N. 66 SENTENZA 23 gennaio - 29 marzo 2019

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Processo penale - Disciplina delle  incompatibilita'  del  giudice  -
  Giudice dell'udienza preliminare  che  abbia  invitato,  con  esito
  positivo,  il  pubblico  ministero  a   procedere   alla   modifica
  dell'imputazione per diversita' del fatto. 
- Codice di procedura penale, art. 34, comma 2. 
-   
(GU n.14 del 3-4-2019 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici :Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,
  Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo'  ZANON,  Franco  MODUGNO,
  Augusto Antonio  BARBERA,  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,
  Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  34,  comma
2, del codice di procedura penale, promosso dal Giudice  dell'udienza
preliminare del  Tribunale  ordinario  di  Napoli,  nel  procedimento
penale a carico di C. F., con ordinanza del 12 maggio 2017,  iscritta
al n. 160 del registro ordinanze 2017  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 46,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2017. 
    Visto l'atto di intervento del Presidente Consiglio dei ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 23 gennaio  2019  il  Giudice
relatore Franco Modugno. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 12 maggio  2017,  il  Giudice  dell'udienza
preliminare del  Tribunale  ordinario  di  Napoli  ha  sollevato,  in
riferimento  all'art.  117,  primo  comma,  della  Costituzione,   in
relazione  all'art.  6,  paragrafo  1,  della  Convenzione   per   la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
(CEDU), firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,  ratificata  e  resa
esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, questione di  legittimita'
costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale,
nella parte in cui non prevede l'incompatibilita'  alla  funzione  di
giudice dell'udienza preliminare del giudice che,  avendo  ravvisato,
nel corso della stessa  udienza  preliminare,  un  fatto  diverso  da
quello contestato, abbia invitato il pubblico ministero a  procedere,
nei confronti dello stesso imputato e per il medesimo fatto  storico,
alla modifica dell'imputazione,  invito  cui  il  pubblico  ministero
abbia aderito. 
    1.1.- Il rimettente riferisce che, nel  processo  principale,  il
pubblico ministero aveva chiesto il rinvio a  giudizio  dell'imputato
per i reati di divulgazione di materiale pornografico minorile  (art.
600-ter, terzo comma,  del  codice  penale)  e  di  tentata  violenza
privata (artt. 56 e 610 cod. pen.). 
    All'udienza preliminare del 3 giugno  2015,  il  giudice  a  quo,
ritenendo che i fatti accertati fossero diversi da  come  contestati,
aveva invitato, con ordinanza, il  pubblico  ministero  a  modificare
l'imputazione. Cio',  sulla  base  dell'indirizzo  giurisprudenziale,
consolidato a seguito dell'intervento delle sezioni unite della Corte
di  cassazione,  secondo  il  quale  il   giudice,   quando   accerta
nell'udienza preliminare che il fatto e' diverso  da  come  descritto
nella richiesta di rinvio a giudizio, deve in prima battuta  invitare
il pubblico ministero a  modificare  l'imputazione  e,  solo  ove  il
rappresentante  della  pubblica  accusa  non  si  adegui  all'invito,
disporre  la  trasmissione  degli  atti  al  pubblico  ministero   in
applicazione analogica dell'art.  521,  comma  2,  cod.  proc.  pen.,
determinando la regressione del procedimento  a  una  fase  anteriore
(Corte di cassazione, sezioni  unite  penali,  sentenza  20  dicembre
2007-1° febbraio 2008, n. 5307). 
    Aderendo  all'invito,  il  pubblico  ministero  aveva  modificato
l'imputazione, contestando all'imputato i delitti  di  produzione  di
materiale pornografico minorile  (art.  600-ter,  primo  comma,  cod.
pen.) e di atti persecutori (art. 612-bis,  primo,  secondo  e  terzo
comma, cod. pen.). 
    Di seguito a cio', il rimettente  aveva  sollevato  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 2, cod.  proc.  pen.,
in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., nella parte in  cui  non
prevede l'incompatibilita'  alla  funzione  di  giudice  dell'udienza
preliminare del giudice che, avendo ravvisato, nel corso della stessa
udienza preliminare, un fatto diverso  da  quello  contestato,  abbia
invitato il pubblico  ministero  a  procedere,  nei  confronti  dello
stesso imputato e  per  il  medesimo  fatto  storico,  alla  modifica
dell'imputazione,  invito  al  quale  il  pubblico  ministero   abbia
aderito. 
    La  questione  era  stata  dichiarata  non  fondata  dalla  Corte
costituzionale con la sentenza n. 18 del 2017. 
    La  Corte  aveva  riconosciuto  che,  sollecitando  il   pubblico
ministero a modificare l'imputazione per  diversita'  del  fatto,  il
giudice  effettua  una  penetrante  delibazione  sul   merito   della
regiudicanda, «non dissimile  da  quella  che,  in  mancanza  di  una
valutazione della diversita' del fatto, conduce alla definizione  con
sentenza del giudizio di merito». Malgrado cio', aveva  rigettato  la
questione,  in  quanto,  nell'ipotesi  in   esame,   la   valutazione
contenutistica sulla medesima regiudicanda non si colloca in una fase
precedente e distinta del procedimento - come invece nel  caso  della
trasmissione degli atti al pubblico ministero ai sensi dell'art. 521,
comma  2,  cod.  proc.  pen.,  che  determina  la   regressione   del
procedimento - ma nella medesima fase. Al riguardo,  la  Corte  aveva
richiamato la  propria  costante  giurisprudenza,  secondo  la  quale
«affinche' possa configurarsi una situazione  di  incompatibilita'  -
nel senso dell'esigenza costituzionale della relativa previsione,  in
funzione di tutela dei valori della  terzieta'  e  dell'imparzialita'
del giudice -, e'  necessario  che  la  valutazione  "contenutistica"
sulla medesima regiudicanda si collochi in una precedente e  distinta
fase del procedimento, rispetto a quella della quale  il  giudice  e'
attualmente  investito.  E'  del  tutto  ragionevole,  infatti,  che,
all'interno di ciascuna delle fasi - intese come sequenze ordinate di
atti  che  possono  implicare  apprezzamenti  incidentali,  anche  di
merito,  su  quanto  in  esse  risulti,  prodromici  alla   decisione
conclusiva  -  resti,  in  ogni  caso,   preservata   l'esigenza   di
continuita' e di globalita', venendosi altrimenti a  determinare  una
assurda  frammentazione  del  procedimento,  che   implicherebbe   la
necessita' di disporre, per la medesima fase del giudizio,  di  tanti
giudici diversi quanti sono gli atti da compiere». 
    1.2.- Cio' premesso, il giudice a quo ritiene di dover  sollevare
nuova questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 2,
cod. proc. pen., in parte qua, per contrasto con  l'art.  117,  primo
comma, Cost., in relazione all'art. 6, paragrafo 1, CEDU. 
    In punto di  ammissibilita',  il  rimettente  osserva  come,  per
costante   giurisprudenza   costituzionale,   la   preclusione   alla
riproposizione della  questione  nel  corso  dello  stesso  grado  di
giudizio operi solo allorche' risultino  identici  tutti  e  tre  gli
elementi che compongono la questione stessa, vale  a  dire  le  norme
censurate,  i   profili   di   incostituzionalita'   dedotti   e   le
argomentazioni  svolte  a   sostegno   dell'asserita   illegittimita'
costituzionale,  a  nulla  rilevando   l'analogia   delle   finalita'
perseguite. La nuova questione sollevata  non  incorrerebbe,  quindi,
nella preclusione, essendo del tutto diversa da quella dichiarata non
fondata con la sentenza n. 18 del 2017, sia  per  parametro  evocato,
sia per corredo argomentativo. 
    Quanto, poi,  alla  non  manifesta  infondatezza,  il  rimettente
assume che la norma denunciata si porrebbe in contrasto con l'art. 6,
paragrafo 1, CEDU, nella parte in cui stabilisce che «[o]gni  persona
ha diritto a che la sua causa sia esaminata  [...]  da  un  tribunale
[...]   imparziale»,   secondo   l'interpretazione   offerta    dalla
consolidata giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo. 
    Nelle numerose pronunce rese, la Corte di Strasburgo ha  chiarito
come, ai fini del rispetto del principio ora indicato,  il  tribunale
debba essere imparziale soggettivamente e  oggettivamente.  Sotto  il
primo profilo (criterio soggettivo), nessun componente del  tribunale
deve avere pregiudizi  personali  verso  l'imputato  o  un  interesse
personale a giudicare il singolo caso: tale imparzialita' si  presume
fino  a  prova  contraria.  Sotto  il   secondo   profilo   (criterio
oggettivo),    occorre    escludere     ogni     legittimo     dubbio
sull'imparzialita' del giudice,  anche  apparente  e  non  dipendente
dalla sua condotta personale. 
    A questo proposito, la Corte di Strasburgo ha  sottolineato  come
anche le apparenze possano avere una certa importanza, in quanto «non
si deve fare solo giustizia, ma si deve  anche  vedere  che  essa  e'
fatta». Cio' perche' in una societa' democratica  i  giudici  debbono
ispirare fiducia nel pubblico, a cominciare dalle parti del processo. 
    Nel caso in esame, l'antinomia fra  la  norma  interna  e  quella
convenzionale  si  coglierebbe  con  riguardo  al  profilo  oggettivo
dell'imparzialita' e il difetto risulterebbe di natura funzionale. 
    La Corte EDU ha chiarito che il solo fatto che il giudice  penale
investito  del  processo  abbia  assunto,  nell'ambito  del  medesimo
procedimento, decisioni sul caso il cui  merito  e'  poi  chiamato  a
giudicare, comprese decisioni riguardanti la custodia cautelare,  non
comporta, di per se',  un  difetto  di  imparzialita'.  Tuttavia,  la
natura e la portata di tali decisioni non sono irrilevanti,  giacche'
nelle ipotesi in cui  le  stesse  richiedano  un  «elevato  grado  di
chiarezza» in ordine al  tema  della  responsabilita'  dell'imputato,
ovvero  vi  sia  coincidenza  tra  il  profilo  contenutistico  della
decisione preprocessuale e il  merito  della  causa,  l'imparzialita'
deve ritenersi minata. 
    In  virtu'  dell'importanza  assunta  dalle  apparenze,  si  deve
ravvisare,  in  altri  termini,  una  violazione  del  principio   di
imparzialita'  ogni  qualvolta   le   attivita'   poste   in   essere
anteriormente dal giudice - non importa se nella stessa  o  in  altra
fase  processuale  -  siano  tali  da  comportare   una   sostanziale
anticipazione del giudizio, sia per l'estensione dei poteri affidati,
sia per l'approfondita conoscenza degli elementi di prova su cui  poi
sara' chiamato a rendere la sua decisione nel  merito  (sono  citate,
tra le altre, le sentenze della Corte EDU 15 gennaio 2015, Dragojević
contro Croazia; 11 luglio 2013, Rudnichenko contro Ucraina; 25 luglio
2000, Tierce e altri contro San Marino; 26 ottobre  1984,  De  Cubber
contro Belgio). 
    Nel caso in esame, la stessa Corte costituzionale ha riconosciuto
che il giudice, nel momento in cui invita  il  pubblico  ministero  a
modificare  l'imputazione  per  diversita'  del  fatto,  «esterna  un
convincimento sul  merito  della  regiudicanda».  Cio'  basterebbe  a
inficiare  la  sua  imparzialita',  come  intesa   dalla   Corte   di
Strasburgo, indipendentemente dal fatto che la delibazione sia  stata
effettuata nella  stessa  fase  processuale,  anziche'  in  una  fase
precedente  e  distinta.  Nell'interpretazione  della  Corte  EDU   -
assolutamente  consolidata  -  si  dovrebbe  tener  conto,   infatti,
esclusivamente  della  natura  e  della   portata   della   decisione
incidentale adottata dal giudice, e non del momento in cui essa viene
resa. La preesistenza di una valutazione sulla medesima regiudicanda,
anche quando sia  compiuta  nella  stessa  fase,  renderebbe  infatti
attuale e concreto il rischio che  la  valutazione  conclusiva  sulla
responsabilita' sia, o possa apparire, condizionata dalla propensione
del giudice a confermare  una  precedente  decisione:  ipotesi  nella
quale la Corte EDU presumerebbe, «iuris et de iure»,  la  sussistenza
del pregiudizio. 
    La violazione della garanzia convenzionale dell'imparzialita'  si
coglierebbe, peraltro, anche sotto un ulteriore  profilo,  sempre  di
natura funzionale. 
    Invitando il pubblico ministero a  modificare  l'imputazione  per
ritenuta diversita' del fatto, il giudice non effettuerebbe  soltanto
una  penetrante  delibazione  sul  merito  della   regiudicanda,   ma
concorrerebbe anche all'esercizio della funzione  tipica  dell'accusa
nel processo penale, vale a dire  alla  contestazione  del  fatto  e,
quindi, alla definizione dello stesso perimetro del giudizio. 
    Il rimettente rileva come l'assunzione, da parte del giudice,  di
compiti propri del pubblico ministero sia stata censurata dalla Corte
europea nella recente sentenza  20  settembre  2016,  Karelin  contro
Russia, in quanto idonea a determinare una confusione  tra  il  ruolo
dell'accusa  e  quello  dell'organo  giudicante,  generando,  quindi,
legittimi dubbi sull'imparzialita' di quest'ultimo. Nel  caso  deciso
dalla citata sentenza, la confusione  derivava  dall'assenza  di  una
qualsiasi  autorita'  che  rappresentasse   l'accusa   in   giudizio.
Tuttavia, dalla lettura della pronuncia emergerebbe come il principio
affermato dalla Corte di Strasburgo assuma una valenza generale. 
    La riscontrata antinomia tra  la  norma  censurata  e  l'art.  6,
paragrafo 1, CEDU non potrebbe essere, d'altro canto, risolta in  via
interpretativa, in quanto la Corte costituzionale, con la sentenza n.
18 del 2017 - vincolante, secondo il rimettente, nel giudizio a quo -
ha affermato la compatibilita' della norma stessa con gli artt. 3, 24
e 111 Cost. 
    Alla situazione considerata non potrebbe, per altro verso,  farsi
fronte - come pure emergerebbe  dalla  sentenza  n.  18  del  2017  -
mediante l'istituto dell'astensione, il quale -  al  pari  di  quello
della ricusazione - mira a porre rimedio a comportamenti del giudice,
anche estranei all'esercizio della funzione, che possono  determinare
un pregiudizio per l'imparzialita' da apprezzare in concreto:  mentre
nel caso in discussione la configurabilita' di un simile  pregiudizio
e' riscontrabile  gia'  sul  piano  astratto,  in  conseguenza  della
decisione precedentemente adottata. 
    Non vi sarebbe, d'altro canto,  alcuna  incompatibilita'  tra  la
garanzia dell'imparzialita' del giudice di cui all'art. 6,  paragrafo
1,  CEDU,  come  interpretato  dalla  Corte  di  Strasburgo,   e   la
Costituzione, in particolare sotto  il  profilo  del  buon  andamento
dell'amministrazione della giustizia (art. 97 Cost.), avuto  riguardo
all'esigenza di evitare «una assurda frammentazione del procedimento,
che implicherebbe la necessita' di disporre, per la medesima fase del
giudizio, di tanti giudici diversi quanti sono gli atti da compiere».
Nella prospettiva convenzionale, infatti, non tutti gli apprezzamenti
incidentali sono idonei a compromettere l'imparzialita' del  giudice,
ma solo quelli analoghi, nei contenuti,  alle  valutazioni  richieste
per la definizione del merito della causa. 
    La questione sarebbe, infine, senz'altro rilevante nel giudizio a
quo, giacche', allo stato,  il  rimettente  dovrebbe  procedere  alla
celebrazione dell'udienza preliminare, pur avendo gia' effettuato una
«penetrante delibazione del merito della regiudicanda». 
    2.- E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo che la questione sia dichiarata infondata. 
    L'Avvocatura dello Stato osserva  che  la  Corte  costituzionale,
nella sentenza n.  18  del  2017,  ha  categoricamente  escluso  che,
nell'ipotesi  in  esame,  si  renda   costituzionalmente   necessaria
l'applicazione   dell'istituto   dell'incompatibilita'.    Allorche',
infatti, la valutazione della medesima regiudicanda sia intervenuta -
come  nella  specie  -   nella   medesima   fase   processuale,   «il
provvedimento non costituisce anticipazione di un giudizio  che  deve
essere instaurato, ma, al contrario, si inserisce  nel  giudizio  del
quale il Giudice e' gia' correttamente investito senza che  ne  possa
essere spogliato: anzi e' la competenza ad adottare il  provvedimento
dal quale si vorrebbe far derivare l'incompatibilita' che  presuppone
la competenza per il giudizio di merito e si giustifica in ragione di
essa». 
    Tali principi non sarebbero superabili  neppure  nell'ottica  del
diverso parametro costituzionale oggi invocato dal giudice a quo.  Il
canone  costituzionale  dell'imparzialita'  e  della  terzieta'   del
giudice, enunciato dall'art. 111, secondo comma, Cost.  risulterebbe,
infatti, sovrapponibile a quello previsto dall'art. 6,  paragrafo  1,
CEDU, sicche' non vi sarebbero ragioni per  pervenire  a  conclusioni
diverse:  ne',  d'altra  parte,  l'ordinanza  di  rimessione  avrebbe
prospettato argomenti significativi sul punto. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Giudice dell'udienza preliminare del  Tribunale  ordinario
di Napoli dubita  della  legittimita'  costituzionale  dell'art.  34,
comma 2, del codice di procedura  penale,  nella  parte  in  cui  non
prevede l'incompatibilita'  alla  funzione  di  giudice  dell'udienza
preliminare del giudice che, avendo ravvisato, nel corso della stessa
udienza preliminare, un fatto diverso  da  quello  contestato,  abbia
invitato il pubblico  ministero  a  procedere,  nei  confronti  dello
stesso imputato e  per  il  medesimo  fatto  storico,  alla  modifica
dell'imputazione, invito cui il pubblico ministero abbia aderito. 
    Ad avviso del giudice a quo, la disposizione censurata violerebbe
l'art. 117, primo comma, della Costituzione, ponendosi  in  contrasto
con l'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  (CEDU),  firmata  a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e  resa  esecutiva  con  legge  4
agosto 1955, n. 848,  nella  parte  in  cui  stabilisce  che  «[o]gni
persona ha diritto a che la sua  causa  sia  esaminata  [...]  da  un
tribunale  [...]   imparziale»,   cosi'   come   interpretato   dalla
consolidata giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo. 
    Il  contrasto  denunciato  si  apprezzerebbe  sotto  un   duplice
profilo. 
    Per un verso, infatti, la penetrante delibazione del merito della
medesima regiudicanda, insita nel provvedimento adottato dal  giudice
dell'udienza preliminare, comporterebbe il rischio che la valutazione
conclusiva sulla responsabilita' dell'imputato sia, o possa apparire,
condizionata dalla propensione del giudice a confermare  una  propria
precedente decisione:  situazione  nella  quale  -  alla  luce  della
consolidata   giurisprudenza   della   Corte    di    Strasburgo    -
l'imparzialita'   del    giudice    deve    ritenersi    compromessa,
indipendentemente dal fatto che la decisione  sia  intervenuta  nella
medesima o in altra fase processuale. 
    In  secondo  luogo,  poi,  invitando  il  pubblico  ministero   a
modificare  l'imputazione  per  ritenuta  diversita'  del  fatto,  il
giudice concorrerebbe all'esercizio della funzione tipica dell'accusa
nel processo penale, di contestazione del fatto.  Si  determinerebbe,
in tal modo, una commistione di ruoli parimente  idonea,  secondo  la
Corte EDU, a minare l'imparzialita' dell'organo giudicante. 
    2.-  La  tematica  che  da'  origine  alla  questione  sottoposta
all'esame di questa Corte e' quella del controllo dell'imputazione da
parte del giudice, con specifico riguardo all'ipotesi di accertamento
della diversita' del fatto. 
    Al riguardo, l'art. 521, comma 2, cod. proc. pen. prevede che  il
giudice, ove a conclusione del dibattimento accerti che il  fatto  e'
diverso da come descritto nel decreto che dispone il giudizio,  debba
disporre la trasmissione degli atti al  pubblico  ministero,  facendo
cosi'  regredire  il   procedimento   nella   fase   delle   indagini
preliminari. 
    Analoga disposizione non figura,  per  contro,  nella  disciplina
dell'udienza preliminare. Facendo leva sul carattere  di  "fluidita'"
dell'imputazione in tale udienza e su esigenze  di  concentrazione  e
ragionevole durata del processo, le  sezioni  unite  della  Corte  di
cassazione  hanno  quindi  ritenuto  che,  in  caso  di   riscontrata
diversita' del fatto, il giudice dell'udienza preliminare  debba,  in
prima  battuta,  invitare  il   pubblico   ministero   a   modificare
l'imputazione. Solo nel caso in cui il rappresentante della  pubblica
accusa non aderisca all'invito, il giudice puo' ricorrere al  rimedio
"regressivo" della trasmissione degli atti al pubblico ministero,  in
applicazione analogica del citato art. 521, comma 2, cod. proc.  pen.
(Corte di cassazione, sezioni  unite  penali,  sentenza  20  dicembre
2007-1° febbraio 2008, n. 5307). 
    La pronuncia delle Sezioni unite attiene, in verita', all'ipotesi
in cui l'imputazione risulti  generica  o  indeterminata.  Alla  luce
degli argomenti che sorreggono la decisione,  essa  risulta  tuttavia
riferibile anche all'ipotesi della diversita'  del  fatto,  come  del
resto ritenuto dalla giurisprudenza di legittimita' successiva. 
    3.-  Secondo  il  rimettente,  il  meccanismo   cosi'   delineato
renderebbe costituzionalmente necessario un ampliamento delle ipotesi
di incompatibilita' del giudice previste dall'art. 34, comma 2,  cod.
proc. pen., avuto  riguardo,  in  particolare,  al  caso  in  cui  il
pubblico   ministero   aderisca   all'invito   (come   nel   giudizio
principale). 
    Con una precedente ordinanza di  rimessione,  il  giudice  a  quo
aveva  prospettato  il  dubbio  di  legittimita'  costituzionale   in
riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost. 
    Nell'occasione,  il  rimettente  aveva   rilevato   che   -   per
affermazione di questa Corte - la trasmissione degli atti al pubblico
ministero ai sensi  dell'art.  521,  comma  2,  cod.  proc.  pen.  e'
provvedimento idoneo a pregiudicare, o a far  apparire  pregiudicata,
l'imparzialita' di giudizio del giudice che lo ha emesso, in  ragione
della  cosiddetta  forza  della  prevenzione  (ossia  della  naturale
tendenza a confermare una decisione  gia'  presa  o  a  mantenere  un
atteggiamento gia'  assunto).  Allorche'  accerta  che  il  fatto  e'
diverso  da  come  descritto  nell'imputazione,  il  giudice  compie,
infatti, una penetrante delibazione del  merito  della  regiudicanda,
non dissimile da quella che, in mancanza  di  una  valutazione  della
diversita' del fatto,  conduce  alla  definizione  con  sentenza  del
giudizio di merito. Di qui l'esigenza  costituzionale  che  il  nuovo
dibattimento  (sentenza  n.  455  del  1994)  o  la   nuova   udienza
preliminare (sentenza n. 400 del 2008, ordinanza n.  269  del  2003),
tenuti all'esito della predetta  trasmissione  per  lo  stesso  fatto
storico e nei confronti del medesimo imputato, siano attribuiti  alla
cognizione di altro giudice. 
    L'invito a modificare l'imputazione per accertata diversita'  del
fatto -  aveva  ulteriormente  osservato  il  rimettente  -  e'  atto
omologo, per contenuto e funzioni, alla trasmissione  degli  atti  ai
sensi dell'art. 521, comma 2,  cod.  proc.  pen.  Anche  tale  invito
dovrebbe essere considerato, pertanto, atto "pregiudicante": donde la
necessita'  che  il  giudice  che  lo   ha   formulato   venga   reso
incompatibile  all'ulteriore  esercizio,  in  quel  processo,   delle
funzioni di giudice dell'udienza preliminare. 
    4.- Con la sentenza n.  18  del  2017,  questa  Corte  ha  negato
validita' al percorso argomentativo  ora  ricordato,  rilevando  come
esso non tenesse conto di una «circostanza decisiva»: vale a dire del
fatto che, per costante giurisprudenza della Corte stessa, «affinche'
possa configurarsi una situazione di  incompatibilita'  -  nel  senso
dell'esigenza costituzionale della relativa previsione,  in  funzione
di tutela dei valori della terzieta' e dell'imparzialita' del giudice
-, e' necessario che la valutazione "contenutistica"  sulla  medesima
regiudicanda si collochi  in  una  precedente  e  distinta  fase  del
procedimento, rispetto a quella della quale il giudice e' attualmente
investito. E' del tutto ragionevole,  infatti,  che,  all'interno  di
ciascuna delle fasi - intese  come  sequenze  ordinate  di  atti  che
possono implicare apprezzamenti  incidentali,  anche  di  merito,  su
quanto in esse risulti, prodromici alla decisione conclusiva - resti,
in ogni caso, preservata l'esigenza di continuita' e  di  globalita',
venendosi altrimenti a determinare  una  assurda  frammentazione  del
procedimento, che implicherebbe la necessita'  di  disporre,  per  la
medesima fase del giudizio, di tanti giudici diversi quanti sono  gli
atti da compiere (ex plurimis, sentenze n. 153 del 2012, n. 177 e  n.
131 del 1996; ordinanze n. 76 del 2007, n. 123 e n. 90 del  2004,  n.
370 del 2000, n. 232 del 1999). In questi casi, "il provvedimento non
costituisce anticipazione di un giudizio che deve essere  instaurato,
ma, al contrario, si inserisce nel giudizio del quale il  giudice  e'
gia' correttamente investito senza che  ne  possa  essere  spogliato:
anzi e' la competenza ad  adottare  il  provvedimento  dal  quale  si
vorrebbe far derivare l'incompatibilita' che presuppone la competenza
per il giudizio di  merito  e  si  giustifica  in  ragione  di  essa"
(sentenza n. 177 del 1996)». 
    Per questo verso, l'invito (accolto) a  modificare  l'imputazione
non poteva essere quindi assimilato alla trasmissione degli  atti  al
pubblico ministero. Quest'ultima determina, infatti,  la  regressione
del procedimento: «la fase in  corso  davanti  al  giudice  che  l'ha
emessa si chiude, e la fase che si aprira' all'esito delle iniziative
del pubblico ministero [...] sara', in ogni modo, anche  se  omologa,
una fase distinta e ulteriore». Al contrario, «l'invito a  modificare
l'imputazione  rappresenta  un  rimedio   "endofasico":   dalla   sua
formulazione non deriva, dunque, alcuna incompatibilita' del  giudice
all'ulteriore trattazione della medesima fase». 
    A supporto della conclusione, questa Corte ha  altresi'  rilevato
che l'invito  alla  mutatio  libelli  viene  «impartito,  in  via  di
principio,  a  conclusione  dell'udienza  preliminare,  dopo  che  il
confronto  dialettico  fra  le  parti  e  l'eventuale  attivita'   di
integrazione probatoria si sono gia'  svolti.  E'  vero  bensi'  che,
sollecitando il pubblico ministero  a  modificare  l'imputazione  per
diversita' del fatto, il giudice esterna un convincimento sul  merito
della regiudicanda: ma lo fa come momento  immediatamente  prodromico
alla decisione che e' - legittimamente  -  chiamato  ad  assumere  in
quello  stesso  contesto;  segnatamente,  per  evitare   di   doversi
pronunciare su una imputazione che reputa non aderente  alla  realta'
storica emersa  dagli  atti  processuali.  Resta  dunque  esclusa  la
configurabilita' di una menomazione dell'imparzialita'  del  giudice,
atta   a   rendere   costituzionalmente   necessaria   l'applicazione
dell'istituto dell'incompatibilita'». 
    5.- Con l'odierna ordinanza  di  rimessione,  il  giudice  a  quo
ripropone, nel medesimo giudizio, la richiesta di pronuncia  additiva
in rapporto a un diverso  parametro,  risultante  dalla  combinazione
dell'art.  117,  primo  comma,  Cost.  con  la  norma  sovranazionale
interposta di cui all'art. 6, paragrafo 1, CEDU, nella parte  in  cui
garantisce il diritto al giudizio di un giudice imparziale. 
    Secondo il rimettente, alla luce della consolidata giurisprudenza
della Corte di Strasburgo, una valutazione contenutistica sul  merito
della regiudicanda, quale  quella  insita  nell'invito  a  modificare
l'imputazione, comprometterebbe l'imparzialita' del giudice sul piano
oggettivo, a prescindere dalla circostanza che essa si collochi nella
stessa o in altra fase processuale. 
    Inoltre,  sollecitando  il  pubblico   ministero   a   modificare
l'imputazione, il giudice verrebbe  a  partecipare  di  una  funzione
tipica dell'accusa, con conseguente commistione di  ruoli,  anch'essa
idonea - secondo la Corte EDU - a minarne l'imparzialita'. 
    6.-  Come  correttamente  ricordato  dal  giudice   a   quo,   la
giurisprudenza di questa Corte  e'  costante  nel  ritenere  che,  in
presenza di una  pronuncia  di  rigetto,  l'effetto  preclusivo  alla
riproposizione  di  questioni  nel  corso  dello   stesso   giudizio,
desumibile  dall'art.  137,  terzo  comma,  Cost.,   opera   soltanto
allorche' risultino identici tutti e tre gli elementi che  compongono
la questione: ossia norme censurate, profili  di  incostituzionalita'
dedotti  e  argomentazioni   svolte   a   sostegno   della   ritenuta
incostituzionalita' (sentenza n. 225 del 1994, ordinanza n.  183  del
2014). Cio', a prescindere dall'«analogia delle finalita' perseguite»
(sentenza n. 113 del 2011). 
    Non sorgono, pertanto, problemi  di  ammissibilita'  dell'odierna
questione sotto il  profilo  considerato.  Pur  nell'identita'  della
norma censurata e del petitum, la questione risulta, infatti, diversa
da quelle precedentemente sollevate dal rimettente in rapporto sia al
parametro costituzionale, sia alle argomentazioni dedotte a  supporto
della denuncia di incostituzionalita'. 
    7.- Nel merito, peraltro, la questione non e' fondata. 
    Al riguardo, va  osservato  che  la  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo ha escluso in piu' occasioni che le  garanzie  in  tema  di
equo processo, di cui all'evocato art. 6, paragrafo  1,  CEDU,  siano
riferibili all'udienza preliminare prevista dalla  legge  processuale
italiana,  fatto  salvo  il  caso  in  cui  vengano   adottati   riti
alternativi che conferiscano al giudice di tale udienza il potere  di
pronunciarsi sul merito delle accuse. 
    A questa conclusione la Corte di Strasburgo e' pervenuta sia  con
specifico  riguardo  alla  garanzia  dell'imparzialita'  del  giudice
(decisione 12 febbraio 2004,  De  Lorenzo  contro  Italia),  sia  con
riferimento  ad  altre  garanzie  contemplate  dalla   citata   norma
convenzionale,  e  segnatamente   a   quella   della   partecipazione
dell'imputato al processo (decisione 6  novembre  2007,  Hany  contro
Italia; sentenza 8 dicembre 2009, Previti contro Italia). 
    In proposito, la  Corte  EDU  ha  ribadito  la  propria  costante
giurisprudenza, secondo la quale, se pure l'art. 6 CEDU  puo'  venire
in rilievo anche prima che sia adito  il  giudice  del  merito,  tale
disposizione  ha,  per  finalita'  principale,  nel  campo  penale  -
conformemente al suo tenore letterale - quella di assicurare un  equo
processo di fronte a un  «tribunale»  competente  a  decidere  «sulla
fondatezza di ogni accusa penale»: e,  cioe'  -  in  particolare  per
quanto attiene alla garanzia  dell'imparzialita'  -  a  stabilire  se
l'imputato sia colpevole o innocente (decisione 12 febbraio 2004,  De
Lorenzo contro Italia). 
    Nei casi sottoposti all'esame della Corte europea, per contro, il
giudice dell'udienza preliminare si era  limitato  a  decidere  -  in
conformita'  alla  funzione  istituzionale  di  tale  udienza  -   se
l'imputato dovesse essere, o  non,  rinviato  a  giudizio  (ossia  se
dovesse  essere  giudicato  da   un   «tribunale»),   senza   affatto
pronunciarsi sulla sua innocenza o colpevolezza. 
    La circostanza che in determinate ipotesi - e segnatamente quando
siano   richiesti   riti   alternativi   (giudizio    abbreviato    o
"patteggiamento")  -  il  giudice  dell'udienza   preliminare   possa
spingersi ad esaminare il merito delle accuse, resta priva di rilievo
- sempre secondo la Corte EDU - laddove la predetta evenienza non  si
sia in concreto verificata. 
    Tale profilo risulta gia'  di  per  se'  dirimente  ai  fini  del
rigetto dell'odierna questione, posto che nel giudizio principale non
consta esservi stata una richiesta di riti alternativi. 
    8.- Per completezza, va  peraltro  rilevato  come  in  ordine  ai
criteri  generali  di  valutazione  dell'imparzialita'  del  giudice,
richiesta dall'art. 6, paragrafo 1, CEDU, sussista una giurisprudenza
ampiamente consolidata della Corte di Strasburgo. 
    Al lume di essa, l'imparzialita' deve essere  apprezzata  secondo
due criteri: soggettivo e oggettivo. 
    Il  criterio  soggettivo  consiste  nello  stabilire   se   dalle
convinzioni personali e dal comportamento di un  determinato  giudice
si possa desumere che egli abbia una idea preconcetta rispetto a  una
particolare controversia sottoposta al suo esame. Da questo punto  di
vista,  l'imparzialita'  del  giudice  e'  presunta  fino   a   prova
contraria. 
    Il criterio oggettivo, che  rileva  in  questo  caso,  impone  di
valutare se, a prescindere dalla condotta del giudice, esistano fatti
verificabili che possano generare dubbi, oggettivamente giustificati,
sulla sua imparzialita'. Sotto questo  aspetto,  anche  le  apparenze
possono avere una certa importanza: in altre  parole,  «non  si  deve
solo fare giustizia, ma si deve anche vedere che e' stata fatta».  E'
in gioco, infatti,  la  fiducia  che  i  tribunali  in  una  societa'
democratica debbono ispirare nel pubblico  e,  nel  processo  penale,
anzitutto nell'accusato (ex plurimis, tra le piu' recenti, Corte EDU,
sentenze 16 ottobre 2018,  Daineliene  contro  Lituania;  31  ottobre
2017, Kamenos contro Cipro; 20 settembre 2016, Karelin contro Russia;
Grande Camera, 23 aprile 2015,  Morice  contro  Francia;  15  gennaio
2015, Dragojević contro Croazia). 
    Nella larga maggioranza dei casi, l'analisi della  Corte  europea
si e', in effetti, focalizzata sul criterio oggettivo. La verifica ha
riguardato, il piu' delle volte, collegamenti gerarchici o  di  altra
natura tra il giudice e altri protagonisti del procedimento, ovvero -
ed e'  l'aspetto  che  qui  interessa  -  l'esercizio  di  differenti
funzioni nell'ambito del processo da parte della stessa persona. 
    A quest'ultimo riguardo,  la  Corte  di  Strasburgo  e'  costante
nell'affermare che «[i]l semplice fatto che il giudice investito  del
processo abbia gia' adottato  delle  decisioni  preprocessuali  sulla
causa, comprese decisioni in materia di custodia cautelare, non  puo'
di per se' giustificare timori sulla sua imparzialita'; solo speciali
circostanze possono giustificare una diversa conclusione [...].  Cio'
che conta e' la portata e il carattere  delle  misure  preprocessuali
disposte dal giudice» (sentenza 15 gennaio  2015,  Dragojević  contro
Croazia; in senso analogo, tra le molte,  sentenze  22  aprile  2004,
Cianetti contro Italia; 6 giugno 2000, Morel contro Francia). 
    Si ha mancanza di imparzialita' oggettiva, in specie,  quando  la
valutazione richiesta al  giudice,  o  le  espressioni  concretamente
utilizzate, implichino una sostanziale anticipazione di giudizio  (in
questo senso, tra le altre, sentenze 22 aprile 2004, Cianetti  contro
Italia; 25 luglio 2002, Perote Pellon contro Spagna), autorizzando  a
pensare che il giudice si sia gia' fatta una opinione  sull'esistenza
del delitto e la colpevolezza dell'imputato (sentenza 22 luglio 2008,
Gomez de Liaño y Botella contro Spagna), essendosi pronunciato  sugli
elementi costitutivi dell'illecito (sentenza 24 giugno 2010, Mancel e
Branquart contro Francia). 
    9.- Cio' posto, nella  giurisprudenza  della  Corte  EDU  non  si
rinviene, per converso, una  teorizzazione  corrispondente  a  quella
operata da questa Corte, riguardo alla  non  configurabilita'  di  un
pregiudizio  all'imparzialita'  del   giudice   in   conseguenza   di
valutazioni effettuate nell'ambito della medesima fase processuale. 
    Di fatto, peraltro, nella generalita' dei casi -  e  anche  nelle
pronunce specificamente citate dal giudice a  quo  -  il  pregiudizio
all'imparzialita' di tipo "funzionale" e' stato collegato dalla Corte
europea  a  decisioni  assunte  in  altra  e  precedente   fase   del
procedimento (tipici i casi dell'adozione di provvedimenti  cautelari
nella fase preprocessuale o la partecipazione a precedenti  gradi  di
giudizio), ovvero  in  procedimenti  distinti  (quali  quelli  contro
soggetti concorrenti nel medesimo reato). 
    Non constano, in ogni caso - ne' il giudice a quo ha  indicato  -
pronunce della  Corte  EDU  che  abbiano  ravvisato  la  lesione  del
principio di imparzialita' in fattispecie analoghe a quella  che  qui
interessa: quella, cioe', di un invito  a  modificare  l'imputazione,
rivolto dal giudice al pubblico ministero non solo nell'ambito  della
medesima fase processuale,  ma  anche  «come  momento  immediatamente
prodromico alla decisione che  e'  -  legittimamente  -  chiamato  ad
assumere in quello stesso contesto» (sentenza n. 18 del 2017) e,  per
giunta, non in vista di una pronuncia  in  ordine  alla  colpevolezza
dell'imputato (essendo la potesta' decisoria del giudice dell'udienza
preliminare ristretta, di norma, all'alternativa tra sentenza di  non
luogo a procedere e rinvio  a  giudizio).  Il  che  non  consente  di
affermare che - alla luce della giurisprudenza  della  Corte  europea
(che per assumere rilievo ai fini dell'accertamento della  violazione
dell'art. 117, primo comma, Cost.  deve  risultare  consolidata,  nei
sensi precisati dalla sentenza n. 49 del 2015 di questa Corte)  -  la
norma convenzionale evocata  accordi  al  diritto  della  persona  da
giudicare, in rapporto alla specifica evenienza di  cui  si  discute,
una  tutela  piu'   ampia   di   quella   prefigurata   dalla   norma
costituzionale interna - gemellare nell'ispirazione - di cui all'art.
111, secondo comma, della Carta fondamentale. 
    10.-   Considerazioni   analoghe,   mutatis   mutandis,   possono
formularsi in ordine al secondo profilo di asserito contrasto con  la
norma convenzionale, legato  alla  commistione  tra  le  funzioni  di
giudice e quelle del pubblico ministero: e  cio'  a  prescindere  dal
rilievo che, a livello interno, il divieto di cumulo  delle  funzioni
di pubblico ministero  e  di  giudice  e'  stabilito,  non  gia'  dal
censurato comma 2  dell'art.  34  cod.  proc.  pen.  (che  regola  la
cosiddetta incompatibilita' orizzontale  derivante  da  provvedimenti
adottati dal giudice in una precedente fase del procedimento), ma dal
successivo comma 3 (che si occupa  dell'incompatibilita'  conseguente
allo svolgimento di compiti e funzioni non giurisdizionali). 
    Al riguardo, si deve  rilevare  che,  secondo  la  giurisprudenza
della Corte europea, la  confusione  tra  le  funzioni  inquirenti  e
giudicanti e' effettivamente  idonea  a  minare  l'imparzialita'  del
giudice (per tutte, tra le ultime, sentenza 31 ottobre 2017,  Kamenos
contro Cipro): e cio' anche quando essa si realizzi all'interno della
stessa fase del giudizio. 
    Di la', peraltro, dal caso  particolare  del  giudice  che  abbia
deciso di perseguire, giudicare e punire fatti di oltraggio  commessi
in suo danno in udienza (ipotesi "aggravata" dal fatto che, in  essa,
il giudice  e'  anche  persona  offesa  dal  reato)  (Grande  Camera,
sentenza 15 dicembre 2005, Kyprianou contro Cipro), il fenomeno  che,
per questo verso, e' venuto segnatamente all'attenzione  della  Corte
europea - e al quale si riferisce l'unica  pronuncia  richiamata  dal
rimettente (sentenza 20 settembre 2016, Karelin contro Russia)  -  e'
quello della totale  assenza  di  un  rappresentante  dell'accusa  in
dibattimento (o in  una  parte  rilevante  delle  relative  udienze):
assenza a fronte della quale i relativi compiti, anzitutto in tema di
formazione  della  prova  a   carico   dell'accusato,   erano   stati
integralmente assunti, in sua vece, dal giudice (oltre alla pronuncia
dianzi citata, sentenze 27 gennaio 2011, Krivoshapkin contro  Russia;
18 maggio  2010,  Ozerov  contro  Russia).  Dunque,  una  ipotesi  di
commistione particolarmente significativa. 
    Il caso oggi in esame e', ictu oculi, sensibilmente  distante  da
un  simile  paradigma.  Nella  specie,  il  giudice   si   limita   a
riscontrare, a conclusione dell'udienza  preliminare,  che  il  fatto
risultante dagli elementi probatori addotti  dalle  parti  e'  -  per
certi aspetti - diverso da come descritto nel capo di imputazione,  e
a invitare conseguentemente il pubblico ministero a esercitare il suo
potere-dovere  di  modifica  dell'imputazione  nella  stessa  udienza
preliminare  (udienza  che  si  caratterizza   per   la   "fluidita'"
dell'imputazione, avendo, tra le  sue  funzioni,  proprio  quella  di
"cristallizzare" il tema d'accusa). Cio', nell'ottica di  evitare  la
regressione del procedimento,  in  ossequio  -  nella  visione  delle
sezioni unite della Corte di cassazione -  a  canoni  di  economia  e
concentrazione processuale. 
    Il pubblico ministero, dal canto suo - serbando  intatto  il  suo
ruolo di dominus del tema  d'accusa  -  resta  pienamente  libero  di
aderire, o non, all'invito. 
    Anche per questo verso, dunque, il rimettente  non  ha  indicato,
ne' emergono, pronunce della Corte di  Strasburgo  che  ravvisino  la
carenza di imparzialita' in fattispecie analoghe a quella  in  esame,
si'  da  poter  concludere  che  -  alla   luce   della   consolidata
giurisprudenza di tale Corte - la  disciplina  nazionale  oggetto  di
censura risulti non in linea con il quadro delle garanzie  apprestato
dalla norma convenzionale. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, sollevata,  in
riferimento  all'art.  117,  primo  comma,  della  Costituzione,   in
relazione  all'art.  6,  paragrafo  1,  della  Convenzione   per   la
salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,
firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e  resa  esecutiva  con
legge 4 agosto 1955, n. 848, dal Giudice dell'udienza preliminare del
Tribunale ordinario di Napoli con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 gennaio 2019. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                      Franco MODUGNO, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 29 marzo 2019. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA