,
tra queste, quella richiamata al comma 3. 
        3. Il contribuente, il sostituto e il responsabile  d'imposta
non sono punibili quando dimostrano che il pagamento del tributo  non
e' stato eseguito per fatto denunciato  all'autorita'  giudiziaria  e
addebitabile esclusivamente a terzi. 
      Nel  caso  in  esame  e',  in  effetti,  da  verificare  se  la
disposizione possa trovare applicazione e  se,  conseguentemente,  la
parte   interessata   possa,   per   tale   motivo,   andare   esente
dall'irrogazione della sanzione. 
      Tuttavia, ad avviso  del  Collegio,  anche  in  questa  ipotesi
rimane la rilevanza della questione, posto  che,  comunque,  la  fase
antecedente all'applicazione della sanzione,  per  effetto  dell'art.
248, comma 2, e' stata comunque notificata al  domicilio  processuale
eletto, con applicazione della maggiorazione da € 120 a €  1.500  del
tributo dovuto  e  con  l'«avvertimento»,  anch'esso  non  conosciuto
direttamente, dell'applicazione della sanzione, poi  applicata,  pari
al 200% di quest'ultimo, cosi' come rideterminato. Rimane,  pertanto,
l'interesse al controllo  di  legittimita'  costituzionale  di  detta
norma, quanto meno  rispetto  alla  determinazione  dell'entita'  del
dovuto. 
4) La non manifesta infondatezza. 
    4.1.) La natura del contributo unificato. 
    Come gia' premesso, il contributo  unificato  e'  considerato  un
tributo e, come tale, e' attratto  dalla  giurisdizione  del  Giudice
tributario. 
    Come,  infatti,   rilevato   da   codesta   Corte   (cfr.   Corte
costituzionale, 11 febbraio 2005,  n.  73)  «La  natura  di  "entrata
tributaria erariale" del  predetto  contributo  unificato  Si  desume
infatti, indipendentemente dal nomen iuris utilizzato dalla normativa
che lo disciplina: a) dalla circostanza che esso e stato istituito in
fora: di legge a fini di semplificazione e in sostituzione di tributi
erariali gravanti anch'essi su  procedimenti  giurisdizionali,  quali
l'imposta di bollo e la tassa di iscrizione a ruolo,  oltre  che  dei
diritti  di  cancelleria  e  di  chiamata  di  causa   dell'ufficiale
giudiziario (art. 9, commi 1 e 2, della legge n. 488  del  1999);  b)
dalla conseguente applicazione al contributo unificato  delle  stesse
esenzioni  previste  dalla  precedente  legislazione  per  i  tributi
sostituiti e per l'imposta  di  registro  sui  medesimi  procedimenti
giurisdizionali (comma 8 dello stesso art. 9); c) dalla sua  espressa
configurazione quale prelievo coattivo volto al  finanziamento  delle
«spese degli atti giudiziari» (rubrica del citato  art.  9);  d)  dal
fatto, infine,  che  esso,  ancorche'  connesso  alla  fruizione  del
servizio giudiziario, e' commisurato forfetariamente  al  valore  del
processi (comma 2 dell'art. 9 e tabella 1 allegata alla legge) e  non
al costo del servizio reso od al valore della prestazione erogata. Il
contributo ha, pertanto, le caratteristiche essenziali del tributo  e
cioe' la doverosita' della prestazione e il collegamento di questa ad
una pubblica spesa, quale  e'  quella  per  il  servizio  giudiziario
(analogamente si  sono  espresse,  quanto  alle  caratteristiche  dei
tributi, le sentenze n. 26 del 1982, n. 63 del 1990, n. 1  del  1995,
n. 11 del 1995 e n. 37 del 1997), con riferimento ad  un  presupposto
economicamente rilevante». 
    Il principio e' stato ribadito dal  Giudice  della  Giurisdizione
(cfr. Cassazione civile, sez. un. 5 maggio 2011, n. 9840), secondo il
quale «la Corte osserva  al  riguardo  che  il  contributo  unificato
previsto dal decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002,
art. 9, ha natura di entrata tributaria. 
    Le ragioni  di  tale  qualificazione  Si  trovano  esposte  nella
sentenza  della  Corte  costituzionale  11  febbraio  2005   n.   73,
pronunziata in sede di risoluzione di conflitto di  attribuzione  tra
la Regione Siciliana e lo Stato (e della natura  tributaria  di  tale
entrata vi e' cenno nelle sentenze 8 febbraio 2008 nn. 3007 e 3008 di
queste sezioni unite). 
    Da tale  qualificazione  discende  che  conoscere  della  domanda
proposta dall'attuale ricorrente,  rientra  nella  giurisdizione  del
giudice tributario in base al decreto legislativo 31  dicembre  1992,
n. 546, art. 2, comma 1, e art. 19 lettera d)». 
    4.2) I principi generali dell'Ordinamento. 
    Il nostro Ordinamento conosce alcune disposizioni  volte  a  dare
certezza ai procedimenti di spesa. 
    Ed invero, l'art. 1 decreto del Presidente  della  Repubblica  20
aprile  1994,  n.  367   (Regolamento   recante   semplificazione   e
accelerazione delle procedure di spesa e contabili) stabilisce che: 
      1. Le procedure di spesa sono rette, oltre che dal principio di
legalita',  da  principi  di  certezza,   pubblicita',   trasparenza,
concentrazione  e  speditezza.  Esse  sono  svolte,  di  norma,   con
tecnologie  informatiche,  in  modo  do  assicurare  certezza   delle
informazioni, efficacia dei controlli, rapidita' del pagamenti. 
      L'art. 60  del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  29
settembre  1973,  n.  600  (Disposizioni   comuni   in   materia   di
accertamento  delle  imposte  sui  redditi),   per   altro   limitato
all'imposizione diretta, in tema di notificazione, at comma  1,  cosi
recita: 
        La notificazione degli avvisi e  degli  altri  atti  che  per
legge devono essere notificati al contribuente e' eseguita secondo le
norme stabilite dagli articoli 137 e seguenti del codice di procedura
civile, con le seguenti modifiche: 
        (Omissis). 
        d ) e' in facolta' del  contribuente  di  eleggere  domicilio
presso una persona o un ufficio  nel  Comune  del  proprio  domicilio
fiscale per la  notificazione  degli  atti  o  degli  avvisi  che  lo
riguardano. In  tal  caso  l'elezione  di  domicilio  deve  risultare
espressamente da  apposita  comunicazione  effettuata  al  competente
ufficio a mezzo di lettera raccomandata  con  avviso  di  ricevimento
ovvero in via telematica con modalita'  stabilite  con  provvedimento
del direttore dell'Agenzia delle entrate. 
    La  legge  27  luglio  2000,  n.   212   (Statuto   Diritti   dei
Contribuenti), all'art. 6,  in  tema  di  «conoscenza  degli  atti  e
semplificazione», al comma 1, cosi' recita: 
    L'amministrazione   finanziaria   deve   assicurare   l'effettiva
conoscenza da parte del contribuente degli atti a  lui  destinati.  A
tale fine essa provvede comunque a comunicarli nel luogo di effettivo
domicilio del contribuente, quota desumibile  dalle  informazioni  in
possesso della stessa  amministrazione  o  di  altre  amministrazioni
pubbliche  indicate  dal  contribuente,  ovvero  nel  luogo  ove   il
contribuente ha eletto domicilio speciale  ai  fini  dello  specifico
procedimento cui si riferiscono gli atti da comunicare. Gli atti sono
in ogni caso comunicati con modalita' idonee a garantire che il  loro
contenuto  non  sia  conosciuto  da   soggetti   diversi   dal   loro
destinatario. Restano ferme le disposizioni in  materia  di  notifica
degli atti tributari. 
    Queste due ultime norme, quindi, antecedenti al  Testo  Unico  in
cui e' racchiuso il comma 2 dell'art. 248, indicano, la  prima,  che,
per  le  imposte  dirette,  nel  procedimento  amministrativo   volto
all'irrogazione  del  tributo,  l'Amministrazione  ha  l'obbligo   di
notificare l'atto direttamente al  contribuente,  la  seconda,  pone,
proprio nello Statuto del contribuente, tale principio generale. 
    In ambedue le fattispecie e' prevista la possibilita' di elezione
di domicilio. 
    Nel  primo  caso,  la  stessa  deve  essere  fatta  espressamente
mediante comunicazione con raccomandata;  nel  secondo,  si  pone  il
principio per  il  quale  il  contribuente  puo'  eleggere  domicilio
speciale ai fini dello specifico procedimento cui si riferiscono  gli
atti da comunicare. 
    La norma contenuta nel secondo comma dell'art. 248, successiva  a
quella posta nello statuto del contribuente, invece,  come  chiarito,
stabilisce  la  notifica  dell'invito  al  pagamento  del  contributo
unificato presso il domicilio eletto,  dovendosi  intendere,  quindi,
quello «processuale». 
    Ad avviso del Collegio, e' proprio  in  questa  disposizione  che
emerge, intanto, la  difformita'  con  i  principi  che  regolano  la
materia tributaria, che, come appena  chiarito,  richiedono,  per  un
verso, la certezza dell'avvenuta conoscenza dell'atto  impositivo  da
parte del contribuente mediante invio al suo domicilio, per un altro,
la possibilita' di espressa deroga  mediante  elezione  di  domicilio
mediante  forme  tipiche  (raccomandata  allo  specifico  Ufficio  di
controllo tributario) e, comunque,  valevole  soltanto  nel  caso  di
indicazione nello «specifico» procedimento speciale (tributario e non
processuale). 
    Si vuole, in altri termini, dire che nel procedimento  tributario
la regola e' la conoscenza diretta dell'atto impositivo,  l'eccezione
e' consentita solo mediante elezione specificamente  rivolta  a  tale
procedimento, sicche' la disposizione che  «estenda»  l'elezione  del
domicilio resa ai fini della difesa nel processo tributario appare un
fuor di luogo ove riferita al contributo  unificato,  la  cui  natura
giuridica,  per  come  chiarito,  e'  tributaria  e,  come  tale,  si
inserisce in un procedimento amministrativo  seppur  occasionato  dal
processo ed e', quindi, qualcosa di diverso,  dall'atto  processuale,
cui l'elezione di domicilio processuale a certamente e' rivolta. 
    Consegue che l'elezione del domicilio nel processo deve  produrre
i suoi effetti esclusivamente in tale ambito e non in quello  diverso
relativo al procedimento relativo al contributo unificato. 
    Tuttavia, per quanto detto, la norma contenuta nel secondo  comma
dell'art.  248  e'  chiara  nel  ritenere  che  tale   elezione   sia
sufficiente per incardinare il procedimento (e non solo il  processo)
tributario relativo al contributo unificato. 
    Ad avviso del  Collegio,  tale  commistione  tra  procedimento  e
processo tributario: 
      1) non garantisce una adeguata difesa processuale,  cosi'  come
prevista dall'art. 24 della Costituzione, che per  essere  tale  deve
consentire l'adeguata conoscenza degli atti prodromici al processo; 
      2) deroga dai principi di buon andamento e imparzialita'  della
Pubblica  Amministrazione  trasfusi  nell'art.  97,  comma  2,  della
Costituzione, la cui manifestazione non puo' non  riguardare  la  non
discriminazione  e  la   trasparenza   nell'attivita',   quest'ultima
certamente garantita dall'effettivita' della  conoscenza  degli  atti
amministrativi (perche' di atti amministrativi, e' bene  ribadire,  e
non di atti processuali, nel caso di specie, si tratta); 
      3) costituisce un vulnus al  principio  del  «giusto  processo»
regolato  dall'art.  111  Cost..  In  particolare,  il  principio  di
imparzialita' puo' dirsi effettivamente  garantito  nel  procedimento
amministrativo ove sia stata assicurata la necessaria integrita'  del
contraddittorio,  quale  presupposto   della   successiva   attivita'
dell'Amministrazione, che deve essere caratterizzata, per  un  verso,
dalla completezza dell'istruttoria, dalla motivazione  degli  atti  e
dalla loro pubblicita' e, dall'altro, da una  decisione  che  sia  la
sintesi dell'accertamento dei presupposti di fatto e dei contrapposti
interessi in gioco. 
    E' tale attivita', come e' certamente  ormai  consolidato  quanto
meno dalla legge 241/90 in poi, non puo' prescindere  dalla  concreta
partecipazione del cittadino al procedimento, partecipazione che deve
essere garantita e resa effettiva proprio dalla  esatta  informazione
dell'attivita' in corso. 
    Sembra al Collegio che quello in esame sia un caso scolastico  di
carenza informativa che ha  determinato  un  procedimento  gravemente
sanzionatorio certamente evitabile sol che la norma  avesse  disposto
che la notifica dei preavvisi e  della  stessa  liquidazione  dovesse
essere preventivamente indirizzata al domicilio proprio della parte e
non a quello eletto ai soli fini processuali. 
    Ed invero (Cassazione civile, sez. un.  ,  13  gennaio  2005,  n.
458), «l'intero sistema  delle  notificazioni,  nella  diversita'  di
procedimenti in cui si articola, si fonda su ragionevoli  presunzioni
di conoscenza dell'atto da parte del soggetto al quale la notifica e'
rivolta, non essendo esigibile che quest'ultimo ne abbia  sempre  una
conoscenza   concreta   (realizzabile   soltanto   nell'ipotesi    di
notificazione in mani proprie: art. 138 cod. proc. civ.), perche'  il
perseguimento di un  tale  risultato  finirebbe  per  rendere  troppo
difficile l'esercizio del diritto costituzionale di agire in giudizio
e si porrebbe, quindi, in contrasto con l'art. 24, primo comma, della
Costituzione. 
    «Ma anche il diritto di resistere ad una pretesa e espressione di
una  situazione  giuridica  costituzionalmente  tutelata,  in  quanto
costituente esercizio del diritto di difesa (art. 24, comma  secondo,
Cost.), che postula un'effettiva instaurazione  del  contraddittorio,
indispensabile per garantire il giusto processo (art.  111,  primo  e
secondo comma, Cost.). 
    Pertanto,  in  un  equo   bilanciamento   delle   posizioni   del
notificante    e    del     destinatario     della     notificazione,
un'interpretazione costituzionalmente orientata  della  normativa  al
riguardo impone che le garanzie di conoscibilita' dell'atto da  parte
del  destinatario  medesimo  siano  ispirate  ad   un   criterio   di
effettivita', come effettiva (e non soltanto formale) deve essere  la
tutela del contraddittorio.  E  cio'  vuol  dire  che  devono  essere
valorizzati tutti gli elementi idonei a perseguire il detto  criterio
di effettivita'». 
    Per altro verso, i principi cui si  deve  conformare  l'attivita'
amministrativa sono «specificati» nell'art. 1 della legge  241/90,  a
mente del quale, «L'attivita'  amministrativa  retta  da  criteri  di
economicita', di efficacia, di imparzialita',  di  pubblicita'  e  di
trasparenza nonche' dai principi dell'ordinamento comunitario». 
    Il  principio   di   imparzialita'   richiede   una   valutazione
complessiva degli interessi pubblici e di quelli privati e, pertanto,
la fase conoscitiva e' il presupposto stesso della partecipazione del
cittadino, tant'e' che l'art. 7 della predetta legge 241/90 impone la
comunicazione dell'avvio del procedimento ai soggetti  nei  confronti
dei quali il provvedimento finale e'  destinato  a  produrre  effetti
diretti e, secondo il successivo art. 8, «l'amministrazione  provvede
a dare notizia dell'avvio  del  procedimento  mediante  comunicazione
personale». 
    E  la  mancata  comunicazione  dell'avvio  del  procedimento  non
determina   annullabilita'    del    provvedimento    solo    qualora
l'amministrazione, ai sensi dell'art. 21-octies  del  predetto  testo
legislativo, dimostri in giudizio che il contenuto del  provvedimento
non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. 
    In definitiva,  l'«esclusivita'»,  per  altro  «speciale»,  della
norma in commento sembra  disattendere  dai  principi  costituzionali
sopra indicati e dall'intero sistema  procedurale  amministrativo  e,
infine, a ben vedere, dalla stessa norma regolatrice la  materia  nel
processo tributario, contenuta nell'art. 17 del  decreto  legislativo
n. 546/92, a mente del quale: 
      1. Le comunicazioni e le notificazioni  sono  fatte,  salva  la
consegna in mani proprie, nel domicilio eletto o, in mancanza,  nella
residenza o nella sede dichiarata dalla  parte  dell'atto  della  sua
costituzione  in  giudizio.  Le  variazioni  del  domicilio  o  della
residenza o della sede hanno effetto dal decimo giorno  successivo  a
quello in cui sia stata notificata alla segreteria della  commissione
e alle parti costituite la denuncia di variazione. 
      2. L'indicazione della residenza o della sede e l'elezione  del
domicilio hanno effetto anche per i successivi gradi del processo. 
      3. Se mancano l'elezione di domicilio o la dichiarazione  della
residenza o della sede nel territorio dello Stato o se  per  la  loro
assoluta incertezza la notificazione o la  comunicazione  degli  atti
non e' possibile, questi  sono  comunicati  o  notificati  presso  la
segreteria della commissione. Appare evidente che,  al  primo  comma,
diversamente  da  quanto  stabilito  dall'art.   248   T.U.S.G.,   e'
consentita una notifica regolare ove effettuata mediante consegna  in
mani proprie, sia pur in presenza di elezione di domicilio. 
    Ne consegue, ulteriormente, che la norma in esame appare altresi'
irragionevole per contraddittorieta'  e  disparita'  di  trattamento,
poiche'  regola  in   maniera   piu'   restrittiva   una   situazione
procedimentale analoga ad  altre  diversamente  disciplinate  sia  in
termini generali (dallo Statuto del contribuente  e  dalla  legge  n.
241/90) che nel medesimo  ambito  procedimentale  e  processuale  del
settore  tributario,  vulnerando  cosi',   il   principio   di   pari
trattamento sancito dall'art. 3 della Costituzione. 
    Infine, per quanto premesso, un giusto processo non  puo'  essere
instaurato ove le parti (private) non abbiano avuto  la  possibilita'
di una tutela avanzata in fase procedimentale, poiche' l'effettivita'
della tutela del cittadino non  solo  richiede  la  conoscenza  della
possibilita' dell'emanazione di un atto pregiudizievole, al  fine  di
consentire a quest'ultimo di approntare le necessarie  misure  (anche
collaborative e satisfattive) volte a scongiurare  che  cio'  avvenga
con conseguenze (notevolmente, come in questo caso) piu' gravose,  ma
anche di poter preventivamente, prima, e  nell'ambito  del  processo,
dopo, proporre argomenti utili a modificare in proprio favore l'esito
del giudizio. E  nel  caso  di  specie,  le  tempestive  non  esitate
intimazioni al domicilio eletto, scandite  da  disposizioni  precise,
ben difficilmente possono essere «contrastate» in  sede  processuale,
ove operi una presunzione di conoscenza dell'atto pregiudizievole, in
effetti, per quanto asserito, non avvenuta. 
    5) In conclusione, il Collegio ravvisa  la  rilevanza  e  la  non
manifesta infondatezza, per violazione degli articoli 3, 24, 97 e 111
della Costituzione, della questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 248, comma 2, del T.U.S.G. (D.P.R. 30.5.2002, n. 115). 
    Va, pertanto, disposta - ai sensi dell'art. 134 Cost.,  dell'art.
1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948 n. 1 e 23 legge 11 marzo
1953 n. 87 - la sospensione del presente giudizio e  la  trasmissione
degli  atti  alla  Corte   costituzionale,   oltre   agli   ulteriori
adempimenti di legge meglio indicati in dispositivo. 
 
                               P.Q.M. 
 
    La Commissione Tributaria Provinciale di Messina - Sezione  XI  -
visti gli art. 134 Cost., 1 della  legge  costituzionale  9  febbraio
1948 n. 1 e 23 legge 11 marzo 1953 n. 87, dichiara  rilevante  e  non
manifestamente infondata - per violazione degli art. 3, 24, 97 e  111
della Costituzione -  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 248, comma 2 del T.U.S.G. (D.P.R. 30.5.2002, n. 115). 
    Sospende il presente giudizio sino alla restituzione  degli  atti
da parte della Corte costituzionale. 
    Ordina, a norma dell'art.  23/2  legge  n.  8711953,  l'immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale con la prova  delle
avvenute notificazioni e comunicazioni  di  cui  al  punto  seguente.
Dispone che, a cura della Segreteria della Commissione,  la  presente
Ordinanza sia notificata alle  parti  in  causa,  al  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri  e  ai  Presidenti  delle  due  Camere   del
Parlamento. 
    Cosi' deciso in Messina nelle Camere di consiglio  del  15  marzo
2016 e 17 maggio 2016. 
 
                     Il presidente: Lanza Volpe 
 
 
                                                 L'estensore: Savasta