N. 124 SENTENZA 20 marzo - 23 maggio 2019

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Impugnazioni  penali  -  Obbligo  di   rinnovazione   dell'istruzione
  dibattimentale nel caso di appello del  pubblico  ministero  contro
  una  sentenza  di  proscioglimento  per   motivi   attinenti   alla
  valutazione della prova dichiarativa - Applicabilita',  secondo  il
  diritto vivente, anche nel caso  di  processo  celebrato  in  primo
  grado con rito abbreviato. 
- Codice di procedura penale, art. 603, comma 3-bis, come  introdotto
  dall'art.  1,  comma  58,  della  legge  23  giugno  2017,  n.  103
  (Modifiche al codice  penale,  al  codice  di  procedura  penale  e
  all'ordinamento penitenziario). 
(GU n.22 del 29-5-2019 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca
  ANTONINI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 603,  comma
3-bis, del codice di procedura penale, come introdotto  dall'art.  1,
comma 58, della legge 23 giugno 2017, n.  103  (Modifiche  al  codice
penale,   al   codice   di   procedura   penale   e   all'ordinamento
penitenziario),  promosso  dalla  Corte  d'appello  di   Trento   nel
procedimento penale a carico di S. N., con ordinanza del 20  dicembre
2017, iscritta al n. 45 del  registro  ordinanze  2018  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  11,  prima   serie
speciale, dell'anno 2018. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  20  marzo  2019  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 20 dicembre 2017,  la  Corte  d'appello  di
Trento ha sollevato - con  riferimento  agli  artt.  111,  secondo  e
quinto comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in
relazione all'art.  20  della  direttiva  2012/29/UE  del  Parlamento
europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012,  che  istituisce  norme
minime in materia di diritti, assistenza e protezione  delle  vittime
di reato  e  che  sostituisce  la  decisione  quadro  2001/220/GAI  -
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 603, comma  3-bis,
del codice di procedura penale, come introdotto  dall'art.  1,  comma
58, della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al  codice  penale,
al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario), nella
parte in cui tale disposizione, cosi' come interpretata  dal  diritto
vivente, nel caso  di  appello  del  pubblico  ministero  contro  una
sentenza di proscioglimento per  motivi  attinenti  alla  valutazione
della  prova  dichiarativa,  obbliga  il  giudice   a   disporre   la
rinnovazione dell'istruzione dibattimentale anche in caso di giudizio
di primo grado celebrato nelle forme del rito abbreviato, e  pertanto
definito in quella sede «allo stato degli atti» ai sensi degli  artt.
438 e seguenti cod. proc. pen. 
    1.1.- Il giudice a quo premette di essere chiamato a giudicare di
un appello  proposto  dal  pubblico  ministero  avverso  la  sentenza
pronunciata all'esito del giudizio  abbreviato  di  primo  grado  dal
Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale  ordinario  di  Trento
che ha assolto S. N. dai delitti di violenza sessuale continuata e di
minaccia aggravata ai danni della moglie in  ragione  della  ritenuta
insussistenza dei fatti, dichiarando l'imputato  colpevole  del  solo
delitto di lesioni personali. 
    1.2.- Quanto alla rilevanza delle questioni, la  Corte  d'appello
rimettente osserva che l'impugnazione e' stata  proposta  per  motivi
attinenti alla valutazione della prova dichiarativa e,  segnatamente,
all'attendibilita' delle dichiarazioni accusatorie rese dalla persona
offesa nella propria denuncia-querela. 
    1.3.- Quanto alla  non  manifesta  infondatezza  delle  questioni
proposte, rileva il collegio rimettente che l'art. 603, comma  3-bis,
cod. proc. pen. ben potrebbe essere, in astratto, interpretato  anche
nel   senso   di   escludere   la   necessita'   della   rinnovazione
dell'istruzione dibattimentale allorche' il giudizio di  primo  grado
sia stato celebrato «allo stato degli  atti»  nelle  forme  del  rito
abbreviato, in forza di esplicito consenso  reso  dall'imputato.  Una
tale interpretazione  sarebbe  pero'  smentita  dalla  giurisprudenza
delle Sezioni unite della Corte di  cassazione,  che  -  ancor  prima
dell'introduzione del nuovo comma 3-bis dell'art. 603 cod. proc. pen.
- avevano affermato, smentendo un precedente in senso  contrario  (e'
citata Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza 13 ottobre
2016, n. 43242), la necessita' di rinnovazione del dibattimento anche
nei processi celebrati  con  rito  abbreviato  (e'  citata  Corte  di
cassazione, sezioni unite penali, sentenza 14 aprile 2017, n. 18620). 
    Ad avviso del giudice a quo, tale  interpretazione  costituirebbe
"diritto vivente", e conserverebbe la propria efficacia nomofilattica
anche dopo la novella normativa. 
    Cosi'  interpretata,  tuttavia,  la  disposizione  censurata   si
esporrebbe a vari dubbi di legittimita' costituzionale. 
    1.3.1.-  Preliminarmente,  la  Corte   rimettente   esclude   che
l'interpretazione offerta  dal  diritto  vivente  della  disposizione
censurata sia imposta dalla giurisprudenza della  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo in materia di  art.  6  della  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
(CEDU), firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,  ratificata  e  resa
esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, alla quale pure le Sezioni
unite della Corte di cassazione si sono  ispirate  nell'affermare  il
principio (in via generale, e con specifico riferimento  al  giudizio
abbreviato)    della    necessaria    rinnovazione    dell'istruzione
dibattimentale ai fini della  condanna  in  appello  di  un  imputato
assolto  in  primo  grado.  L'art.  6  CEDU   attribuirebbe   infatti
all'imputato il "diritto" di esaminare o far esaminare  i  testimoni,
ma  tale  diritto  sarebbe  rinunciabile  a   fronte   dei   vantaggi
processuali connessi alla scelta di un  rito  alternativo.  Tutte  le
sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo alle quali si sono
ispirate le sentenze delle Sezioni unite in materia  riguarderebbero,
d'altronde, processi celebrati con rito ordinario, in cui  i  giudici
di primo grado avevano ascoltato i testimoni. 
    1.3.2.- La disposizione censurata, cosi'  come  interpretata  dal
diritto vivente, contrasterebbe invece con l'art. 111, secondo comma,
Cost.,  che  sancisce  il  principio  della  ragionevole  durata  del
processo. La finalita' deflattiva perseguita dal legislatore mediante
la previsione del rito abbreviato, in cui  la  decisione  e'  assunta
«allo stato degli atti», verrebbe infatti frustrata dalla  previsione
del necessario svolgimento di un'attivita' istruttoria  in  grado  di
appello. 
    1.3.3.- L'obbligatoria rinnovazione della istruzione in grado  di
appello contrasterebbe poi con l'art. 111, quinto comma,  Cost.,  che
affida alla legge il compito di regolare i «casi in cui la formazione
della  prova  non  ha   luogo   in   contraddittorio   per   consenso
dell'imputato». La rinuncia dell'imputato al contraddittorio espressa
dall'imputato mediante la richiesta di rito abbreviato, a parere  del
giudice  a  quo,  dovrebbe  intendersi  -  in  ossequio  alla   norma
costituzionale in parola - riferita all'intera vicenda processuale, e
non limitata al primo grado del giudizio. 
    1.3.4.-  La  disposizione  censurata,  interpretata  secondo   il
diritto vivente, violerebbe altresi'  il  principio  di  parita'  tra
accusa e difesa, sancito dall'art. 111, secondo comma, Cost. Infatti,
l'obbligo di procedere a istruzione dibattimentale nel secondo  grado
di un giudizio abbreviato altererebbe irragionevolmente «la simmetria
tra il diritto dell'imputato  a  beneficiare,  in  ogni  caso,  della
riduzione di un terzo della pena, da  un  lato,  e  la  facolta'  del
rappresentante della pubblica accusa a utilizzare le prove assunte  e
"cartolarizzate" nelle indagini preliminari (con  la  gia'  acquisita
pregnanza accusatoria), dall'altro». 
    1.3.5.- Rileva, infine, la Corte  d'appello  rimettente  che,  in
tutti i casi nei quali la prova rinnovata consista  nell'esame  della
persona offesa, la disposizione censurata contrasterebbe  con  l'art.
117, primo comma, Cost.,  in  relazione  alla  direttiva  2012/29/UE,
trasposta nell'ordinamento italiano con  il  decreto  legislativo  15
dicembre 2015, n. 212  (Attuazione  della  direttiva  2012/29/UE  del
Parlamento  europeo  e  del  Consiglio,  del  25  ottobre  2012,  che
istituisce  norme  minime  in  materia  di  diritti,   assistenza   e
protezione delle vittime di reato  e  che  sostituisce  la  decisione
quadro 2001/220/GAI). Ritiene in particolare il  giudice  a  quo  che
l'obbligo di ulteriore audizione della persona offesa  imposto  dalla
disposizione censurata si ponga in contrasto con l'art.  20  di  tale
direttiva, ove si prescrive  che  il  numero  delle  audizioni  della
vittima sia limitato al minimo. 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni sollevate siano rigettate in quanto
infondate. 
    2.1.- Insussistente sarebbe, anzitutto, l'asserita violazione del
principio di ragionevole  durata  del  processo.  L'allungamento  dei
tempi   processuali   conseguente    all'obbligatoria    rinnovazione
dell'istruzione dibattimentale non potrebbe infatti  essere  ritenuta
irragionevole, dal momento che tale rinnovazione  dovrebbe  viceversa
ritenersi imposta dall'esigenza di tutelare il principio del  "giusto
processo"  sotteso  all'intero  art.  111  Cost.  e   a   sua   volta
direttamente  collegato  alla  presunzione  di  innocenza   enunciata
dall'art. 27 Cost. Come affermato dalla Corte di cassazione,  sezioni
unite  penali,  sentenza  14  aprile  2017,  n.  18620,  infatti,  il
ragionevole dubbio sulla colpevolezza dell'imputato,  ingenerato  dal
contrasto tra la sentenza assolutoria emessa all'esito di un giudizio
svoltosi nelle forme del rito abbreviato e  la  potenziale  revisione
del giudizio liberatorio da parte del  giudice  di  appello,  sarebbe
superabile solo mediante  il  ricorso  al  «metodo  migliore  per  la
formazione della prova» e, dunque,  mediante  l'esame  diretto  delle
fonti dichiarative. 
    2.2.-  Ne'  l'incostituzionalita'  della  disposizione  censurata
potrebbe essere fatta discendere dall'art. 111, quinto comma,  Cost.,
secondo il quale «la legge regola i casi in cui la  formazione  della
prova non avviene in contraddittorio». Tale previsione, infatti,  non
imporrebbe affatto che nelle ipotesi in cui  il  giudizio  sia  stato
definito in primo grado  allo  stato  degli  atti,  per  rinuncia  al
dibattimento da parte dell'imputato, anche  il  giudizio  di  appello
debba avere natura cartolare. 
    2.3.- Quanto poi all'asserito contrasto con  il  principio  della
parita'   tra   le   parti,   la   rinnovazione   della   istruttoria
dibattimentale in appello, lungi dall'alterare  irragionevolmente  la
simmetria tra il diritto dell'imputato a beneficiare della  riduzione
di pena e la  facolta'  del  pubblico  ministero  di  utilizzare  gli
elementi  probatori   raccolti   nelle   indagini,   si   rivelerebbe
assolutamente  ragionevole  alla  stregua  dei  principi  del  giusto
processo e della presunzione di non colpevolezza. 
    2.4.- Infine, del tutto inconsistente sarebbe  anche  il  dedotto
contrasto con la direttiva 2012/29/UE, ove si  consideri  che  e'  la
stessa direttiva a fare espressamente salvi «i diritti della difesa»,
alla  garanzia  dei  quali  sarebbe   «palesemente   preordinata   la
previsione della necessita' che - a seguito dell'assoluzione in primo
grado,  anche  all'esito  di  un  giudizio  svoltosi  con   il   rito
abbreviato, per vincere la presunzione di non  colpevolezza  -  venga
recuperata l'oralita' e l'immediatezza nella formazione della prova». 
    3.- Con memoria depositata in data 27 febbraio 2019, l'Avvocatura
generale dello Stato ha  insistito  sull'infondatezza  dei  dubbi  di
legittimita'  costituzionale  formulati  dalla  Corte  d'appello   di
Trento,  ribadendo  le  considerazioni  gia'  svolte   nell'atto   di
intervento e osservando come il giudice rimettente avrebbe del  tutto
omesso di considerare il peculiare bilanciamento posto in essere  dal
legislatore con  il  d.lgs.  n.  212  del  2015,  con  cui  e'  stato
introdotto il comma 1-bis dell'art. 190-bis cod. proc. pen., il quale
ammette l'esame delle persone offese che  versino  in  condizioni  di
particolare vulnerabilita' «solo  se  riguarda  fatti  o  circostanze
diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni ovvero se il
giudice o taluna delle parti lo ritengano necessario  sulla  base  di
specifiche esigenze». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe, la Corte  d'appello  di
Trento ha sollevato - con riferimento all'art. 111, secondo e  quinto
comma, e all'art. 117, comma primo, della Costituzione,  quest'ultimo
in relazione all'art. 20 della direttiva  2012/29/UE  del  Parlamento
europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012,  che  istituisce  norme
minime in materia di diritti, assistenza e protezione  delle  vittime
di reato  e  che  sostituisce  la  decisione  quadro  2001/220/GAI  -
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 603, comma  3-bis,
del codice di procedura penale, come introdotto  dall'art.  1,  comma
58, della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al  codice  penale,
al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario), nella
parte in cui tale disposizione, cosi' come interpretata  dal  diritto
vivente, nel caso  di  appello  del  pubblico  ministero  contro  una
sentenza di proscioglimento per  motivi  attinenti  alla  valutazione
della  prova  dichiarativa,  obbliga  il  giudice   a   disporre   la
rinnovazione dell'istruzione dibattimentale anche in caso di giudizio
di primo grado celebrato nelle forme del rito abbreviato, e  pertanto
definito in quella sede «allo stato degli atti» ai sensi degli  artt.
438 e seguenti cod. proc. pen. 
    2.-  Ai  fini  della  valutazione  dell'ammissibilita'  e   della
fondatezza delle questioni prospettate, e'  opportuna  una  sintetica
ricapitolazione del quadro normativo e giurisprudenziale  che  fa  da
sfondo alle questioni medesime. 
    2.1.- Nel disegno sistematico originario del codice di  procedura
penale del 1988, la rinnovazione  dell'istruzione  dibattimentale  in
grado di appello era delineata dall'art. 603 in aderenza  ai  criteri
direttivi della legge 16 febbraio 1987, n. 81 (Delega legislativa  al
Governo  della  Repubblica  per  l'emanazione  del  nuovo  codice  di
procedura  penale)  -  e,  segnatamente,  al  criterio  94  enunciato
dall'art. 2 -, e dunque come  previsione  di  carattere  residuale  e
riservata alla discrezionalita'  del  giudice,  in  coerenza  con  la
presunzione di completezza dell'accertamento  probatorio  svolto  nel
primo  grado  di  giudizio;  e  come  tale  era  stata  costantemente
interpretata  dalla  giurisprudenza   di   legittimita'   (Corte   di
cassazione, sezione quarta  penale,  sentenza  29  gennaio  2007,  n.
16422; Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza  15  marzo
1996, n. 2780). 
    Nella versione originaria  dell'art.  603  cod.  proc.  pen.,  la
rinnovazione della istruzione dibattimentale con riguardo alle  prove
gia' acquisite nel giudizio di  primo  grado  poteva  infatti  essere
disposta su richiesta di parte soltanto  se  il  giudice  di  appello
ritenesse «di non essere in grado di decidere allo stato degli  atti»
(comma  1),  ovvero  d'ufficio,  laddove  il  giudice  la   ritenesse
«assolutamente necessaria» (comma 3). 
    2.2.- La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo
ha, tuttavia, stimolato nella  giurisprudenza  italiana  un  incisivo
ripensamento  sui  presupposti  della  rinnovazione   dell'istruzione
dibattimentale, con  riferimento  alle  ipotesi  in  cui  oggetto  di
impugnazione sia una sentenza assolutoria pronunciata in primo grado. 
    Per quanto in alcune isolate occasioni la Corte EDU abbia escluso
la violazione dell'art. 6 della Convenzione per la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  (CEDU),  firmata  a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e  resa  esecutiva  con  legge  4
agosto 1955, n. 848, allorche', pur in assenza di una nuova audizione
dei testimoni, il giudice di appello sia pervenuto  al  convincimento
della   responsabilita'   dell'imputato    motivando    in    maniera
particolarmente approfondita la propria diversa conclusione  rispetto
a quella cui era pervenuto il giudice  di  primo  grado  (Corte  EDU,
sentenza  27  giugno  2017,  Chiper  contro  Romania,  paragrafo  68;
sentenza 26 aprile 2016, Kashlev contro Estonia,  paragrafo  51),  la
giurisprudenza assolutamente prevalente  dalla  Corte  di  Strasburgo
ritiene incompatibile con la menzionata disposizione convenzionale un
giudizio di appello che si concluda  con  la  condanna  dell'imputato
gia' assolto in primo grado, senza che le  prove  dichiarative  sulla
cui base egli  era  stato  assolto  siano  state  nuovamente  assunte
davanti al giudice di appello (ex plurimis, Corte  EDU,  sentenza  28
febbraio 2017, Manoli contro  Moldavia,  paragrafo  32;  sentenza  15
settembre 2015, Moinescu contro Romania,  paragrafo  36;  sentenza  4
giugno 2013, Hanu contro Romania, paragrafo  40;  sentenza  9  aprile
2013, Manolachi contro Romania, paragrafo 50; sentenza 20 marzo 2012,
Serrano Contreras contro Spagna,  paragrafo  40;  sentenza  5  luglio
2011, Dan contro Moldavia,  paragrafi  30-33;  sentenza  19  febbraio
1996,  Botten  contro  Norvegia,  paragrafo   39);   e   cio'   anche
nell'ipotesi in cui ne'  l'imputato  ne'  il  suo  difensore  abbiano
sollecitato una nuova escussione dei testimoni (Corte EDU, sentenza 9
aprile 2013, Flueraş contro Romania, paragrafo 60). 
    A supporto di tale conclusione, la Corte EDU  muove  dall'assunto
che «those who have the responsibility  for  deciding  the  guilt  or
innocence of an accused ought, in  principle,  to  be  able  to  hear
witnesses in person and assess their  trustworthiness»,  dal  momento
che «[t]he assessment of  the  trustworthiness  of  a  witness  is  a
complex task which usually cannot be achieved by a  mere  reading  of
his or her recorded words» (Corte EDU, sentenza 22 luglio  2011,  Dan
contro Moldavia, paragrafo 33). 
    Tali  principi  sono  stati  recentemente  enunciati  anche   nei
confronti dell'Italia, in una sentenza nella quale e' stato  ritenuto
violato il diritto del ricorrente a un processo equo, in  conseguenza
della condanna del ricorrente stesso pronunciata per la  prima  volta
in appello in esito a una diversa valutazione di  prove  dichiarative
acquisite nel giudizio di primo grado e non riesaminate  direttamente
in appello (Corte EDU,  sentenza  29  giugno  2017,  Lorefice  contro
Italia, paragrafo 45). 
    2.3.- Gia' in  epoca  anteriore  alla  sentenza  Lorefice  contro
Italia,  varie  sentenze  delle  sezioni  semplici  della  Corte   di
cassazione (ex plurimis, sezione seconda penale, sentenza 27 novembre
2012, n. 46065), nonche' le Sezioni unite della stessa Corte, avevano
nella  sostanza  recepito  questa  giurisprudenza  della  Corte  EDU,
attraverso una interpretazione conforme alla CEDU delle  disposizioni
del codice di procedura penale. Rilevato  che  i  principi  enunciati
nella CEDU, come  definiti  nella  giurisprudenza  consolidata  della
Corte EDU, pur non traducendosi  in  norme  direttamente  applicabili
nell'ordinamento nazionale, costituiscono criteri di  interpretazione
ai quali il giudice nazionale e' tenuto a ispirarsi nell'applicazione
delle norme interne, le Sezioni unite hanno infatti affermato che  il
giudice di secondo grado,  ove  intenda  riformare  una  sentenza  di
proscioglimento sulla base di una  diversa  valutazione  della  prova
dichiarativa ritenuta decisiva dal primo giudice, debba  procedere  -
anche d'ufficio - alla rinnovazione  dell'istruzione  dibattimentale,
disponendo  l'esame  dei  soggetti  che  hanno   reso   le   relative
dichiarazioni. In  caso  di  mancata  rinnovazione,  la  sentenza  di
riforma del giudice di secondo grado risultera' affetta da  vizio  di
motivazione, censurabile in Cassazione ai sensi dell'art. 606,  comma
1, lettera e), cod. proc. pen., non potendo ritenersi in tal caso che
la prova sia stata raggiunta «al di la' di ogni ragionevole  dubbio»,
come prescrive l'art. 533  cod.  proc.  pen.  (Corte  di  cassazione,
sezioni unite penali, sentenza 6 luglio 2016, n. 27620). 
    In un  obiter  dictum  di  tale  pronuncia  (al  punto  8.4.  del
Considerato in diritto), le Sezioni unite  hanno  altresi'  affermato
che la rinnovazione  dell'istruzione  dibattimentale  deve  ritenersi
doverosa anche nei giudizi celebrati nelle forme del rito abbreviato,
dovendosi anche in tal caso valorizzare il criterio, «da ritenere  di
carattere  generalissimo»,  del  convincimento  al  di  la'  di  ogni
ragionevole dubbio. 
    2.4.- Quest'ultimo corollario non e' stato pero' accolto  da  una
sentenza successiva delle Sezione terza, la quale - sulla  scorta  di
vari precedenti anteriori alla pronuncia delle stesse  Sezioni  unite
(Corte di cassazione, sezione  seconda  penale,  sentenza  30  luglio
2014, n. 33690; sezione terza penale, sentenza 4  novembre  2014,  n.
45456)  -  hanno  ritenuto  che  la  necessita'  della   rinnovazione
dibattimentale sussista soltanto nel caso di prova assunta  oralmente
dal primo giudice e non quando l'imputato, con  la  scelta  del  rito
abbreviato, abbia rinunziato, gia'  in  primo  grado,  alle  garanzie
dell'oralita' e del contraddittorio. Di talche', stante la necessita'
di mantenere un parallelismo istruttorio tra primo e secondo grado di
giudizio, sarebbe ultroneo  esigere  l'oralita'  in  appello  qualora
l'imputato fosse stato prosciolto ex  actis  all'esito  del  giudizio
abbreviato di primo grado (Corte di cassazione, sezione terza penale,
sentenza 13 ottobre 2016, n. 43242). 
    Il contrasto giurisprudenziale cosi' creatosi e'  stato,  quindi,
nuovamente sciolto dalle Sezioni unite, che -  con  una  sentenza  di
pochi mesi successivi rispetto alla precedente - hanno  ribadito  che
l'obbligatorieta' della rinnovazione istruttoria opera anche nel caso
di overturning da proscioglimento a condanna nell'ambito di  giudizio
abbreviato non  condizionato  (Corte  di  cassazione,  sezioni  unite
penali, sentenza 14 aprile 2017, n. 18620). 
    Osservano le Sezioni unite in questa seconda  pronuncia  che  dal
canone decisorio della condanna oltre ogni ragionevole dubbio  deriva
che, «in mancanza di elementi sopravvenuti, l'eventuale rivisitazione
in senso peggiorativo compiuta in appello» deve essere  «sorretta  da
argomenti dirimenti  e  tali  da  evidenziare  oggettive  carenze  od
insufficienze   della   decisione   assolutoria».    Per    riformare
l'assoluzione, pertanto, «non basta una diversa valutazione  di  pari
plausibilita' rispetto alla lettura del primo  giudice»,  ma  occorre
una «forza persuasiva superiore», tale  da  far  cadere  ogni  dubbio
ragionevole. E  tale  forza  persuasiva  non  deriva,  ex  se,  dalla
pronuncia del giudice d'appello, che non «ha di  per  se'  [...]  una
"autorevolezza maggiore" di quello» di primo grado, ma  deriva  -  al
contrario - dal metodo orale dell'accertamento, unica via in grado di
qualificare la decisione in termini di «certezza della colpevolezza». 
    In definitiva, a parere  delle  Sezioni  unite,  «[l]'assoluzione
pronunciata dal giudice di primo  grado  travalica  ogni  pretesa  di
simmetria. Essa, implicando l'esistenza di una  base  probatoria  che
induce quantomeno il  dubbio  sulla  effettiva  valenza  delle  prove
dichiarative, pretende che si faccia ricorso al metodo di  assunzione
della prova epistemologicamente piu' affidabile; sicche' la eventuale
rinuncia al contraddittorio nel giudizio di primo grado non fa premio
sulla esigenza di rispettare il valore obiettivo di  tale  metodo  ai
fini  del  ribaltamento  della  decisione   assolutoria».   «Perche',
insomma, l'overturning si  concretizzi  davvero  in  una  motivazione
rafforzata, che raggiunga lo  scopo  del  convincimento  "oltre  ogni
ragionevole dubbio", non si puo'  fare  a  meno  dell'oralita'  nella
riassunzione  delle  prove  rivelatesi   decisive.   La   motivazione
risulterebbe altrimenti affetta dal vizio di aporia logica  derivante
dal fatto che il ribaltamento della  pronuncia  assolutoria,  operato
sulla scorta di una valutazione cartolare del materiale probatorio  a
disposizione del primo giudice, contiene in  se'  l'implicito  dubbio
ragionevole   determinato   dall'avvenuta   adozione   di   decisioni
contrastanti». 
    2.5.- Introducendo nell'art. 603 cod. proc. pen. il  nuovo  comma
3-bis, in questa sede censurato, la legge n. 103 del 2017 ha recepito
gli approdi cui era nel frattempo pervenuta la  giurisprudenza  delle
Sezioni unite. 
    La nuova disposizione prevede che  «[n]el  caso  di  appello  del
pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per  motivi
attinenti alla  valutazione  della  prova  dichiarativa,  il  giudice
dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale». In tal modo,
il legislatore ha dettato  una  disciplina  speciale  in  materia  di
rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, che deroga  alle  regole
generali poste dai commi 1 e 3 dello stesso art. 603 cod. proc.  pen.
al dichiarato fine di «armonizzare  il  ribaltamento  della  sentenza
assolutoria in appello con le garanzie del giusto  processo,  secondo
l'interpretazione ancora di recente offerta dalla Corte  europea  dei
diritti dell'uomo (sentenza del 4  giugno  2013,  Hanu  c.  Romania),
circa la doverosita', in questo caso, di riapertura  dell'istruttoria
orale»  (Relazione  introduttiva  al  disegno  di  legge   n.   2798,
presentato dal Ministero della Giustizia alla Camera dei Deputati  il
23 dicembre 2014 [Riforma  della  prescrizione,  delle  pene  per  la
corruzione, dell'udienza preliminare, del patteggiamento, del  regime
delle impugnazioni, e altro ancora], pagina 10). 
    2.6.- Il nuovo comma 3-bis dell'art.  603  cod.  proc.  pen.  non
chiarisce  invero  espressamente   se   l'obbligo   di   rinnovazione
dell'istruzione  dibattimentale  valga  anche  nel  caso  in  cui  il
giudizio di primo grado, conclusosi con l'assoluzione  dell'imputato,
sia stato celebrato con le forme del rito abbreviato. 
    All'indomani  della  novella,  peraltro,  le  Sezioni   unite   -
risolvendo   negativamente   la   questione   se   la    rinnovazione
dell'istruzione dibattimentale si imponga anche nel caso, opposto, in
cui il giudice d'appello intenda riformare la sentenza di condanna di
primo grado -  hanno  affermato,  in  un  ampio  obiter  dictum,  che
«[l]'interpolazione  operata  dal  legislatore  sul  testo  normativo
dell'art. 603 cod. proc. pen. non contempla eccezioni  di  sorta,  ma
consente l'applicabilita' della regola posta dal nuovo comma 3-bis ad
ogni tipo di giudizio, ivi compresi i procedimenti svoltisi in  primo
grado con  il  rito  abbreviato».  Cio'  in  quanto  «[l]a  decisione
assolutoria del  primo  giudice  e'  sempre  tale  da  ingenerare  la
presenza di un dubbio sul reale fondamento  dell'accusa.  Dubbio  che
puo' ragionevolmente essere superato  solo  attraverso  una  concreta
variazione della base cognitiva  utilizzata  dal  giudice  d'appello,
unitamente ad una corrispondente "forza persuasiva  superiore"  della
relativa motivazione, quando il meccanismo della  rinnovazione  debba
essere attivato in  relazione  ad  una  prova  dichiarativa  ritenuta
decisiva   nella   prospettiva   dell'alternativa   decisoria   sopra
indicata». D'altronde,  hanno  proseguito  le  Sezioni  unite,  «[l]a
rinuncia al contraddittorio [...] non puo' riflettersi  negativamente
sulla giustezza della decisione, ne' puo' incidere sulla  prioritaria
funzione cognitiva del processo, il cui eventuale esito  di  condanna
esige, sia nel giudizio ordinario che in quello abbreviato, la  prova
della responsabilita' oltre ogni ragionevole dubbio, poiche'  oggetto
del consenso dell'imputato ai  sensi  dell'art.  111,  quinto  comma,
Cost. e' la rinuncia ad un metodo di accertamento, il contraddittorio
nella   formazione   della   prova,   non   all'accertamento    della
responsabilita' nel rispetto del canone epistemologico attraverso cui
si invera il principio stabilito dall'art. 27, secondo comma,  Cost.»
(Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 3  aprile  2018,
n. 14800, punto 7.3. del Considerato in diritto). 
    3.- Tutto cio'  premesso,  le  questioni  sollevate  dalla  Corte
d'appello di Trento devono ritenersi ammissibili. 
    3.1.- Il giudice a quo muove dalla  premessa  interpretativa  che
l'art. 603, comma 3-bis, cod.  proc.  pen.  imponga  la  rinnovazione
dell'istruzione dibattimentale anche nel caso di appello del pubblico
ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti
alla valutazione della prova dichiarativa resa in esito a un giudizio
abbreviato. 
    Come rileva il giudice a quo, tale  premessa  interpretativa  non
e', invero, univocamente imposta  dalla  lettera  della  disposizione
censurata,  che  di  per  se'  lascerebbe  spazio  anche  a   diverse
interpretazioni. Tuttavia, la premessa interpretativa da cui muove il
giudice a quo non solo non e' implausibile (il che basterebbe ai fini
dell'ammissibilita' della questione: sentenze n. 51 del 2015 e n.  10
del 2009), ma  corrisponde  altresi'  all'interpretazione  che  della
disposizione e' stata fornita - sia pure in via di obiter  -  da  una
recente sentenza delle Sezioni unite (supra, punto 2.6.), nella quale
e' stato ribadito un principio gia' enunciato  dalle  stesse  Sezioni
unite  anteriormente  all'entrata  in   vigore   della   disposizione
censurata (supra, punto 2.4.). 
    Le questioni ora prospettate devono, dunque, essere  vagliate  in
relazione  alla  disposizione  censurata  secondo   l'interpretazione
fornitane dalla giurisprudenza delle Sezioni  unite,  interpretazione
che deve - allo stato - essere  considerata  da  questa  Corte  quale
diritto vivente. 
    3.2.- Le questioni sono, d'altra parte, rilevanti nel giudizio  a
quo,  nel  quale  deve  essere  decisa  l'impugnazione  del  pubblico
ministero avverso una sentenza di assoluzione  per  motivi  attinenti
alla prova dichiarativa resa nell'ambito di un giudizio abbreviato, e
nel  cui  ambito  dunque  sarebbe  necessario  -   in   forza   della
disposizione censurata, cosi' come interpretata dal diritto vivente -
disporre la  rinnovazione  dell'istruzione  dibattimentale,  mediante
l'escussione della persona offesa; cio' che non  accadrebbe,  invece,
laddove venisse accolta la questione di  legittimita'  costituzionale
prospettata. 
    4.- Nel merito,  tuttavia,  le  questioni  prospettate  non  sono
fondate. 
    4.1.- Nessun contrasto puo', anzitutto, essere ravvisato  tra  la
disposizione impugnata e il principio della  ragionevole  durata  del
processo sancito dall'art. 111, secondo comma, Cost.;  principio  che
il  giudice  a  quo  assume  essere  frustrato  dalla  necessita'  di
un'attivita' istruttoria nel contesto di  un  rito  che,  perseguendo
finalita' acceleratorie dei tempi del contenzioso penale,  prevede  -
con il consenso dell'imputato - una decisione resa «allo stato  degli
atti». 
    Questa Corte ha, infatti, piu' volte affermato che  il  principio
della  ragionevole  durata  del  processo  va  contemperato  con   il
complesso  delle  altre  garanzie  costituzionali,  sicche'  il   suo
sacrificio non e' sindacabile, ove sia frutto di scelte non prive  di
una valida ratio giustificativa (ex plurimis,  sentenza  n.  159  del
2014, ordinanze n. 332 e n. 318 del 2008).  Da  cio'  deriva  che  al
principio della ragionevole durata del processo «possono arrecare  un
vulnus solamente norme procedurali che comportino una dilatazione dei
tempi del processo non sorretta da alcuna logica  esigenza  (sentenza
n. 148 del 2005)» (sentenza n. 23 del 2015; nello  stesso  senso,  ex
multis, sentenze n. 12 del 2016, n. 63 e n. 56 del 2009,  n.  26  del
2007). 
    Ora,  la  rinnovazione  dell'istruttoria  dibattimentale  imposta
dalla disposizione censurata, cosi'  come  interpretata  dal  diritto
vivente, determina si' una dilatazione dei tempi di  trattazione  del
giudizio di appello, ma non puo' certo essere  ritenuta  sfornita  di
alcuna ratio giustificativa. Come  si  e'  poc'anzi  dettagliatamente
riferito, la giurisprudenza del massimo  organo  di  nomofilachia  ha
chiarito che la necessita' di un contatto diretto del giudice  con  i
testimoni  -  ritenuto  il  «metodo   di   assunzione   della   prova
epistemologicamente piu' affidabile» - e' imposta, anche  nell'ambito
di un giudizio che nasce come meramente "cartolare", dall'esigenza di
far cadere l'«implicito dubbio ragionevole determinato  dall'avvenuta
adozione di decisioni contrastanti» (Cass., sez. un.,  n.  18620  del
2017); dubbio che secondo le  Sezioni  unite  e'  possibile  superare
soltanto attraverso la «forza persuasiva superiore» della motivazione
del giudice d'appello, fondata  per  l'appunto  sull'ascolto  diretto
delle testimonianze decisive (Cass., sez. un., n. 14800 del 2018). 
    Tale puntuale motivazione, della quale questa Corte - che non  e'
chiamata a fornire una  propria  interpretazione  della  disposizione
censurata,   ma   unicamente   a   verificare    la    compatibilita'
dell'interpretazione fornitane dal diritto vivente con  le  superiori
norme costituzionali - non puo' che prendere  atto,  fornisce  idonea
ragione  giustificativa  della  dilatazione  dei  tempi   processuali
determinata dalla disposizione medesima, ritenuta dalle Sezioni unite
della  Corte  di   cassazione   necessaria   a   una   piena   tutela
dell'interesse primario  dell'imputato  a  non  essere  ingiustamente
condannato. Tale interesse, come  rilevato  dall'Avvocatura  generale
dello Stato, e' del resto -  secondo  la  prospettiva  interpretativa
accolta dalle Sezioni unite - direttamente connesso tanto all'essenza
del principio del  "giusto  processo"  sotteso  all'intero  art.  111
Cost., quanto alla presunzione di innocenza proclamata dall'art.  27,
secondo  comma,  Cost.;  e,  nella  prospettiva   dell'imputato,   e'
certamente poziore rispetto al suo stesso  diritto  a  una  sollecita
definizione della propria vicenda processuale, fondato per  l'appunto
sull'art. 111, secondo comma, ultima proposizione, Cost. e  sull'art.
6, paragrafo 1, CEDU. 
    4.2.- Nessun contrasto sussiste poi tra la disposizione censurata
e l'art. 111, quinto comma, Cost.,  a  tenore  del  quale  «la  legge
regola i casi in  cui  la  formazione  della  prova  non  avviene  in
contraddittorio,  per  consenso   dell'imputato   o   per   accertata
impossibilita' di natura oggettiva o per effetto di provata  condotta
illecita». 
    Assume il giudice a quo che la rinuncia  a  difendersi  provando,
espressa dall'imputato mediante  la  richiesta  di  essere  giudicato
nelle forme del rito abbreviato, non potrebbe ritenersi  limitata  al
solo primo grado di giudizio, attesa  l'ampiezza  della  formulazione
della previsione costituzionale in parola. Tale rinuncia  -  regolata
dalla  disciplina  legislativa  del  giudizio  abbreviato  ai   sensi
dell'art.  111,  quinto  comma,  Cost.  -  dovrebbe  a   suo   avviso
necessariamente valere per  l'intera  vicenda  processuale,  anche  a
fronte del beneficio in termini sanzionatori connesso alla scelta del
rito, che continua a essere assicurato all'imputato anche  nei  gradi
successivi del giudizio. 
    L'argomento non trova tuttavia alcun  sostegno  nel  testo  della
norma costituzionale invocata, che si  limita  a  permettere  che  la
prova  possa  in  casi  eccezionali  formarsi   al   di   fuori   del
contraddittorio, in particolare allorche' l'imputato vi consenta;  ma
non prescrive affatto, come invece assume il giudice a quo, che - una
volta che l'imputato abbia prestato  il  proprio  consenso  a  essere
giudicato «allo stato degli atti» - una tale  modalita'  di  giudizio
debba necessariamente valere per ogni  fase  del  processo,  compresa
quella di appello.  Piuttosto,  la  norma  costituzionale  in  parola
rinvia alla legge per la puntuale  disciplina  dei  processi  fondati
sulla  rinuncia   dell'imputato   all'assunzione   della   prova   in
contraddittorio, e lascia cosi' che sia il legislatore  a  provvedere
secondo il suo  discrezionale  apprezzamento  affinche'  il  processo
mantenga caratteristiche  di  complessiva  equita',  e  sia  comunque
assicurato, in  particolare,  l'obiettivo  ultimo  della  correttezza
della decisione (sentenza n. 184 del 2009). Obiettivo,  quest'ultimo,
di cui la disposizione censurata - nel significato  attribuitole  dal
diritto vivente - si fa, per l'appunto, carico. 
    D'altra  parte,  la  censura  formulata   dal   giudice   a   quo
pretenderebbe di dedurre, da quella che il legislatore costituzionale
ha inequivocamente concepito come una garanzia per l'imputato (cosi',
ancora, sentenza n. 184  del  2009;  nello  stesso  senso,  Corte  di
cassazione, sezioni unite penali, sentenza 3 aprile 2018, n.  14800),
una conseguenza pregiudizievole per  l'imputato  medesimo,  derivante
dall'eliminazione di una disciplina  probatoria  concepita  anch'essa
come garanzia in suo favore contro condanne potenzialmente  ingiuste;
il che appare intrinsecamente contraddittorio. 
    4.3.-  Infondata  appare,  altresi',  la  censura  formulata  con
riferimento all'art. 111, secondo comma,  Cost.,  sotto  il  distinto
profilo del vulnus che  la  disposizione  in  esame  arrecherebbe  al
principio  della  parita'  delle  parti   nel   processo,   alterando
l'equilibrio simmetrico che connota il giudizio  abbreviato,  fondato
sulla rinuncia al contraddittorio  nella  formazione  della  prova  e
sulla correlativa diminuzione di pena in caso di condanna. 
    Invero - e a differenza di cio' che questa Corte  ha  riscontrato
nella sentenza  n.  26  del  2007,  concernente  una  disciplina  che
precludeva  al  pubblico  ministero  di  impugnare  le  sentenze   di
proscioglimento pronunciate in primo  grado  -  la  disposizione  ora
censurata non introduce alcuno squilibrio tra  i  poteri  processuali
delle parti, dal momento che  configura  un  adempimento  doveroso  a
carico del giudice, sottratto al potere dispositivo delle parti, e da
realizzare anche in assenza di richiesta delle parti medesime. 
    Ne'  la  disposizione  pone  l'imputato  in   alcuna   arbitraria
posizione di  vantaggio  rispetto  al  pubblico  ministero,  tale  da
turbare  la  simmetria  delle  relative  posizioni.  Cosi'  come  nel
giudizio di primo  grado  celebrato  con  rito  abbreviato  le  parti
possono confrontarsi in  condizioni  di  parita'  sul  significato  e
sull'attendibilita'  delle  prove  raccolte   durante   le   indagini
preliminari, nel successivo giudizio  di  appello  le  parti  saranno
nuovamente in condizioni di completa parita' in sede di audizione dei
testimoni decisivi ai fini  della  conferma  o  della  riforma  della
sentenza assolutoria pronunciata in primo grado. 
    La disposizione censurata crea, semmai,  un'asimmetria  non  gia'
tra i poteri processuali delle parti (alle quali sole,  peraltro,  si
riferisce il parametro costituzionale invocato), ma tra  gli  statuti
probatori vigenti in caso di appello del pubblico ministero contro la
sentenza di assoluzione, e quelli che si applicano al caso,  opposto,
di appello dell'imputato contro la sentenza  di  condanna.  E  pero',
tale asimmetria, come hanno rilevato recentemente le  Sezioni  unite,
deriva dalla stessa struttura del processo penale italiano, che  «non
presenta affatto un'architettura simmetrica», alla luce del principio
posto dall'art. 27, secondo comma, Cost.: «[i]l nostro ordinamento ha
operato una ben precisa scelta di  sistema,  delineando  il  processo
penale come  strumento  di  accertamento  della  colpevolezza  e  non
dell'innocenza». Il che e' coerente con la  previsione  normativa  di
«protocolli logici del tutto diversi in  tema  di  valutazione  delle
prove e delle  contrapposte  ipotesi  ricostruttive  in  ordine  alla
fondatezza del tema d'accusa: la certezza della colpevolezza  per  la
pronuncia di condanna, il dubbio originato dalla  mera  plausibilita'
processuale  di  una  ricostruzione   alternativa   del   fatto   per
l'assoluzione». In tale irriducibile diversita' dei protocolli logici
si iscrive appunto la  disposizione  impugnata,  nell'interpretazione
offertane dal giudice di legittimita': «[l]'applicazione della regola
dell'immediatezza nell'assunzione di prove dichiarative  decisive  si
impone  univocamente  in  caso  di   sovvertimento   della   sentenza
assolutoria, poiche' e' solo tale esito  decisorio  che  conferma  la
presunzione di innocenza e rafforza il peso del ragionevole dubbio  -
operante solo pro reo e non per le altre parti del processo  -  sulla
valenza delle prove dichiarative» (Cass.,  sez.  un.,  n.  14800  del
2018). 
    Qualora, poi, il senso della  censura  formulata  dal  rimettente
fosse quello di denunciare non tanto il  vulnus  alla  parita'  delle
parti nel processo, quanto piuttosto lo squilibrio  sopravvenuto  nel
sinallagma sotteso alla richiesta di rito abbreviato  -  identificato
nella rinuncia  dell'imputato  al  contraddittorio  nella  formazione
della prova in cambio degli sconti di pena  previsti  in  suo  favore
dall'art. 442 cod. proc. pen. -, il parametro  invocato  risulterebbe
di nuovo del tutto inconferente, una tale censura alludendo semmai  a
una supposta intrinseca irragionevolezza della disciplina, in ipotesi
rilevante ai sensi dell'art. 3 Cost.:  parametro,  quest'ultimo,  che
non e' stato pero'  invocato  dall'ordinanza  di  rimessione,  e  che
pertanto non puo' formare oggetto di esame in questa sede. 
    4.4.- Infine, non e' fondata la censura formulata con riferimento
all'art. 117, primo comma,  Cost.  in  relazione  all'art.  20  della
direttiva 2012/29/UE, che prescrive che  il  numero  delle  audizioni
della vittima sia limitato al minimo. 
    Ad avviso del rimettente, l'imposizione di un'ulteriore audizione
della vittima nel corso del giudizio di appello concreterebbe proprio
l'esito pregiudizievole per la vittima  medesima,  che  la  direttiva
vuole evitare affermando il divieto di audizioni superflue. 
    L'assunto non puo', tuttavia, essere condiviso. L'art.  20  della
direttiva citata dispone: «[f]atti salvi i diritti della difesa e nel
rispetto  della  discrezionalita'  giudiziale,   gli   Stati   membri
provvedono a che durante le indagini penali: [...] b) il numero delle
audizioni della vittima sia limitato al minimo e le audizioni abbiano
luogo solo se strettamente necessarie ai fini dell'indagine penale». 
    Come emerge evidente dal dato letterale della disposizione, da un
lato il divieto della  rinnovazione  superflua  dell'audizione  della
vittima sancito dall'art. 20 riguarda la sola  fase  delle  «indagini
penali», corrispondenti - nel contesto del diritto processuale penale
italiano - alle indagini preliminari, e non si  estende  dunque  alla
fase del processo (fase che la stessa direttiva  definisce,  all'art.
23, come «procedimento giudiziario»,  in  contrapposizione  a  quella
precedente delle «indagini penali»), nella quale e' pacifico  che  la
persona  offesa  debba  poter  essere  sentita  -  eventualmente  con
modalita' protette, ove  si  tratti  di  vittima  vulnerabile  -  nel
contraddittorio  tra  le  parti.  Dall'altro  lato,   come   rilevato
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato  e   dallo   stesso   giudice
rimettente, tale divieto fa comunque salvi - in conformita' a  quanto
previsto in generale nel  considerando  n.  58  -  i  «diritti  della
difesa», tra i quali si iscrive, in posizione eminente, il diritto al
contraddittorio nella formazione della prova. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondate le questioni di legittimita'  costituzionale
dell'art.  603,  comma  3-bis,  del  codice  di   procedura   penale,
introdotto dall'art. 1, comma 58, della legge 23 giugno 2017, n.  103
(Modifiche  al  codice  penale,  al  codice  di  procedura  penale  e
all'ordinamento penitenziario), sollevate, in riferimento agli  artt.
111, secondo e quarto comma, e 117 della  Costituzione,  quest'ultimo
in relazione all'art. 20 della direttiva 2012/29/UE,  del  Parlamento
europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012,  che  istituisce  norme
minime in materia di diritti, assistenza e protezione  delle  vittime
di reato e che sostituisce la decisione  quadro  2001/220/GAI,  dalla
Corte d'appello di Trento con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 marzo 2019. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                    Francesco VIGANO', Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 23 maggio 2019. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA