N. 248 SENTENZA 23 ottobre - 27 dicembre 2018

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Impiego  pubblico  -  Personale  assunto  con  contratto  di   lavoro
  subordinato a  tempo  determinato  (nella  specie,  personale  alle
  dipendenze  di  un   istituto   zooprofilattico   sperimentale)   -
  Successione di contratti a termine  -  Divieto  di  conversione  in
  contratti di lavoro a tempo indeterminato. 
- Decreto legislativo 6 settembre  2001,  n.  368  (Attuazione  della
  direttiva 1999/70/CE relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo
  determinato concluso dall'UNICE, dal CEEP  e  dal  CES),  art.  10,
  comma 4-ter; decreto legislativo  30  marzo  2001,  n.  165  (Norme
  generali  sull'ordinamento  del  lavoro   alle   dipendenze   delle
  amministrazioni pubbliche), art. 36, commi 5, 5-ter e 5-quater. 
-   
(GU n.1 del 2-1-2019 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PETRIS, Nicolo' ZANON, Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca
  ANTONINI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  10,  comma
4-ter, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n.  368  (Attuazione
della direttiva 1999/70/CE relativa all'accordo quadro sul  lavoro  a
tempo  determinato  concluso  dall'UNICE,  dal  CEEP  e  dal  CES)  e
dell'art. 36, commi 5, 5-ter e 5-quater, del decreto  legislativo  30
marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del  lavoro  alle
dipendenze delle amministrazioni pubbliche), promosso  dal  Tribunale
ordinario  di  Foggia,  in  funzione  di  giudice  del  lavoro,   nel
procedimento vertente tra D. D.O., G. M., M. T., M. I.  e  A.  F.,  e
l'Istituto  zooprofilattico  sperimentale  della   Puglia   e   della
Basilicata, con ordinanza del 26 ottobre 2016, iscritta al n. 32  del
registro ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell'anno 2017. 
    Visti gli atti di costituzione di D. D.O., di G. M., di M. T., di
M. I. e di A. F., nonche' gli atti di intervento del  Presidente  del
Consiglio dei ministri, della Confederazione  Generale  Italiana  del
Lavoro - CGIL e della Federazione Lavoratori della Funzione  Pubblica
- CGIL, e dell'Unione Italiana del Lavoro Federazione Poteri Locali -
UIL FPL; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  23  ottobre  2018  il  Giudice
relatore Giancarlo Coraggio; 
    uditi gli avvocati Amos Andreoni per la  Confederazione  Generale
Italiana del Lavoro - CGIL e altra,  Massimo  Pistilli  per  l'Unione
Italiana del lavoro Federazione Poteri Locali - UIL FPL, Vincenzo  De
Michele per D. D.O., Sergio Galleano per G.  M.,  Francesca  Chietera
per M. T., Aurora Notarianni per A. F. e l'avvocato dello Stato Maria
Gabriella Mangia per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 26 ottobre 2016, iscritta al n. 32 del reg.
ord. 2017, il Tribunale ordinario di Foggia, in funzione  di  giudice
del lavoro, dubita della legittimita'  costituzionale  dell'art.  10,
comma 4-ter,  del  decreto  legislativo  6  settembre  2001,  n.  368
(Attuazione della direttiva 1999/70/CE  relativa  all'accordo  quadro
sul lavoro a tempo determinato concluso dall'UNICE, dal  CEEP  e  dal
CES), e  dell'art.  36,  commi  5,  5-ter  e  5-quater,  del  decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165  (Norme  generali  sull'ordinamento
del lavoro  alle  dipendenze  delle  amministrazioni  pubbliche),  in
riferimento, nel complesso, agli artt. 3, 4, 24, 35, primo comma, 97,
terzo (recte: quarto) comma, 101, secondo comma,  104,  primo  comma,
111, secondo comma,  e  117,  primo  comma,  della  Costituzione,  in
relazione alla clausola 4, punto 1, e alla clausola 5, punti 1  e  2,
dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato,  concluso  il  18
marzo 1999, allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del  28
giugno 1999, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEP sul  lavoro
a  tempo  determinato,  e  all'art.  4,  paragrafo  3,  del  Trattato
sull'Unione europea,  con  richiamo  alla  sentenza  della  Corte  di
giustizia dell'Unione europea (CGUE)  del  26  novembre  2014,  cause
riunite C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/18, Mascolo ed altri. 
    2.- Il giudice a quo premette  di  essere  stato  adito  da  piu'
lavoratori, tutti gia' alle dipendenze dell'Istituto  zooprofilattico
sperimentale (IZS) della Puglia e della Basilicata, con  rapporti  di
lavoro a tempo determinato, per l'accertamento  della  illegittimita'
degli stessi,  con  la  conseguente  trasformazione  dei  rapporti  a
termine in  rapporti  di  lavoro  a  tempo  indeterminato,  ai  sensi
dell'art. 5, comma 4-bis, del d.lgs. n.  368  del  2001,  prospettato
come applicabile, in particolare, in ragione  della  natura  di  ente
pubblico economico dell'IZS, e per la  condanna  dell'Amministrazione
al pagamento di un'indennita' risarcitoria. 
    I ricorrenti sostenevano che,  anche  in  presenza  della  natura
pubblica  del  datore  di  lavoro,  sussisterebbe  il  diritto   alla
trasformazione in ragione, oltre che della citata  sentenza  Mascolo,
delle ordinanze della  Corte  di  giustizia  dell'Unione  europea  1°
ottobre 2010, in causa C-3/10, Affatato, e 12 dicembre 2013, in causa
C-50/13, Papalia, 
    3.- L'IZS, costituitosi nel giudizio principale, a sostegno della
bonta' del proprio operato, richiamava le sentenze della CGUE  del  7
settembre 2006, in causa C-53/04,  Marrosu  e  Sardino,  e  in  causa
C-180/04, Vassallo, e rilevava che la legittimita' del  divieto  alla
trasformazione trovava conferma nell'art. 10, comma 4-ter, del d.lgs.
n. 368 del 2001. Ne' poteva riconoscersi ai lavoratori un diritto  al
risarcimento del danno senza la prova della sussistenza dello stesso. 
    4.- Nel corso del giudizio, quindi, i  lavoratori  chiedevano  di
sollevare questione di legittimita'  costituzionale  di  tale  ultima
disposizione e dell'art. 36, commi 5, 5-ter e 5-quater, del d.lgs. n.
165 del 2001, nella parte in cui non consentirebbero la  costituzione
di  rapporti  di  lavoro  a  tempo  indeterminato  per  il  personale
sanitario, qualora i contratti a termine superino i trentasei mesi di
servizio anche non continuativo con mansioni  equivalenti  presso  la
stessa azienda sanitaria, per asserita violazione  degli  artt.  3  e
117, primo comma, Cost., in quanto impedirebbero ogni forma di tutela
sanzionatoria  rispetto  all'abusiva   reiterazione   dei   contratti
medesimi, in modo analogo a  quanto  previsto  dalla  disciplina  del
settore della scuola, fatta oggetto di declaratoria di illegittimita'
costituzionale con la sentenza di questa Corte n. 187 del 2016. 
    5.- Su queste premesse, il rimettente afferma che,  per  ciascuno
dei lavoratori ricorrenti, i contratti a termine  hanno  superato  la
durata di trentasei mesi, e che pur in presenza della  illegittimita'
degli stessi, deve fare applicazione  ratione  temporis  delle  norme
impugnate, ostative alla riqualificazione dei rapporti a  termine  in
rapporti a tempo indeterminato, almeno per  quattro  dei  ricorrenti,
atteso che i rapporti di  lavoro  con  gli  Istituti  zooprofilattici
sperimentali vanno riferiti al comparto sanita' del pubblico  impiego
contrattualizzato. 
    6.- Dunque, la questione e' stata ritenuta rilevante  perche'  la
declaratoria  di  incostituzionalita'  renderebbe  inapplicabili   le
disposizioni, ostative alla tutela offerta dalle norme  interne,  che
impediscono l'operativita' della sanzione piu' efficace  a  rimuovere
l'illecito, costituita dal rapporto di lavoro a tempo indeterminato. 
    Ne' assumerebbe rilievo, di contro,  il  decreto  legislativo  15
giugno 2015, n. 81 (Disciplina organica dei  contratti  di  lavoro  e
revisione della normativa in tema di mansioni, a norma  dell'articolo
1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183), che ha abrogato il
d.lgs. n. 368 del 2001, in  quanto  le  fattispecie  di  causa  erano
cessate in precedenza. 
    7.- In ordine alla non manifesta infondatezza della questione  il
rimettente premette quanto segue. 
    7.1.- Ritiene anzitutto che la sentenza Mascolo, i  cui  principi
come ius superveniens si  inseriscono  direttamente  nell'ordinamento
interno, aveva individuato  proprio  nella  previsione  dell'art.  5,
comma 4-bis, del d.lgs. n. 368 del 2001, derogata dall'art. 10, comma
4-ter,  la  misura  effettiva  ed  energica  idonea  a  prevenire   e
sanzionare gli abusi nel ricorso alla  successione  dei  contratti  a
tempo determinato, offrendo al giudice  nazionale  un'indicazione  su
quale possa essere anche nei confronti della pubblica amministrazione
una effettiva ed energica misura preventiva e sanzionatoria. 
    7.2.- Rileva poi che  l'art.  36,  comma  5,  contrasterebbe  con
l'ordinanza Papalia. 
    Ed infatti, la CGUE, con tale  pronuncia,  ha  affermato  che  il
diritto dell'Unione europea osta ad una disciplina che,  in  presenza
della abusiva reiterazione di rapporti di lavoro  a  termine  con  un
datore di lavoro pubblico, non solo escluda qualsiasi  trasformazione
del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a
tempo  indeterminato,  ma  subordini  il  diritto  di   ottenere   il
risarcimento del danno all'obbligo, gravante su detto lavoratore,  di
fornire la prova di aver dovuto rinunciare a migliori opportunita' di
impiego. 
    Con la successiva sentenza 14 settembre 2016, in cause C-184/15 e
C-197/15, Martinez Andres e Castrejana Lopez, si e' affermato che  la
compatibilita'   eurounitaria   della   mancata   previsione    della
trasformazione richiede la previsione di un'altra misura efficace. 
    7.3.- Tuttavia, cio' non potrebbe condurre ad una disapplicazione
della disciplina nazionale in ragione della sentenza della  Corte  di
cassazione, sezioni unite civili, 15 marzo 2016, n. 5072, intervenuta
successivamente. 
    Con essa, il Giudice di legittimita' ha ribadito l'attualita' del
divieto di conversione del rapporto di lavoro a  termine  illegittimo
in rapporto a tempo indeterminato, e ha affermato che  il  dipendente
ha diritto al risarcimento del danno previsto dall'art. 36, comma  5,
del d.lgs. n. 165 del 2001, con esonero dall'onere  probatorio  nella
misura e nei limiti di cui  all'art.  32,  comma  5,  della  legge  4
novembre 2010, n. 183  (Deleghe  al  Governo  in  materia  di  lavori
usuranti, di riorganizzazione di  enti,  di  congedi,  aspettative  e
permessi, di ammortizzatori sociali, di  servizi  per  l'impiego,  di
incentivi   all'occupazione,   di   apprendistato,   di   occupazione
femminile, nonche' misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in
tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro). 
    7.4.- Prosegue il rimettente deducendo  che  la  citata  sentenza
delle sezioni  unite  civili  poneva,  a  sua  volta,  un  dubbio  di
inadempimento della direttiva 1999/70/CE, per dirimere  il  quale  e'
stato  promosso  rinvio  pregiudiziale  dal  Tribunale  ordinario  di
Trapani, chiedendosi alla CGUE se rappresenti misura equivalente, nel
senso indicato dalla sentenza Mascolo  e  dalla  sentenza  Morrosu  e
Sardino, l'attribuzione di un'indennita', con la possibilita' per  il
lavoratore di conseguire l'intero ristoro del danno solo provando  la
perdita di altre opportunita'  lavorative  oppure  provando  che,  se
fosse stato bandito un concorso, lo avrebbe vinto. 
    7.5.- Prospetta altresi' il  rimettente  che,  in  ragione  della
specialita' della disciplina del settore scuola, le statuizioni della
sentenza n. 187 del 2016 e dell'ordinanza n. 194 del 2016 non possono
trovare applicazione nel caso in esame  in  cui  si  controverte  del
comparto sanita'. 
    7.6.-  L'insieme  delle  disposizioni  censurate  evidenzia   che
l'ordinamento interno non prevede alcuna misura  idonea  a  prevenire
l'abusiva reiterazione dei contratti a tempo determinato  per  quanto
riguarda tutto il pubblico impiego, compreso quello sanitario. 
    Ad avviso del rimettente, infatti, l'art. 10,  comma  4-ter,  del
d.lgs. n. 368 del 2001 stabilisce una deroga per i contratti a  tempo
determinato del personale sanitario del Servizio sanitario nazionale,
rispetto al medesimo decreto legislativo e comunque all'art. 5, comma
4-bis, dello stesso. L'art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165 del  2001,
contrasterebbe con la citata sentenza Papalia. Il richiamo del  comma
5-ter (aggiunto dall'art. 4, comma 1, lettera b, del decreto-legge 31
agosto  2013,  n.  101,  recante   «Disposizioni   urgenti   per   il
perseguimento  di  obiettivi  di  razionalizzazione  nelle  pubbliche
amministrazioni»,  convertito,  con  modificazioni,  nella  legge  30
ottobre 2013, n. 125)  alle  «esigenze  di  carattere  esclusivamente
temporaneo o eccezionale», di cui al comma 2  (come  vigente  ratione
temporis), e la sanzione  della  nullita'  dei  contratti  a  termine
stipulati  in  violazione  di  tali  esigenze,  stabilita  dal  comma
5-quater  (anch'esso  aggiunto  dal  d.l.  n.  101  del  2013,   come
convertito, impediscono ogni forma di tutela risarcitoria. 
    8.- Tutto cio' premesso,  il  rimettente  ritiene  che  le  norme
censurate sarebbero in contrasto sia con la clausola 5, punti 1 e  2,
dell'accordo quadro sul lavoro a  tempo  determinato  recepito  dalla
direttiva 1999/70/CE; sia con il  principio  di  non  discriminazione
rispetto  alle  condizioni  di  impiego  dei   lavoratori   a   tempo
indeterminato comparabili, tutelato dalla clausola 4, punto 1,  dello
stesso accordo quadro. Ed infatti, la cessazione  ingiustificata  dei
singoli rapporti di lavoro a tempo determinato, dopo  il  superamento
dei trentasei mesi  di  servizio  con  lo  stesso  datore  di  lavoro
pubblico,  equivale  a  tutti  gli  effetti  ad   un   licenziamento,
trattandosi  di  dipendente  a  tempo  determinato   abitualmente   e
illegittimamente  impiegato  per  supplire  carenze  strutturali   di
organico (sono richiamate le sentenze della CGUE 14  settembre  2016,
in causa C-596/14, de Diego Porras; e 14  settembre  2016,  in  causa
C-16/15, Perez Lopez). 
    9.- Inoltre, il giudice a  quo  ritiene  che  le  medesime  norme
violerebbero anche l'art. 3 Cost., e il principio  di  uguaglianza  e
non discriminazione,  sia  rispetto  ai  lavoratori  privati  cui  si
applica integralmente la  sanzione  dell'art.  5,  comma  4-bis,  del
d.lgs. n. 368 del 2001, sia rispetto ai dipendenti  precari  pubblici
delle fondazioni lirico-sinfoniche (e' richiamata la sentenza n.  260
del 2015), ai  quali  sarebbe  stato  riconosciuto  il  diritto  alla
stabilita' lavorativa. 
    10.- Risulterebbero violati anche gli  artt.  4,  24,  35,  primo
comma, 97, quarto comma, 101, secondo comma, 104, primo comma, e 111,
secondo comma, Cost., sempre in relazione all'art. 117, primo  comma,
Cost.  e  all'attuazione  degli  obblighi   derivanti   dai   vincoli
comunitari, con particolare riferimento,  oltre  che  alla  direttiva
1999/70/CE,  all'art.  4,  paragrafo  3,  del  Trattato   sull'Unione
europea, perche' lo Stato  italiano  aveva  gia'  rappresentato  alla
CGUE, nella causa C-3/10, Affatato, che l'art. 5,  comma  4-bis,  del
d.lgs. n. 368 del 2001 veniva integralmente applicato anche  a  tutto
il pubblico impiego, compreso quello sanitario. 
    La stessa Corte  di  giustizia,  nell'ordinanza  Affatato,  aveva
attestato l'adeguatezza di tale misura sanzionatoria interna. 
    Sotto questo profilo, le norme impugnate violerebbero  il  giusto
processo, i principi della parita' delle armi e dell'affidamento  dei
consociati nella sicurezza giuridica e le attribuzioni costituzionali
dell'autorita'  giudiziaria,  impedendo  di   applicare   la   tutela
effettiva della stabilita' lavorativa, cosi'  realizzando  una  grave
violazione  degli  obblighi  comunitari  e  del  principio  di  leale
cooperazione con le Istituzioni europee. 
    11.-  In  data  3  aprile  2017  hanno  spiegato  intervento   ad
adiuvandum la Confederazione Generale Italiana del Lavoro -  CGIL,  e
la Federazione Lavoratori della Funzione Pubblica - CGIL. 
    Preliminarmente, le  intervenienti  hanno  affermato  la  propria
legittimazione  all'intervento   in   ragione   sia   della   propria
rappresentativita',  in  quanto   partecipano   alla   contrattazione
collettiva nazionale, sia degli obiettivi statutari volti alla tutela
del complesso dei lavoratori. 
    12.- In data 4 aprile 2017 si sono costituiti, con autonomi atti,
D. O.D., G. M., M. T, M. I., A. F., tutti parti del giudizio a quo. 
    13.- Nella medesima data ha  spiegato  intervento  ad  adiuvandum
anche la Unione Italiana del Lavoro Federazione Poteri Locali  -  UIL
FPL, assumendo di essere titolare di un interesse  qualificato  quale
firmataria del contratto collettivo nazionale di lavoro del  comparto
sanita'. 
    14.- Con atto del 4 aprile 2017, e' intervenuto il Presidente del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato,  chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata
inammissibile o non fondata. 
    Ad  avviso  dell'interveniente,   la   stessa   difetterebbe   di
rilevanza, in quanto non e' censurato l'art. 10, comma 5-bis,  ultimo
periodo, del d.lgs. n. 368 del 2001, introdotto dal decreto-legge  20
marzo 2014, n. 34 (Disposizioni  urgenti  per  favorire  il  rilancio
dell'occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a  carico
delle imprese), convertito, con modificazioni, nella legge 16  maggio
2014, n. 78, che prevede, per lo svolgimento di attivita' di  ricerca
scientifica, una durata dei contratti a termine diversa dai trentasei
mesi. 
    Il  mancato  riferimento  nell'ordinanza  di  rimessione  a  tale
disposizione   e    l'omesso    tentativo    di    un'interpretazione
costituzionalmente  orientata  darebbero  luogo  all'inammissibilita'
della questione. 
    L'Avvocatura  generale  dello  Stato  rileva,  altresi',  che  la
giurisprudenza della CGUE non esclude  che  possano  essere  adottate
misure sanzionatorie diverse dalla  trasformazione  del  contratto  a
tempo determinato in contratto a tempo indeterminato. 
    Osserva che il divieto di  conversione  e'  gia'  stato  ritenuto
conforme agli artt. 3 e 97 Cost. dalla Corte costituzionale sin dalla
sentenza n. 89 del 2003. 
    Infine, il Presidente del Consiglio dei ministri richiama,  quale
adeguata soluzione alle problematiche  del  risarcimento  da  abusiva
reiterazione dei contratti a termine, condividendone i contenuti,  la
sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite  civili,  15  marzo
2016, n. 5072. 
    15.- In data 2 ottobre 2018, D. O.D., G. M., M. T., M. I. e A. F.
hanno depositato un'unica memoria, con la quale, dopo avere  ribadito
la rilevanza della questione, hanno trattato il tema del contratto  a
termine  ripercorrendo  le   pronunce   della   CGUE,   della   Corte
costituzionale e della  Corte  di  cassazione,  facendo  presente  la
pendenza di rinvii  pregiudiziali  in  materia.  Hanno  affermato  il
carattere non risolutivo della sopravvenuta  sentenza  della  CGUE  7
marzo 2018, in causa C-494/16, Santoro. 
    16.- Nella medesima data anche il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri  ha   depositato   memoria   con   la   quale   ha   dedotto
l'inammissibilita' degli interventi dei soggetti estranei al giudizio
a quo, e nel merito ha  ricordato  come  la  CGUE,  con  la  sentenza
Santoro, ha sancito la conformita'  della  normativa  nazionale  alle
disposizioni eurounitarie. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Foggia, in funzione di giudice  del
lavoro, con ordinanza del 26 ottobre 2016, iscritta al n. 32 del reg.
ord. 2017, ha  sollevato  questioni  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 10, comma 4-ter, del decreto legislativo 6 settembre  2001,
n. 368 (Attuazione della direttiva  1999/70/CE  relativa  all'accordo
quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall'UNICE, dal CEEP e
dal CES), e dell'art. 36, commi 5,  5-ter  e  5-quater,  del  decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165  (Norme  generali  sull'ordinamento
del lavoro  alle  dipendenze  delle  amministrazioni  pubbliche),  in
riferimento, nel complesso, agli artt. 3, 4, 24, 35, primo comma, 97,
terzo (recte: quarto) comma, 101, secondo comma,  104,  primo  comma,
111, secondo comma,  e  117,  primo  comma,  della  Costituzione,  in
relazione alla clausola 4, punto 1, e alla clausola 5, punti 1  e  2,
dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato,  concluso  il  18
marzo 1999, allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del  28
giugno 1999, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEP sul  lavoro
a  tempo  determinato,  e  all'art.  4,  paragrafo  3,  del  Trattato
sull'Unione europea. 
    Il rimettente richiama,  in  particolare,  i  principi  affermati
dalla Corte di giustizia dell'Unione europea  (CGUE)  nella  sentenza
del 26 novembre 2014, cause riunite C-22/13, da C-61/13 a  C-63/13  e
C-418/18, Mascolo ed altri. 
    2.- Con ordinanza dibattimentale del  23  ottobre  2018,  che  si
allega,  sono  stati  dichiarati  inammissibili  gli  interventi   ad
adiuvandum spiegati dalla Confederazione Generale Italiana del lavoro
- CGIL, dalla Federazione Lavoratori della Funzione Pubblica -  CGIL,
e dalla Unione Italiana del Lavoro Federazione Poteri  Locali  -  UIL
FPL, in  quanto  soggetti  estranei  al  giudizio  principale  e  non
titolari di un interesse direttamente riconducibile  all'oggetto  del
medesimo, bensi' di un mero indiretto,  e  piu'  generale,  interesse
connesso agli scopi statutari della tutela degli interessi  economici
e professionali degli iscritti. 
    3.- Non  possono  essere  presi  in  considerazione,  secondo  la
costante giurisprudenza della Corte, ulteriori questioni o profili di
costituzionalita' dedotti dalle parti, oltre i limiti  dell'ordinanza
di rimessione; e cio' sia che siano  stati  eccepiti,  ma  non  fatti
propri dal giudice a  quo,  sia  che  siano  diretti  ad  ampliare  o
modificare successivamente il thema  decidendum,  una  volta  che  le
parti   si   siano   costituite   nel   giudizio    incidentale    di
costituzionalita' (ex multis, sentenza n. 276 del 2016). 
    Sono dunque inammissibili le deduzioni delle parti del giudizio a
quo, costituitesi nel presente giudizio incidentale, che  tendono  ad
ampliare il thema decidendum definito dall'ordinanza di rimessione. 
    4.- Nel merito, le norme sono sempre censurate nel loro  insieme,
ma rispetto a tre diversi parametri. 
    4.1.- Si tratta anzitutto dell'art. 10, comma 4-ter,  del  d.lgs.
n. 368 del 2001, che e' stato inserito  dall'art.  4,  comma  5,  del
decreto-legge 13 settembre 2012, n.  158  (Disposizioni  urgenti  per
promuovere lo sviluppo del Paese mediante un  piu'  alto  livello  di
tutela della salute), convertito, con modificazioni,  nella  legge  8
novembre 2012, n. 189, ed e' stato abrogato dall'art.  55,  comma  1,
lettera b), del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81 (Disciplina
organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in  tema
di mansioni, a  norma  dell'articolo  1,  comma  7,  della  legge  10
dicembre 2014, n. 183), a decorrere dal 25 giugno 2015 (il d.lgs.  n.
81 del 2015 non viene in rilievo, ratione temporis, nella specie,  ma
puo' comunque ricordarsi che all'art. 29, comma 2, lettera c, e 4, fa
salvo anche per il personale sanitario quanto previsto  dall'art.  36
del d.lgs. n. 165 del 2001). 
    Il citato art. 10, comma  4-ter,  esclude  dall'applicazione  del
d.lgs. n. 368 del 2001 i «contratti a tempo determinato del personale
sanitario del medesimo Servizio  sanitario  nazionale,  ivi  compresi
quelli dei dirigenti, in considerazione della necessita' di garantire
la costante erogazione dei servizi sanitari e il rispetto dei livelli
essenziali di assistenza.[...] In ogni caso, non  trova  applicazione
l'articolo 5, comma 4-bis». 
    Dunque, non trova  applicazione  la  previsione  (art.  5,  comma
4-bis, del d.lgs. n. 368 del 2001) secondo cui, «qualora per  effetto
di successione di contratti a termine per lo svolgimento di  mansioni
equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo
stesso lavoratore abbia complessivamente superato  i  trentasei  mesi
comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai  periodi  di
interruzione che intercorrono tra un contratto e l'altro, il rapporto
di lavoro si considera a tempo indeterminato [...]». 
    4.2.- Oggetto di censura e' poi anche l'art. 36 del d.lgs. n. 165
del 2001, nel testo applicabile ratione temporis, e precisamente: 
    - il comma 5, primo e secondo periodo, a norma dei quali «In ogni
caso,  la   violazione   di   disposizioni   imperative   riguardanti
l'assunzione o l'impiego di  lavoratori,  da  parte  delle  pubbliche
amministrazioni, non puo' comportare la costituzione di  rapporti  di
lavoro   a   tempo   indeterminato   con   le   medesime    pubbliche
amministrazioni, ferma restando ogni responsabilita' e  sanzione.  Il
lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante
dalla  prestazione  di   lavoro   in   violazione   di   disposizioni
imperative»; 
    - il comma 5-ter, secondo  cui:  «Le  disposizioni  previste  dal
decreto legislativo 6  settembre  2001,  n.  368  si  applicano  alle
pubbliche  amministrazioni,  fermi  restando  per  tutti  i   settori
l'obbligo di rispettare il comma  1,  la  facolta'  di  ricorrere  ai
contratti di lavoro a tempo determinato esclusivamente per rispondere
alle esigenze di cui al comma 2 e il divieto  di  trasformazione  del
contratto di lavoro  da  tempo  determinato  a  tempo  indeterminato»
(comma  abrogato  dall'art.  9,  comma  1,  lettera  e,  del  decreto
legislativo 25 maggio 2017, n. 75, recante «Modifiche e  integrazioni
al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli
16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) e 17, comma 1,
lettere a), c), e), f), g), h), l) m), n), o), q), r), s) e z), della
legge 7 agosto 2015, n. 124, in  materia  di  riorganizzazione  delle
amministrazioni pubbliche»; 
    - il comma 5-quater, in particolare nel primo periodo, nel  testo
anteriore alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 75 del 2017, secondo
cui: «I contratti di lavoro a tempo determinato posti  in  essere  in
violazione  del  presente   articolo   sono   nulli   e   determinano
responsabilita' erariale». 
    5.- Il rimettente, con una generale censura poi specificata nella
trattazione  delle  singole  questioni,  denuncia  che  queste  norme
consentono,  senza  limiti  e   misure   preventive   antiabusive   e
sanzionatorie, l'utilizzazione  illegittima  dei  contratti  a  tempo
determinato  per  il  personale  sanitario  del  Servizio   sanitario
nazionale per piu' di trentasei mesi; differenziano  i  contratti  di
lavoro a tempo determinato stipulati con la pubblica  amministrazione
sanitaria, rispetto ai contratti a termine stipulati  con  datori  di
lavoro privati, o pubblici,  come  le  fondazioni  lirico-sinfoniche,
escludendo senza ragioni oggettive i primi dalla tutela rappresentata
dalla costituzione di un rapporto di lavoro  a  tempo  indeterminato,
come previsto dall'art. 5, comma 4-bis, del d.lgs. n. 368 del 2001, e
senza un'adeguata misura  risarcitoria,  cosi'  ledendo  i  parametri
costituzionali invocati. 
    6.- La questione di legittimita' costituzionale per disparita' di
trattamento rispetto alle altre categorie di lavoratori, sollevata in
riferimento all'art. 3 Cost. e al  principio  di  eguaglianza  e  non
discriminazione, e' inammissibile. 
    6.1.- La censura e' del tutto priva  di  motivazione  rispetto  a
entrambi i casi  indicati  come  tertia  comparationis.  A  parte  la
considerazione  che  si  omette  la  necessaria   indicazione   delle
disposizioni relative (ex multis, sentenza n. 18 del 2015), manca del
tutto il confronto con le  altre  categorie  richiamate.  Si  tratta,
infatti, di rapporti o relativi ad apparati pubblici diversi,  ovvero
privatistici. Nel  primo  caso,  pertanto,  occorreva  dimostrare  la
presunta  omogeneita';  nel  secondo,   poi,   non   vi   e'   alcuna
considerazione della specificita' del settore pubblico, pure  oggetto
di numerose e approfondite decisioni da  parte  della  giurisprudenza
della CGUE e costituzionale,  con  riferimento  in  particolare  alla
necessita' che l'accesso avvenga per concorso pubblico. 
    7.- Sono anche inammissibili, per la genericita' e la mancanza di
autosufficienza dell'ordinanza di rimessione sul punto, le censure di
violazione degli artt. 4, 24, 35, primo comma, 97, quarto comma, 101,
secondo comma, 104, primo comma,  e  111,  secondo  comma,  Cost.,  e
dell'art. 117, primo comma, Cost., in relazione  ai  gia'  richiamati
parametri interposti eurounitari, nonche' all'art.  4,  paragrafo  3,
del Trattato dell'Unione europea. 
    8.- La questione relativa alla mancanza di  misure  sanzionatorie
adeguate e' poi sollevata per violazione dell'art. 117, primo  comma,
Cost, in relazione alle clausole 4, punto  1,  e  5,  punti  1  e  2,
dell'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato,
allegato alla direttiva n.  1999/70/CE,  e  alle  relative  decisioni
della CGUE. 
    9.- Va premesso  che  nelle  more  del  giudizio  incidentale  e'
intervenuta la sentenza della CGUE 7 marzo 2018, in  causa  C-494/16,
Santoro, che si e' pronunciata sul rinvio pregiudiziale del Tribunale
ordinario di Trapani (richiamato dal rimettente). Essa si e' occupata
nuovamente della misura  risarcitoria  e  in  particolare  della  sua
entita', affermando che «La  clausola  5  dell'accordo  quadro  [...]
dev'essere interpretata nel senso che essa non osta a  una  normativa
nazionale che, da un lato, non sanziona il ricorso abusivo, da  parte
di un datore  di  lavoro  rientrante  nel  settore  pubblico,  a  una
successione di contratti a tempo determinato mediante il  versamento,
al lavoratore interessato, di un'indennita'  volta  a  compensare  la
mancata trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato  in
un rapporto di  lavoro  a  tempo  indeterminato  bensi',  dall'altro,
prevede la concessione di  un'indennita'  [...],  accompagnata  dalla
possibilita',  per  il  lavoratore,  di  ottenere   il   risarcimento
integrale del danno dimostrando, mediante presunzioni, la perdita  di
opportunita' di trovare  un  impiego  o  il  fatto  che,  qualora  un
concorso fosse stato organizzato in modo regolare,  egli  lo  avrebbe
superato, purche' una  siffatta  normativa  sia  accompagnata  da  un
meccanismo sanzionatorio  effettivo  e  dissuasivo,  circostanza  che
spetta al giudice del rinvio verificare». 
    9.1.- La decisione, in sostanza, ha  ritenuto  la  compatibilita'
euronitaria delle statuizioni contenute nella sentenza della Corte di
cassazione,  sezioni  unite  civili,  15  marzo  2016,  n.   5072   -
pronunciata nel giudizio nel  corso  del  quale  era  intervenuta  la
sentenza della CGUE 7 settembre 2015, in  causa  C-53/04,  Marrosu  e
Sardino - che, dopo aver  ribadito  il  divieto  di  conversione  del
rapporto di lavoro a termine in rapporto a  tempo  indeterminato,  ha
affermato che il dipendente pubblico, a  seguito  della  reiterazione
illegittima dei contratti a termine, ha diritto al  risarcimento  del
danno previsto dall'art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, con
esonero dall'onere probatorio, nella  misura  e  nei  limiti  di  cui
all'art. 32, comma 5, della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al
Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione  di  enti,
di congedi, aspettative e permessi,  di  ammortizzatori  sociali,  di
servizi   per   l'impiego,   di   incentivi    all'occupazione,    di
apprendistato, di occupazione femminile,  nonche'  misure  contro  il
lavoro sommerso e disposizioni  in  tema  di  lavoro  pubblico  e  di
controversie di lavoro). 
    10.- La questione dunque non e' fondata. 
    Difatti,  se   da   una   parte,   non   puo'   che   confermarsi
l'impossibilita' per tutto il settore  pubblico  di  conversione  del
rapporto da tempo determinato a  tempo  indeterminato  -  secondo  la
pacifica  giurisprudenza  euronitaria  e  nazionale   -,   dall'altra
sussiste  una   misura   sanzionatoria   adeguata,   costituita   dal
risarcimento  del  danno  nei  termini  precisati  dalla   Corte   di
cassazione. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondate le questioni di legittimita'  costituzionale
dell'art. 10, comma 4-ter, del decreto legislativo 6 settembre  2001,
n. 368 (Attuazione della direttiva  1999/70/CE  relativa  all'accordo
quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall'UNICE, dal CEEP e
dal CES), e dell'art. 36, commi 5,  5-ter  e  5-quater,  del  decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165  (Norme  generali  sull'ordinamento
del  lavoro  alle  dipendenze   delle   amministrazioni   pubbliche),
sollevate, in riferimento, nel complesso, agli artt. 3,  4,  24,  35,
primo comma, 97, quarto comma, 101, secondo comma, 104, primo  comma,
111, secondo comma,  e  117,  primo  comma,  della  Costituzione,  in
relazione alla clausola 4, punto 1, e alla clausola 5, punti 1  e  2,
dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato,  concluso  il  18
marzo 1999, allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del  28
giugno 1999, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEP sul  lavoro
a  tempo  determinato,  e  all'art.  4,  paragrafo  3,  del  Trattato
sull'Unione europea, dal Tribunale ordinario di Foggia,  in  funzione
di giudice del lavoro, con l'ordinanza in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 ottobre 2018. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                    Giancarlo CORAGGIO, Redattore 
                    Filomena PERRONE, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 27 dicembre 2018. 
 
                           Il Cancelliere 
                       F.to: Filomena PERRONE 
 
 
                                                            Allegato: 
                     Ordinanza emessa all'udienza del 23 ottobre 2018 
 
                              ORDINANZA 
 
    Rilevato che nel giudizio di cui all'ordinanza di rimessione  del
Tribunale ordinario di Foggia in funzione di giudice del lavoro, sono
intervenuti  ad  adiuvandum:  Confederazione  Generale  Italiana  del
lavoro - CGIL; Federazione Lavoratori della Funzione  Pubblica  CGIL;
Unione Italiana del Lavoro Federazione Poteri Locali - UIL FPL. 
    Considerato che, per costante  giurisprudenza  di  questa  Corte,
sono ammessi a intervenire nel giudizio incidentale  di  legittimita'
costituzionale (art. 3 delle Norme integrative per i giudizi  davanti
alla Corte costituzionale) i soggetti parti del giudizio a quo, oltre
che il Presidente del Consiglio dei ministri e,  nel  caso  di  legge
regionale,  il  Presidente  della  Giunta  regionale  (ex   plurimis,
sentenze n. 180, n. 140 e n. 120 del 2018, quest'ultima con  allegata
ordinanza letta all'udienza del 10 aprile 2018, n.  187  del  2016  e
allegata ordinanza letta all'udienza del 17 maggio 2016); 
    che l'intervento di  soggetti  estranei  al  giudizio  principale
(art. 4 delle Norme integrative) e' ammissibile soltanto per i  terzi
titolari di un interesse qualificato,  inerente  in  modo  diretto  e
immediato  al  rapporto  sostanziale  dedotto  in  giudizio   e   non
semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma oggetto di
censura (ex plurimis, citata sentenza n.  120  del  2018  e  allegata
ordinanza letta all'udienza del 10 aprile 2018, nonche'  sentenza  n.
187 del 2016 e allegata ordinanza letta  all'udienza  del  17  maggio
2016, sentenze n. 275, n. 85 e n. 16 del 2017); 
    che,   pertanto,   l'incidenza   sulla    posizione    soggettiva
dell'interveniente deve derivare non gia', come per  tutte  le  altre
situazioni sostanziali disciplinate  dalla  disposizione  denunciata,
dalla pronuncia della Corte sulla legittimita'  costituzionale  della
legge stessa, ma dall'immediato effetto che la pronuncia della  Corte
produce sul rapporto sostanziale oggetto del giudizio a quo (sentenza
n. 77 del 2018); 
    che questa Corte ha piu' volte espresso tale  orientamento  anche
in relazione alla  richiesta  di  intervento  da  parte  di  soggetti
rappresentativi di interessi collettivi o di categoria (ex  plurimis,
citate sentenze n. 140 e n. 77 del 2018, n. 120 del 2018  e  allegata
ordinanza letta all'udienza del 10 aprile 2018, nonche'  sentenza  n.
187 del 2016 e allegata ordinanza letta  all'udienza  del  17  maggio
2016, n. 81 del 2018; ordinanza n. 227 del 2016); 
    che, nel caso in esame, la Confederazione Generale  Italiana  del
lavoro - CGIL, la Federazione Lavoratori della Funzione Pubblica CGIL
e l'Unione Italiana del Lavoro Federazione Poteri Locali  -  UIL  FPL
non  sono  titolari  di  un  interesse   direttamente   riconducibile
all'oggetto del giudizio principale, bensi' di un mero  indiretto,  e
piu' generale, interesse connesso agli scopi statutari  della  tutela
degli interessi economici e professionali degli iscritti (in un  caso
analogo, sentenza n. 77 del 2018). 
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara   inammissibili   gli    interventi    spiegati    dalla
Confederazione Generale Italiana del lavoro - CGIL, dalla Federazione
Lavoratori della Funzione Pubblica CGIL e  dall'Unione  Italiana  del
Lavoro Federazione Poteri Locali - UIL FPL. 
 
                 F.to: Giorgio Lattanzi, Presidente