N. 215 SENTENZA 9 ottobre - 26 novembre 2018

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Ambiente ‒ Gestione  dei  rifiuti  ‒  Norme  della  Regione  autonoma
  Friuli-Venezia Giulia ‒  Procedimento  di  approvazione  del  Piano
  regionale di gestione dei rifiuti ‒ Criteri di localizzazione degli
  impianti di recupero e smaltimento dei  rifiuti  pericolosi  e  non
  pericolosi in  prossimita'  di  un'opera  di  captazione  di  acque
  destinate al consumo umano  ‒  Inosservanza  delle  prescrizioni  o
  delle condizioni stabilite dall'autorizzazione unica. 
- Legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 20 ottobre 2017,
  n. 34 (Disciplina organica della gestione dei rifiuti e principi di
  economia circolare), artt. 13, 15, comma 4, e 23. 
(GU n.47 del 28-11-2018 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Nicolo' ZANON,
  Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio   PROSPERETTI,
  Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, 
  
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt.  13,  15,
comma 4, e 23  della  legge  della  Regione  autonoma  Friuli-Venezia
Giulia 20 ottobre 2017, n. 34 (Disciplina organica della gestione dei
rifiuti e principi di economia circolare),  promosso  dal  Presidente
del Consiglio dei ministri con  ricorso  notificato  il  22  dicembre
2017, depositato in cancelleria il 29 dicembre 2017, iscritto  al  n.
92 del registro ricorsi 2017 e pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell'anno 2018. 
    Visto   l'atto   di   costituzione   della    Regione    autonoma
Friuli-Venezia Giulia; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  9  ottobre  2018  il  Giudice
relatore Giovanni Amoroso; 
    uditi l'avvocato dello Stato Francesca Morici per  il  Presidente
del Consiglio dei ministri e l'avvocato Giandomenico  Falcon  per  la
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di
legittimita' costituzionale, in via principale,  degli  articoli  13,
15, comma 4, e 23 della legge della Regione  autonoma  Friuli-Venezia
Giulia 20 ottobre 2017, n. 34 (Disciplina organica della gestione dei
rifiuti e principi di economia circolare), per  violazione  dell'art.
117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in relazione agli
articoli 13, 94 e 208, comma 13, del  decreto  legislativo  3  aprile
2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) e dell'art. 4 della  legge
costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della  Regione
Friuli-Venezia Giulia). 
    Nel ricorso si  afferma  che  con  le  disposizioni  indicate  la
Regione  autonoma  avrebbe  ecceduto  dalle   proprie   attribuzioni,
invadendo la competenza legislativa statale  in  materia  di  «tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema» di cui all'art. 117, secondo  comma,
lettera s), Cost., in  quanto,  secondo  la  costante  giurisprudenza
costituzionale,  la  disciplina  della  gestione   dei   rifiuti   e'
riconducibile alla suddetta competenza esclusiva,  deponendo  in  tal
senso numerose pronunce  della  Corte  costituzionale;  inoltre,  nel
ricorso  si  afferma  che   le   disposizioni   regionali   impugnate
violerebbero anche l'art. 4 dello statuto reg. Friuli-Venezia Giulia,
non essendo in esso rinvenibile alcuna competenza in materia. 
    Cio' premesso, il Presidente del Consiglio dei  ministri  impugna
innanzi tutto l'art. 13 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n.  34
del 2017, rubricato «Formazione e approvazione del Piano regionale di
gestione dei rifiuti». 
    Al riguardo, afferma che  il  procedimento  di  approvazione  del
Piano non sarebbe coerente con le disposizioni del  Titolo  II  della
Parte seconda del d.lgs.  n.  152  del  2006  (da  ora,  anche:  cod.
ambiente), in quanto non include, all'interno del procedimento, tutte
le necessarie  e  simultanee  fasi  della  procedura  di  valutazione
ambientale strategica (d'ora in avanti: VAS) previste dalla normativa
statale  e  comunitaria  in  materia.  In  particolare,  sebbene   la
disposizione censurata faccia riferimento al d.lgs. n. 152 del  2006,
essa pero' escluderebbe la fase di  valutazione  e  di  consultazione
preliminare di cui all'art. 13, comma  1,  del  cod.  ambiente.  Tale
mancata previsione determina che, nella fase istruttoria  preliminare
all'adozione del provvedimento, non viene predisposto un documento di
Piano, in  versione  preliminare,  ne'  il  corrispondente  «rapporto
preliminare» di VAS, con la conseguenza che non vengono effettuate le
necessarie valutazioni cosiddette di scoping. 
    E'  poi  impugnato  l'art.  15,  comma  4,   della   legge   reg.
Friuli-Venezia  Giulia   n.   34   del   2017,   rubricato   «Criteri
localizzativi regionali degli impianti di recupero e  di  smaltimento
dei rifiuti». 
    Il ricorrente osserva che, in base a tale  norma,  l'insediamento
di impianti di recupero e smaltimento di  rifiuti  pericolosi  e  non
pericolosi,  in  prossimita'  di  un'opera  di  captazione  di  acque
destinate al consumo umano, e' subordinato al solo  rispetto  di  una
distanza superiore a tremila metri, applicabile in modo  uniforme  in
tutto il territorio  regionale.  Si  tratterebbe  di  una  norma  non
coerente con le  disposizioni  sulle  aree  di  salvaguardia  di  cui
all'art. 94 cod. ambiente che,  invece,  impone  la  regolamentazione
della localizzazione in ragione delle caratteristiche  idrogeologiche
dei siti interessati. In particolare, secondo il ricorrente, la norma
statale citata prevede che le aree  di  salvaguardia  debbano  essere
definite in maniera specifica e caso per  caso,  in  relazione  cioe'
alle singole captazioni o derivazioni, sulla base  delle  indicazioni
riportate dall'art. 94 citato e alla luce dell'accordo  tra  Stato  e
Regioni del 12  dicembre  2002  (Linee  Guida  per  la  tutela  della
qualita' delle acque destinate al consumo umano  e  criteri  generali
per l'individuazione delle aree di salvaguardia delle risorse idriche
di cui all'art. 21 del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152). 
    Pertanto, la prescrizione dell'unico criterio  consistente  nella
previsione di una distanza superiore a tremila metri  a  monte  delle
captazioni, anche se  sufficiente  in  alcuni  casi  a  garantire  la
sicurezza delle acque, escluderebbe, ad avviso della difesa  statale,
una piu'  articolata  valutazione  del  sito  di  localizzazione  che
consenta di apprezzare per  ogni  singolo  insediamento  il  rispetto
delle norme di sicurezza. 
    Infine, e' censurato l'art. 23 della  legge  reg.  Friuli-Venezia
Giulia n.  34  del  2017,  rubricato  «Decadenza  dall'autorizzazione
unica», in materia di gestione dei rifiuti. 
    Il ricorrente, dopo aver  riportato  il  contenuto  dell'art.  22
della   citata   legge   regionale    in    tema    di    sospensione
dell'autorizzazione  unica  a  seguito  del  verificarsi  di   alcune
situazioni, riferisce che il comma 3 - la' dove prevede che, in  caso
di inottemperanza alle prescrizioni contenute nell'atto  di  diffida,
e' disposta la sospensione per un periodo massimo di  dodici  mesi  e
soltanto a seguito dell'esito infruttuoso di questo periodo opera  la
decadenza dell'autorizzazione unica - si porrebbe  in  contrasto  con
l'art. 208, comma 13, lettera c), cod. ambiente; disposizione  questa
che  prevede,  in  caso  di  non  ottemperanza  a  quanto  prescritto
nell'atto di diffida, la revoca dell'autorizzazione unica.  Pertanto,
sarebbe violato l'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. 
    2.- Si e' costituita la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia  e
ha    successivamente    depositato    una    memoria,     sostenendo
l'inammissibilita' della terza censura e l'infondatezza di  tutte  le
questioni di legittimita' costituzionale. 
    La difesa regionale premette, in primo luogo, che  la  competenza
legislativa regionale in  materia  di  rifiuti  e'  riconducibile  ai
titoli di potesta'  legislativa  primaria  in  materia  «urbanistica»
(art. 4, numero 12, dello statuto reg. Friuli-Venezia  Giulia)  e  di
potesta' concorrente in materia di «igiene e sanita'» (art. 5, numero
16, dello statuto reg. Friuli-Venezia Giulia), operando  al  riguardo
la clausola  di  maggior  favore  di  cui  all'art.  10  della  legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche  al  titolo  V  della
parte seconda della Costituzione). 
    In  particolare,  con  riferimento  alle  questioni  promosse  in
relazione  agli  artt.  13  e  15,  comma   4,   della   legge   reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 34 del 2017, la difesa della Regione afferma
che le disposizioni impugnate non escludono  affatto  l'applicazione,
rispettivamente, delle norme statali di cui agli artt. 13  e  94  del
d.lgs. n. 152 del 2006. 
    Inoltre, in relazione  alla  questione  promossa  in  riferimento
all'art. 23 della legge regionale citata,  la  difesa  della  Regione
eccepisce in via preliminare l'inammissibilita' della censura per non
corretta individuazione della  disposizione  impugnata.  Si  osserva,
infatti, che nel contesto dell'impugnazione dell'art. 23, il  ricorso
formula una sorta di premessa concernente l'art. 22, comma  3,  della
stessa  legge  regionale,  il  quale   prevede,   quale   conseguenza
dell'inottemperanza della diffida, la sospensione dell'autorizzazione
per un periodo massimo  di  dodici  mesi,  anziche',  come  stabilito
dall'art. 208, comma 13, lettera c), del d.lgs. n. 152 del  2006,  la
revoca della autorizzazione, venendo poi impugnato l'art.  23  e  non
gia' l'art. 22, comma 3, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 34
del   2017.   Sussisterebbe,   quindi,   incertezza   e    ambiguita'
sull'effettivo oggetto dell'impugnazione. 
    Nel merito, la Regione  resistente  sostiene  che  la  disciplina
regionale impugnata non determina alcuna riduzione di tutela rispetto
alla disciplina statale.  Essa  bilancia  correttamente,  secondo  il
medesimo paradigma normativo, il principio di precauzione con  quello
di  proporzionalita',   sicche'   deve   escludersi   la   denunciata
violazione, sia delle regole della competenza  legislativa  assegnata
dallo statuto reg. Friuli-Venezia Giulia, sia dell'art. 117,  secondo
comma, lettera s), Cost. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di
legittimita' costituzionale, in via principale, degli artt.  13,  15,
comma 4, e 23  della  legge  della  Regione  autonoma  Friuli-Venezia
Giulia 20 ottobre 2017, n. 34 (Disciplina organica della gestione dei
rifiuti e principi di economia circolare)  per  violazione  dell'art.
117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in relazione agli
artt. 13, 94 e 208, comma 13, del decreto legislativo 3 aprile  2006,
n. 152 (Norme in materia  ambientale),  e  dell'art.  4  della  legge
costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della  Regione
Friuli-Venezia Giulia). 
    Secondo la  difesa  erariale,  l'art.  13  della  suddetta  legge
regionale violerebbe, in  particolare,  l'art.  117,  secondo  comma,
lettera s), Cost., in relazione all'art. 13, comma 1, cod.  ambiente,
in quanto non prevede, nel procedimento di formazione e  approvazione
del Piano regionale di gestione dei rifiuti, la fase di valutazione e
di consultazione preliminare al fine della  redazione  del  «rapporto
ambientale». 
    Inoltre, l'art. 15, comma  4,  della  legge  reg.  Friuli-Venezia
Giulia n. 34 del 2017, nel prevedere, quale  unico  criterio  per  la
localizzazione di discariche di rifiuti pericolosi e  non  pericolosi
in prossimita' di opere di captazione di acque destinate  al  consumo
umano, solo quello della distanza superiore a tremila metri dai punti
di captazione posti a valle delle stesse, rispetto alla direzione dei
flussi di alimentazione della captazione, violerebbe, in particolare,
l'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in  relazione  all'art.
94 del d.lgs n. 152 del 2006. Infatti, richiamando un unico  criterio
spaziale,  esclude  una  piu'  articolata  valutazione  del  sito  di
localizzazione  che  consenta  di  apprezzare,   per   ogni   singolo
insediamento, il rispetto delle norme di sicurezza, in armonia con le
disposizioni statali,  e  segnatamente  con  l'art.  94  citato,  che
impongono la regolamentazione della localizzazione in  ragione  delle
caratteristiche idrogeologiche dei siti interessati. 
    Infine, l'art. 23 della medesima legge reg. Friuli-Venezia Giulia
n. 34 del 2017 violerebbe, in particolare, l'art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost., in relazione all'art. 208, comma 13, del d.lgs  n.
152 del 2006, in quanto prevede  procedure  di  intervento  da  parte
dell'autorita' competente in caso di inosservanza delle  prescrizioni
autorizzative almeno in parte differenti da  quanto  stabilito  dalla
citata disposizione statale. 
    In sintesi, il ricorrente si duole che  la  disciplina  regionale
impugnata, in tema di gestione dei rifiuti, alla luce  del  raffronto
con le corrispondenti previsioni del d.lgs. n. 152  del  2006,  abbia
comportato una riduzione del livello  di  tutela  rispetto  a  quello
assicurato dal codice dell'ambiente. 
    2.-  Va  innanzi  tutto  premesso  che,   secondo   la   costante
giurisprudenza della Corte, la disciplina della gestione dei  rifiuti
e'   riconducibile   alla   materia    «tutela    dell'ambiente»    e
«dell'ecosistema», riservata dall'art. 117,  secondo  comma,  lettera
s), Cost. alla competenza esclusiva dello Stato, ferme  restando  per
le Regioni ad autonomia differenziata le  previsioni  statutarie.  In
tale materia, lo Stato puo'  dettare  una  disciplina  di  protezione
uniforme valida per tutte le Regioni e non derogabile da  queste  (ex
multis, sentenze n. 244 e n. 154 del 2016). Ha affermato questa Corte
che la disciplina statale «costituisce,  anche  in  attuazione  degli
obblighi comunitari, un  livello  di  tutela  uniforme  e  si  impone
sull'intero territorio nazionale, come un limite alla disciplina  che
le Regioni e le Province autonome dettano in altre  materie  di  loro
competenza, per evitare che  esse  deroghino  al  livello  di  tutela
ambientale stabilito dallo Stato, ovvero lo peggiorino» (sentenza  n.
58 del 2015). 
    La «tutela dell'ambiente»  e  «dell'ecosistema»  rappresenta  una
materia naturalmente trasversale, nel senso che interseca materie  di
competenza concorrente  o  residuale  delle  Regioni,  innanzi  tutto
quella del «governo del territorio», essendo la tutela  dell'ambiente
anche in funzione di presidio  dell'integrita'  di  quest'ultimo.  Ma
possono venire in rilievo profili che  attengono  alla  tutela  della
«salute» o alla «protezione civile»  (di  competenza  concorrente)  o
all'agricoltura e foreste (di competenza residuale). 
    Quindi, la competenza esclusiva statale  in  materia  di  «tutela
dell'ambiente» e «dell'ecosistema» puo' incontrare altri interessi  e
competenze, con la conseguenza che - ferma rimanendo la riserva  allo
Stato del potere di fissare livelli di  tutela  uniforme  sull'intero
territorio nazionale -  possono  dispiegarsi  le  competenze  proprie
delle Regioni per la cura di interessi funzionalmente  collegati  con
quelli propriamente ambientali. In particolare, quanto  alla  Regione
autonoma  Friuli-Venezia  Giulia,   la   competenza   esclusiva   del
legislatore statale puo' intersecare quella primaria della Regione in
materia di «urbanistica» (art.  4,  numero  12,  dello  statuto  reg.
Friuli-Venezia Giulia) o quella concorrente in materia di  «igiene  e
sanita'» (art.  5,  numero  16,  dello  statuto  reg.  Friuli-Venezia
Giulia); ne', per cio' solo, puo' dirsi che vi sia violazione di tali
norme. 
    Nell'esercizio di tali competenze regionali  puo'  anche  esserci
un'incidenza nella materia di competenza esclusiva statale,  ma  solo
in termini di maggiore  e  piu'  rigorosa  tutela  dell'ambiente:  le
Regioni possono stabilire, per  il  raggiungimento  dei  fini  propri
delle loro competenze, livelli di tutela piu' elevati, pur sempre con
il  limite  del  rispetto   della   normativa   statale   di   tutela
dell'ambiente (sentenza n. 61 del 2009).  Nello  stesso  tempo  -  ha
affermato questa Corte - il legislatore regionale non puo'  prevedere
«sia pure in nome di una protezione piu' rigorosa della salute  degli
abitanti della Regione medesima, interventi  preclusivi  suscettibili
[...]  di  pregiudicare,  insieme  ad  altri  interessi  di   rilievo
nazionale,  il  medesimo  interesse  della  salute   in   un   ambito
territoriale piu' ampio» (sentenza n. 54 del 2012). 
    Questo orientamento della giurisprudenza della Corte, in tema  di
riparto delle  competenze  legislative  quanto  alla  disciplina  dei
rifiuti, e' stato di recente confermato dalla  sentenza  n.  150  del
2018 che - sul presupposto  secondo  cui  la  «tutela  dell'ambiente»
interseca  inestricabilmente  altri  interessi  e  competenze  -   ha
ribadito che la disciplina dei rifiuti attiene alla  materia  «tutela
dell'ambiente» e «dell'ecosistema», riservata, in base all'art.  117,
comma secondo, lettera s), Cost.,  alla  competenza  esclusiva  dello
Stato. La disciplina statale - e segnatamente il codice dell'ambiente
- costituisce un limite per gli interventi normativi delle Regioni  e
delle  Province  autonome  che,  pur  attenendo  a  materie  di  loro
competenza, intersecano la tutela dell'ambiente. 
    2.1.- Vi  e'  poi,  nella  disciplina  ambientale,  un  ulteriore
coinvolgimento delle Regioni in un'ottica cooperativa di integrazione
e attuazione della disciplina statale e nel rispetto del principio di
sussidiarieta' e di leale collaborazione. E' talora la  stessa  legge
statale a demandare alla legislazione regionale il  completamento  di
aspetti specifici della tutela dell'ambiente. Ed e' cio'  che  fa  in
generale l'art. 3 quinquies del d.lgs. n. 152 del 2006,  che  demanda
alle Regioni (e alle Province autonome di Trento  e  di  Bolzano)  di
adottare forme di tutela giuridica  dell'ambiente  piu'  restrittive,
qualora lo richiedano situazioni  particolari  del  loro  territorio,
purche'  cio'  non  comporti  un'arbitraria  discriminazione,   anche
attraverso ingiustificati aggravi  procedimentali  e  sempre  tenendo
conto che i  principi  contenuti  nel  decreto  legislativo  indicato
costituiscono le condizioni minime ed essenziali  per  assicurare  la
tutela dell'ambiente su tutto il territorio nazionale. 
    Alle Regioni e' demandato, altresi', di individuare, quanto  alla
localizzazione degli impianti di recupero e smaltimento dei  rifiuti,
le aree di salvaguardia distinte in zone di tutela assoluta e zone di
rispetto, nonche' le zone di protezione (art. 94 cod. ambiente). 
    Altresi', ancora con  riferimento  alla  disciplina  dei  rifiuti
contenuta nella parte quarta del medesimo  codice  dell'ambiente,  le
Regioni e le Province autonome sono  state  chiamate  ad  adeguare  i
rispettivi ordinamenti alle disposizioni di  tutela  dell'ambiente  e
dell'ecosistema contenute in tale  parte  (art.  177,  comma  7).  Il
successivo  art.  196  cataloga  in  dettaglio  le  competenze  delle
Regioni, demandando ad esse, nel rispetto dei principi previsti dalla
normativa  vigente  e  dalla  parte  quarta  del   medesimo   decreto
legislativo,  tra  l'altro,   «la   predisposizione,   l'adozione   e
l'aggiornamento,  sentiti  le  province,  i  comuni  e  le  Autorita'
d'ambito,  dei  piani  regionali  di  gestione  dei   rifiuti»;   «la
regolamentazione  delle  attivita'  di  gestione  dei  rifiuti,   ivi
compresa   la   raccolta   differenziata   dei    rifiuti    urbani»;
«l'approvazione dei progetti di nuovi impianti  per  la  gestione  di
rifiuti, anche pericolosi, e l'autorizzazione  alle  modifiche  degli
impianti esistenti»; «l'autorizzazione all'esercizio delle operazioni
di  smaltimento  e  recupero  di  rifiuti,  anche  pericolosi»;   «la
definizione dei criteri per l'individuazione dei  luoghi  o  impianti
idonei» al loro smaltimento. 
    Nell'esercizio  di  tale  competenza  delegata,  le  disposizioni
legislative del citato codice dell'ambiente operano quali limiti  per
la normativa delle Regioni, anche a statuto speciale, le quali devono
mantenere la propria legislazione negli ambiti dei vincoli posti  dal
codice, non potendo esse derogare o peggiorare il livello  di  tutela
ambientale stabilito dallo Stato, ne' determinare un affievolimento o
una minore efficacia della tutela dell'ambiente e dell'ecosistema. 
    3.- Fatta questa premessa, puo' esaminarsi innanzi tutto la prima
questione di costituzionalita', che ha ad  oggetto  l'art.  13  della
legge  reg.  Friuli-Venezia  Giulia  n.  34  del  2017,  recante   la
disciplina della formazione ed approvazione del  Piano  regionale  di
gestione dei  rifiuti  (di  seguito:  Piano).  In  particolare,  tale
disposizione, pur rinviando genericamente alle  norme  relative  alla
procedura di verifica di assoggettabilita' a  valutazione  ambientale
strategica (d'ora in avanti: VAS), prevede che la struttura regionale
competente  in  materia  di  gestione  dei  rifiuti   provvede   alla
predisposizione del Piano, considerando le indicazioni elaborate  dal
Forum dell'economia circolare di cui al precedente art. 4,  ma  senza
che, in realta', sia parallelamente  prescritta  -  secondo  il  dato
testuale della disposizione - l'attivazione del procedimento  di  cui
agli artt. 12 e 13 del d.lgs. n. 152 del 2006.  La  norma  impugnata,
infatti, prevede  direttamente  l'adozione,  da  parte  della  Giunta
regionale, del progetto del  Piano,  munito  del  relativo  «rapporto
ambientale» e della sintesi non tecnica. 
    Il ricorrente deduce la violazione della competenza esclusiva del
legislatore statale in materia di tutela  dell'ambiente,  perche'  la
disposizione  regionale,  nel   disciplinare   il   procedimento   di
formazione e approvazione del Piano,  non  include,  all'interno  del
procedimento, la fase di valutazione e di  consultazione  preliminare
ai fini della redazione del «rapporto ambientale» di cui all'art.  13
del d.lgs. n. 152 del 2006. Tale omessa previsione determinerebbe  il
vulnus  ai  parametri  costituzionali   indicati   in   ricorso,   ma
essenzialmente all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. 
    3.1.-  La   questione   non   e'   fondata,   essendo   possibile
un'interpretazione costituzionalmente  orientata  della  disposizione
censurata. 
    3.2.- L'Avvocatura generale dello Stato fonda la sua  censura  di
violazione della competenza  esclusiva  del  legislatore  statale  in
materia   di   «tutela   dell'ambiente    e    dell'ecosistema»    su
un'interpretazione della  disposizione  regionale  impugnata  che  e'
strettamente ancorata al suo dato testuale. 
    E' vero che l'art. 199, comma  1,  cod.  ambiente,  demanda  alle
Regioni, sentite le Province, i  Comuni  e,  per  quanto  riguarda  i
rifiuti urbani,  le  Autorita'  d'ambito  di  cui  all'art.  201,  la
predisposizione e  adozione  dei  piani  regionali  di  gestione  dei
rifiuti,  per  la  cui  approvazione  e'   richiamata   espressamente
l'applicazione della procedura di cui  alla  Parte  II  dello  stesso
decreto legislativo in materia di VAS.  E  cio'  comporta  anche  una
competenza   legislativa   delegata   alle   Regioni   per   regolare
l'adattamento   dell'ordinario   procedimento   (amministrativo)   di
verifica di assoggettamento a VAS alla fattispecie piu'  specifica  -
in rapporto di genere a specie - del piano regionale di gestione  dei
rifiuti. 
    Tuttavia,  cio'  che  dispone  l'art.   13   della   legge   reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 34 del 2017, regolando  -  come  recita  del
resto la stessa rubrica  della  disposizione  -  il  procedimento  di
formazione e approvazione del Piano, contrasterebbe con la  specifica
disciplina del codice dell'ambiente. 
    Quella  contenuta  nell'impugnato   art.   13   costituisce   una
regolamentazione dettagliata, che  parte  dalla  predisposizione  del
Piano (comma 1) e si snoda in una sequenza di  distinti  momenti  del
procedimento, fino all'approvazione del Piano stesso con decreto  del
Presidente della Regione. 
    La criticita' della disposizione, su cui in sostanza si appuntano
le censure di illegittimita' costituzionale, sta nel passaggio  dalla
predisposizione  del  Piano  (comma  1),  che   segna   l'avvio   del
procedimento,  all'adozione  del  progetto  di  Piano,  «munito   del
relativo rapporto ambientale», con delibera  della  Giunta  regionale
(comma 2). 
    Nell'ordinaria procedura di assoggettamento a  VAS  il  «rapporto
ambientale» viene in rilievo - ed e' redatto - solo dopo la  verifica
di assoggettabilita' a VAS regolata dagli artt. 12 e 13 del d.lgs. n.
152 del 2006, verifica  che  parte  inizialmente  con  il  cosiddetto
«rapporto preliminare». 
    In particolare, l'art. 12 prevede che  l'autorita'  procedente  -
che  e'  quella   proponente   piani   o   programmi   potenzialmente
assoggettabili a VAS, in quanto possono avere  impatti  significativi
sull'ambiente  -  predispone  il  «rapporto  preliminare»  che  segna
l'avvio della procedura di verifica. Questo rapporto contiene i  dati
necessari alla verifica degli impatti significativi sull'ambiente che
possono essere causati dall'attuazione del piano o programma. 
    Segue la fase di indagine e confronto  (cosiddetta  di  scoping),
quale prescritta dalla direttiva europea  2001/42/CE  del  Parlamento
europeo  e  del  Consiglio  del  27  giugno  2001,   concernente   la
valutazione  degli  effetti  di   determinati   piani   e   programmi
sull'ambiente, che connota tutta la procedura. L'autorita' proponente
si  relaziona  con  l'autorita'  competente  e  insieme,  secondo  un
principio di leale collaborazione, individuano «i soggetti competenti
in materia ambientale da consultare», a partire dagli stessi Comuni e
Province  e  dalle  Autorita'  d'ambito  di  cui  all'art.  201,  poi
soppresse, le cui funzioni sono state variamente regolate dalle leggi
regionali (nella Regione Friuli-Venezia  Giulia  e'  stata  istituita
l'Autorita' unica per i servizi idrici e i rifiuti). 
    Quindi si attiva, in questa preliminare  fase  procedimentale  di
verifica dell'assoggettabilita' a VAS, un contraddittorio con tutti i
soggetti  che  hanno  voce  nella  materia  ambientale.  Ad  essi  e'
trasmesso   il   documento   iniziale   costituito   dal    «rapporto
preliminare», per acquisirne il parere. 
    Questa fase e' cadenzata da termini ben precisi. I  soggetti,  ai
quali e' stato trasmesso il «rapporto preliminare», hanno il  termine
di  trenta  giorni  per  inviare  il  proprio  parere   all'autorita'
procedente e a quella competente. La quale ultima, tenuto conto delle
osservazioni pervenute, verifica se il piano  o  il  programma  possa
avere impatti significativi  sull'ambiente,  e,  sentita  l'autorita'
procedente, emette il  provvedimento  di  verifica,  assoggettando  o
escludendo il Piano o il programma dalla VAS. 
    Nel complesso, la fase  preliminare  di  consultazione,  esame  e
verifica, si deve concludere nel termine di novanta giorni dall'invio
del «rapporto preliminare». 
    Di tutto cio' e' assicurata  la  piena  conoscibilita'  affinche'
chiunque abbia interesse possa avere contezza del  possibile  impatto
ambientale del Piano, essendo infatti  prescritto  che  il  risultato
della verifica di  assoggettabilita',  comprese  le  motivazioni,  e'
pubblicato integralmente nel sito web dell'autorita' competente. 
    E'  solo  dopo,  nel  successivo  iter  procedimentale   regolato
dall'art. 13 cod. ambiente, che viene in  rilievo  la  redazione  del
«rapporto ambientale», il quale, muovendo dal «rapporto preliminare»,
contiene tutti i dati emersi nell'attivita' di  scoping  (soprattutto
dai  pareri  inviati  dai  soggetti  aventi  competenze  in   materia
ambientale), dando atto della consultazione  dei  soggetti  coinvolti
nella fase preliminare di verifica di  assoggettabilita'  a  VAS,  ed
evidenzia come siano  stati  presi  in  considerazione  i  contributi
pervenuti. 
    Esaurita questa fase preliminare, il «rapporto ambientale»  viene
a costituire  parte  integrante  del  piano  o  del  programma  e  ne
accompagna il successivo processo di elaborazione e approvazione. 
    L'art. 13 cod. ambiente disciplina poi in  dettaglio  l'ulteriore
iter procedimentale della proposta di piano  o  di  programma,  cosi'
come fa in parallelo l'art. 13 della legge regionale impugnata. Ma di
cio' non e' necessario dar conto, perche' il seguito del procedimento
non e' attinto da alcuna censura di incostituzionalita'. 
    3.3.- Orbene, il ricorrente ha facile gioco nel sostenere che  la
lettura testuale della disposizione  censurata  disegna,  in  termini
esaustivi, un procedimento di formazione  e  approvazione  del  Piano
regionale  di  gestione  dei  rifiuti,  che,  rispetto  all'ordinario
procedimento di verifica di assoggettamento a VAS (art. 12 del d.lgs.
n. 152 del 2006) e di successiva adozione o approvazione del piano  o
programma  (art.  13  e  seguenti  del  d.lgs.  n.  152  del   2006),
costituisce una versione, per cosi' dire, "abbreviata", perche' priva
della fase di verifica di  assoggettamento  a  VAS.  Il  procedimento
previsto dalla disposizione censurata parte dalla  predisposizione  e
approvazione  del  progetto  di  Piano  come  momento  di  avvio  del
procedimento e associa al progetto di Piano direttamente il «rapporto
ambientale». 
    Cio'  potrebbe,  in  ipotesi,   perseguire   una   finalita'   di
semplificazione e accelerazione, ma lo sarebbe  (illegittimamente)  a
scapito della previa consultazione dei soggetti aventi competenza  in
materia  ambientale,  per  i  quali  non  e'  neppure  previsto   che
(successivamente)  venga  trasmesso  il  «rapporto  ambientale»,  con
sostanziale detrimento della complessiva trasparenza della procedura.
Residuerebbe, infatti, solo la successiva pubblicazione del «rapporto
ambientale» sul sito istituzionale della  Regione  e  sul  Bollettino
ufficiale,  per  consentire  a  chiunque  di  prenderne   visione   e
presentare alla Regione osservazioni nel termine di sessanta giorni. 
    Neppure la difesa  della  Regione  ipotizza  che  il  legislatore
regionale abbia inteso disegnare  un  procedimento  speciale  e  piu'
rapido, senza previa concertazione con i soggetti  aventi  competenza
in materia ambientale. Anzi, la difesa della Regione -  con  indubbia
lealta'  processuale  -  riconosce  nella   sostanza   che,   se   la
disposizione censurata esaurisse la disciplina del procedimento, come
ritiene l'Avvocatura dello Stato e come sembrerebbe essere sulla base
di una lettura testuale della stessa, la norma sarebbe effettivamente
lesiva della competenza esclusiva del legislatore statale in  materia
di tutela dell'ambiente e, come tale, incostituzionale nella parte in
cui non prevede il necessario  previo  procedimento  di  verifica  di
assoggettamento a VAS. La difesa della Regione chiede, invece, che di
tale  disposizione  sia  data  un'interpretazione  costituzionalmente
orientata nel senso che non e' esclusa - e quindi trova  applicazione
- l'ordinaria procedura di  verifica  di  assoggettamento  alla  VAS,
quale regolata dal codice dell'ambiente. 
    3.4.- In  effetti,  soccorre  in  proposito  il  generale  canone
dell'interpretazione adeguatrice che consente di superare la  censura
di incostituzionalita'. 
    Non solo nel giudizio incidentale di costituzionalita', in cui vi
e' il giudice rimettente, chiamato  a  interpretare  la  disposizione
censurata,  primo   e   diretto   destinatario   dell'interpretazione
adeguatrice in ipotesi accolta da questa Corte, ma anche nel giudizio
in via principale opera tale canone interpretativo  in  quanto,  come
nella fattispecie in esame, e'  ben  possibile  che  la  disposizione
censurata venga all'esame di un giudice comune  in  una  controversia
ordinaria. 
    Pertanto, se c'e' una possibilita' di interpretazione conforme  a
Costituzione,  la  questione  di   legittimita'   costituzionale   e'
infondata nei termini di tale interpretazione. 
    3.5.- Nella fattispecie sussiste -  come  giustamente  deduce  la
difesa  della  Regione   -   la   possibilita'   dell'interpretazione
adeguatrice della disposizione censurata. 
    Innanzi  tutto,  nella  legge  regionale   impugnata   c'e'   una
disposizione chiave - l'art. 39 - che prevede che «[p]er  quanto  non
disposto dalla presente legge si applica la normativa statale vigente
in materia». 
    Non e' una disposizione di stile, priva  di  sostanziale  portata
normativa, ma una  norma  di  raccordo  sistematico,  con  automatico
rinvio alla legislazione statale, in piena sintonia con i  limiti  di
competenza   del   legislatore   regionale,   anche   ad    autonomia
differenziata,  in  una  materia  -   quale   quella   della   tutela
dell'ambiente  -  che  appartiene  alla  competenza   esclusiva   del
legislatore statale. 
    Da  tale  norma  di  rinvio  discende,   con   riferimento   alla
disposizione censurata, un canone generale interpretativo, per cui la
mancata previsione di un adempimento o di una prescrizione - quale il
previo procedimento di verifica di assoggettamento a VAS, secondo  le
disposizioni contenute negli artt. 12 e seguenti del  d.lgs.  n.  152
del 2006 - non significa sua esclusione. 
    Inoltre,  a  conforto  di  cio',  c'e'  da  considerare  che   il
riferimento al «rapporto ambientale»,  contenuto  nel  secondo  comma
della disposizione impugnata, puo' essere letto non gia'  in  termini
generici - come  un  documento  contenente  valutazioni  sull'impatto
ambientale del Piano - ma in termini specifici e tecnici  secondo  la
definizione che ne da' l'art. 5 cod. ambiente - recante, appunto,  le
medesime definizioni utilizzate nel codice dell'ambiente  -  che,  al
comma 1, lettera f), specifica che il «rapporto  ambientale»  e'  «il
documento del piano o  del  programma  redatto  in  conformita'  alle
previsioni di cui all'articolo 13»; ossia  e'  il  documento  redatto
all'esito del procedimento di verifica di assoggettamento a VAS. 
    Quindi, da una parte, puo' ritenersi  che  le  norme  del  codice
dell'ambiente, la  cui  applicazione  non  sia  esclusa  dalla  legge
regionale espressamente o per irriducibile incompatibilita',  trovino
applicazione unitamente  alle  norme  regionali.  D'altra  parte,  il
riferimento  testuale  al  «rapporto  ambientale»,  contenuto   nella
disposizione impugnata, al secondo comma, significa che e' richiamato
quello specifico documento previsto dall'art. 13 cod. ambiente e  con
esso e' richiamato - e trova applicazione - il previo procedimento di
verifica di assoggettamento a VAS previsto dal codice dell'ambiente. 
    Cosi'  interpretata  la  disposizione   censurata,   in   termini
costituzionalmente orientati, e anche tenendo conto della  necessaria
conformita' alla citata direttiva 2001/42/CE, si ha che non  solo  la
legittimita'  del  Piano  deve  ritenersi  condizionata  dalla  sopra
richiamata attivita' di scoping nella preliminare  fase  di  verifica
dell'assoggettabilita' a VAS, ma anche che il «rapporto  ambientale»,
previsto dal comma 2 dell'art.  13  impugnato,  deve  dare  conto  di
quanto sia emerso in tale fase, soprattutto attraverso i  pareri  dei
soggetti che hanno competenza in materia ambientale. 
    La disposizione impugnata, cosi' interpretata,  si  sottrae  alle
censure del ricorrente  e  la  questione  di  costituzionalita'  puo'
essere dichiarata non fondata. 
    4.- La seconda  questione  di  costituzionalita'  ha  ad  oggetto
l'art. 15, comma 4, della impugnata legge reg. Friuli-Venezia  Giulia
n. 34 del 2017, che fissa i  criteri  localizzativi  regionali  degli
impianti di recupero e smaltimento dei rifiuti. 
    La  disposizione  impugnata  stabilisce  che   «ai   fini   della
salvaguardia delle acque  superficiali  e  sotterranee  destinate  al
consumo umano erogate a terzi mediante  impianto  di  acquedotto  che
riveste carattere di pubblico interesse, le  discariche  per  rifiuti
pericolosi e per rifiuti non pericolosi sono localizzate  a  distanza
superiore a tremila metri dai punti di captazione posti a valle delle
stesse, rispetto alla direzione dei  flussi  di  alimentazione  della
captazione». 
    Quindi, per le discariche da collocarsi  a  monte  dei  punti  di
captazione  delle  acque  in  questione  deve  essere  osservata  una
distanza superiore a tremila metri. 
    Ad  avviso  del  ricorrente  il  legislatore  regionale   avrebbe
previsto un unico criterio  di  localizzazione  che  escluderebbe  la
possibilita' di valutare caso per caso il sito di localizzazione, con
riferimento alle singole  captazioni  o  derivazioni,  tenendo  conto
delle indicazioni contenute nello stesso art. 94 del cod. ambiente. 
    4.1.- La questione non e' fondata. 
    L'art.  94  cod.  ambiente  reca  la  disciplina  delle  aree  di
salvaguardia delle acque  superficiali  e  sotterranee  destinate  al
consumo umano, prevedendo che, su  proposta  degli  enti  di  governo
dell'ambito,   le   Regioni,   per   mantenere   e   migliorare    le
caratteristiche qualitative  di  dette  acque,  individuano,  tra  le
altre, le aree di salvaguardia distinte in zone di tutela assoluta  e
zone di rispetto. 
    La citata norma statale stabilisce che la zona di tutela assoluta
e' costituita dall'area immediatamente circostante  le  captazioni  o
derivazioni  e  che  essa,  in  caso  di  acque  sotterranee  e,  ove
possibile, di acque superficiali, deve avere un'estensione di  almeno
dieci  metri  di  raggio  dal  punto  di  captazione,   deve   essere
adeguatamente protetta e deve essere adibita esclusivamente  a  opere
di captazione o presa e a infrastrutture  di  servizio.  La  zona  di
rispetto  e'  costituita,  invece,  dalla  porzione   di   territorio
circostante la zona di tutela assoluta  da  sottoporre  a  vincoli  e
destinazioni   d'uso   tali   da    tutelare    qualitativamente    e
quantitativamente la risorsa idrica captata. In tale zona e'  vietato
l'esercizio di alcune attivita', tra le quali sono ricomprese  quelle
concernenti la gestione di rifiuti. 
    In particolare, e per cio'  che  rileva  in  questo  giudizio  di
costituzionalita', la disposizione statale prevede  che,  in  assenza
dell'individuazione da parte delle Regioni o delle Province  autonome
della zona di rispetto ai sensi del comma 1 dell'art. 94, la medesima
ha un'estensione di duecento metri di raggio  rispetto  al  punto  di
captazione o di derivazione. 
    Ebbene,   la   disposizione   regionale,   nel    prevedere    la
localizzazione delle discariche a una distanza  superiore  a  tremila
metri, nella specifica ipotesi di  impianti  collocati  a  monte  dei
punti di captazione delle acque, ha dettato un criterio piu' rigoroso
rispetto a quello previsto dal codice dell'ambiente,  non  riducendo,
ma anzi innalzando i livelli di tutela. 
    Infatti, non si tratta di un criterio  unico  ed  esaustivo,  che
sostituisce la valutazione caso per caso richiesta dall'art.  94  del
d.lgs. n. 152 del 2006. La norma regionale prevede  uno  specifico  e
molto particolare criterio di  localizzazione  che  di  per  se'  non
esclude l'applicazione degli altri criteri previsti dall'art. 94  del
decreto legislativo citato, integrati dalle Linee guida  adottate  in
sede dell'accordo tra Stato e Regioni del 12 dicembre  2002;  criteri
questi ultimi che, quindi, trovano parimenti applicazione in  ragione
della gia' richiamata clausola di salvezza dell'art. 39  della  legge
reg. Friuli-Venezia Giulia n. 34 del 2017, per cui, in  generale,  si
applicano le disposizioni del codice  dell'ambiente  per  quanto  non
espressamente disposto dalla normativa regionale. 
    L'art. 15, comma 4, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n.  34
del 2017, non apporta una deroga ai criteri di cui alla  disposizione
statale (art. 94 cod. ambiente), ma individua un criterio  aggiuntivo
per la localizzazione degli impianti di recupero  e  smaltimento  dei
rifiuti a monte dei punti di captazione di acque destinate al consumo
umano, cosi' elevando lo  standard  di  tutela  dell'ambiente  quando
viene in rilievo il piu' specifico aspetto della tutela della  salute
in relazione alla prevenzione del rischio di inquinamento delle falde
acquifere. 
    5.- La terza questione  ha  ad  oggetto  l'art.  23  della  legge
regionale suddetta, relativamente alla decadenza  dell'autorizzazione
unica in caso di  violazione  delle  sue  prescrizioni  cui  non  sia
seguito, da parte del gestore inadempiente, l'adeguamento  prescritto
dalla relativa diffida. 
    Il ricorrente censura la citata disposizione  in  quanto  afferma
che essa prevede «procedure di  intervento  da  parte  dell'autorita'
competente in caso di inosservanza delle  prescrizioni  autorizzative
almeno in parte differenti da quanto stabilito dall'art.  208,  comma
13, del d.lgs. n. 152 del 2006». 
    5.1.- Vi e' una preliminare eccezione di  inammissibilita'  della
censura, sollevata dalla difesa della Regione,  la  quale  adduce  la
carenza delle ragioni addotte nel ricorso. 
    Il ricorso introduttivo, seppur redatto con motivazione piuttosto
succinta  sul  punto,  e'  nondimeno  ammissibile  perche',  nel  suo
contenuto essenziale, e' idoneo a identificare la questione posta. 
    L'art. 23,  espressamente  indicato  quale  norma  impugnata  nel
ricorso e nella delibera di autorizzazione a proporre lo  stesso,  si
riempie di contenuto anche  considerando  la  disciplina  recata  dal
precedente art. 22, comma 3, che il ricorso prende  espressamente  in
esame. 
    La stretta ed  evidente  connessione  intercorrente  tra  le  due
disposizioni consente di ritenere che l'impugnazione riguardi,  nella
sostanza,  il  loro  combinato  disposto,  pur  essendo  il   ricorso
indirizzato solo nei confronti dell'art. 23. 
    La questione e' quindi ammissibile. 
    5.2.- Nel merito, la medesima questione non e' fondata. 
    L'art. 208 cod. ambiente prevede che  i  soggetti  che  intendono
realizzare e gestire nuovi impianti di smaltimento o di  recupero  di
rifiuti, anche pericolosi, devono presentare  apposita  domanda  alla
Regione competente per territorio, allegando il  progetto  definitivo
dell'impianto  e  la  documentazione   tecnica   prevista,   per   la
realizzazione del progetto  stesso,  dalle  disposizioni  vigenti  in
materia urbanistica, di tutela ambientale, di  salute,  di  sicurezza
sul  lavoro  e  di  igiene  pubblica.  A  seguito   dell'espletamento
dell'analitica procedura descritta ai commi 2, 3, 4, 5,  6  e  7,  la
Regione competente procede al rilascio  dell'autorizzazione  unica  o
con il diniego motivato della stessa. 
    Nel caso di rilascio, l'art. 208 del decreto legislativo  citato,
al comma 11, individua le condizioni e le prescrizioni necessarie per
garantire l'attuazione della tutela dell'ambiente. 
    La medesima disposizione stabilisce, poi, al  comma  13  -  norma
interposta  asseritamente  violata   dalla   disposizione   regionale
censurata  -  che,  in  caso  di  inosservanza   delle   prescrizioni
dell'autorizzazione,  l'autorita'  competente  procede,  secondo   la
gravita' dell'infrazione: a)  alla  diffida,  stabilendo  un  termine
entro il quale devono  essere  eliminate  le  inosservanze;  b)  alla
diffida e contestuale sospensione dell'autorizzazione  per  un  tempo
determinato, ove si manifestino situazioni di pericolo per la  salute
pubblica e per l'ambiente; c) alla revoca dell'autorizzazione in caso
di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida e  in
caso di reiterate violazioni che determinino situazioni  di  pericolo
per la salute pubblica e per l'ambiente. 
    Si  tratta,  dunque,  di  una  disposizione   che   sanziona   le
inosservanze meno gravi con la  diffida  cosiddetta  semplice,  e  le
inosservanze che danno luogo a situazioni di pericolo per  la  salute
della collettivita' e per l'ambiente con  la  diffida  e  contestuale
sospensione, nonche' con la revoca dell'autorizzazione  nel  caso  di
perdurante inadempimento. 
    A fronte di questa disciplina statale, le censure del  ricorrente
si appuntano sulla asserita differente disciplina regionale  in  tema
di  conseguenze  dell'inosservanza   delle   prescrizioni   contenute
nell'atto di diffida rispetto a quelle previste a livello statale. 
    La   disposizione   regionale   (art.    22)    stabilisce    che
l'autorizzazione  unica   e'   sospesa   in   vari   casi,   elencati
distintamente, e, in particolare, in caso di situazione  di  pericolo
temporaneo   per   la   salute   pubblica   causata    dall'esercizio
dell'attivita' dell'impianto. In tali casi,  la  struttura  regionale
competente in materia di gestione dei  rifiuti  diffida  il  soggetto
titolare  dell'autorizzazione  unica   a   far   cessare   la   causa
dell'inadempimento o della violazione, assegnandogli un  termine  per
provvedere. 
    In relazione ad altre ipotesi di inadempimento, diverse da quelle
di cui al comma 1, e' prevista (dal comma 3 dell'art. 22) la sanzione
della  diffida  cosiddetta  semplice,  ossia  senza  la   contestuale
sospensione dell'attivita'. 
    Qualora  il  soggetto  titolare  dell'autorizzazione  unica   non
ottemperi  entro  il  termine  assegnato  nell'atto  di  diffida,  la
disposizione da ultimo citata prevede che sia ordinata la sospensione
dell'attivita' autorizzata per un periodo massimo di dodici mesi. Se,
poi, entro tale periodo,  non  cessa  la  causa  che  ha  determinato
l'emanazione del provvedimento di sospensione, la struttura regionale
competente in materia di  gestione  dei  rifiuti  provvede  ai  sensi
dell'articolo 23,  comma  1,  lettera  c),  disponendo  la  decadenza
dell'autorizzazione unica. 
    5.3.- Cosi' articolato  il  procedimento  sanzionatorio  previsto
dalla  disposizione   regionale   impugnata,   puo'   ritenersi   che
quest'ultima non  esorbiti  dal  limite  costituito,  come  parametro
interposto, dal citato art. 208, comma 13, del cod. ambiente. 
    Lo schema e la sequenza del regime sanzionatorio della  censurata
disposizione regionale e di quella simmetrica statale sono analoghi. 
    C'e'  l'iniziale  diffida  ad  opera  della  struttura  regionale
competente  al  rilascio  dell'autorizzazione  unica,  con   cui   e'
contestata una inadempienza al soggetto titolare dell'autorizzazione.
C'e' la sospensione dell'attivita' autorizzata  in  caso  di  mancata
tempestiva ottemperanza  alle  prescrizioni  contenute  nell'atto  di
diffida. C'e', infine, la decadenza/revoca dell'autorizzazione  unica
in caso di perdurante inadempimento. 
    Vi e', invero, una qualche asimmetria, denunciata dal ricorrente,
che pero' non e' tale da compromettere il complessivo  e  sostanziale
rispetto della citata disposizione del codice dell'ambiente da  parte
della impugnata disposizione regionale. 
    5.4.- Innanzi tutto questa asimmetria non c'e' nel  caso  in  cui
l'inadempienza  del  gestore  abbia  determinato  una  situazione  di
pericolo per  la  salute  pubblica  e  per  l'ambiente.  Infatti,  la
disposizione statale prevede la diffida con  contestuale  sospensione
dell'autorizzazione per un tempo determinato  (art.  208,  comma  13,
lettera b). A fronte di cio', la disposizione regionale prevede,  ove
vi sia una situazione di pericolo temporaneo per la  salute  pubblica
causata dall'esercizio dell'attivita' dell'impianto,  la  sospensione
dell'autorizzazione unica (art. 22, comma 1) con diffida al  soggetto
titolare    dell'autorizzazione    a    far    cessare    la    causa
dell'inadempimento o della violazione, e assegnazione di  un  termine
per provvedere (art. 22, comma 2). 
    Ove persista l'inadempienza dopo  la  scadenza  del  termine  per
adempiere, la disposizione statale prevede che l'autorita' competente
proceda,  «secondo  la  gravita'   dell'infrazione»,   alla   «revoca
dell'autorizzazione in caso di mancato adeguamento alle  prescrizioni
imposte con  la  diffida  e  in  caso  di  reiterate  violazioni  che
determinino situazione di pericolo  per  la  salute  pubblica  e  per
l'ambiente»  (art.  208,  comma  13,  lettera  c).  La   disposizione
regionale, parimenti, prevede la decadenza dell'autorizzazione  unica
in  caso  di  inosservanza  delle  prescrizioni  o  delle  condizioni
stabilite dall'autorizzazione unica che abbiano cagionato pericolo  o
danno per l'ambiente o per la salute  pubblica  (art.  23,  comma  1,
lettera b), e in caso di decorrenza del periodo di sospensione  senza
che il titolare dell'autorizzazione abbia rimosso  la  causa  che  ha
determinato l'emanazione del provvedimento di sospensione  (art.  23,
comma 1, lettera c). 
    Lo schema  sanzionatorio  della  disposizione  regionale  ripete,
quindi, quello della disposizione statale  nell'ipotesi  di  maggiore
rilevanza: quello della situazione di pericolo per la salute pubblica
causata dall'esercizio dell'attivita' dell'impianto. 
    5.5.- Invece, l'allineamento non e' cosi' puntuale  nel  caso  di
altre situazioni parimenti riconducibili a inadempienze del gestore. 
    La disposizione regionale (art. 22, comma 3) prevede che, qualora
il soggetto titolare dell'autorizzazione unica non ottemperi entro il
termine assegnato nell'atto di  diffida,  sia  dapprima  ordinata  la
sospensione dell'attivita' autorizzata  per  un  periodo  massimo  di
dodici mesi. Qualora, entro tale periodo, non sia  cessata  la  causa
che ha determinato l'emanazione  del  provvedimento  di  sospensione,
solo allora la struttura regionale competente in materia di  gestione
dei rifiuti provvedera' ad adottare decadenza, ai sensi del  medesimo
art. 23, comma 1, lettera c). 
    Invece, la disposizione statale (art. 208, comma 13,  lettera  c)
fa conseguire la revoca dell'autorizzazione direttamente allo spirare
del termine previsto dalla diffida in  caso  di  mancato  adeguamento
alle prescrizioni imposte con quest'ultima. 
    Nella sua essenzialita' lo schema  e'  lo  stesso:  scadenza  del
termine  previsto  dalla  diffida  e   conseguente   decadenza/revoca
dell'autorizzazione. 
    E' come se l'unico termine per adempiere, previsto dalla  diffida
secondo la disposizione statale, fosse articolato dalla  disposizione
regionale in due segmenti temporali che, unitamente considerati, sono
equivalenti al  primo  senza  che  la  maggiore  flessibilita'  della
disposizione regionale, insita  nel  doppio  termine  per  adeguarsi,
possa ridondare in violazione della corrispondente  disposizione  del
codice  dell'ambiente.  La  quale  peraltro  e',  in  realta',   solo
apparentemente piu' rigorosa, perche' la  revoca  dell'autorizzazione
e' comunque adottata - come prescrive testualmente l'art. 208,  comma
13,  citato  -  «secondo  la  gravita'  dell'infrazione»;  cio'   che
introduce parimenti un elemento di flessibilita'. 
    Sicche',  anche  questa  terza  disposizione  (art.   23)   della
impugnata  legge  regionale  non  si  pone  in   contrasto   con   la
disposizione del  codice  dell'ambiente,  evocata  dal  ricorrente  a
parametro interposto. 
    6.- In conclusione, la questione di  costituzionalita'  dell'art.
13 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia  n.  34  del  2017  non  e'
fondata, nei sensi di cui sopra, perche' della  stessa  e'  possibile
dare un'interpretazione adeguatrice secondo cui trovano  applicazione
le  disposizioni  del  codice  dell'ambiente  indicate  a   parametro
interposto. 
    Le questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 15, comma
4, e 23 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n.  34  del  2017  non
sono  fondate  perche'  non  violano  le  disposizioni   del   codice
dell'ambiente indicate a parametro interposto. 
      
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dichiara non fondata, nei sensi  di  cui  in  motivazione,  la
questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  13  della  legge
della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 20 ottobre 2017,  n.  34
(Disciplina  organica  della  gestione  dei  rifiuti  e  principi  di
economia circolare), promossa, in riferimento all'art.  117,  secondo
comma, lettera s), della Costituzione, in relazione all'art.  13  del
decreto  legislativo  3  aprile  2006,  n.  152  (Norme  in   materia
ambientale), e all'art. 4 della legge costituzionale 31 gennaio 1963,
n. 1 (Statuto speciale  della  Regione  Friuli-Venezia  Giulia),  dal
Presidente del Consiglio dei Ministri  con  il  ricorso  indicato  in
epigrafe; 
    2)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt.  15,  comma  4,  e  23  della  legge  reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 34 del 2017, promosse, in  riferimento  agli
artt.  117,  secondo  comma,  lettera  s),   Cost.,   in   relazione,
rispettivamente, agli artt. 94 e 208, comma 13, del d.lgs. n. 152 del
2006, e all'art. 4 dello  statuto  reg.  Friuli-Venezia  Giulia,  dal
Presidente del Consiglio dei ministri  con  il  ricorso  indicato  in
epigrafe. 
 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 ottobre 2018. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                     Giovanni AMOROSO, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 26 novembre 2018. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA