N. 48 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 ottobre 2018
Ordinanza del 29 ottobre 2018 del Tribunale di Firenze nel procedimento penale a carico di G. V. J. D.. Straniero - Espulsione amministrativa - Avvenuta espulsione di straniero sottoposto a procedimento penale - Mancata previsione che il giudice, acquisita la prova dell'avvenuta espulsione, pronunci sentenza di non luogo a procedere nel caso in cui l'espulsione sia avvenuta prima dell'emissione del decreto di citazione diretta a giudizio da parte del pubblico ministero. - Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), art. 13, comma 3-quater.(GU n.15 del 10-4-2019 )
TRIBUNALE DI FIRENZE Prima Sezione Penale Il giudice, dr Franco Attina', nel procedimento sopra indicato a carico di G. V. J. D. - nato in Cile il..., elettivamente dom.to presso lo studio dell'avv. Dario Proietti del Foro di Roma (elezione in verbale Casa circondariale del 16 giugno 2017), difeso dall'avv. di fiducia Dario Proietti del Foro di Roma (nomina nel verbale Casa circondariale del 16 giugno 2017), imputato, in ragione del decreto di citazione diretta a giudizio emesso dal pubblico ministero il 30 gennaio 2018, del seguente reato: del reato p. e p. dall'art. 624-bis, 61 n. 7 C.P., poiche' si impossessava di beni personali, monili preziosi e bigiotteria, sottraendoli a B. D. (n. a Firenze il ) ed a M. N. (n. in Repubblica Ceca il), al fine di trarne profitto per se o per altri, mediante introduzione nella privata dimora della famiglia del B sita in ( ) via . In particolare il G. V., dopo aver scavalcato un muretto di recinzione dell'altezza di mt 1,10, entrava nel giardino pertinente all'abitazione suddetta, disattivava l'allarme gettando nell'acqua la scatoletta comando dopo averla asportata dal muro, s'introduceva nell'appartamento dalla porta finestra, alzando l'avvolgibile e forzando la suddetta porta nella parte inferiore e si impossessava di: due portafogli in pelle da donna marca «Carpisa»; un orologio da donna marca «Cronotec» con quadrante di colore bianco e cinturino in pelle nero; un orologio da donna marca «Casio» di colore verde; un orologio da donna marca «Sector» con cinturino in plastica e di colore nero; un orologio da donna marca «Sector» in acciaio; una collana da donna in oro giallo con ciondolo a forma di foglia in filigrana; una collana da donna in oro giallo con ciondolo con la scritta del nome «Nicol» in lingua egiziana; un ciondolo in oro giallo a forma di coccinella; un orologio da uomo marca «Rebecca» con quadrante blu e cinturino in pelle marrone; un braccialetto da uomo in oro giallo; sei/sette orecchini da uomo in oro giallo e argento; un pc marca «HP» di colore nero. Con l'aggravante di aver cagionato alla parte offesa un danno patrimoniale di rilevante gravita'. Commesso in... ( ) in data 26 maggio 2016. Sentite le parti all'udienza del 29 ottobre 2018. Premesso che: in ragione del citato decreto di' citazione a giudizio, pende dinanzi a questo giudice il processo nei confronti del G. V. per il reato sopra indicato; in particolare in data 16 giugno 2017 era notificato all'imputato personalmente presso la Casa circondariale di Frosinone - ove lo stesso era detenuto per altra causa dal 2 giugno 2017 - l'avviso di conclusione indagini per i fatti in esame; in base al certificato del DAP., in data 18 luglio 2017 il prevenuto era scarcerato (nel diverso procedimento per il quale era detenuto era concessa la sospensione condizionale della pena); in data 30 gennaio 2018 era emesso dal pubblico ministero il decreto di citazione a giudizio, poi notificato all'imputato presso il difensore domiciliatario; alla prima udienza del 4 giugno 2018 - rimasto assente l'imputato - si prendeva atto dell'istanza di rinvio in cui il difensore di fiducia deduceva che il prevenuto era stato espulso dal territorio nazionale e rimpatriato coattivamente in Cile; era quindi disposto il rinvio del processo per le necessarie verifiche; con nota del 22 ottobre 2018 la Questura di Milano trasmetteva gli atti relativi all'intervenuta espulsione del prevenuto: dagli stessi emerge che il prevenuto - cittadino extracomunitario gia' irregolarmente presente sul territorio italiano - e' stato espulso dalla Questura di Milano dal territorio nazionale in forza del provvedimento del 23 ottobre 2017 del Prefetto di Milano (ex articoli 13 e 14 decreto legislativo n. 286/1998), con accompagnamento in data 24 ottobre 2017 alla frontiera aerea e successivo imbarco (gli operanti hanno dato atto di avere visto partire il G. V. a bordo dell'aereo); ritenuto necessario, per poter addivenire ad una corretta decisione circa l'apertura del dibattimento e la successiva istruttoria o piuttosto l'emissione immediata di una sentenza di non doversi procedere, il pronunciamento della Corte costituzionale in ordine alla previsione di cui all'art. 13, comma 3-quater decreto legislativo n. 286 del 25 luglio 1998; Osserva La citata disposizione di cui all'art. 13, comma 3-quater decreto legislativo n. 286/1998 prevede che - nei casi di espulsione amministrativa dello straniero extracomunitario di cui ai commi precedenti - «il giudice, acquisita la prova dell'avvenuta espulsione, se non e' ancora stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio, pronuncia sentenza di non luogo a procedere». Nel caso in esame si e' di fronte per l'appunto ad una espulsione amministrativa dello straniero extracomunitario (irregolare sul territorio), effettivamente eseguita dalla Polizia di Stato mediante accompagnamento fisico alla frontiera aerea e successivo imbarco del prevenuto. La citata norma e' peraltro interpretata dalla giurisprudenza consolidata della Corte di cassazione come applicabile estensivamente/analogicamente anche ai procedimenti relativi a reati per i quali non sia contemplato lo svolgimento dell'udienza preliminare, ma per i quali sia previsto il decreto di citazione diretta a giudizio (cosi', tra le altre, Cassazione Sez. 1, Sentenza n. 38282 del 16 settembre 2004 Rv. 229752, Cassazione Sez. 1, Sentenza n. 35843 del 19 settembre 2007 Rv. 237314 e, piu' recentemente Cassazione Sez. 5, Sentenza n. 30929 del 9 marzo 2016 Rv. 267697, quest'ultima tra l'altro relativa ad un caso proprio di furto in abitazione aggravato). Nello stesso senso si e' espressa anche la Corte costituzionale con l'ordinanza 143 del 2006. Piu' precisamente, in tali procedimenti l'iter procedimentale ricostruito dalla citata giurisprudenza di legittimita' prevede che - a fronte dell'intervenuta espulsione - il pubblico ministero richieda al giudice delle indagini preliminari la sentenza di non luogo a procedere prevista dall'art. 13, comma 3-quater decreto legislativo n. 286/1998 e che l'eventuale rifiuto del giudice per le indagini preliminari integri un atto abnorme. La giurisprudenza consolidata della Corte di cassazione (cosi', tra le altre, Cassazione Sez. 3, Sentenza n. 29913 del 23 giugno 2011 Rv. 250665, Cassazione Sez. 6, Sentenza n. 12830 del 28 marzo 2012 Rv. 252587, Cassazione Sez. 1, Sentenza n. 47454 del 30 ottobre 2013 Rv. 257471, Cassazione Sez. 5, Sentenza n. 30929 del 9 marzo 2016 Rv. 267697), ormai assurta a diritto vivente, afferma tuttavia - in piena aderenza al dato letterale - che «La pronuncia della sentenza di non luogo a procedere a seguito di espulsione dello straniero dal territorio dello Stato non e' consentita una volta che sia stato emesso il decreto che dispone il giudizio o altro provvedimento equipollente». A tale conclusione la Suprema Corte giunge anche nei casi di citazione diretta a giudizio (si vedano le gia' citate sentenze n. 12830 del 28 marzo 2012, n. 47454 del 30 ottobre 2013 e n. 30929 del 9 marzo 2016). Il precetto normativo - cosi' ricostruito - pare di dubbia legittima costituzionalita' nella parte in cui si applica anche alle ipotesi (come quella in esame) in cui, pur a fronte di una gia' intervenuta espulsione mediante accompagnamento alla frontiera da parte degli organi di polizia, il pubblico ministero emetta comunque il decreto di citazione diretta a giudizio. La Corte costituzionale con l'ordinanza 142/2006 ha gia' dichiarato manifestamente infondata la questione di incostituzionalita' della citata norma alla stregua dell'art. 3 Cost. (all'epoca sollevata dal Tribunale di Lucera), affermando che «non puo' considerarsi, di per se', manifestamente irrazionale ed arbitraria la scelta del legislatore di circoscrivere l'operativita' della condizione di procedibilita' in questione - sulla base della discrezionale valutazione che solo in detta ipotesi l'interesse al perseguimento del colpevole diminuisca a tal segno da giustificare la paralisi dell'azione penale (la quale potra' riprendere il suo libero corso unicamente ove lo straniero rientri illegalmente nel territorio dello Stato, entro i termini indicati dal comma 3-quinquies dell'art. 13 del decreto legislativo n. 286 del 1998) - ai soli casi in cui non sia stata ancora instaurata la fase del giudizio». Si dubita pero' ora della conformita' ai precetti costituzionali della citata norma nella misura in cui - in modo perentorio e assoluto - esclude la possibilita' per il giudice del dibattimento di pronunciare sentenza di non doversi procedere, anche nelle ipotesi in cui il pubblico ministero avrebbe dovuto chiedere al giudice per le indagini preliminari la citata pronuncia (perche' era gia' stata eseguita l'espulsione amministrativa) e viceversa abbia comunque emesso il decreto di citazione diretta a giudizio. In particolare la norma appare contraria agli articoli 3, 24, 101 e 111 Cost. Secondo la ricostruzione operata dalla giurisprudenza tanto della Corte di cassazione quanto della Corte costituzionale, la norma in questione delinea «una condizione di procedibilita' atipica, che trova la sua ratio nel diminuito interesse dello Stato alla punizione di soggetti ormai estromessi dal proprio territorio, in un'ottica similare - anche se non identica - a quella sottesa alle previsioni degli articoli 9 e 10 codice penale, non disgiunta, peraltro, da esigenze deflattive del carico penale» (in questi termini le ordinanze n. 142/2006 e 143/2006 della Corte costituzionale). La stessa Corte costituzionale, nella gia' citata ordinanza 143/2006, ha affermato che la declaratoria di improcedibilita' per avvenuta espulsione - lungi dal comportare una compressione del diritto di difesa (paventata dall'allora giudice remittente) - «e' configurata dal legislatore come un «beneficio» per l'imputato, stante la rinuncia all'esercizio della potesta' punitiva dello Stato (sub condicione del mancato illegale rientro) che ne consegue: e tale natura essa indubbiamente ha nella generalita' dei casi, avuto riguardo al concreto apprezzamento dell'imputato (oltre che alle maggiori difficolta' che egli puo' incontrare nell'esercizio delle facolta' difensive, una volta allontanato dal territorio dello Stato)»; in tale prospettiva la Corte dichiarava «del tutto priva di fondamento la pretesa del rimettente di veder rimosso, sic et simpliciter ed in termini generali, il "beneficio" dell'improcedibilita', in nome di un ipotetico ed astratto interesse dell'imputato ad affrontare il processo al fine di conseguire un proscioglimento nel merito: interesse che l'imputato potrebbe bene non avere, e che comunque il giudice a quo non deduce essere stato evocato nel caso concreto». Se dunque l'istituto in questione ha natura di condizione atipica di procedibilita' che comporta un indubbio beneficio per l'interessato, non risulta conforme ai principi costituzionali farne dipendere l'operativita' da un atto unilaterale ed insindacabile del pubblico ministero, anche ove lo stesso risulti erroneo perche' successivo all'intervenuta espulsione dello straniero. In particolare, si viene cosi' a realizzare - in violazione dell'art. 3 della Costituzione - un'irrazionale disparita' di posizione e di trattamento, tanto nei rapporti fra pubblico ministero ed imputato, quanto nei rapporti fra imputato ed imputato. Sotto il primo profilo, risulta irragionevole - tanto piu' in un sistema accusatorio, quale quello recepito dall'attuale codice di procedura penale, che vorrebbe una partecipazione dell'accusa e della difesa su basi di parita' in ogni stato e grado del procedimento - che i rapporti fra pubblico ministero ed imputato si sbilancino al punto che il primo, con un semplice atto unilaterale e sottratto ad ogni forma di vaglio giurisdizionale, si trovi in grado di privare il secondo di un rilevante vantaggio sostanziale. Sotto il secondo profilo, la preclusione della pronuncia d'improcedibilita' nelle ipotesi in esame pare contrastare con l'art. 3 Cost., venendo l'imputato irragionevolmente discriminato in dipendenza della maggiore o minore esattezza delle valutazioni del pubblico ministero: non si giustifica infatti il diverso trattamento tra il soggetto che, in ragione del corretto operato del pubblico ministero, benefici della non procedibilita' ed il soggetto che nelle medesime condizioni si veda viceversa tratto irrimediabilmente a giudizio per effetto di un'erronea valutazione del suo contraddittore processuale. Vengono in proposito in rilievo i principi affermati dalla Corte costituzionale nelle pronunce relative all'accesso dell'imputato ai riti alternativi nei casi di contestazioni dibattimentali «tardive» (sentenze n. 265 del 1994, n. 333 del 2009, n. 184 del 2014), ma anche non tardive (sentenza n. 237 del 2012), nonche' in materia di sindacabilita' del dissenso del pubblico ministero in ordine all'accesso al rito abbreviato (sentenze n. 66 del 1990 e n. 81 del 1991). Del resto, l'ordinamento processuale prevede numerose ipotesi in cui, ove la valutazione iniziale del pubblico ministero si riveli erronea (e a prescindere dai motivi per cui fosse erronea, che si tratti dell'incompletezza degli elementi raccolti o piuttosto dell'errata valutazione degli stessi), e' comunque garantita all'imputato attraverso il successivo vaglio giurisdizionale la possibilita' di beneficiare delle riduzioni di pena legate ai riti alternativi (art. 448 codice di procedura penale per il patteggiamento; art. 141, comma 4-bis disp.att. c.p.p., anche alla luce della sentenza Cassazione Sez. U, n. 7645 del 28 febbraio 2006 Rv. 233029, per l'oblazione) o anche dell'eventuale improcedibilita' dell'azione penale. In particolare, in quest'ultimo ambito (che e' quello piu' simile a quello ora in esame), sarebbe inconcepibile che l'esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero potesse di per se' supplire ad un difetto di querela (nei casi di procedibilita' a querela) o all'assenza di richiesta del Ministro della giustizia o di presenza nel territorio dello Stato (nei casi di cui agli articoli 9 e 10 del codice penale, la cui disciplina risponde - come rilevato nelle citate pronunce - ad una ratio non dissimile a quella sottesa alla condizione di procedibilita' ora in esame): e' viceversa pacifico che, in caso di emissione del decreto di citazione pur a fronte della mancanza di una condizione di procedibilita', il giudice dovrebbe rilevare - d'ufficio e immediatamente ex art. 129 del codice di procedura penale - il difetto. Un ulteriore profilo d'irragionevole disparita' di trattamento si puo' ravvisare tra i procedimenti in cui e' prevista l'udienza preliminare e i procedimenti a citazione diretta a giudizio: nei primi l'imputato beneficia nel corso dell'udienza preliminare di un vaglio giurisdizionale con riguardo alla sussistenza della condizione di procedibilita' e puo' tramite il proprio difensore difendersi sul punto (cfr. infra per il profilo della violazione dell'art. 24 Cost.); nei secondi viceversa l'interessato e' «nelle mani» del pubblico ministero (suo contraddittore processuale), il cui eventuale errore non e' contestabile dal difensore ne' rilevabile dal giudice, con effetti irreversibili. Trattasi di una disparita' di trattamento tanto piu' irragionevole nella misura in cui consente difesa e vaglio giurisdizionale con riguardo agli episodi criminosi di maggiore gravita' (ove pertanto l'interesse dello Stato alla punizione dei colpevoli dovrebbe essere maggiore), mentre li preclude in quelli meno gravi. La norma in questione pare violare anche gli articoli 24 e 111 della Costituzione, nella misura in cui preclude all'imputato di eccepire l'insussistenza della condizione di procedibilita'. Nei procedimenti a citazione diretta a giudizio, infatti, la prima sede in cui la difesa puo' compiutamente formulare le proprie eccezioni e' la prima udienza dibattimentale; ma tale sede e' gia' successiva all'emissione del decreto di citazione a giudizio da parte del pubblico ministero; ai sensi della norma ora parzialmente censurata, che preclude la pronuncia della sentenza di non luogo a procedere una volta emesso il decreto di citazione a giudizio, la difesa non puo' dunque mai far rilevare l'intervenuta espulsione e quindi l'insussistenza della condizione di procedibilita'. Si viene cosi' a determinare una violazione del principio del contraddittorio e della parita' di condizioni tra le parti processuali. Ne' pare potersi sostenere che - dipendendo la citata condizione di procedibilita' da un diminuito interesse dello Stato alla punizione dei soggetti ormai espulsi - la relativa insussistenza non potrebbe essere eccepita dalla difesa. Una volta infatti che la citata ratio si e' tradotta nell'introduzione nell'ordinamento di una condizione di procedibilita' - la cui assenza comporta per l'interessato un indubbio vantaggio sostanziale - si deve infatti necessariamente consentire al medesimo di difendersi sul punto. L'assenza di una condizione di procedibilita' nel nostro ordinamento e' eccepibile in ogni stato e grado del processo (anche in sede di revisione: Cassazione Sez. 4, n. 17170 del 31 gennaio 2017 Rv. 269826). In particolare e' pacifico che l'assenza della condizione di procedibilita' nei casi di cui agli articoli 9 e 10 del codice penale - la cui disciplina risponde ad una ratio simile a quella dell'istituto ora in esame - e' eccepibile anche in sede di ricorso per cassazione (per concreti casi di annullamento per difetto della citata condizione di procedibilita' si vedano ad esempio Cassazione Sez. 2, Sentenza n. 38230 del 6 ottobre 2010 Rv. 248538 e Cassazione Sez. 2, Sentenza n. 20198 del 14 aprile 2003 Rv. 225725). In simili casi la giurisprudenza della Corte di cassazione ha altresi' riconosciuto il diritto alla riparazione per l'ingiusta detenzione subita in custodia cautelare per un reato commesso all'estero, in mancanza della richiesta del Ministro della giustizia (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 42022 del 6 novembre 2006 Rv. 235677). Per analoghe ragioni non pare potersi sostenere che «la finalita' deflattiva verrebbe palesemente frustrata se detta causa di non procedibilita' fosse applicabile anche all'esito del dibattimento o addirittura nei gradi successivi del giudizio (ove ci si accorgesse dell'erronea omissione)» (cosi' Cassazione Sez. 3, Sentenza n. 29913 del 23 giugno 2011 Rv. 250665). Come si e' detto, in casi analoghi l'insussistenza della condizione di procedibilita' e' rilevabile financo in sede di legittimita' e di revisione. Del resto, la rilevazione dell'intervenuta espulsione (e quindi dell'insussistenza della condizione di procedibilita') prima dell'apertura del dibattimento risulta comunque idonea a produrre un effetto deflattivo, giacche' consente al giudice del dibattimento di evitare l'istruttoria dibattimentale e l'accertamento o meno del fatto di reato in sentenza; rispetto a tale situazione, la corretta rilevazione da parte del pubblico ministero dell'espulsione (nel caso di specie intervenuta dopo l'avviso di conclusione indagini), con conseguente richiesta al giudice per le indagini preliminari di sentenza di non luogo a procedere, avrebbe in piu' evitato unicamente l'emissione del decreto di citazione e le relative notifiche. In situazioni per certi versi analoghe la Corte costituzionale ha comunque ritenuto sufficiente il simile effetto di economia processuale cosi' realizzato (sentenze n. 333 del 2009 e n. 184 del 2014). In ogni caso, quand'anche si dovesse ritenere che ormai una deflazione piena non puo' piu' realizzarsi, come rilevato dalla stessa Corte costituzionale (sentenza n. 237 del 2012) la logica deflattiva deve «comunque cedere di fronte all'esigenza di ripristinare la pienezza delle garanzie difensive e l'osservanza del principio di eguaglianza». In ragione dei motivi gia' esposti la norma censurata pare violare altresi' l'art. 101, comma 2 Cost. nella misura in cui comporta che l'atto di una parte processuale (l'emissione del decreto di citazione diretta a giudizio da parte del pubblico ministero), per quanto realizzato in violazione della normativa, sia vincolante per il giudice. Rilevanza La questione di legittimita' costituzionale come sopra delineata risulta rilevante nel presente procedimento, posto che il prevenuto - cittadino extracomunitario irregolare sul territorio italiano - e' stato comprovatamente espulso in via amministrativa ai sensi dell'art. 13, comma 3 decreto legislativo n. 286/1998, con accompagnamento fisico alla frontiera aerea e successivo imbarco, in data antecedente all'emissione del decreto di citazione a giudizio da parte del pubblico ministero. Qualora la questione sollevata fosse accolta, il giudice dovrebbe infatti pronunciare immediatamente sentenza di non doversi procedere; diversamente, sarebbe viceversa necessario procedere nelle vie ordinarie del dibattimento. Impossibilita' di un'interpretazione conforme Come gia' sopra esposto, non pare possibile adottare un'interpretazione della norma censurata conforme ai principi costituzionali che si assumono violati: vi osta innanzi tutto il tenore letterale univoco della disposizione di cui all'art. 13, comma 3-quater decreto legislativo n. 286/1998, secondo cui il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere «se non e' ancora stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio»; in secondo luogo e' ostativa la consolidata giurisprudenza di legittimita' gia' illustrata, ormai assurta a «diritto vivente», dalla quale non appare possibile dissociarsi facendo uso degli ordinari strumenti ermeneutici. Da ultimo preme rilevare che con il richiesto intervento additivo della Corte costituzionale non verrebbe a determinarsi alcuna preclusione ad un nuovo giudizio ai sensi dell'art. 345 del codice di procedura penale in caso di reingresso illegale dello straniero nel territorio dello Stato. E' questo uno degli argomenti valorizzati dalla Corte di cassazione per ritenere preclusa per il giudice dibattimentale la pronuncia di non luogo a procedere prevista dall'art. 13, comma 3-quater decreto legislativo n. 286/1998 (cosi'. Cassazione Sez. 6, Sentenza n. 12830 del 28 marzo 2012 Rv. 252587: «mentre la sentenza di non luogo a procedere prevista nella disposizione in esame e' assistita dal divieto di modifica alle condizioni date, superabile con l'intervento della condizione di procedibilita' mancante, individuabile nella specie dal reingresso illegittimo dell'espulso nel nostro territorio, quella emessa a seguito del giudizio, ove divenuta definitiva, e' assistita dall'irrevocabilita' prevista dall'art. 648 del codice di procedura penale che esclude la possibilita' di un nuovo giudizio»); tale argomento non ricorre peraltro nelle altre sentenze della Suprema Corte gia' citate. L'art. 649 del codice di procedura penale, nel vietare un secondo giudizio, fa infatti salvo il disposto dell'art. 345 del codice di procedura penale («L'imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non puo' essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze, salvo quanto disposto dagli articoli 69 comma 2 e 345»); l'art. 345 del codice di procedura penale a sua volta prevede che la sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, anche se non piu' soggetta a impugnazione, non impedisce il nuovo esercizio dell'azione penale per il medesimo fatto qualora sopravvenga la condizione di procedibilita' originariamente mancante. Da un lato e' pacificamente riconosciuta la natura di condizione di procedibilita' dell'istituto in esame e dall'altro l'art. 345 del codice di procedura penale e' espressamente richiamato dall'art. 13, comma 3-quinquies decreto legislativo n. 286/1998. La stessa Corte di cassazione ha del resto riconosciuto che «Il divieto del "ne bis in idem" non e' applicabile alla sentenza con la quale sia dichiarato il difetto di una condizione di procedibilita', stante il disposto dell'art. 345 del codice di procedura penale - per il quale la sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere con la quale sia dichiarata la mancanza della querela o di altra condizione di procedibilita' non impedisce l'esercizio dell'azione penale per il medesimo fatto contro la medesima persona se in seguito sia proposta querela - richiamato dall'art. 649 del codice di procedura penale » (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 4636 del 23 ottobre 2013 Rv. 258714, in un caso in cui la precedente sentenza di proscioglimento era stata adottata dal giudice dibattimentale, giudice di pace).
P.Q.M. Visti gli articoli 134 Costituzione, 23 ss. legge n. 87/1953. Ritenuta la questione rilevante e non manifestamente infondata. Solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 3-quater decreto legislativo n. 286 del 25 luglio 1998, per violazione degli articoli 3, 24, 101 e 111 Costituzione, nella parte in cui non prevede che il giudice del dibattimento, acquisita la prova dell'avvenuta espulsione, pronunci sentenza di non doversi procedere nel caso in cui l'espulsione sia avvenuta prima dell'emissione del decreto di citazione diretta a giudizio da parte del pubblico ministero. Sospende il giudizio in corso, ed i relativi termini di prescrizione, fino alla definizione del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale. Dispone l'immediata trasmissione degli atti del procedimento alla Corte costituzionale. Manda alla cancelleria per la notificazione della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' per la comunicazione ai presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica e per la successiva trasmissione del fascicolo processuale alla Corte costituzionale. Firenze, 29 ottobre 2018 Il Giudice: Attina'