N. 35 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 novembre 2018

Ordinanza del 7 novembre  2018  del  Magistrato  di  sorveglianza  di
Avellino sul  reclamo  proposto  dal  Pubblico  Ministero  presso  la
Procura della Repubblica del Tribunale di Torre Annunziata. 
 
Reati e pene - Pene  pecuniarie  -  Attivazione  delle  procedure  di
  conversione delle pene  pecuniarie  non  pagate  -  Previsione  che
  l'ufficio  giudiziario   investe   il   pubblico   ministero,   per
  l'attivazione   della   conversione   presso   il   magistrato   di
  sorveglianza competente, se, decorsi ventiquattro mesi dalla  presa
  in carico del ruolo da parte  dell'agente  della  riscossione,  non
  risulti esperita alcuna attivita' esecutiva ovvero se gli esiti  di
  quella esperita siano indicativi  dell'impossibilita'  di  esazione
  della pena pecuniaria o di una rata di essa. 
- Decreto del Presidente della Repubblica  30  maggio  2002,  n.  115
  ("Testo unico delle disposizioni  legislative  e  regolamentari  in
  materia di spese di giustizia (Testo A)"), art. 238-bis, comma 3. 
(GU n.11 del 13-3-2019 )
 
                 UFFICIO DI SORVEGLIANZA DI AVELLINO 
 
    Il Magistrato di sorveglianza letta l'istanza con cui la  Procura
della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Torre Annunziata ha
trasmesso, ex art. 660 comma 2 codice di procedura penale,  a  questo
Magistrato gli atti per la conversione della  pena  pecuniaria  di  €
150,00 di multa inflitta Palo Maurizio, nato a  Salerno  7  settembre
1951,  con  sentenza  del  Tribunale  di  Torre  Annunziata   sezione
distaccata di Castellammare di Stabia del 22 giugno 2010; 
    Osservato che in allegato all'istanza vi sono soltanto il  titolo
esecutivo - ovvero la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata  del
22 giugno 2010 - ed un prospetto del contribuente  per  partita,  dal
quale risulta iscritta nell'anno 2011  una  partita  di  credito  nei
confronti del condannato - debitore Palo  Maurizio,  ma  non  risulta
effettuata alcuna procedura esecutiva nei confronti di  quest'ultimo,
al quale la cartella di  pagamento  risulta  notificata  in  data  26
gennaio 2013 ma condizioni di «irreperibilita' relativa»; 
    Considerato che in base al nuovo testo dell'art. 238-bis comma  3
del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002,  il  mancato
esperimento  di  attivita'  esecutiva   da   parte   dell'agente   di
riscossione e' oggi  presupposto  sufficiente,  a  norma  del  citato
articolo, affinche' il pubblico ministero investa  il  Magistrato  di
sorveglianza competente  alla  conversione  ex  art.  660  codice  di
procedura penale, e che soltanto quando il Magistrato di sorveglianza
accerta la solvibilita' del debitore, l'agente di riscossione riavvia
le attivita' di competenza sullo stesso articolo di ruolo; 
tanto premesso, osserva. 
    L'art. 238-bis citato, come introdotto dalla  legge  di  bilancio
per il 2018 ovvero legge n. 205/2017, che lo ha  inserito  nel  corpo
del testo unico sulle spese di giustizia decreto del Presidente della
Repubblica n. 115/2002, con il dichiarato scopo di creare  una  norma
di raccordo tra la disciplina della riscossione a mezzo  ruolo  e  la
disciplina delle pene pecuniarie idonea a consentire  una  tempestiva
attivazione del procedimento di conversione  delle  pene  pecuniarie,
detta una puntuale disciplina, con la relativa scansione delle  fasi,
volta alla «Attivazione delle procedure  di  conversione  delle  pene
pecuniarie non pagate», prevedendo al comma 2 che «l'ufficio  investe
il  pubblico  ministero  perche'  attivi  la  conversione  presso  il
Magistrato di  sorveglianza  competente,  entro  venti  giorni  dalla
ricezione  della  prima  comunicazione  da  parte  dell'agente  della
riscossione,   relativa   all'infruttuoso   esperimento   del   primo
pignoramento su tutti  i  beni»  e,  al  comma  successivo,  che  «ai
medesimi fini di cui al comma  2,  l'ufficio  investe,  altresi',  il
pubblico ministero se,  decorsi  ventiquattro  mesi  dalla  presa  in
carico del  ruolo  da  parte  dell'agente  della  riscossione  ed  in
mancanza della comunicazione di cui al comma 2, non risulti  esperita
alcuna attivita' esecutiva ovvero se gli  esiti  di  quella  esperita
siano  indicativi  dell'impossibilita'   di   esazione   della   pena
pecuniaria o di una rata di essa». 
    Va  premesso  che  l'istituto  della   conversione   della   pena
pecuniaria  e'  stato  spesso  sottoposto  al  vaglio   della   Corte
costituzionale, in esso concentrandosi il difficile equilibrio tra le
esigenze di effettivita' della pena da una parte, e di  rispetto  del
principio di uguaglianza dall'altro, stante il carattere maggiormente
afflittivo della pena succedanea,  e  lo  sforzo  della  Corte  nelle
diverse pronunce succedutesi negli anni e' stato costantemente  volto
alla ricerca di' un punto di congiunzione  tra  le  due  contrapposte
istanze. 
    Del resto, la stessa conversione delle pene pecuniarie non pagate
in liberta' controllata, e' stata introdotta dalla legge n.  689  del
1981 proprio al fine di eliminare la lacuna  venutasi  a  creare  nel
sistema esecutivo a seguito della sentenza 21 novembre  1979  n.  131
con cui la Corte ebbe a dichiarare l'incostituzionalita' del  vecchio
art. 136 codice  penale,  statuente  la  conversione  della  multa  e
dell'ammenda non  pagate  per  insolvibilita'  del  condannato  nelle
corrispondenti pene detentive, per la  condizione  di  disuguaglianza
che si veniva a creare tra soggetti condannati per i  medesimi  reati
sulla base delle differenti condizioni economiche.  Significativa  in
tal senso e' stata l'introduzione, con  la  nuova  disciplina,  della
facolta' offerta al condannato di eseguire il lavoro  sostitutivo  in
luogo della sottoposizione alla liberta' controllata. 
    Vanno poi sinteticamente ricordate le sentenze della Corte  12-23
dicembre 1994 n. 53, e la 9-12  gennaio  2012  n.  1,  che  ebbero  a
dichiarare l'illegittimita' dell'art. 102 terzo comma della legge  n.
689/1981 in relazione al tasso di ragguaglio tra pena pecuniaria  (da
convertire in caso di insolvenza) e liberta'  controllata  (originata
dalla conversione) che il legislatore aveva dimenticato di  adeguare,
rompendo la simmetria  che  la  Corte  aveva  ritenuto  doverosa;  la
sentenza 14-21 giugno 1996 n. 206, che ha dichiarato l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 102, secondo comma, della legge n.  689/1981
nella parte in cui non consentiva che il lavoro  sostitutivo  potesse
essere concesso, su richiesta del condannato, anche nel caso  in  cui
la pena pecuniaria da  convertire  fosse  superiore  ad  un  milione;
infine,  la  sentenza  18  giugno  2003  n.  212,   che   dichiarando
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 299 decreto del  Presidente
della Repubblica n. 115/2002,  che  abrogava  l'art.  660  codice  di
procedura penale, ha consentito  a  quest'ultima  norma  di  rivivere
proprio  per  effetto  della  eliminazione  della  norma   abrogante.
Dall'esame di questa breve  panoramica  risulta  evidente  lo  sforzo
della Corte di  salvare  l'istituto  della  conversione  dalla  scure
dell'incostituzionalita', soprattutto in considerazione del fatto che
nella maggior parte dei casi le pene pecuniarie restano  non  pagate,
con il conseguente  rischio  di  vanificazione  della  loro  funzione
preventiva e rieducativa. La nuova norma di'  cui  all'art.  238-bis,
del resto, nasce  proprio  al  fine  di  garantire  una  piu'  veloce
attivazione della procedura di conversione delle pene pecuniarie  non
pagate che giacevano da anni ormai in una fase di  stallo;  tuttavia,
proprio il sistema creato dalla  norma  per  dare  nuovo  impulso  al
settore delle pene pecuniarie e a garantirne l'effettivita',  suscita
in chi scrive non poche perplessita'. 
    In particolare, suscita perplessita' l'inciso «ai medesimi  fini»
con cui esordisce il comma 3;  atteso  che  oggi,  proprio  grazie  a
quell'inciso, il mancato esperimento di attivita' esecutiva da  parte
dell'agente  di  riscossione  diviene  un   presupposto   sufficiente
affinche' il pubblico ministero investa il Magistrato di sorveglianza
competente alla conversione  delle  pene  pecuniarie  non  pagate  in
liberta'  controllata.  Orbene,  ritiene  questo  giudice  di   dover
sollevare, d'ufficio, a norma dell'art. 23 terzo comma della legge n.
87/1953, il dubbio di legittimita' costituzionale  dell'art.  238-bis
comma 3 del decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.  115/2002,
nella parte in cui, ai fini della c.d.  «investitura»,  ovvero  della
trasmissione degli atti  dall'ufficio  giudiziario  incaricato  della
riscossione al pubblico ministero a sua volta incaricato,  a  seguito
di controllo formale,  di  trasmettere  gli  atti  al  Magistrato  di
sorveglianza competente per la conversione, parifica,  attraverso  la
richiamata  espressione  «ai  medesimi   fini»,   all'ipotesi   della
comunicazione degli esiti negativi dell'esperimento  infruttuoso  del
primo pignoramento su tutti i beni, l'ipotesi  del  semplice  decorso
del termine di due anni nel caso in cui non risulti  esperita  alcuna
attivita' esecutiva, ritenendo  tale  equiparazione  in  contrasto  e
violazione degli articoli  3,  24,  comma  2  e  27,  comma  3  della
Costituzione; questione che ritiene rilevante ai fini  del  giudizio,
atteso  che  dalla  soluzione  della   stessa   dipende   la   stessa
possibilita'  di  procedere  o  meno  alla  conversione  della   pena
pecuniaria; e non manifestamente infondata in relazione agli articoli
3, 24 comma 2 e 27 comma 3  della  Costituzione,  per  i  motivi  che
appresso si diranno. 
    Per chiarire  meglio  il  punto  nodale  della  questione,  vanno
preliminarmente sintetizzati i passaggi previsti per l'esazione delle
pene pecuniarie. 
    Entro un mese  dal  passaggio  in  giudicato  della  sentenza  di
condanna,  la  cancelleria  del  giudice  dell'esecuzione   (campione
penale) deve notificare al  condannato  l'invito  al  pagamento,  che
contiene l'intimazione a pagare entro il termine di trenta giorni e a
depositare la ricevuta di versamento entro dieci giorni dall'avvenuto
pagamento. Se il condannato non paga entro il  termine  previsto,  la
cancelleria  iscrive  a  ruolo  la  somma   dovuta   dal   condannato
provvedendo contestualmente  alla  consegna  della  relativa  pratica
all'agente della riscossione, che a  sua  volta  deve  notificare  la
cartella  di  pagamento  al  debitore,  contenente  l'intimazione  al
pagamento  entro  un  termine,  scaduto  il  quale   l'agente   della
riscossione  puo'  procedere  alla  riscossione   coattiva   mediante
esecuzione forzata da parte degli  ufficiali  esattoriali,  se  anche
tale procedura esecutiva ha esito negativo, il campione penale  entro
venti giorni dalla  ricezione  della  prima  comunicazione  da  parte
dell'agente della riscossione, relativa  all'infruttuoso  esperimento
del primo pignoramento  su  tutti  i beni,  deve  dare  impulso  alla
successiva fase della procedura di conversione della pena  pecuniaria
in liberta' controllata trasmettendo gli atti al pubblico  ministero,
che a sua volta investe il Magistrato di sorveglianza competente  per
la conversione. Oggi,  in  virtu'  del  comma  3  dell'art.  238-bis,
l'ufficio investe il pubblico ministero  anche  nell'ipotesi  in  cui
siano «decorsi 24 mesi dalla presa  in  carico  del  ruolo  da  parte
dell'agente della riscossione e in mancanza  della  comunicazione  di
cui al comma 2»; il che vuol dire, in termini pratici, anche nel caso
di totale inerzia da parte dell'agente della riscossione per 24 mesi.
E a complicare le cose, deve aggiungersi che si considera  notificata
al debitore la cartella di pagamento anche in caso di irreperibilita'
assoluta (caso in cui  non  vi  e'  alcun  luogo  conosciuto,  ovvero
abitazione, ufficio o azienda del contribuente  nell'ambito  di  quel
comune in base all'ordinaria attivita' che  deve  essere  svolta  dal
messo notificatore, ed in tal caso,  in  base  all'art.  60  comma  1
lettera e) del decreto del Presidente della Repubblica  n.  600/1973,
la notifica si realizza ai sensi dell'art. 143  codice  di  procedura
civile con avviso di deposito in busta  chiusa  e  sigillata  che  si
affigge nell'albo del comune e la notificazione si  ha  per  eseguita
nel ventesimo  giorno  successivo  a  quello  di  affissione),  e  di
irreperibilita' relativa  (quando  sono  conosciuti  la  residenza  e
l'indirizzo del  destinatario,  ma  non  si  e'  potuto  eseguire  la
consegna perche' questi, o  altro  possibile  consegnatario,  non  e'
stato rinvenuto in detto indirizzo,  da  dove  tuttavia  non  risulta
trasferito; rispetto all'irreperibilita' assoluta, il nuovo luogo  di
domicilio e' conoscibile in base all'ordinaria attivita' che il messo
notificatore deve effettuare; in tal caso lo stesso dovra'  procedere
sempre  ai  sensi  dell'art.  140  codice  di  procedura  civile,  ma
aggiungendo  all'avviso  di  deposito  nella  casa   comunale   anche
l'affissione dell'avviso alla porta del destinatario, e l'invio della
raccomandata con avviso di ricevimento). 
    Cosi' sinteticamente ricostruita l'intera disciplina, si  osserva
che le ipotesi di irreperibilita' assoluta sono anche piu'  frequenti
della irreperibilita' relativa che si verifica per temporanea assenza
dovuta ai piu' svariati motivi, e che  nei  casi  di  irreperibilita'
assoluta la notificazione dell'atto ai sensi dell'art. 143 codice  di
procedura civile da'  luogo  ad  una  conoscenza  meramente  virtuale
dell'atto  notificando.  Anche  in  questi  casi,  oggi,  in   virtu'
dell'art.  238-bis  comma  3,  il  pubblico  ministero   investe   il
Magistrato di sorveglianza  dando  cosi'  avvio  al  procedimento  di
conversione   trasmettendo   solamente   il   titolo   esecutivo,   e
l'attestazione  di  notifica  in  condizioni  di  irreperibilita',  o
addirittura  peggio  ancora,   non   trasmettendo   alcun   atto.   A
completamento del quadro, deve infine aggiungersi che il procedimento
di conversione a cura del competente Magistrato di  sorveglianza  non
si svolge con  udienza,  bensi'  con  procedura  de  plano  ai  sensi
dell'art.  678,  comma  3-bis   codice   di   procedura   penale   Il
contraddittorio resta pertanto del tutto eventuale e postumo  solo  a
seguito di opposizione, in quanto e' solo in quest'ultimo caso che ha
luogo un'udienza.  Ed  invero,  l'art.  678  comma  1-bis  codice  di
procedura penale rinvia al 667 comma 4 codice  di  procedura  penale,
che prevede appunto un provvedimento adottato senza formalita' e  poi
comunicato al pubblico ministero  ed  all'interessato,  i  quali  poi
possono proporre opposizione dinanzi allo stesso giudice  instaurando
il contraddittorio ex art. 666 codice di procedura penale. 
    Infine,  a  coronamento  del  discorso,  si   osserva   che   gli
accertamenti  sulla   solvibilita'   disposti   dal   Magistrato   di
sorveglianza nell'ambito della procedura di  conversione  non  sempre
riescono ad essere esaustivi, e sovente sono condizionati dal ridotto
margine di tempo che residua  in  conseguenza  del  fatto  che  molte
richieste di conversione pervengono al magistrato in prossimita'  del
termine di prescrizione della pena pecuniaria (peraltro,  si  osserva
che secondo il piu' recente  orientamento  della  Suprema  corte,  la
notifica della cartella di pagamento  non  sospende  la  prescrizione
della pena pecuniaria: Cassazione 3 Sez. Pen. Sentenza 6 aprile  2017
n. 17228). 
    Orbene, ritiene  questo  giudice  che  l'art.  238-bis,  comma  3
decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002  possa  porsi  in
contrasto con gli art. 3 e 24 comma  2  della  Costituzione,  poiche'
parificando il mero decorso di 24 mesi  dalla  presa  in  carico  del
ruolo da parte dell'agente addetto alla  riscossione  all'esperimento
infruttuoso  della  procedura  esecutiva,  determina  l'instaurazione
automatica della procedura di  conversione  anche  nei  confronti  di
condannati potenzialmente solvibili ma di cui non sono noti i  luoghi
di residenza o domicilio, che restano ignari  della  emissione  della
cartella di pagamento, e che si vedono pertanto sottoposti al rischio
di passare da una limitazione dalla sfera patrimoniale a quella della
liberta'  personale  per  un  fatto  non  a  loro  riconducibile,  ma
all'inerzia dell'agente della riscossione. 
    In tal caso, la violazione del  principio  di  uguaglianza  nasce
proprio dalla trattazione in modo uguale  di  situazioni  in  realta'
molto differenti, dal momento che si genera automaticamente  e  senza
distinzione l'attivazione della procedura di  conversione  tanto  nei
confronti di  soggetti  che,  grazie  all'avvio  della  procedura  di
esecuzione forzata nei loro confronti, sono stati coinvolti in questa
prima fase, che di soggetti spesso del tutto ignari  della  emissione
della  cartella   esattoriale   nei   loro   confronti,   e   dunque,
sostanzialmente privati della possibilita' di difendersi e di opporre
una eventuale solvibilita', eliminando cosi' a monte la  possibilita'
di instaurare un contraddittorio endoprocedimentale col condannato al
fine di verificare se lo stesso sia solvibile o insolvibile,  e  cio'
appare una violazione a prescindere dal controllo e dalla valutazione
finale di insolvibilita' demandata al Magistrato di sorveglianza (che
peraltro, in caso  di  irreperibilita'  del  condannato,  essendo  in
questo caso  impossibile  accertare  l'effettiva  insolvibilita'  del
medesimo, dovrebbe arrestare la procedura e restituire  gli  atti  al
pubblico ministero, che a propria volta,  dovrebbe  restituirli  alla
cancelleria del giudice  dell'esecuzione  per  il  periodico  rinnovo
delle ricerche del  soggetto,  fino,  sostanzialmente,  al  maturarsi
della prescrizione della pena; pertanto,  in  caso  di  instaurazione
automatica della procedura di conversione nei confronti del  soggetto
irreperibile, la  restituzione  degli  atti  al  pubblico  ministero,
persistendo   l'irreperibilita',   verra'   ad   essere   posticipata
inutilmente di  24  mesi).  La  violazione  del  diritto  di  difesa,
garantito  nel  nostro  ordinamento  in  ogni  stato  e   grado   del
procedimento, appare palese nel momento in cui si  da'  avvio  ad  un
procedimento  sfavorevole  per  il  condannato,  in  quanto  tendente
all'adozione  di  un  provvedimento  limitativo  della  sua  liberta'
personale piuttosto che della sfera patrimoniale, senza che lo stesso
abbia in qualche modo avuto, in primis,  la  possibilita'  di  averne
notizia e, in secondo luogo, la possibilita' di  esporre  le  proprie
ragioni. 
    Violazione che appare maggiormente evidente se si tiene conto che
oramai anche in quei settori che meno incidono sulla sfera  personale
dell'individuo, ci si sta orientando verso  l'adozione  di  strumenti
idonei  a  coinvolgere  l'interessato  sin  dalle  prime   fasi   del
procedimento. Il riferimento e' alla prassi amministrativa che si sta
facendo strada in tema di accertamento tributario. In  una  circolare
del 2016, infatti, l'Agenzia delle entrate pone in evidenza quanto il
contraddittorio endoprocedimentale  o  preventivo  renda  la  pretesa
tributaria piu' credibile  e  sostenibile  e,  soprattutto,  come  il
contraddittorio  instaurato  a  monte  della   procedura,   scongiuri
l'effettuazione di recuperi non adeguatamente supportati  e  motivati
perche' non preceduti da un effettivo confronto. Lo stesso  e'  stato
sostenuto anche in una circolare della Guardia di finanza  (circ.  n.
1/2018), in cui si legge che il contraddittorio costituisce un  mezzo
di tutela delle  ragioni  del  contribuente  espressione  del  giusto
procedimento. 
    Pertanto,  se  si  ritiene  piu'  in   linea   con   i   precetti
costituzionali la possibilita' che il contribuente prima di  ricevere
l'atto di accertamento sia avvisato e sentito, lo stesso ragionamento
dovrebbe  presiedere  al  procedimento  di  conversione  della   pena
pecuniaria,  atteso  che,  in   questo   caso,   l'istaurazione   del
procedimento ha ripercussione su  un  bene,  la  liberta'  personale,
meritevole di una piu' ampia tutela rispetto alle ipotesi in  cui  il
procedimento e' diretto ad intaccare il bene patrimonio. 
    Al fine di marcare ulteriormente  la  rilevanza  del  diritto  di
difesa, un utile spunto puo' trarsi anche dai  piu'  recenti  arresti
della Corte di giustizia,  ed  in  particolare,  la  sentenza  Kamino
(sentenza 3 luglio 2014, C-129/13, Kamino, e C-130/13, Datema), nella
quale la Corte, ricorrendo ad una giurisprudenza ben consolidata  sul
tema, ricorda l'obiettivo che si persegue con il diritto  di  difesa:
«la regola secondo cui il  destinatario  di  una  decisione  ad  esso
lesiva dev'essere messo  in  condizione  di  far  valere  le  proprie
condizioni prima che la stessa sia adottata ha lo  scopo  di  mettere
l'autorita' competente in grado di tener conto di tutti gli  elementi
del caso». Si legge,  ancora,  che  «il  diritto  di  essere  sentiti
garantisce a chiunque la possibilita' di  manifestare,  utilmente  ed
efficacemente,  il  suo  punto  di  vista  durante  il   procedimento
amministrativo e prima dell'adozione di qualsiasi decisione che possa
incidere in modo negativo sui suoi interessi». La Corte di  Giustizia
ha,   dunque,   sottolineato   la   centralita'   del   diritto    al
contraddittorio, espressamente contemplato nella  Carta  dei  diritti
fondamentali dell'Unione europea agli articoli 47 e  48,  laddove  si
sancisce il rispetto dei diritti di difesa e il diritto  ad  un  equo
processo, ma anche all'art.  41,  rubricato  «diritto  ad  una  buona
amministrazione»; il comma secondo di quest'ultima norma prevede  che
il diritto ad una buona amministrazione comprende il diritto di  ogni
individuo di essere ascoltato prima  che  nei  suoi  confronti  venga
adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio. 
    Dunque, la possibilita', o meglio, il diritto dell'interessato ad
essere ascoltato e' garantito non solo dalla nostra  Costituzione  ma
anche dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, ed in
entrambe le Carte e' evidente la necessita'  di  garantire,  in  ogni
stato e grado del procedimento, la possibilita'  di  esercitare  tale
diritto, soprattutto nella misura  in  cui,  come  nel  nostro  caso,
l'instaurazione,  da  parte   dell'Autorita'   giudiziaria,   di   un
procedimento potrebbe avere notevoli ripercussioni sulla liberta' del
destinatario del provvedimento finale. Quindi, non  solo  nella  fase
finale, ma anche e soprattutto, nelle fasi in cui la  decisione  deve
ancora formarsi e' necessario coinvolgere il  destinatario,  di  modo
che a tale decisione si possa giungere col contributo  di  tutti  gli
elementi utili e nel massimo rispetto delle garanzie  costituzionali.
Va poi considerato che il termine di due anni rappresenta un lasso di
tempo notevole entro il quale la  solvibilita'  del  condannato  puo'
subire anche notevoli variazioni, per cui il rinvio dell'accertamento
del presupposto dopo tale lasso di tempo rappresenta gia' di per  se'
un pregiudizio per il medesimo, che viene ad  essere  sostanzialmente
privato  della  possibilita'  di  risolvere  il  suo  debito  con  la
giustizia entro un tempo piu' circoscritto e ragionevole. 
    Ritiene inoltre la scrivente che la norma in esame potrebbe porsi
in contrasto con l'art. 27, comma 3 Costituzione, laddove prevede che
la pena deve tendere alla rieducazione del condannato. 
    Dalla lettura della circolare ministeriale  del  4  agosto  2017,
della nota integrativa del 16 gennaio 2018  e  dell'ultima  circolare
sul terna del 31 maggio 2018 emerge, infatti, che la ragione per  cui
e' stato introdotto nel testo unico delle spese di  giustizia  l'art.
238-bis attiene all'esigenza di individuare una norma di raccordo tra
la disciplina della riscossione a mezzo ruolo e la  disciplina  delle
pena pecuniaria, idonea a consentire una tempestiva  attivazione  del
procedimento di conversione  delle  pene  pecuniarie  e  al  fine  di
evitare l'estinzione della stessa. Ne discende che la  ragione  unica
dell'introduzione  della  disposizione   di   cui   si   solleva   la
legittimita' costituzionale dev'essere individuata  nella  necessita'
di salvaguardare il principio di effettivita' della pena;  principio,
anch'esso   basilare   al   fine   di   ingenerare   nei   consociati
quell'orientamento culturale che sta alla base della minaccia di  una
pena, ma che non puo' costituire la ratio unica di  un  provvedimento
maggiormente pregiudizievole per il reo e a discapito  di  quanto  il
giudice della cognizione abbia ritenuto piu' proporzionato al caso di
specie.  In  altri  termini,  questo  magistrato   ritiene   che   il
perseguimento del principio dell'effettivita'  della  pena  non  puo'
porsi  in  contrasto   col   principio   ultimo,   costituzionalmente
garantito,  della  rieducazione  del  condannato,  il   quale   viene
palesernente  disatteso  nella   misura   in   cui,   per   garantire
l'effettivita' della  pena,  non  si  prevede  un'apposita  procedura
maggiormente conforme a perseguire il  fine  dell'art.  27,  comma  3
Costituzione, prevedendo a chiare lettere che l'inerzia per  24  mesi
dell'agente della riscossione costituisce  il  presupposto  affinche'
l'Ufficio giudiziario investa il pubblico ministero per l'attivazione
della procedura di conversione presso il Magistrato  di  sorveglianza
competente. 
    La violazione del principio rieducativo della  pena,  dunque,  si
configura  laddove,  al  fine  di  evitare  l'estinzione  della  pena
pecuniaria,   si   legittima   l'instaurazione   di   una   procedura
pregiudizievole per il reo che potrebbe sfociare nell'adozione di  un
provvedimento avente ad  oggetto  una  pena  non  proporzionata  alla
gravita' del reato e inidonea a far si' che il reo  impari  a  vivere
nel rispetto delle regole di civilta'. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Ritenuta la rilevanza nel presente giudizio e  la  non  manifesta
infondatezza, 
    Solleva la questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
238-bis, comma 3 del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
115/2002 nella parte in cui, ai fini dell'attivazione della procedura
di  conversione  dinanzi  al  magistrato  di  sorveglianza,  parifica
all'ipotesi della  comunicazione  di  esperimento  infruttuoso  della
procedura esecutiva, l'ipotesi di mancato esperimento della procedura
esecutiva nell'inutile decorso di 24 mesi dalla presa in  carico  del
ruolo da parte dell'agente della riscossione. 
    Sospende il procedimento a carico di Palo Maurizio. 
    Dispone la trasmissione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale
affinche',  ove  ne  ravvisi   i   presupposti,   voglia   dichiarare
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 238-bis,  comma  3  decreto
del Presidente della Repubblica n. 115/2002 nella parte indicata. 
    Dispone che la presente  ordinanza  sia  notificata  al  pubblico
ministero di Torre Annunziata che ha inoltrato la richiesta. 
    Dispone infine  che  la  presente  ordinanza  sia  notificata  al
Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai  Presidenti
delle due Camere del Parlamento. 
      Avellino, 7 novembre 2018 
 
                Il Magistrato di sorveglianza: Ventra