N. 48 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 ottobre 2018

Ordinanza  del  29  ottobre  2018  del  Tribunale  di   Firenze   nel
procedimento penale a carico di G. V. J. D.. 
 
Straniero  -  Espulsione  amministrativa  -  Avvenuta  espulsione  di
  straniero sottoposto a procedimento penale - Mancata previsione che
  il giudice, acquisita la prova dell'avvenuta  espulsione,  pronunci
  sentenza di non luogo a procedere nel caso in cui l'espulsione  sia
  avvenuta prima dell'emissione del decreto di  citazione  diretta  a
  giudizio da parte del pubblico ministero. 
- Decreto legislativo 25 luglio  1998,  n.  286  (Testo  unico  delle
  disposizioni concernenti la disciplina  dell'immigrazione  e  norme
  sulla condizione dello straniero), art. 13, comma 3-quater. 
(GU n.15 del 10-4-2019 )
 
                        TRIBUNALE DI FIRENZE 
                        Prima Sezione Penale 
 
    Il giudice, dr Franco Attina', nel procedimento sopra indicato  a
carico di G. V. J. D. - nato  in  Cile  il...,  elettivamente  dom.to
presso lo studio dell'avv. Dario Proietti del Foro di Roma  (elezione
in verbale Casa circondariale del 16 giugno 2017),  difeso  dall'avv.
di fiducia Dario Proietti del Foro di Roma (nomina nel  verbale  Casa
circondariale del 16 giugno 2017), imputato, in ragione  del  decreto
di citazione diretta a giudizio emesso dal pubblico ministero  il  30
gennaio 2018, del  seguente  reato:  del  reato  p.  e  p.  dall'art.
624-bis, 61 n. 7 C.P., poiche' si  impossessava  di  beni  personali,
monili preziosi e bigiotteria, sottraendoli a B. D. (n. a Firenze  il
) ed a M. N. (n. in Repubblica Ceca il), al fine di  trarne  profitto
per se o per altri, mediante introduzione nella privata dimora  della
famiglia del B sita in ( ) via . In particolare il G. V.,  dopo  aver
scavalcato un muretto di recinzione dell'altezza di mt 1,10,  entrava
nel  giardino   pertinente   all'abitazione   suddetta,   disattivava
l'allarme gettando  nell'acqua  la  scatoletta  comando  dopo  averla
asportata  dal  muro,  s'introduceva  nell'appartamento  dalla  porta
finestra, alzando l'avvolgibile e forzando la  suddetta  porta  nella
parte inferiore e si impossessava di: 
        due portafogli in pelle da donna marca «Carpisa»; 
        un orologio da donna marca «Cronotec» con quadrante di colore
bianco e cinturino in pelle nero; 
        un orologio da donna marca «Casio» di colore verde; 
        un orologio da donna marca «Sector» con cinturino in plastica
e di colore nero; 
        un orologio da donna marca «Sector» in acciaio; 
        una collana da donna in oro giallo con ciondolo  a  forma  di
foglia in filigrana; 
        una collana da donna  in  oro  giallo  con  ciondolo  con  la
scritta del nome «Nicol» in lingua egiziana; 
        un ciondolo in oro giallo a forma di coccinella; 
        un orologio da uomo  marca  «Rebecca»  con  quadrante  blu  e
cinturino in pelle marrone; 
        un braccialetto da uomo in oro giallo; 
        sei/sette orecchini da uomo in oro giallo e argento; 
        un pc marca «HP» di colore nero. 
    Con l'aggravante di aver cagionato alla  parte  offesa  un  danno
patrimoniale di rilevante gravita'. 
    Commesso in... ( ) in data 26 maggio 2016. 
    Sentite le parti all'udienza del 29 ottobre 2018. 
    Premesso che: 
        in ragione del citato decreto di' citazione a giudizio, pende
dinanzi a questo giudice il processo nei confronti del G. V.  per  il
reato sopra indicato; 
        in  particolare  in  data  16  giugno  2017  era   notificato
all'imputato personalmente presso la Casa circondariale di  Frosinone
- ove lo stesso era detenuto per altra causa  dal  2  giugno  2017  -
l'avviso di conclusione indagini per i fatti in esame; 
        in base al certificato del DAP., in data 18  luglio  2017  il
prevenuto era scarcerato (nel diverso procedimento per il  quale  era
detenuto era concessa la sospensione condizionale della pena); 
        in data 30 gennaio 2018 era emesso dal pubblico ministero  il
decreto di citazione a giudizio, poi notificato  all'imputato  presso
il difensore domiciliatario; 
        alla prima udienza  del  4  giugno  2018  -  rimasto  assente
l'imputato - si prendeva  atto  dell'istanza  di  rinvio  in  cui  il
difensore di fiducia deduceva che il prevenuto era stato espulso  dal
territorio nazionale e rimpatriato coattivamente in Cile; era  quindi
disposto il rinvio del processo per le necessarie verifiche; 
        con  nota  del  22  ottobre  2018  la  Questura   di   Milano
trasmetteva  gli  atti  relativi   all'intervenuta   espulsione   del
prevenuto:  dagli  stessi  emerge  che  il  prevenuto   -   cittadino
extracomunitario gia' irregolarmente presente sul territorio italiano
- e' stato espulso dalla Questura di Milano dal territorio  nazionale
in forza del provvedimento del 23 ottobre 2017 del Prefetto di Milano
(ex  articoli  13  e  14  decreto  legislativo  n.   286/1998),   con
accompagnamento in data  24  ottobre  2017  alla  frontiera  aerea  e
successivo imbarco (gli operanti  hanno  dato  atto  di  avere  visto
partire il G. V. a bordo dell'aereo); 
        ritenuto necessario, per poter  addivenire  ad  una  corretta
decisione  circa  l'apertura  del  dibattimento   e   la   successiva
istruttoria o piuttosto l'emissione immediata di una sentenza di  non
doversi procedere, il pronunciamento della  Corte  costituzionale  in
ordine alla previsione di cui all'art.  13,  comma  3-quater  decreto
legislativo n. 286 del 25 luglio 1998; 
 
                               Osserva 
 
    La citata disposizione di cui all'art. 13, comma 3-quater decreto
legislativo  n.  286/1998  prevede  che  -  nei  casi  di  espulsione
amministrativa dello  straniero  extracomunitario  di  cui  ai  commi
precedenti  -  «il  giudice,   acquisita   la   prova   dell'avvenuta
espulsione, se non  e'  ancora  stato  emesso  il  provvedimento  che
dispone il giudizio, pronuncia sentenza di non luogo a procedere». 
    Nel caso in esame si e' di fronte per l'appunto ad una espulsione
amministrativa  dello  straniero  extracomunitario  (irregolare   sul
territorio), effettivamente eseguita dalla Polizia di Stato  mediante
accompagnamento fisico alla frontiera aerea e successivo imbarco  del
prevenuto. 
    La citata norma e'  peraltro  interpretata  dalla  giurisprudenza
consolidata   della   Corte   di    cassazione    come    applicabile
estensivamente/analogicamente anche ai procedimenti relativi a  reati
per  i  quali  non  sia  contemplato  lo   svolgimento   dell'udienza
preliminare, ma per i quali sia  previsto  il  decreto  di  citazione
diretta a giudizio (cosi', tra le altre, Cassazione Sez. 1,  Sentenza
n. 38282 del  16  settembre  2004  Rv.  229752,  Cassazione  Sez.  1,
Sentenza  n.  35843  del  19  settembre  2007  Rv.  237314  e,   piu'
recentemente Cassazione Sez. 5, Sentenza n. 30929 del  9  marzo  2016
Rv. 267697, quest'ultima tra l'altro relativa ad un caso  proprio  di
furto in abitazione aggravato). Nello stesso  senso  si  e'  espressa
anche la Corte costituzionale con l'ordinanza 143 del 2006. 
    Piu' precisamente, in  tali  procedimenti  l'iter  procedimentale
ricostruito dalla citata giurisprudenza di legittimita' prevede che -
a fronte dell'intervenuta espulsione - il pubblico ministero richieda
al giudice delle indagini preliminari la  sentenza  di  non  luogo  a
procedere prevista dall'art. 13, comma 3-quater  decreto  legislativo
n. 286/1998 e che l'eventuale rifiuto del  giudice  per  le  indagini
preliminari integri un atto abnorme. 
    La giurisprudenza consolidata della Corte di  cassazione  (cosi',
tra le altre, Cassazione Sez. 3, Sentenza n. 29913 del 23 giugno 2011
Rv. 250665, Cassazione Sez. 6, Sentenza n. 12830 del  28  marzo  2012
Rv. 252587, Cassazione Sez. 1, Sentenza n. 47454 del 30 ottobre  2013
Rv. 257471, Cassazione Sez. 5, Sentenza n. 30929 del 9 marzo 2016 Rv.
267697), ormai assurta a diritto vivente, afferma tuttavia - in piena
aderenza al dato letterale - che «La pronuncia della sentenza di  non
luogo a  procedere  a  seguito  di  espulsione  dello  straniero  dal
territorio dello Stato non e' consentita  una  volta  che  sia  stato
emesso il decreto che  dispone  il  giudizio  o  altro  provvedimento
equipollente». A tale conclusione la Suprema Corte giunge  anche  nei
casi di citazione diretta  a  giudizio  (si  vedano  le  gia'  citate
sentenze n. 12830 del 28 marzo 2012, n. 47454 del 30 ottobre  2013  e
n. 30929 del 9 marzo 2016). 
    Il precetto normativo  -  cosi'  ricostruito  -  pare  di  dubbia
legittima costituzionalita' nella parte in cui si applica anche  alle
ipotesi (come quella in esame) in cui,  pur  a  fronte  di  una  gia'
intervenuta espulsione mediante  accompagnamento  alla  frontiera  da
parte degli organi di polizia, il pubblico ministero emetta  comunque
il decreto di citazione diretta a giudizio. 
    La  Corte  costituzionale  con  l'ordinanza  142/2006   ha   gia'
dichiarato    manifestamente    infondata     la     questione     di
incostituzionalita' della citata norma alla stregua dell'art. 3 Cost.
(all'epoca sollevata dal Tribunale di Lucera),  affermando  che  «non
puo'  considerarsi,  di  per  se',  manifestamente   irrazionale   ed
arbitraria la scelta del legislatore di circoscrivere  l'operativita'
della condizione di procedibilita' in questione -  sulla  base  della
discrezionale valutazione che solo in detta  ipotesi  l'interesse  al
perseguimento del colpevole diminuisca a tal segno da giustificare la
paralisi dell'azione penale (la quale potra' riprendere il suo libero
corso unicamente ove lo straniero rientri illegalmente nel territorio
dello Stato, entro i termini indicati dal comma 3-quinquies dell'art.
13 del decreto legislativo n. 286 del 1998) - ai soli casi in cui non
sia stata ancora instaurata la fase del giudizio». 
    Si dubita pero' ora della conformita' ai precetti  costituzionali
della citata norma nella  misura  in  cui  -  in  modo  perentorio  e
assoluto - esclude la possibilita' per il giudice del dibattimento di
pronunciare sentenza di non doversi procedere, anche nelle ipotesi in
cui il pubblico ministero avrebbe dovuto chiedere al giudice  per  le
indagini preliminari la citata  pronuncia  (perche'  era  gia'  stata
eseguita l'espulsione  amministrativa)  e  viceversa  abbia  comunque
emesso il decreto di citazione diretta a giudizio. 
    In particolare la norma appare contraria agli articoli 3, 24, 101
e 111 Cost. 
    Secondo la ricostruzione operata dalla giurisprudenza tanto della
Corte di cassazione quanto della Corte costituzionale,  la  norma  in
questione delinea «una  condizione  di  procedibilita'  atipica,  che
trova la sua ratio nel diminuito interesse dello Stato alla punizione
di soggetti ormai estromessi dal  proprio  territorio,  in  un'ottica
similare - anche se non identica - a quella sottesa  alle  previsioni
degli articoli 9 e 10 codice  penale,  non  disgiunta,  peraltro,  da
esigenze  deflattive  del  carico  penale»  (in  questi  termini   le
ordinanze n. 142/2006 e 143/2006 della Corte costituzionale). 
    La stessa  Corte  costituzionale,  nella  gia'  citata  ordinanza
143/2006, ha affermato che la declaratoria  di  improcedibilita'  per
avvenuta espulsione -  lungi  dal  comportare  una  compressione  del
diritto di difesa (paventata dall'allora giudice  remittente)  -  «e'
configurata dal  legislatore  come  un  «beneficio»  per  l'imputato,
stante la rinuncia all'esercizio della potesta' punitiva dello  Stato
(sub condicione del mancato illegale rientro) che ne consegue: e tale
natura essa  indubbiamente  ha  nella  generalita'  dei  casi,  avuto
riguardo al concreto  apprezzamento  dell'imputato  (oltre  che  alle
maggiori difficolta' che egli puo'  incontrare  nell'esercizio  delle
facolta'  difensive,  una  volta  allontanato  dal  territorio  dello
Stato)»; in tale prospettiva la Corte dichiarava «del tutto priva  di
fondamento la  pretesa  del  rimettente  di  veder  rimosso,  sic  et
simpliciter    ed    in    termini    generali,    il     "beneficio"
dell'improcedibilita', in nome di un ipotetico ed astratto  interesse
dell'imputato ad affrontare il processo  al  fine  di  conseguire  un
proscioglimento nel merito: interesse che  l'imputato  potrebbe  bene
non avere, e che comunque il giudice a quo non  deduce  essere  stato
evocato nel caso concreto». 
    Se dunque l'istituto in questione ha natura di condizione atipica
di  procedibilita'   che   comporta   un   indubbio   beneficio   per
l'interessato, non risulta conforme ai principi costituzionali  farne
dipendere l'operativita' da un atto unilaterale ed insindacabile  del
pubblico ministero, anche  ove  lo  stesso  risulti  erroneo  perche'
successivo all'intervenuta espulsione dello straniero. 
    In particolare, si viene  cosi'  a  realizzare  -  in  violazione
dell'art.  3  della  Costituzione  -  un'irrazionale  disparita'   di
posizione e di trattamento, tanto nei rapporti fra pubblico ministero
ed imputato, quanto nei rapporti fra imputato ed imputato. 
    Sotto il primo profilo, risulta irragionevole - tanto piu' in  un
sistema accusatorio, quale quello  recepito  dall'attuale  codice  di
procedura penale, che vorrebbe una partecipazione dell'accusa e della
difesa su basi di parita' in ogni stato e grado  del  procedimento  -
che i rapporti fra pubblico ministero ed imputato  si  sbilancino  al
punto che il primo, con un semplice atto unilaterale e  sottratto  ad
ogni forma di vaglio giurisdizionale, si trovi in grado di privare il
secondo di un rilevante vantaggio sostanziale. 
    Sotto  il  secondo  profilo,  la  preclusione   della   pronuncia
d'improcedibilita' nelle ipotesi in esame pare contrastare con l'art.
3  Cost.,  venendo  l'imputato  irragionevolmente   discriminato   in
dipendenza della maggiore o minore esattezza  delle  valutazioni  del
pubblico ministero: non si giustifica infatti il diverso  trattamento
tra il soggetto che, in ragione del  corretto  operato  del  pubblico
ministero, benefici della non procedibilita' ed il soggetto che nelle
medesime condizioni si  veda  viceversa  tratto  irrimediabilmente  a
giudizio per effetto di un'erronea valutazione del suo contraddittore
processuale. 
    Vengono in proposito in rilievo i principi affermati dalla  Corte
costituzionale nelle pronunce relative all'accesso  dell'imputato  ai
riti alternativi nei casi di contestazioni  dibattimentali  «tardive»
(sentenze n. 265 del 1994, n. 333 del 2009,  n.  184  del  2014),  ma
anche non tardive (sentenza n. 237 del 2012), nonche' in  materia  di
sindacabilita'  del  dissenso  del  pubblico  ministero   in   ordine
all'accesso al rito abbreviato (sentenze n. 66 del 1990 e n.  81  del
1991). 
    Del resto, l'ordinamento processuale prevede numerose ipotesi  in
cui, ove la valutazione iniziale del  pubblico  ministero  si  riveli
erronea (e a prescindere dai motivi per cui  fosse  erronea,  che  si
tratti  dell'incompletezza  degli  elementi  raccolti   o   piuttosto
dell'errata  valutazione  degli  stessi),   e'   comunque   garantita
all'imputato  attraverso  il  successivo  vaglio  giurisdizionale  la
possibilita' di beneficiare delle riduzioni di pena  legate  ai  riti
alternativi  (art.  448   codice   di   procedura   penale   per   il
patteggiamento; art. 141, comma 4-bis disp.att.  c.p.p.,  anche  alla
luce della sentenza Cassazione Sez. U, n. 7645 del 28  febbraio  2006
Rv. 233029, per l'oblazione) o anche dell'eventuale  improcedibilita'
dell'azione penale. 
    In particolare, in quest'ultimo ambito (che e' quello piu' simile
a  quello  ora  in  esame),  sarebbe  inconcepibile  che  l'esercizio
dell'azione penale da parte del pubblico ministero potesse di per se'
supplire ad un difetto di  querela  (nei  casi  di  procedibilita'  a
querela) o all'assenza di richiesta del Ministro della giustizia o di
presenza nel territorio dello Stato (nei casi di cui agli articoli  9
e 10 del codice penale, la cui disciplina risponde  -  come  rilevato
nelle citate pronunce - ad una ratio non dissimile a  quella  sottesa
alla  condizione  di  procedibilita'  ora  in  esame):  e'  viceversa
pacifico che, in caso di emissione del decreto  di  citazione  pur  a
fronte della mancanza di una condizione di procedibilita', il giudice
dovrebbe rilevare - d'ufficio e immediatamente ex art. 129 del codice
di procedura penale - il difetto. 
    Un ulteriore profilo d'irragionevole disparita' di trattamento si
puo' ravvisare tra  i  procedimenti  in  cui  e'  prevista  l'udienza
preliminare e i procedimenti a  citazione  diretta  a  giudizio:  nei
primi l'imputato beneficia nel corso dell'udienza preliminare  di  un
vaglio giurisdizionale con riguardo alla sussistenza della condizione
di procedibilita' e puo' tramite il proprio difensore difendersi  sul
punto (cfr. infra  per  il  profilo  della  violazione  dell'art.  24
Cost.); nei secondi  viceversa  l'interessato  e'  «nelle  mani»  del
pubblico ministero (suo contraddittore processuale), il cui eventuale
errore non e' contestabile dal difensore ne' rilevabile dal  giudice,
con effetti irreversibili. Trattasi di una disparita' di  trattamento
tanto piu' irragionevole nella misura in cui consente difesa e vaglio
giurisdizionale con  riguardo  agli  episodi  criminosi  di  maggiore
gravita' (ove pertanto l'interesse dello  Stato  alla  punizione  dei
colpevoli dovrebbe essere maggiore), mentre  li  preclude  in  quelli
meno gravi. 
    La norma in questione pare violare anche gli articoli  24  e  111
della Costituzione, nella misura  in  cui  preclude  all'imputato  di
eccepire l'insussistenza  della  condizione  di  procedibilita'.  Nei
procedimenti a citazione diretta a giudizio, infatti, la  prima  sede
in cui la difesa puo' compiutamente formulare le proprie eccezioni e'
la prima udienza dibattimentale; ma  tale  sede  e'  gia'  successiva
all'emissione del decreto  di  citazione  a  giudizio  da  parte  del
pubblico ministero; ai sensi della norma ora parzialmente  censurata,
che preclude la pronuncia della sentenza di non luogo a procedere una
volta emesso il decreto di citazione a giudizio, la difesa  non  puo'
dunque  mai  far   rilevare   l'intervenuta   espulsione   e   quindi
l'insussistenza della condizione di procedibilita'. Si viene cosi'  a
determinare una violazione del principio del contraddittorio e  della
parita' di condizioni tra le parti processuali. 
    Ne' pare potersi sostenere che - dipendendo la citata  condizione
di  procedibilita'  da  un  diminuito  interesse  dello  Stato   alla
punizione dei soggetti ormai espulsi - la relativa insussistenza  non
potrebbe essere eccepita dalla difesa. 
    Una  volta  infatti  che  la  citata   ratio   si   e'   tradotta
nell'introduzione   nell'ordinamento    di    una    condizione    di
procedibilita'  -  la  cui  assenza  comporta  per  l'interessato  un
indubbio vantaggio sostanziale  -  si  deve  infatti  necessariamente
consentire al medesimo di difendersi sul punto. 
    L'assenza  di  una  condizione  di  procedibilita'   nel   nostro
ordinamento e' eccepibile in ogni stato e grado del  processo  (anche
in sede di revisione: Cassazione Sez. 4, n. 17170 del 31 gennaio 2017
Rv.  269826).  In  particolare  e'  pacifico  che   l'assenza   della
condizione di procedibilita' nei casi di cui agli articoli 9 e 10 del
codice penale - la cui disciplina risponde  ad  una  ratio  simile  a
quella dell'istituto ora in esame - e' eccepibile anche  in  sede  di
ricorso per cassazione (per concreti casi di annullamento per difetto
della citata  condizione  di  procedibilita'  si  vedano  ad  esempio
Cassazione Sez. 2, Sentenza n. 38230 del 6 ottobre 2010 Rv. 248538  e
Cassazione Sez. 2, Sentenza n. 20198 del 14 aprile 2003 Rv.  225725).
In simili  casi  la  giurisprudenza  della  Corte  di  cassazione  ha
altresi' riconosciuto il  diritto  alla  riparazione  per  l'ingiusta
detenzione  subita  in  custodia  cautelare  per  un  reato  commesso
all'estero, in mancanza della richiesta del Ministro della  giustizia
(Cass. Sez. 4, Sentenza n. 42022 del 6 novembre 2006 Rv. 235677). 
    Per analoghe ragioni non pare potersi sostenere che «la finalita'
deflattiva verrebbe palesemente  frustrata  se  detta  causa  di  non
procedibilita' fosse applicabile anche all'esito del  dibattimento  o
addirittura nei gradi successivi del giudizio (ove ci  si  accorgesse
dell'erronea omissione)» (cosi' Cassazione Sez. 3, Sentenza n.  29913
del 23 giugno 2011 Rv. 250665). 
    Come  si  e'  detto,  in  casi  analoghi  l'insussistenza   della
condizione  di  procedibilita'  e'  rilevabile  financo  in  sede  di
legittimita' e di revisione. 
    Del resto, la rilevazione dell'intervenuta espulsione  (e  quindi
dell'insussistenza  della   condizione   di   procedibilita')   prima
dell'apertura del dibattimento risulta comunque idonea a produrre  un
effetto deflattivo, giacche' consente al giudice del dibattimento  di
evitare l'istruttoria dibattimentale  e  l'accertamento  o  meno  del
fatto di reato in sentenza; rispetto a tale situazione,  la  corretta
rilevazione da parte del pubblico ministero dell'espulsione (nel caso
di specie intervenuta dopo l'avviso  di  conclusione  indagini),  con
conseguente richiesta al  giudice  per  le  indagini  preliminari  di
sentenza di non luogo a procedere, avrebbe in piu' evitato unicamente
l'emissione del decreto di citazione  e  le  relative  notifiche.  In
situazioni per  certi  versi  analoghe  la  Corte  costituzionale  ha
comunque  ritenuto  sufficiente  il  simile   effetto   di   economia
processuale cosi' realizzato (sentenze n. 333 del 2009 e n.  184  del
2014). 
    In ogni caso, quand'anche  si  dovesse  ritenere  che  ormai  una
deflazione piena non  puo'  piu'  realizzarsi,  come  rilevato  dalla
stessa Corte costituzionale (sentenza n.  237  del  2012)  la  logica
deflattiva  deve  «comunque  cedere   di   fronte   all'esigenza   di
ripristinare la pienezza delle garanzie difensive e l'osservanza  del
principio di eguaglianza». 
    In ragione dei  motivi  gia'  esposti  la  norma  censurata  pare
violare altresi' l'art. 101,  comma  2  Cost.  nella  misura  in  cui
comporta che l'atto di una parte processuale (l'emissione del decreto
di citazione diretta a giudizio da parte del pubblico ministero), per
quanto realizzato in violazione della normativa, sia  vincolante  per
il giudice. 
Rilevanza 
    La questione di legittimita' costituzionale come sopra  delineata
risulta rilevante nel presente procedimento, posto che il prevenuto -
cittadino extracomunitario irregolare sul territorio  italiano  -  e'
stato  comprovatamente  espulso  in  via  amministrativa   ai   sensi
dell'art.  13,  comma  3  decreto  legislativo   n.   286/1998,   con
accompagnamento fisico alla frontiera aerea e successivo imbarco,  in
data antecedente all'emissione del decreto di citazione a giudizio da
parte del pubblico ministero. Qualora la  questione  sollevata  fosse
accolta,  il  giudice  dovrebbe  infatti  pronunciare  immediatamente
sentenza di non doversi procedere;  diversamente,  sarebbe  viceversa
necessario procedere nelle vie ordinarie del dibattimento. 
Impossibilita' di un'interpretazione conforme 
     Come  gia'  sopra   esposto,   non   pare   possibile   adottare
un'interpretazione  della  norma  censurata  conforme   ai   principi
costituzionali che si assumono violati:  vi  osta  innanzi  tutto  il
tenore letterale univoco della disposizione di cui all'art. 13, comma
3-quater decreto legislativo n.  286/1998,  secondo  cui  il  giudice
pronuncia sentenza di non luogo a procedere «se non e'  ancora  stato
emesso il provvedimento che dispone il giudizio»; in secondo luogo e'
ostativa  la  consolidata   giurisprudenza   di   legittimita'   gia'
illustrata, ormai assurta a «diritto vivente», dalla quale non appare
possibile  dissociarsi   facendo   uso   degli   ordinari   strumenti
ermeneutici. 
    Da ultimo preme rilevare che con il richiesto intervento additivo
della  Corte  costituzionale  non  verrebbe  a  determinarsi   alcuna
preclusione ad un nuovo giudizio ai sensi dell'art. 345 del codice di
procedura penale in caso di reingresso illegale dello  straniero  nel
territorio dello Stato. E' questo  uno  degli  argomenti  valorizzati
dalla Corte di  cassazione  per  ritenere  preclusa  per  il  giudice
dibattimentale  la  pronuncia  di  non  luogo  a  procedere  prevista
dall'art. 13, comma 3-quater decreto legislativo n. 286/1998  (cosi'.
Cassazione Sez. 6, Sentenza n. 12830 del 28 marzo  2012  Rv.  252587:
«mentre  la  sentenza  di  non  luogo  a  procedere  prevista   nella
disposizione in esame e'  assistita  dal  divieto  di  modifica  alle
condizioni date, superabile  con  l'intervento  della  condizione  di
procedibilita' mancante, individuabile nella  specie  dal  reingresso
illegittimo dell'espulso  nel  nostro  territorio,  quella  emessa  a
seguito  del  giudizio,  ove  divenuta   definitiva,   e'   assistita
dall'irrevocabilita' prevista dall'art. 648 del codice  di  procedura
penale che esclude la  possibilita'  di  un  nuovo  giudizio»);  tale
argomento non ricorre peraltro nelle  altre  sentenze  della  Suprema
Corte gia' citate. 
    L'art. 649 del codice di procedura penale, nel vietare un secondo
giudizio, fa infatti salvo il disposto dell'art. 345  del  codice  di
procedura penale («L'imputato prosciolto o condannato con sentenza  o
decreto  penale  divenuti  irrevocabili  non  puo'  essere  di  nuovo
sottoposto a procedimento penale per il medesimo  fatto,  neppure  se
questo viene diversamente considerato per il titolo, per il  grado  o
per le circostanze, salvo quanto disposto dagli articoli 69 comma 2 e
345»); l'art. 345 del codice di procedura penale a sua volta  prevede
che la sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere,  anche
se non piu' soggetta a impugnazione, non impedisce il nuovo esercizio
dell'azione penale per  il  medesimo  fatto  qualora  sopravvenga  la
condizione di procedibilita' originariamente mancante. Da un lato  e'
pacificamente riconosciuta la natura di condizione di  procedibilita'
dell'istituto  in  esame  e  dall'altro  l'art.  345  del codice   di
procedura penale e'  espressamente  richiamato  dall'art.  13,  comma
3-quinquies decreto legislativo  n.  286/1998.  La  stessa  Corte  di
cassazione ha del resto riconosciuto che «Il divieto del "ne  bis  in
idem" non e' applicabile alla sentenza con la quale sia dichiarato il
difetto di una  condizione  di  procedibilita',  stante  il  disposto
dell'art. 345 del codice di  procedura  penale  -  per  il  quale  la
sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere con  la  quale
sia dichiarata la mancanza della querela o  di  altra  condizione  di
procedibilita' non impedisce l'esercizio dell'azione  penale  per  il
medesimo fatto contro la medesima persona se in seguito sia  proposta
querela - richiamato dall'art. 649 del codice di procedura  penale  »
(Cass. Sez. 5, Sentenza n. 4636 del 23 ottobre 2013 Rv. 258714, in un
caso in cui la  precedente  sentenza  di  proscioglimento  era  stata
adottata dal giudice dibattimentale, giudice di pace). 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visti gli articoli 134 Costituzione, 23 ss. legge n. 87/1953. 
    Ritenuta la questione rilevante e non manifestamente infondata. 
    Solleva questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  13,
comma 3-quater decreto legislativo n. 286 del  25  luglio  1998,  per
violazione degli articoli 3, 24, 101 e 111 Costituzione, nella  parte
in cui non prevede che il  giudice  del  dibattimento,  acquisita  la
prova dell'avvenuta espulsione,  pronunci  sentenza  di  non  doversi
procedere  nel  caso  in  cui   l'espulsione   sia   avvenuta   prima
dell'emissione del decreto di citazione diretta a giudizio  da  parte
del pubblico ministero. 
    Sospende  il  giudizio  in  corso,  ed  i  relativi  termini   di
prescrizione, fino  alla  definizione  del  giudizio  incidentale  di
legittimita' costituzionale. 
    Dispone l'immediata trasmissione degli atti del procedimento alla
Corte costituzionale. 
    Manda  alla  cancelleria  per  la  notificazione  della  presente
ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri,  nonche'  per  la
comunicazione ai presidenti della Camera dei deputati  e  del  Senato
della Repubblica e  per  la  successiva  trasmissione  del  fascicolo
processuale alla Corte costituzionale. 
    Firenze, 29 ottobre 2018 
 
                         Il Giudice: Attina'